La natura dell’aggravante per maltrattamenti in presenza di minore: tra abitualità della condotta e tutela “anticipata” della vittima indiretta

«Ai fini della sussistenza dell’aggravante del reato di maltrattamenti commessi in presenza di un minore, il giudice, a prescindere dal numero degli episodi di violenza intrafamiliare, deve accertare la qualità dell’episodio (o degli episodi) cui il minore assiste, verificandone la idoneità a determinare uno stato di sofferenza, fisica o psicologica, indotto dalle relative modalità di realizzazione».

La Cassazione affronta uno tra i più rilevanti nodi ermeneutici legati al delitto di maltrattamenti in famiglia , ex articolo 572 c.p. ; ossia la portata applicativa dell' aggravante prevista dal secondo comma, quando la condotta maltrattante sia commessa in presenza di minore . Vi è infatti un contrasto giurisprudenziale che concerne, in particolare, la nozione di “fatto” e il rapporto tra la struttura abituale del reato di maltrattamenti e l'esposizione del minore ad un singolo episodio di violenza, valutata in termini di potenziale lesività sul processo di crescita. I fatti La Corte di Appello di Bari confermava la condanna per i reati di estorsione e maltrattamenti in famiglia aggravati dalla presenza della nipotina di sette anni . Nel corso di uno di vari episodi maltrattanti, l'imputato strattonava e colpiva con calci la propria madre alla presenza della minore, che ne riportava effetti psicologici meritevoli di sostegno clinico. L'imputato ricorreva per Cassazione, a mezzo del proprio difensore, denunciando la violazione dell' articolo 572, comma 2, c.p. , in quanto la “presenza del minore” si sarebbe verificata in un solo episodio e non in un contesto di abitualità, elemento essenziale ai fini dell'integrazione della fattispecie del reato di maltrattamenti in famiglia. Il contrasto giurisprudenziale La Suprema Corte, nel rigettare i motivi di ricorso, coglie l'occasione per suggerire una possibile soluzione a un contrasto giurisprudenziale della medesima Sesta Sezione Penale. Secondo un primo orientamento, avallato da talune recentissime pronunce di legittimità, si riteneva che per configurare l'aggravante fosse necessario che il minore avesse assistito a più condotte maltrattanti, in ragione del carattere abituale del reato. Un diverso indirizzo ermeneutico - condiviso dalla sentenza in commento - ai fini dell'integrazione della suddetta aggravante, ha ritenuto sufficiente anche un solo episodio, purché idoneo a provocare un concreto pregiudizio alla serenità e allo sviluppo del minore , soggetto vulnerabile e portatore di un interesse diretto alla tutela. La ratio dell'aggravante Il Collegio evidenzia come per quanto il primo orientamento giurisprudenziale sia contraddistinto « innegabile la correttezza formale (…) che risulta ancorata al dato testuale e rispettosa del principio di tipicità », la definizione della portata applicativa dell'aggravante in esame debba comunque parametrarsi con le norme di diritto convenzionale e con la ratio della legge 69/2019 . Il riferimento è alla (cd. Convenzione di Istanbul del 2011) che imponeva agli Stati membri la previsione della circostanza aggravante per il fatto del reato commesso « su un bambino o in presenza di un bambino ». In questi termini, l'interpretazione che richiede l'abitualità della esposizione alla violenza domestica si tradurrebbe «in un “arretramento” della soglia di punibilità, a svantaggio della vittima » e in netto contrasto con le intenzioni legislative della successiva riforma del 2019 Oltre il formalismo: il primato della tutela effettiva La Corte critica, con equilibrata fermezza, la tesi di chi, ancorandosi alla materialità dell' abitualità , priverebbe di effettività la protezione del minore rispetto a un singolo episodio di violenza pur se altamente impattante. E invero, a giudizio della Cassazione, la nozione di “fatto” dell'aggravante di cui all' articolo 572, comma 2 c.p. , deve essere intesa in chiave di lettura “sostanziale” : nel senso che ciò che rileva non è la serialità degli eventi, bensì la loro capacità lesiva. Pretendere la reiterazione significherebbe subordinare la protezione del minore a una soglia quantitativa, ignorando il possibile impatto qualitativo e immediato che un singolo episodio può generare sulla psiche del soggetto fragile. La sentenza ritiene comunque che l'eventuale singolo grave episodio impone un accertamento concreto ed effettivo dello stato di sofferenza fisica e psicologica subita dal minore. Conclusioni La sentenza, pur distante dai corollari della tipicità, fornisce una propria soluzione ermeneutica che probabilmente imponeva una definizione nomofilattica dalle Sezioni Unite della medesima Corte. In primiis per l'innegabile contrasto giurisprudenziale , acuito dalla predominanza dell'orientamento interpretativo disatteso dalla Corte. Secondariamente proprio perché il corpo motivazionale ha coinvolto aspetti interpretativi relativi persino alla ratio legis delle riforme susseguitesi nel tempo, si imponeva perciò una maggior riflessione sistematica che tenesse conto del principio di tipicità rispetto alle circostanze esterne al fatto di reato.

