Contestazione per l’operato di due lavoratori di un Centro per l’impiego arrivo in ritardo alla sede distaccata, e poi subito fuori dalla struttura. Le ragioni dei loro spostamenti vanno approfondite, soprattutto alla luce della presunta mancanza di modulistica, che avrebbe reso inutile la presenza degli impiegati si sarebbero dovuti limitare a mandare le persone alla sede centrale.
Arrivo in ufficio alle 10 e 30, ben un’ora e mezza dopo la prevista apertura. E poi, trascorsi 15 minuti, subito fuori, fino alla chiusura. Giornata di lavoro ‘compressa’ per due dipendenti precari della sede ‘distaccata’ di un Centro per l’impiego. Ma l’addebito di aver ‘bloccato’ un pubblico servizio è tutto da dimostrare. Soprattutto alla luce delle condizioni di operatività dell’ufficio Cassazione, sentenza numero 20917, Sesta sezione Penale, depositata oggi . Tempi elefantiaci. Eppure sia in primo che in secondo grado le contestazioni mosse ai due dipendenti sono state ritenute pienamente fondate, perché essi «si recavano» nella sede ‘distaccata’ del Centro per l’impiego, «dove erano stati comandati», soltanto «alle ore 10.30 in luogo delle ore 9 prescritto per l’apertura del servizio di collocamento , allontanandosene poi dalle ore 10.45 fino alle ore 11.30». A segnalare il problema, ovviamente, un cittadino, ritrovatosi senza alcun riferimento. Tale ricostruzione dei fatti, così come delineata in Tribunale, viene condivisa dalla Corte d’Appello. Per i giudici di secondo grado, peraltro, è «inspiegabile la necessità per l’ipotetica provvista», ossia la fornitura di materiale per il funzionamento dell’ufficio, che «si allontanassero entrambi», e «incredibile la durata dell’assenza, stante la distanza di soli 10 chilometri tra i due centri urbani». E, dulcis in fundo, non ci sono giustificazioni per il «ritardo» nella presentazione iniziale all’apertura dell’ufficio. Ufficio non operativo? Quadro chiaro? Non per i due dipendenti – precari, per giunta – del Centro per l’impiego, che presentano ricorso per cassazione, contestando tout court la visione relativa ai movimenti da loro compiuti nella famigerata giornata di lavoro. Secondo la tesi proposta nel ricorso, quella complessa gestione dei tempi era legata, innanzitutto, agli impegni previsti nella sede centrale e ai problemi logistici per il raggiungimento della sede distaccata. Senza dimenticare, poi, che, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe stato comunque necessario ritornare nella sede centrale per «l’acquisizione del materiale necessario al funzionamento della sede precaria», ossia «modulistica e schedario». Ebbene, secondo i giudici di Cassazione, tali nodi gordiani della vicenda non sono stati approfonditi in Appello come, invece, avrebbero meritato, a prescindere dalla loro fondatezza. Per essere più espliciti, andava fatta luce sugli «effettivi orari dei movimenti» dei due dipendenti sotto accusa, sulla «mancanza della modulistica» e sulla conseguente necessità, per i due dipendenti, di «limitarsi», in quel contesto, «ad invitare le persone a recarsi direttamente» nella sede centrale. Allargando ancora il panorama, è da valutare, per i giudici, la eventuale «inesistenza di una reale interruzione del servizio», viste «le condizioni in cui si trovava l’ufficio e l’impossibilità di far altro che inviare le persone» alla sede centrale del Centro. Così come non si può non mettere in discussione la concretezza del «necessario dolo di interrompere il servizio, tenuto conto del contesto e della qualità precaria del rapporto di lavoro» dei due uomini. Troppi coni d’ombra, per i giudici della Cassazione, che andranno illuminati meglio dalla Corte d’Appello, a cui la questione viene rimessa, con l’annullamento della pronuncia di condanna emessa in secondo grado.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 – 30 maggio 2012, numero 20917 Presidente Garribba – Relatore Citterio Ragioni della decisione 1. La Corte d’appello di Catania con sentenza del 12-21.12.2011 ha confermato la condanna di G.M.F. e G.G., deliberata dal Tribunale di Catania/Paternò il 3.10.2006 per il reato di cui agli articolo 110 e 340 c.p Secondo quanto si evince dalla sentenza d’appello, che non riporta l’imputazione originaria, i due, dipendenti del Centro per l’Impiego di Paternò, si recavano in quello di Ragalna dove erano stati comandati alle ore 10.30 in luogo delle ore 9 prescritto per l’apertura del servizio di collocamento , allontanandosene poi dalle 10.45 fino alle 11.30. La sentenza d’appello, nulla dicendo sui motivi di impugnazione, richiama in termini generici la “raccolta” di numerosi testi, condivide assertivamente le conclusioni della prima sentenza, afferma che la condotta sopra descritta causava interruzione di pubblico servizio denunciata da tale S.I., giudica “inspiegabile” la necessità che per “l’ipotetica provvista” si allontanassero entrambi e “incredibile” la durata dell’assenza stante la distanza di soli 10 chilometri tra “i due centri urbani”, nonché assolutamente carente di giustificazioni circa il ritardo nella presentazione iniziale. Richiama quindi una giurisprudenza che richiede per la configurabilità del reato l’effettiva alterazione del funzionamento dell’ufficio, ancorché temporanea. 2. Ricorrono entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori enunciando i seguenti motivi. 