Motivi d'appello generici: anche il PM paga la sua imprecisione

L'appello proposto dal Pubblico Ministero va dichiarato inammissibile ogni qual volta appaia generico e, dunque, privo dell'indicazione delle ragioni per le quali la motivazione contenuta nella sentenza impugnata dovrebbe ritenersi erronea o inadeguata. Il grado di analiticità dell'atto di appello, peraltro, deve parametrarsi al livello di completezza e precisione offerto dalla sentenza impugnata.

Lo ha stabilito la Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25445 depositata il 10 giugno 2013. Una associazione per delinquere dentro la Croce Rossa. Nel caso di specie, il responsabile della Croce Rossa di un Comune siciliano è stato rinviato a giudizio, assieme ad una serie di soggetti per il reato di associazione a delinquere finalizzata alla commissione dei delitti di peculato, falso e concussione, nell'ambito della distribuzione di alcune derrate alimentari che provenivano dall'Unione Europea per poi essere destinate alla popolazione più bisognosa. In particolare, secondo l'accusa, gli imputati - molti dei quali non appartenenti all'organico dell'Ente pubblico non economico – si sarebbero appropriati, in moltissime occasioni, di ingenti quantità di risorse sottraendole agli aventi diritto. A ciò si aggiungeva la prassi di falsificare i cedolini di consegna delle merce in uno a quella di chiedere a coloro che la ritiravano di versare una somma forfettaria e obbligatoria di 50.000 lire. Prassi errata, ma penalmente irrilevante. Il Tribunale, nel valutare la posizione dei singoli imputati, ha rigettato in toto la ricostruzione dei fatti propostagli dal Pubblico Ministero, tanto che il giudizio di primo grado si è chiuso con una sentenza di assoluzione pronunciata con formula piena per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda. Il giudice di merito, sulla base di un'articolata istruttoria processuale, ha infatti ricostruito la prassi di smistamento e facchinaggio delle merci, giudicandola sì errata, ma non per questo penalmente rilevante. Nel dettaglio, è stato evidenziato come quella che sembrava essere una condotta di peculato appropriazione delle derrate da parte dei volontari della Croce Rossa doveva considerarsi, in realtà, un semplice riconoscimento per l'attività di facchinaggio prestata a titolo gratuito e che spesso era effettuata da soggetti indigenti al pari di quelli in favore dei quali venivano consegnati gli alimenti quanto alle condotte di falso, invece, si sarebbe trattato di una gestione ideata dal responsabile del servizio locale per sopperire all'impossibilità di individuare ex ante gli aventi diritto alla consegna delle derrate, stante il considerevole ed incontrollabile numero degli indigenti tra la popolazione da ultimo, l'accusa di concussione è stata radicalmente sconfessata sulla base delle testimonianze rese dalle presunte vittime, compatte nel ritenere le dazioni di denaro quali semplici offerte volontarie per il prezioso servizio. In appello arriva la condanna. Nel corso del giudizio di appello, tuttavia, il processo ha assunto tutt'altra piega. Secondo la Corte territoriale, infatti, per alcuni degli imputati tra cui il responsabile locale dell'Ente sussistevano gli estremi per la condanna - in specie per il delitto di peculato - vieppiù ritenuto consumato in base alla mera circostanza secondo cui i partecipi dalla prassi irregolare si appropriavano di beni già destinati senza averne alcun diritto. L'atto di appello era generico . La posizione degli imputati raggiunti dalla declaratoria di condanna in sede di gravame è riconsiderata dai giudici della Suprema Corte, ai quali è stata rimarcata, oltre che l'erroneità della sentenza emessa dalla Corte territoriale, la palese genericità dei motivi che sorreggevano l'appello proposto dal Pubblico Ministero contro l'analitica sentenza del giudice di primo grado. Ebbene, proprio quest'ultimo profilo ha convinto gli Ermellini ad accogliere il ricorso, ribaltando il verdetto emesso dalla Corte di secondo grado. Segnatamente, i Giudici romani - seppur partendo dalla premessa secondo cui ai fini del giudizio di appello, il requisito della specificità dei motivi va valutato tenendo conto del tipo di impugnazione, anche nel merito, per cui, soprattutto per il profilo delle ragioni di diritto, non è richiesto uno sviluppo particolarmente analitico degli argomenti a sostegno dell'impugnazione - hanno osservato come, nel caso di specie, la sentenza di primo grado, quanto a completezza e precisione, richiedesse, da parte del P.M. ricorrente, delle argomentazioni - specialmente sotto il profilo probatorio - di maggior spessore. Il contenuto dell'atto di appello depositato si