Presidente De Amicis - Relatore Giordano Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bari con sentenza del 10 marzo 2025 ha confermato la condanna di Ca.Fr. alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione per i reati di estorsione ( articolo 629 cod. pen. ) e maltrattamenti in famiglia ( articolo 572 comma 2, cod. pen. ), reati commessi in danno della madre con ripetute e violente richieste di consegna di somme di denaro, seguite da reazioni violente, consistite nella distruzione di suppellettili di casa e aggressioni fisiche culminate in un episodio del 22 giugno 2022, nel corso del quale la strattonava, la spintonava e le sferrava calci, fatto avvenuto alla presenza della nipotina di sette anni. 2. Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell' articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, Ca.Fr. denuncia: 2.1. erronea applicazione della legge penale, in relazione all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. , nella parte in cui i giudici di appello hanno confermato la sussistenza dell'aggravante di avere commesso il fatto in presenza di una persona minore in relazione ad un unico episodio al quale aveva assistito la minore e, dunque, della carenza di abitualità della condotta che, ai fini della integrazione del reato, non si risolve nella gravità in sé dell'episodio che ha comportato la necessità di sostegno psicologico alla bambina; 2.2. erronea applicazione della legge penale nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che l'imputato non avesse interesse a dedurre la insussistenza della circostanza aggravante poiché la pena applicatagli era stata determinata in relazione al reato più grave di estorsione e previa applicazione delle circostanze attenuanti con giudizio di prevalenza. L'imputato, tenuto conto dei limiti che, in presenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , determinano il mancato accesso ai benefici penitenziari evidenzia, al contrario, la sussistenza di un interesse, concreto e attuale alla esclusione dell'aggravante. Considerato in diritto 1. Il ricorso deve essere rigettato. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. L'imputato è stato ritenuto responsabile dei reati di estorsione ( articolo 629 cod. pen. ) e maltrattamenti in famiglia ( articolo 572, secondo comma, cod. pen. ) commessi in danno della madre, vittima di richieste assillanti di somme di denaro, richieste che si erano consumate attraverso aggressioni e violenze sistematiche, protratte dal marzo 2022 per oltre un anno e mezzo e culminate nell'episodio del 22 giugno 2022 nel corso del quale il ricorrente picchiava la madre, sferrandole calci e bloccandola per le braccia, alla presenza di una nipotina di sette anni. L'imputato non contesta il giudizio di colpevolezza ma la ritenuta sussistenza dell'aggravante di cui al secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , per avere commesso il fatto alla presenza di una persona minore. Il ricorrente sostiene che non è sufficiente che la minore, anche riportandone un disagio psicologico, abbia assistito ad uno degli episodi attraverso i quali si è realizzata la condotta di maltrattamenti, per difetto dell'abitualità. La questione è, per vero, controversa anche nella giurisprudenza di legittimità. Premesso che la fattispecie di cui all' articolo 572, secondo comma, cod. pen. è costruita come ipotesi aggravata (con l'aumento della pena fino alla metà) quando il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, è discussa, ai fini della individuazione della condotta aggravata del reato, la nozione del termine fatto . 2.1. Un orientamento giurisprudenziale, condiviso dal ricorrente ma anche dal Procuratore generale che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, sostiene che, ai fini dell'integrazione della fattispecie aggravata dei maltrattamenti commessi in presenza del minore, ai sensi dell' articolo 572, comma secondo, cod. pen. , non è sufficiente che il minore assista a un singolo episodio in cui si è concretizzata la condotta maltrattante, ma è necessario che il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico (Sez. 6, n. 20128 del 22/05/2025, P., Rv. 288101; Sez. 6, n. 31929 del 25/06/2024, C., Rv. 286867; Sez. 6, n. 27802 del 15/04/2025, P., non mass.). 