2.1. G. 1 - Omessa motivazione, avendo la sentenza ignorato ogni deduzione specifica contenuta nei motivi d’appello 2 - Vizi della motivazione in ordine all’omessa considerazione delle circostanze di fatto relative all’avvenuto trasferimento precario dell’ufficio di Ragalna presso un centro anziani a seguito dell’inagibilità dell’immobile della sede originaria, alle difficoltà conseguenti indicate dal dirigente dell’ufficio di collocamento di Paternò sia per le esigenze logistiche e funzionali anche elementari che per la circostanza di un particolare impegno in quelle giornata presso la sede centrale di Paternò, alla necessità dei ritorno a Paternò per l’acquisizione del materiale necessario al funzionamento della sede precaria. Omessa motivazione sul nesso causale tra la condotta dell’imputato e l’interruzione del funzionamento di un ufficio che operava in sede priva del materiale indispensabile per il lavoro ordinario, nonché sull’elemento soggettivo, tenuto conto anche della qualifica di lavoratore precario. Omessa motivazione sul diniego dell’ammissione dei testi P. e R. sulle ragioni del ritorno dei due imputati presso la sede di Paternò. 2.2. F. 1 - “manifesta illogicità della motivazione risultante dalle prove raccolte nel dibattimento del giudizio di primo grado”, in particolare con le deposizioni dei testi S. e S., sulle ragioni del ‘comando’ e sugli orari, S. e C. sulle condizioni dell’ufficio di Ragalna ed in particolare sulla mancanza di modulistica e schedario, di circa 40 chilogrammi , mentre avrebbe mal valutato quelle delle testi O. e P. inidonee a dar conto degli effettivi movimenti in arrivo e partenza degli imputati 2 - violazione dell’articolo 340 c.p., perché stanti le indicate condizioni della sede precaria dell’ufficio di Ragalna, comunque non sarebbe stato possibile altro che dare l’informazione di recarsi a Paternò, di fatto non potendo esser reso alcun servizio. 3. I ricorsi sono fondati, nei termini che seguono. Il capo di imputazione - presente nella sola sentenza di primo grado - contesta ai due di esser giunti nel posto di lavoro alle 10 e 30 anziché alle 9 e di essersi allontanati dalle 10.45 alle 11 e 30 per fare colazione, rispetto ad un orario di apertura al pubblico previsto dalle ore 9 alle ore 12. 3.1 Il Tribunale aveva giudicato essere provato che F. e G. fossero stati assenti dalla sede provvisoria dell’ufficio di Ragalna per pressoché tutto l’orario di servizio, dalle ore 9 alle ore 12. Dopo aver dato atto che la teste S. responsabile di fatto dell’Ufficio di Paternò il giorno della vicenda aveva confermato che il ‘comando’ ai due imputati era stato dato alle ore 9 della stessa giornata in Paternò, aveva ritenuto che l’essersi presentati a Ragalna oltre un’ora dopo non avesse giustificazione tenuto conto che la distanza poteva essere normalmente percorsa in un quarto d’ora. Aveva poi giudicato non provato che la successiva assenza fosse stata dovuta al ritorno in Paternò, evidenziando che nessuno degli imputati era stato in grado - pur espressamente richiesto sul punto - di indicare testi a supporto della circostanza, o aveva voluto farlo. Aveva quindi argomentato che comunque tale ritorno non sarebbe stato giustificato, posto che i due avrebbero potuto intanto dare le informazioni necessarie ed eventualmente concordare con chi si presentava un ulteriore accesso per la consegna della documentazione allo stato mancante. Per questo il loro allontanamento doveva considerarsi ingiustificato, mentre la complessiva durata dell’assenza, prima e dopo, costituiva appunto oggettiva alterazione del funzionamento dell’ufficio. 3.2. L’appello, comune, aveva dedotto alla Corte del secondo grado di merito questi aspetti, tutti specificamente argomentati l’inidoneità delle deposizioni delle dipendenti comunali a dar conto attendibile degli effettivi orari dei movimenti degli imputati la comprovata mancanza anche della modulistica per solo ricevere le dichiarazioni di disponibilità, sicché i due - con rapporto di lavoro precario entrambi - avrebbero dovuto limitarsi ad invitare le persone a recarsi direttamente a Paternò dove quel giorno erano attese almeno un centinaio di persone l’idoneità indiziaria dell’effettivo contenuto della deposizione della teste S. a dar conto del ritorno dei due a Paternò per le incombenze da loro affermate, con la richiesta ex articolo 603 c.p.p. di assumere sul punto due testi specificamente indicati nel caso di ritenuta permanenza del dubbio l’inesistenza quindi - per le condizioni in cui si trovava l’ufficio di Ragalna e per l’impossibilità di far altro che inviare le persone a Paternò - di una reale interruzione del servizio l’assenza di alcuna motivazione sul necessario dolo di interrompere il servizio, tenuto conto del contesto riferito e della qualità precaria del rapporto di lavoro dei due, neppure dotati del potere formale di attestare alcunché. Si tratta di censure tutte argomentate che, a prescindere dalla loro fondatezza in questo momento non rilevante , sono certamente pertinenti ai punti della decisione che caratterizzano il percorso logico-giuridico necessario per giungere alla decisione di merito sul reato come in concreto contestato. Nessuno di essi ha ricevuto risposta dalla sentenza d’appello, la cui motivazione risulta sostanzialmente apparente, laddove richiama in termini assertivi l’imputazione e le conclusioni del primo Giudice ed in termini assolutamente generici le risultanze probatorie, senza anche solo accennare al confronto dialettico con alcuno degli argomenti specifici dei motivi d’appello. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.