presentava, invero, palesemente generico, prospettando una valutazione inadeguata delle prove senza alcuna indicazione di quali fossero, in concreto, gli errori commessi dal Tribunale, e dai quali avrebbe dovuto discendere la riforma, come pure avvenuto, della sentenza di primo grado. Da qui, il giudizio di inammissibilità dell'atto di appello originario inidoneo, secondo la Cassazione, ad instaurare il gravame e l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 2 maggio - 10 giugno 2013, n. 25445 Presidente Agrò – Relatore Di Stefano Ritenuto in fatto M.G. , A.C. , P.C. , Mo.Se. , Po.Sa. sono stati condannati dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza del 24 novembre 2009 - depositata il 23 dicembre 2010 - in parziale accoglimento dell'appello del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione del Tribunale di Agrigento del 15 luglio 2005/9 gennaio 2006. L'accusa iniziale a carico dei ricorrenti ed altre persone era di aver costituito una associazione per delinquere finalizzata alla commissione di delitti di peculato, falso e concussione nell'ambito delle attività di distribuzione di derrate alimentari provenienti dall'Unione Europea, destinate a persone indigenti ed affidate per la distribuzione alla Croce Rossa Italiana, sezione di OMISSIS . Oltre al reato associativo erano stati contestati - varie decine di singoli fatti di peculato in riferimento a singole appropriazioni di confezioni di alimenti da parte di svariati soggetti in concorso con il responsabile locale della Croce Rossa per la distribuzione delle derrate, M.G. - al solo M. numerosi reati di falso per aver alterato i cedolini di consegna delle derrate alimentari in modo da occultare la distribuzione irregolare di parte di tali derrate - vari fatti di concussione per aver il M. ed altri soggetti operanti per la Croce Rossa richiesto ad istituti di assistenza destinatari degli alimenti la quota annuale di lire 50.000 per la consegna della merce. In totale erano contestati 100 reati. Secondo l'accusa i fatti risultavano accertati in quanto, disposto un controllo da parte della polizia giudiziaria sulle modalità di consegna delle derrate alimentari destinate dalla U.E. agli indigenti, nel periodo dal giugno ad ottobre del 2000, sulla scorta di appostamenti e intercettazioni, si scopriva che, in occasione dello scarico delle merci, parte di queste venivano ritirate da soggetti non aventi diritto. Tali circostanze erano confermate dall'esito di varie perquisizioni che consentivano di ritrovare nelle case di alcuni degli imputati singole confezioni di alimenti provenienti dalla fornitura U.E Il Tribunale, all'esito di una ampia Istruttoria, riteneva completamente infondata la tesi di accusa. Con ampia motivazione ricostruiva la modalità di gestione delle derrate alimentari queste erano state distribuite sul territorio italiano tramite la Croce Rossa Italiana che, con riferimento al caso particolare di OMISSIS , effettuava attività di pubblicizzazione dell'iniziativa e raccolta di informazioni per individuare i soggetti aventi diritto, procedendo poi alla distribuzione. Il Tribunale, quanto ai fatti di peculato, innanzitutto confermava la natura di ente pubblico non economico della Croce Rossa Italiana con riferimento alle sue attività in generale ed al particolare compito alla stessa affidato di distribuzione dei citati prodotti. Dava poi atto che, dalle testimonianze acquisite, risultava che, mentre in anni precedenti l'attività di distribuzione di derrate alimentari era stata gestita con volontari dell'ente, venuti meno tali soggetti, il socio M.G. , cui era stato affidato l'incarico di gestire la distribuzione, aveva ritenuto di operare con l'aiuto di persone varie reperite direttamente e di utilizzare, a garanzia della corretta gestione, un sistema di documentazione della distribuzione delle derrate, sistema che lui stesso organizzava. Dei vari soggetti che lo coadiuvavano, alcuni curavano lo scarico, l'immagazzinamento e la distribuzione degli alimenti che giungevano con autoarticolati che venivano scaricati presso il locale campo sportivo mentre altri si interessavano dell'attività di documentazione e contabilizzazione. Il Tribunale valutava analiticamente i singoli fatti contestati quali peculato, rilevando come i soggetti ritenuti singolarmente responsabili delle appropriazioni in concorso con il M. avevano partecipato in modo volontario alla attività in questione, senza rivestire qualifiche nell'ambito della Croce Rossa, ed avevano prelevato personalmente alimenti che, nei vari casi, erano stati individuati in qualche busta di latte, qualche pacco di riso, pacchi di biscotti, etc., confezioni di formaggio, generalmente in