Quale reddito per il calcolo della pensione di vecchiaia dell’avvocato?

Nella previdenza forense i redditi per il calcolo della pensione di vecchiaia, anche nel sistema retributivo, sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minore contribuzione versata, la pensione va determinata considerando i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto.

La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ha esaminato quali siano i redditi da prendere a riferimento per la determinazione del trattamento pensionistico degli avvocati. Ai sensi dell' articolo 15 l.n. 576/1980 , le entità dei redditi da assumere per il calcolo delle medie di riferimento delle pensioni sono rivalutate secondo l'andamento dell' indice Istat . La causa aveva per oggetto la rivalutazione dei redditi pensionabili degli avvocati ai fini della determinazione del trattamento pensionistico di vecchiaia e di anzianità, a partire dal 1980, sulla base della svalutazione del 21,10% per il periodo 1979/1980, del 18,70% per il periodo 1980/1981, del 16,30% per il periodo 1981/1982 e del 15,00% per il periodo 1982/1983, secondo i successivi indici Istat, fino al momento della liquidazione di tale trattamento. Il giudice di merito aveva accolto la domanda condannando la Cassa di Previdenza Forense a riliquidare il trattamento pensionistico ed al pagamento degli importi arretrati . La Suprema Corte richiamando un proprio orientamento (si vedano ad es. Cass. 9698/2010 ; Cass. 16585/2023 ; Cass. 27609/2024 ; Cass. 22836/2025 ; Cass. 23312/2025 ; Cass. 24925/2025 ) ha precisato che nel caso di specie non si trattava di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, ma di rivalutare i redditi , già prima della maturazione del diritto a pensione. In particolare, la Corte di Cassazione ha statuito che l'ammontare dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento, ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, vada rivalutato a partire dal 1980 (anno di entrata in vigore della legge n. 576/1980 ), applicando l'indice medio annuo ISTAT dell'anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 La Suprema Corte nell'accogliere il motivo di ricorso formulato dalla Cassa di Previdenza Forense, ha chiarito come la rivalutazione rappresenti parte integrante del reddito , del quale condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell'obbligo contributivo, come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, è determinante non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato . La rivalutazione del reddito incide dunque sul quantum contributivo e laddove siano stati versati contributi in misura inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell'aliquota ad un montante reddituale rivalutato (indice medio ISTAT del 1981) in misura inferiore rispetto a quella da considerare (indice medio ISTAT del 1980), si configura un inadempimento dell'obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa Forense (in tal senso si veda Cass. n.22836/2025 ; Cass. n.23312/2025 ; Cass. n.24925/2025 ). La Corte di Cassazione ha poi chiarito che l'errore circa la convinzione di non essere obbligati (o meglio di essere obbligati per una minore misura dei contributi sulla base di quanto originariamente richiesto dalla Cassa di Previdenza Forense), può rilevare come causa non imputabile di inadempimento ex articolo 1218 c.c., ove però si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza, incombendo sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere. Tuttavia, i Giudice di merito non hanno esaminato il tema della prova liberatoria. La Suprema Corte uniformandosi ad un proprio orientamento ( Cass. n.5672/2012 , Cass. n.7621/2015 , Cass. n.15643/2018 , Cass. n.30421/2019 , Cass. n.694/2021 ) , ha ribadito come l'omessa (parziale) contribuzione, da un lato, non determini la perdita o la riduzione dell'anzianità contributiva, dall'altro, incida sull'ammontare del trattamento pensionistico essendo questo commisurato comunque a quanto effettivamente versato. Conseguentemente, il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati “effettivamente” i contributi , senza che ciò sia in contrasto con il “sistema retributivo”, poiché la pensione si calcola comunque considerando la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui - non vigendo il principio dell'automatismo della prestazione pensionistica ( Cass. n.22836/2025 ; Cass. n.23312/2025 ; Cass. n.24925/2025 ) - la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, quindi, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minore percentuale di rivalutazione del reddito, tale minore percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. In ragione di ciò, la Suprema Corte ha cassato la sentenza rinviando ai giudici di appello l'accertamento della prova liberatoria della non imputabilità nell'inadempimento e per l'applicazione dei principi di diritto suesposti.

Presidente Mancino – Relatore Cavallari Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.