2.2. A tale esegesi se ne contrappone altra secondo cui, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all' articolo 572, secondo comma, cod. pen. , non è necessario che il minore assista abitualmente alla commissione delle condotte vessatorie, essendo, a tal fine, sufficiente che il minore degli anni diciotto percepisca anche una sola delle condotte rilevanti ai fini della commissione del reato (Sez. 6, n. 21998 del 05/05/2023, G., Rv. 285118; Sez. 6, n. 19832 del 06/04/2022, S., Rv. 283162). Una conclusione che ribadisce l'interpretazione dell'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. alla stregua della quale, stante la natura abituale del reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, che si consuma con la cessazione delle condotte vessatorie, è sufficiente che anche solo una di esse sia stata posta in essere alla presenza di un minore dopo l'entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69 , perché trovi applicazione la circostanza aggravante ad effetto speciale di cui all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. , introdotta da tale legge, in luogo di quella, previgente, di cui all'articolo 61, comma primo, n. 11-quinquies), cod. pen. 3. Ai fini dell'inquadramento della questione non deve trarre in inganno il riferimento, nelle ultime decisioni richiamate, alla entrata in vigore della legge 19 luglio 2019, n. 69 , che ha introdotto la circostanza aggravante di cui al comma secondo dell' articolo 572 cod. pen. in luogo di quella, previgente, prevista dall'articolo 61, comma primo, n. 11-quinquies, cod. pen.: la questione era, infatti, affrontata con riferimento al tema della successione delle leggi nel tempo ma, in sintesi, tale orientamento distingue tra la struttura abituale della fattispecie incriminatrice e la struttura della circostanza aggravante per la cui sussistenza si ritiene sufficiente che anche una sola condotta sia stata commessa in presenza del minore. 4. L'aggravante comune di cui all'articolo 61, n. 11-quinquies, cod. pen. (per quel che qui rileva) era stata introdotta dalla legge n. 119 del 15/10/2013 (che aveva convertito, con modificazioni, il D.L. n. 93 del 14/08/2013 ) e si riferiva all'avere nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all'articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza . Per completezza deve evidenziarsi che la I. n. 119 cit. aveva abrogato (articolo 1, comma 1-bis, D.L. n. 93 cit.) il secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. che prevedeva l'aumento di pena se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici , comma introdotto dall'articolo 4, della I. 1 ottobre 2012, n. 172, che ha, dunque, avuto brevissima vigenza. L' articolo 9, comma 1, della legge n. 69 del 2019 è intervenuto direttamente sull'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies cod. pen. sostituendo le parole contro la libertà personale nonché il delitto di cui all'articolo 572 con quelle e contro la libertà personale , risultando, così, espunto il riferimento all' articolo 572 cod. pen. All'eliminazione del riferimento, appena vista, l' articolo 9, comma 2, della legge n. 69 del 2019 ha fatto corrispondere l'introduzione, nell' articolo 572 cod. pen. , di una pena più elevata (segnatamente la reclusione da tre a sette anni) e l'aggiunta, successivamente al primo, di un nuovo comma con il quale è stata introdotta una circostanza ad effetto speciale nel caso in cui il fatto sia commesso in presenza o in danno di minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell' articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 , ovvero se il fatto sia commesso con armi . Il principale effetto di tali modifiche, coerenti con la ratio della legge, nota come codice rosso , di rendere più efficace la protezione preventiva, rafforzando le misure contro il pericolo di reiterazione dei reati a danno delle donne anche attraverso una tutela anticipata rispetto alla commissione dei delitti prodromici alla violenza di genere onde evitare che possano degenerare