piccolo numero e scarso controvalore monetario solo in alcuni casi la merce descritta dalla polizia giudiziaria quale oggetto di appropriazione era in maggiori quantità. In alcuni casi, secondo quanto osservato dalla polizia giudiziaria dalla visione delle registrazioni delle operazioni di facchinaggio, alcuni soggetti avevano caricato sulle proprie autovetture una quantità abbastanza rilevante di merce come desumevano dall'abbassamento del lato posteriore della vettura, indice di maggior peso sugli ammortizzatori. Il Tribunale, quindi, considerava le ragioni per le quali non era configurabile il reato di peculato. Pur trattandosi di beni in disponibilità di un ente pubblico, sulla scorta delle informazioni ottenute dal comitato centrale della Croce Rossa Italiana sulle modalità di gestione delle derrate alimentari, si apprendeva che la distribuzione non era effettuata in base a regole specifiche ed inderogabili ma in base a ragionevoli prassi operative, sia per individuare i casi di indigenza che per le modalità di gestione del materiale. Se, quindi, di norma le attività in tutte le sedi italiane andavano svolte con personale interno, comunque nei casi in cui non vi fosse tale personale disponibile si faceva ricorso a soggetti esterni ricompensati in qualche modo. Nel caso di Agrigento, in assenza di fondi per pagare il personale, si utilizzava una comune e ragionevole prassi in uso da parte della Croce Rossa internazionale anche in altre aree del mondo si utilizzava una parte delle derrate alimentari quale ricompensa per i collaboratori. Quanto alla documentazione utilizzata per gestire le attività di distribuzione, dalle informazioni fornite dal responsabile la Croce Rossa nazionale risultava come tale documentazione non sempre veniva utilizzata, anche in relazione ai soggetti cui le derrate venivano distribuite, non sempre in grado di sottoscrivere i buoni di consegna. Peraltro il Tribunale rilevava come emergesse con chiarezza dalle dichiarazioni dei responsabili della Croce Rossa che era del tutto normale l'individuazione di soggetti indigenti sulla base di criteri sostanziali ed intuitu personae, anche se i loro nominativi non comparivano in liste formali inoltre era ovvia prassi comune che gli stessi responsabili dell'ente ritiravano derrate alimentari sul luogo dello scarico per consegnarle direttamente agli aventi diritto persone con difficoltà di mobilità etc. , essendo questa la banale spiegazione di alcuni dei casi in cui alla p.g. era sembrato che il materiale prelevato irregolarmente fosse in quantità maggiore rispetto agli altri casi di presunta indebita appropriazione. Del resto, proprio nel caso particolare di OMISSIS , la Amministrazione comunale non era in grado di fornire liste compiete ed affidabili degli indigenti, ragione in più per cui, in occasione della distribuzione degli alimenti, alcuni dei soggetti formalmente inseriti tra gli aventi diritto non sembravano avere l'apparenza dell'indigenza. Il Tribunale procedeva comunque ad un'attenta analisi dei singoli casi e delle singole persone ritenute responsabili dei reati, trovando sempre conferma del corretto utilizzo delle citate prassi operative. La conclusione del giudice di primo grado era innanzitutto la assoluta irrilevanza penale delle distribuzioni di derrate in quantità congrua ai soggetti che venivano così retribuiti per aver partecipato allo scarico e movimentazione verso i magazzini delle derrate alimentari. Peraltro, osservava il Tribunale, risultava anche come larga parte di costoro fossero soggetti sostanzialmente indigenti, tanto da accettare intere giornate di attività di facchinaggio per qualche pacco di riso, pasta e latte, equivalente di poche decine di migliaia di lire, in ciò risolvendosi la maggior parte delle contestazioni. Quanto al casi in cui erano stati visti anche volontari interni della Croce Rossa caricare sulle autovetture derrate alimentari, la agevole spiegazione già indicata non era contraddetta da alcun elemento concreto talora, quali volontari, avevano una delega formale al ritiro delle derrate per conto degli aventi diritto enti di assistenza etc. ed altre volte loro stessi si recavano, a titolo di cortesia, a consegnare il materiale a chi non era in grado di recarsi personalmente, sia per la mancanza di mezzi di trasporto che per le condizioni di salute e di età. Del resto, osservava il Tribunale, proprio la assoluta esiguità delle presunte appropriazioni ponevano le vicende certamente al di fuori di qualsiasi ipotesi di accaparramento di merci dato non smentito dalle poche ipotesi in cui la polizia giudiziaria aveva dato atto del sospetto abbassamento delle autovetture ritenute cariche. Si trattava, palesemente, di