Perché la condotta sia considerata persecutoria, è sufficiente che abbia indotto nella vittima uno stato d’ansia di timore per la propria incolumità. C’è violenza sessuale quando manca il consenso, che in generale dovrebbe perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità.
Con la sentenza numero 15334, depositata il 3 aprile 2013, la Corte di Cassazione ha ribadito la propria giurisprudenza in materia di atti persecutori e violenza sessuale. La riprendeva obbligandola ad alcune pratiche sessuali, minacciandola di diffondere il video. Un ragazzo, all’epoca dei fatti incriminati 19enne, viene condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per stalking, ex articolo 612-bis c.p., e per violenze sessuali, ex articolo 609-bis c.p., ai danni della propria «fidanzata», ai tempi minorenne. Durante la relazione la schiaffeggiava, le impediva di uscire, la obbligava a dargli il cellulare, le inviava infiniti sms. Dopo la rottura del rapporto l’ha minacciata di ammazzarla e di mostrare ai suoi genitori i video sessuali che la vedevano protagonista con lui. L’ha anche obbligata ad avere rapporti sessuali «estremamente violenti», impedendole di opporvisi, nonostante i chiari dinieghi emersi dai video stessi. La sentenza del GUP viene confermata dalla Corte d’Appello. Ma c’è violenza anche nel caso di pratiche sadomaso? Il giovane ricorre allora per cassazione, sostenendo che i giudici avrebbero dovuto considerare il fatto che la vittima era solita avere rapporti sessuali particolari. La sua attendibilità sarebbe poi dubbia visto il potenziale imbarazzo che la conoscenza, da parte dei genitori circa la propria vita sessuale attiva, avrebbe potuto arrecarle. Da nessuno video emerge un rapporto sessuale normale, si sarebbe trattato di «giochi erotici» e «trattandosi di un rapporto sadomaso, non si potrebbe ritenere che in ogni momento l’imputato avesse l’obbligo di verificare la persistenza del consenso». La S.C. rileva che i motivi del ricorso «ribadiscono censure già puntualmente disattese dai giudici di merito, le cui motivazioni non presentano errori giuridici o manifeste illogicità». Corretta quindi la decisione di condanna. Lo stesso imputato ha infatti ammesso le proprie condotte di molestie. Satlking la sua posizione di dominanza è evidente, lui non è mai stato imbavagliato. Perché qualcuno commetta il reato di stalking «è sufficiente che abbia indotto nella vittima uno stato d’ansia e di timore per la propria incolumità». Nel caso di specie è emerso chiaramente che vi era «un desiderio di dominio dell’imputato sulla persona offesa, nell’ambito di un rapporto asimmetrico e dominante, come confermato dal fatto che non vi fossero filmati che supportavano la circostanza che l’uomo e la donna fossero imbavagliati e legati alternativamente». Violenza sessuale basta che non ci sia il consenso anche solo per un istante. La Corte di Cassazione ricorda poi gli estremi necessari per integrare il reato di violenza sessuale, rientrando in tale fattispecie «la condotta di colui che persegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, anche se originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme e delle modalità di consumazione del rapporto, ciò in quanto, il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità». Dai video acquisiti è emerso che «la ragazza, pur avendo prestato il proprio consenso ad alcuni rapporti, manifestava un esplicito dissenso alle successive pratiche estreme poste in essere dall’imputato».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2012 – 3 aprile 2013, numero 15334 Presidente Lombardi – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30 maggio 2011, la Corte di Appello di Torino ha confermato la sentenza del GUP presso il Tribunale di Novara che ha condannato A.D. alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, dichiarandolo responsabile a del reato di cui all'articolo 612 bis, comma 3, cp., perché con condotte reiterate minacciava, perseguitava, e molestava G.M. , in modo da cagionarle un perdurante stato d'ansia e di paura ed ingenerando nella stessa timore per la propria incolumità e per quella dei suoi congiunti condotte di gravissima persecuzione consistite, durante la relazione, nello schiaffeggiarla in più occasioni, nell'intimarle di comunicargli in ogni momento con quali persone lei si trovasse, nel vietarle di uscire con altre persone, nell'esigere il suo cellulare dietro minaccia di ritorsioni, nell'inviarle continui sms, e nell'impedirle di interrompere il loro rapporto dopo la rottura del rapporto, nel minacciarla di morte e nel minacciarla di mostrare ai suoi genitori ed a terzi foto e filmati che la ritraevano nuda o nell'atto di compiere atti sessuali, cosa che poi faceva pur mostrando parte del materiale pedopornografico e nell'indurre la ragazza a non riferire la gravità di quanto stava accadendo fatto commesso in omissis b del reato di cui agli articolo 81 cpv., 609 bis, comma 1, 609 septies, comma 4, numero 1 , c.p., perché con più azione esecutive di un medesimo disegno criminoso, in quattro occasioni, con violenza e minaccia costringeva G.M. a subire e compiere atti sessuali contro la sua volontà con violenza e minaccia consistite nel legare ed imbavagliare la minore con svariate modalità la costringeva a subire rapporti sessuali orali e penetrazioni digitali anali e altre pratiche erotiche dolorose che, nell'ultima occasione, comportavano il sanguinamento di un capezzolo. Rapporti sessuali estremamente violenti, che per le condizioni in cui venivano posti in essere impedivano alla minore di opporvisi in qualunque modo, nonostante i dinieghi con comportamenti evidenti, come evidenziati dai filmati a contenuto pedopornografico che l'A. realizzava, e che lo stesso utilizzava fatti commessi in omissis . 2. Avverso la sentenza, l'imputato ha proposto, tramite il proprio difensore, ricorso per cassazione per i seguenti motivi 1 Violazione di legge e difetto di motivazione. La responsabilità dell'imputato sarebbe stata affermata in base alle dichiarazioni dei genitori della ragazza contenute nella denuncia presentata alla Polizia Giudiziaria. Tuttavia, i genitori non sono stati escussi. Nonostante l'imputato avesse optato per il giudizio abbreviato il contenuto della denuncia non avrebbe potuto essere assimilato ad una dichiarazione testimoniale. Al contrario, anche a voler considerare le dichiarazioni dei genitori della ragazza come testimonianza indiretta, il giudice avrebbe dovuto applicarne il relativo regime, non potendo la denuncia essere assimilata ad un documento ai sensi dell'articolo 234 c.p.p. La sentenza inoltre non avrebbe motivato in ordine alla prospettazione difensiva che aveva sottolineato come la persona offesa, pur avendo interrotto il rapporto di frequentazione con l'imputato, continuava comunque ad avere rapporti sessuali con lo stesso. In sostanza, difetterebbe l'elemento della soggezione psicologica, necessario ai fini della sussistenza della fattispecie contestata. Infine, non è stata disposta una perizia sulla documentazione informatica 2 Mancanza di motivazione con riferimento alla attendibilità della persona offesa. In particolare, pur non mettendo in dubbio la libertà sessuale della persona offesa, i giudici avrebbero dovuto attentamente considerare che la persona offesa era solita avere rapporti sessuali particolari, sicché sarebbe stato necessario un accertamento più rigoroso della sua attendibilità, onde escludere che la presa di conoscenza dei genitori di una vita sessuale attiva non avesse indotto la ragazza a dichiarare di essere stata costretta a porre in essere determinate pratiche sessuali 3 Difetto di motivazione con riferimento al delitto di violenza sessuale. Nessuno dei video prodotti ha mostrato rapporti sessuali normali e, a seguire le dichiarazioni della stessa persona offesa, non si sarebbe trattato di pratiche sadiche imposte, bensì di un gioco erotico cui la persona offesa si era prestata consapevolmente. D'altra parte, trattandosi di un rapporto sadomaso, non si potrebbe ritenere che in ogni momento l'imputato avesse l'obbligo di verificare la persistenza del consenso. 3. Con memoria depositata nell'interesse delle parti civili costituite Gi.Ma. e P.L. , nella qualità di genitori esercenti la potestà su G.M. , i difensori hanno chiesto il rigetto del ricorso presentato dall'imputato e la conseguente conferma della responsabilità dello stesso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Giova premettere che le censure prospettate dal ricorrente tendono a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all'apprezzamento del materiale probatorio, che devono essere rimessi all'esclusiva competenza del giudice di merito, mirando a prospettare una versione del fatto diversa e alternativa a quella posta a base del provvedimento impugnato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte Sez. 6, Sentenza numero 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148 , il giudizio di legittimità-in sede di controllo sulla motivazione - non può concretarsi nella rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione o nell'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili. La lettura della motivazione della sentenza impugnata impone una seconda osservazione di ordine generale deve condividersi il principio, secondo cui quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente cfr. Sez. 4, numero 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735 . 2. Alla luce dei principi sopra richiamati, questa Corte ritiene, che i giudici di merito abbiano correttamente illustrato le ragioni, per le quali hanno ritenuto sussistente la responsabilità dell'imputato in ordine al reato contestatogli, laddove i motivi di ricorso proposti dal ricorrente ribadiscono censure già puntualmente disattese dai giudici del merito, le cui motivazioni non presentano errori giuridici o manifeste illogicità. D'altra parte devono essere respinte le ulteriori censure prospettate dal ricorrente con riferimento alla mancata disposizione della perizia sui documenti informatici. Infatti, pur con la scelta del rito abbreviato, sarebbe stato onere del ricorrente richiedere ulteriori accertamenti peritali entro i termini e nei modi previsti dall'articolo 438, comma 5, c.p.p. Sotto questo profilo, la richiesta difensiva di integrazione del dato probatorio appare certamente tardiva. 