Criteri di calcolo della pensione: no alla retroattività

Alcuni lavoratori ex transfrontalieri lamentavano l’errata applicazione retroattiva della L. numero 296/06 ed i contrasti della giurisprudenza era inopponibile perché approvata nelle more dei loro giudizi di adeguamento pensionistico. La CEDU, decidendo il merito e rinviando ad un altro processo per il risarcimento, ha dichiarato violati gli articolo 6 § .1 e 1 protocollo 1 Cedu. Ottima la ricca bibliografia delle fonti in calce alla decisione.

E’ quanto deciso dalla CEDU sez. II con la sentenza Stefanetti ed altri c. Italia, depositata il 15 aprile 2014, nell’affrontare nuovamente le problematiche sulla pensione casi Mottola e Staibano c. Italia e Dhahabi c. Italia . Il caso. I ricorrenti chiesero all’INPS di calcolare la loro pensione tenendo conto degli anni di servizio in Svizzera, ai sensi della Convenzione italo-svizzera del 1962, ma l’ente ha errato i parametri di riferimento, attribuendone loro una pari ad un terzo di quella effettivamente spettante. Infatti nel prendere in considerazione la retribuzione media dell’ultimo decennio, non ha calcolato quella reale retribuzione minima , ma quella teorica. Ciò ha comportato questa decurtazione, perché i contributi richiesti dalla legge svizzera sono decisamente inferiori a quelli italiani 8% e 32,7% . Ricorrevano, perciò, al tribunale di Sondrio in funzione di giudice del lavoro per ottenere il loro adeguamento, eccependo la contrarietà a detto accordo. Nelle more era entrata in vigore la L.296/06 dal 1/1/07 applicata loro retroattivamente. La CEDU ha riconosciuto, non all’unanimità, la violazione degli articolo 6 § .1, 1 protocollo 1, ma non quella dell’articolo 14 Cedu. Quadro normativo. Gli articolo 23 della Convezione, 1 e 3 del protocollo addizionale del 4/7/69 sanciscono che «al raggiungimento dell’età pensionabile, stabilità dalla legge italiana, e dove non sono già stati beneficiari di una pensione di anzianità, i cittadini italiani od i loro ed eredi possono richiedere, in deroga all'articolo 7, che i contributi pagati da loro e/o dai loro datori di lavoro in Svizzera per il regime assicurativo siano trasferiti a quello italiano, a condizione che essi abbiano lasciato la Svizzera per l’insediamento permanente in Italia . Gli enti previdenziali italiani devono utilizzare tali contributi a favore dell'assicurato o dei suoi eredi in modo da garantire il conseguimento dei vantaggi derivati dalla legge italiana, come citato nell'articolo 1 della convenzione, secondo le modalità specifiche emesse dalle autorità italiane. Se nessun vantaggio può essere raggiunto sulla base di tali accordi, gli enti previdenziali italiani devono rimborsare i contributi trasferiti alle parti interessate». L’articolo 1 comma 777 L. numero 296/06 così interpreta l’articolo 5, comma 2, d.P.R. numero 448/68 «in caso di trasferimento presso l'assicurazione generale obbligatoria italiana dei contributi versati ad enti previdenziali di Paesi esteri in conseguenza di convenzioni ed accordi internazionali di sicurezza sociale, la retribuzione pensionabile relativa ai periodi di lavoro svolto nei Paesi esteri è determinata moltiplicando l'importo dei contributi trasferiti per cento e dividendo il risultato per l'aliquota contributiva per invalidità, vecchiaia e superstiti in vigore nel periodo cui i contributi si riferiscono ». L’esegesi della giurisprudenza italiana ante e post L. numero 296/06. La giurisprudenza costante, sin dalla Cassazione del 6/3/04, parametrava la pensione alla retribuzione reale. La Corte Cost. numero 172/08 nota questa norma che introduce un’interpretazione autentica, sì che il passaggio dal sistema contributivo a quello retributivo è in linea con la politica di welfare dello Stato e «non attribuisce al lavoro prestato all'estero un trattamento deteriore rispetto a quello svolto in Italia, ma anzi assicura la razionalità complessiva del sistema previdenziale, evitando che, a fronte di una esigua contribuzione versata nel Paese estero, si possano ottenere le stesse utilità che chi ha prestato attività lavorativa esclusivamente in Italia può conseguire solo grazie ad una contribuzione molto più gravosa». La successiva 264/12, recependo la condanna della CEDU nel caso Maggio ed altri c. Italia del 31/5/5, considera questa retroattività contraria all’articolo 6 § .1 Cedu, perché la legge può essere tale