congetture indimostrate ed indimostrabili, potendo anche banalmente dipendere dalla vetustà dei veicoli. In alcuni casi, addirittura, i soggetti cui era contestata l'appropriazione erano presenti nelle liste degli aventi diritto. Quindi in nessun caso risultavano commesse condotte di peculato. Quanto ai reati di falso, il Tribunale osservava come certamente il sistema utilizzato dal M. non era finalizzato ad occultare presunte appropriazioni proprio il M. aveva voluto introdurre la prassi dei cedolini di consegna per il controllo diretto sulla distribuzione. Per il Tribunale era osservazione ovvia e banale che certamente M. non poteva aver introdotto un sistema facoltativo di documentazione per poi doverlo falsare per occultare le appropriazioni. Anzi, secondo le prove acquisite nel processo, il M. aveva costantemente operato in modo efficace, senza alcun ausilio di direttive degli organi superiori dell'ente che non prestavano particolare attenzione alle modalità di gestione delle attività, non dando mai ragione di rilievi in sede di controlli periodici da parte del comitato centrale della Croce Rossa Italiana e dell'Aima. Ma, anche a volere ritenere il contrario, nessun elemento poteva attribuire al M. la responsabilità per l'alterazione dei buoni di consegna in quanto, dalle prove raccolte ed analiticamente richiamate nel corpo della motivazione, risultava come il M. non fosse presente in occasione delle presunte falsificazioni che, quindi, certamente non potevano essere attribuite a lui. Sul presupposto di quanto sopra il Tribunale rilevava anche la assoluta inconsistenza delle ipotesi di peculato d'uso delle autovetture della Croce Rossa, utilizzate correttamente ai fini istituzionali. Quanto ai presunti casi di concussione, il Tribunale rilevava che era sufficiente fare riferimento alle dichiarazioni rese in dibattimento da tutti i soggetti in teoria vittime di concussione per appurare come non vi fossero affatto state pressioni perché gli stessi versassero la usuale quota di lire 50.000 a titolo di offerta volontaria per la gestione delle attività della Croce Rossa locale. Risultava anche che, secondo le disposizioni di M. , le offerte, per quanto modeste, andavano richieste soltanto a parrocchie ed istituti religiosi e l'utilizzazione istituzionale delle offerte volontarie era dimostrata dal fatto che in questo modo era stato acquistato il computer utilizzato per gestire l'attività di distribuzione delle derrate. Anche tali ipotesi di accusa erano, insomma, assolutamente inconsistenti. Avverso tale sentenza, il pubblico ministero proponeva appello sul quale la Corte di Appello di Palermo decideva con la sentenza già citata, accogliendo parzialmente l'impugnazione La Corte, confermando gli argomenti del primo giudice quanto al ruolo della Croce Rossa Italiana, con due pagine di motivazione specifica - dichiarava M.G. responsabile dei peculati di cui ai capi 33, 38, 41, 49, 50 e 68 ritenendo fondate le osservazioni del pubblico ministero - dichiarava A.C. , N.F. , Po.Sa. , Mo.Se. , Pa.Fr. , Pa.Ma. e R.C. responsabili delle condotte di peculato loro singolarmente ascritte ritenendo sufficiente la circostanza che costoro non avessero diritto, quali indigenti, alle derrate alimentari - dichiarava P.C. , sergente del corpo militare della Croce Rossa, responsabile del peculato in quanto veniva notato nelle videoriprese caricare in auto confezioni di alimenti. Per il resto l'appello veniva rigettato. Dei predetti condannati dalla Corte di Appello M.G. , A.C. , P.C. , Mo.Se. , Po.Sa. hanno presentato ricorso per cassazione. M.G. propone ricorso a mezzo del proprio difensore deducendo con il primo motivo la violazione di legge per essere stato erroneamente ritenuto ammissibile l’appello del pubblico ministero pur a fronte di motivi estremamente generici. Con secondo motivo deduce la violazione di legge per la sostanziale assenza di motivazione non avendo la Corte dedotto alcun argomento in contrasto con le motivazioni della sentenza di primo grado. Con terzo motivo deduce il vizio di motivazione per la assoluta contraddittorietà della motivazione che per alcuni casi di peculato accoglie l'appello nei confronti del ricorrente e lo rigetta nei confronti dei presunti correi ed in altri casi lo accoglie nei confronti dei presunti correi e lo rigetta nei confronti del M. , senza dare alcuna spiegazione di tale incomprensibile differente trattamento. A.C. a mezzo del proprio difensore contesta la motivazione deducendo la carenza assoluta di motivazione. P.C. a mezzo del proprio difensore con il primo motivo deduce la violazione di legge sostanziale in quanto i fatti accertati non corrispondono alla condotta contestata non