3. Del pari risulta chiara l'infondatezza della denunciata violazione dei principi della Carta di Noto, non solo perché detti principi, lungi dall'avere valore normativo, si risolvono in meri suggerimenti diretti a garantire l'attendibilità delle dichiarazioni del minore e la protezione psicologica dello stesso, come illustrato nelle premesse della Carta stessa cfr. Sez. 3, numero 20568 del 10/04/2008, Gruden, Rv. 239879 , ma anche perché, nel caso di specie, la minore era stata escussa a sommarie informazioni testimoniali dinanzi al PM e la difesa nulla aveva in precedenza eccepito sulle modalità di assunzione della stessa. 4. Invero, i giudici di merito hanno evidenziato come la responsabilità dell'imputato fosse stata confermata dalle risultanze probatorie emerse dai verbali di perquisizione e sequestro e dalla consulenza tecnica disposta sul materiale sequestrato cfr. sentenza di primo grado pag. 8, dove si evidenzia come la consulenza tecnica documenti alcuni video ritraenti la persona offesa in condizione di restrizione fisica, in atteggiamenti particolari, nell'atto di bere lo sperma o l'urina del partner che pur non comparendo, risulta presente come voce fuori campo, ovvero coinvolta in pratiche sessuali comportanti penetrazioni digitali . Inoltre anche il tenore dell'interrogatorio reso dallo stesso imputato, il quale aveva ammesso le condotte di molestie, che si erano concretizzate sia nel controllo diretto della ragazza sia mediante minacce di divulgazione di immagini o video o attraverso inviti a non uscire con le amiche, aveva costituito per i giudici di merito elemento confermativo della responsabilità. 5. In particolare, con riferimento alla sussistenza del delitto di stalking, la fattispecie del reato in oggetto prevede invero più eventi in posizione di equivalenza, uno solo dei quali è sufficiente ad integrarne gli elementi costitutivi necessari cfr., Sez. 5, numero 34015 del 22/6/2010, De Guglielmo, Rv. 248412 . Ai fini della sussistenza del reato, è sufficiente che la condotta abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità cfr., Sez. 5, numero 29872 del 19/5/2011, L, Rv. 250399 ed in questa prospettiva, il provvedimento impugnato ha fornito puntuale risposta alle doglianze difensive evidenziando, con motivazione priva di smagliature logiche, come la ripresa delle frequentazioni con l'imputato dopo un'iniziale interruzione, fosse un indice del turbamento e della sudditanza della ragazza di fronte agli atteggiamenti aggressivi dell'imputato, e dunque di uno stato di prostrazione. I giudici di merito hanno sottolineato, inoltre, come le emergenze processuali hanno confermato che vi era un desiderio di dominio dell'imputato sulla persona offesa, nell'ambito di un rapporto asimmetrico e dominante, come confermato dal fatto che non vi fossero filmati che supportavano la circostanza che l'uomo e la donna fossero imbavagliati e legati alternativamente. 4. Anche l'ultimo motivo di ricorso è infondato. Come ha affermato questa Corte Sez. 3, numero 4532 del 11/12/2007, Bonavita, Rv. 238987 , integra il reato di violenza sessuale la condotta di colui che prosegua un rapporto sessuale quando il consenso della vittima, originariamente prestato, venga poi meno a causa di un ripensamento ovvero della non condivisione delle forme o delle modalità di consumazione del rapporto, ciò in quanto, il consenso della vittima agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell'intero rapporto senza soluzione di continuità. I giudici di merito hanno fatto applicazione di tale principio ed hanno escluso che potesse assumere rilievo un consenso al rapporto sessuale originariamente prestato e successivamente venuto meno. In particolare, si è dato conto del fatto che la persona offesa aveva manifestato un rifiuto espresso a determinati rapporti sessuali, proprio perché attuati sotto la minaccia e la diffusione di immagini a carattere sessuale. I giudici hanno sottolineato come la prevaricazione nel rapporto di coppia da parte dell'imputato fosse emersa anche dai video acquisiti, dai quali era emerso che la ragazza, pur avendo prestato il proprio consenso ad alcuni rapporti, manifestava un esplicito dissenso alle successive pratiche estreme poste in essere dall'imputato. Di conseguenza, la responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di violenza sessuale è stata correttamente ritenuta sussistente. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessive Euro mille oltre IVA ed accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessive Euro mille oltre IVA ed accessori di legge.