solo se giustificata da superiori interessi pubblici, dopo un’attenta valutazione ed un corretto bilanciamento di tutte le tutele costituzionalmente riconosciute. Conclusioni del Comitato europeo dei diritti sociali sulla conformità della situazione in Italia con la carta sociale europea del 2013. Ha criticato l’Italia, perché, sin dal 2011, gli importi delle pensioni minime, anche per la scelta dei criteri di calcolo contributivo, età pensionabile a 65 anni ed oltre , sono inferiori al 40% del reddito medio Eurostat, sì che la maggior parte dei pensionati vive in condizioni di povertà e non può avere una vita dignitosa, né partecipare attivamente a quella pubblica e socio-culturale. La social card, essendo destinata ad un gruppo esiguo di beneficiari privati con reddito di €.6-8.000, a seconda se hanno compiuto o meno i 70 anni, aziende con reddito sino ad €.15.000 non ha migliorato la situazione, così come l’aumento degli importi della pensione sociale, sì che sono necessari nuovi interventi e la previsione di misure integrative. Illecita interferenza della Stato. Tutto ciò è un atto arbitrario dello Stato. In breve, pur essendo possibile modificare il regime pensionistico, nella fattispecie non c’era alcun motivo valido di renderlo retroattivo lo Stato ha inteso riequilibrare una presunta situazione di disparità non esistente nella Convenzione del 1962 ed in ogni caso l’intervento era tardivo. Non c’era alcuna garanzia atta a superare i rischi che l’uso di questa legislazione retroattiva avrebbe comportato per i processi pendenti come i nostri. Violazione dell’articolo 1 protocollo 1. È palese che questa interferenza, oltre a violare i principi dello stato di diritto e del legittimo affidamento, lede la tutela della proprietà, poiché costituisce una arbitraria decurtazione della pensione ed una discriminazione tra chi ha lavorato in Svizzera, per alcuni anni e chi ha sempre prestato servizio in Italia. La riduzione o la sospensione di un beneficio è legittima solo se sorretta da un superiore e generale interesse pubblico, assente nella fattispecie. Se da un lato è un diritto-dovere dello Stato eliminare norme discriminatorie e porre sotto controllo le spese pubbliche con interventi mirati a garantire il welfare e l’economia nazionale, dall’altro non è lecito ridurre eccessivamente le pensioni. Infatti la Corte osserva che la sentenza Maggio è parzialmente riferibile al nostro caso, perché la sproporzione tra gli importi è eccessiva è inferiore di due terzi rectius circa del 67% rispetto a quella spettante a chi ha sempre lavorato in Italia, contrastando, così, gli obiettivi sopra descritti Arras ed altri c. Italia del 14/2/12 . Inoltre nota che erano stati i singoli ricorrenti e non la collettività in generale a versare i contributi pensionistici, perciò è irrilevante che l’importo previsto dalla Svizzera fosse decisamente inferiore a quello disposto dalle nostre leggi, perciò la decurtazione non solo viola la Convenzione ma anche la Carta sociale europea. Hanno, quindi, subito un doppio pregiudizio l’errore di calcolo dell’INPS, che attribuendo un importo irrisorio ha causato loro difficoltà economiche e l’aver dovuto agire giudizialmente per la corretta attribuzione della pensione. Non sussistevano, anche sotto questo aspetto, le condizioni per la retroattività di una legge approvata nelle more del processo e che andava a tutto vantaggio dell’Italia, acuendo lo squilibrio tra le parti e le denunciate discriminazioni. Risarcimento danni morali. Riconosciuti € 12.000 ciascuno, per il resto, entro tre mesi, dovrà essere riassunto il processo per la liquidazione di quelli patrimoniali, pur invitando le parti a raggiungere un accordo. Opinione dissenziente di alcuni giudici. La decisione, come detto, non è stata unanime. Per alcuni giudici non c’è stata alcuna violazione, perché tali scelte sono in linea con le facoltà discrezionali di ogni paese, con la tutela del welfare e dell’economia. Il 15% dei pensionati, poi, ha una pensione minima di circa €.500 ed anche con questa somma riesce a vivere dignitosamente ergo non c’è stata alcuna discriminazione. Infine anche se ridotta dei due terzi la pensione non è stata loro negata, perciò l’intervento e l’applicazione retroattiva della L.296/06 sono leciti e non violano la Cedu né le politiche sociali europee.

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