avendo la Corte tratto le adeguate conclusioni dalla comprovata circostanza che il ricorrente non avevo affatto partecipato allo scarico delle merci. Risultava invece come il ricorrente avesse prelevato derrate alimentari per conto del proprio genitore, fatto attestato dal documento di consegna, in orario diverso da quello di apertura al pubblico del centro di distribuzione. Con secondo motivo deduce la mancanza ovvero la manifesta illogicità della motivazione. Mo.Se. propone ricorso a mezzo del proprio difensore deducendo con primo motivo la totale mancanza e comunque la manifesta illogicità della motivazione non essendo stato tenuto conto dell'assoluta mancanza di un suo ruolo nell'ambito della Croce Rossa, essendosi limitato ad operazioni materiali ed occasionali comunque rileva che non è stata data una adeguata motivazione della sua responsabilità. Con secondo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena. Po.Sa. propone ricorso a mezzo del proprio difensore deducendo la violazione della legge penale sostanziale e processuale nonché la carenza ed illogicità della motivazione non risultando adeguate ad esporre eventuali elementi dimostrativi della sua responsabilità le sette righe dedicate alla valutazione della sua posizione. Con secondo motivo deduce la violazione di legge per essere stata applicata la misura della interdizione dai pubblici uffici non ricorrendo i presupposti di legge. Ritenuto in diritto È fondato il primo motivo del ricorso di M.S. in ordine alla evidente inammissibilità dell'appello dei pubblico ministero, restando assorbiti gli altri motivi di tutti i ricorsi. Ai fini del giudizio di appello il requisito della specificità dei motivi va valutato tenendo conto del tipo di impugnazione, anche nel merito, per cui, soprattutto per il profilo delle ragioni in diritto, non è richiesto uno sviluppo particolarmente analitico degli argomenti a sostegno dell'impugnazione. Ma, nel caso di specie, va considerato che si è in presenza di una sentenza di primo grado ampia e ben argomentata che, in modo formalmente e sostanzialmente esaustivo, ricostruiva ogni profilo della vicenda non limitandosi ad escludere la fondatezza delle accuse per la scarsità del materiale probatorio. I primi giudici rilevavano come vi fossero macroscopici errori di interpretazione delle condotte osservate, giungendo alla ragionata conclusione che si era di fronte ad una totale inconsistenza delle ipotesi di accusa, basata su elementi probatori assolutamente generici interpretati in modo erroneo in conseguenza del mancato approfondimento delle effettive modalità di gestione della distribuzione degli alimenti da parte della Croce Rossa. A fronte di tutto ciò l'appello 1 quanto ai fatti di peculato si limita ad elencare il materiale probatorio affermandone la portata dimostrativa delle accuse senza affatto considerare che la generica affermazione sulla portata probatoria delle prove del PM è esattamente quanto era stato ampiamente confutato dalla sentenza impugnata alle argomentazioni della sentenza non si fa praticamente alcun riferimento, laddove i motivi andavano svolti proprio confrontandosi con il contenuto del provvedimento impugnato. In particolare, quanto al ruolo fondamentale della accertata prassi nella distribuzione degli alimenti quale corrispettivo, a fronte delle argomentate considerazioni del Tribunale, nell'atto di appello l'ufficio impugnante si limitava a osservare che un proprio testimone sosteneva che la prassi era un errore amministrativo . L'uso di vantazioni personali quale prova testimoniale e comunque la palese confusione tra errore amministrativo e dolo di peculato rappresenta l’unica e osservazione sul tema centrale, per cui è evidente che la motivazione del Tribunale sia stata contrastata solo apparentemente, in termini assai generici e di stile. 2 Quanto gli altri reati, il pubblico ministero proponeva argomentazioni non meno generiche ma si tratta di fatti per i quali è comunque intervenuta assoluzione definitiva. Si deve comunque osservare che non erano argomenti utilizzabili per riconoscere un generale carattere di ammissibilità dell'atto di impugnazione. Ricorre quindi un caso tipico di genericità dei motivi, ovvero l'ipotesi in cui vi è solo una generica prospettazione di inadeguata valutazione delle prove senza alcuna indicazione di quali siano gli specifici errori nella valutazione delle prove acquisite. La sentenza impugnata deve essere quindi annullata senza rinvio attesa la inammissibilità originaria dell'atto di appello del pubblico ministero, inidoneo ad introdurre un nuovo grado di giudizio. P.Q.M. Ritenuta l'inammissibilità dell'appello del PM annulla senza rinvio la sentenza impugnata.