in comportamenti più gravi, è stato il notevole incremento del trattamento sanzionatorio realizzato attraverso la riscrittura della fattispecie incriminatrice di cui all' articolo 572 cod. pen. che ha incorporato l'aggravante del fatto commesso in presenza o in danno del minore, trasformandola in aggravante ad effetto speciale. La ratio della disposizione - enunciata nelle relazioni di accompagnamento alle proposte legislative - è quella di sanzionare più gravemente la commissione del reato di maltrattamenti in ragione della presenza del minore, ritenendo l'offensività della condotta insita nella sola presenza del minore, in quanto spettatore di episodi lesivi dell'integrità psico-fisica di altre persone. L' articolo 9, comma 2, della legge n. 69 del 2019 , inoltre, ha inserito nell' articolo 572 cod. pen. un ultimo comma nel quale si prevede che il minore degli anni 18 che assiste alla violenza debba essere considerato, a sua volta, persona offesa del reato . Non si tratta, peraltro, di un intervento esente da critiche della dottrina, che ha segnalato l'ambiguità della previsione della fattispecie aggravata con riferimento al delitto commesso in presenza o in danno di minore... , previsione che, anche sul piano linguistico, risulta disallineata per il riferimento al minore che assiste ai maltrattamenti e che, alla stregua della giurisprudenza richiamata al punto 6, comporta la esposizione a condotte di violenza reiterate nel tempo e la percezione del clima di oppressione di cui è vittima uno dei genitori, foriera di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata ed oggettivamente verificabili (Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985). 5. Le descritte modifiche legislative fanno seguito ad un assetto sistematico delineato dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva distinto l'ambito operativo della violenza assistita (cfr. tra le sentenze che adoperano questa espressione Sez. 6, n. 18833 del 23/02/2018, B., Rv. 272985; Sez. 6, n. 47121 del 05/10/2023, M., Rv. 285479) o della violenza percepita (cfr., per l'utilizzo di questa espressione, Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, T.E., Rv. 262057; Sez. 5, n. 32368 del 29/03/2018, F., Rv. 273575), qualificabile come maltrattamenti ex articolo 572 cod. pen. , dalle ipotesi, invece, rientranti nell'aggravante del fatto commesso in presenza di un minore di anni diciotto, di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. L'elaborazione della figura della violenza assistita o indiretta (cfr., per l'utilizzo di questa ulteriore locuzione, Sez. 6, n. 58833 del 18/10/2017, V.) aveva costituito il punto d'approdo della evoluzione giurisprudenziale che, dopo aver ribadito che l'oggetto giuridico della tutela penale apprestata dall' articolo 572 cod. pen. non è - o non è solo - l'interesse dello Stato a salvaguardare la famiglia da comportamenti vessatori o violenti, ma anche la difesa della incolumità fisica o psichica dei suoi membri e la salvaguardia dello sviluppo della loro personalità nella comunità familiare (ex plurimis, Sez. 6 del 24/11/2011, n. 24575, Frasca, Rv. 252906), aveva affermato che la condotta incriminata dall' articolo 572 cod. pen. ricomprende non solo la violenza fisica, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa alla dignità della vittima, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali (Sez. 6, n. 44700 del 08/10/2013, P., Rv. 256962), anche se consistenti in atti che, di per sé soli, non costituiscono reato (Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, O., Rv. 267270), aggiungendo che la stessa può essere posta in essere tramite condotte omissive di deliberata indifferenza verso elementari bisogni assistenziali e affettivi di una persona, sempre che siano sorrette dal dolo e che da tali omissioni derivi, indubitabilmente, uno stato di sofferenza per la vittima. Proseguendo nella medesima prospettiva interpretativa, si era precisato che i fatti commissivi abitualmente lesivi della personalità del coniuge maltrattato possono integrare il delitto di cui all' articolo 572 cod. pen. anche nei confronti dei soggetti minori se, al contempo, nei loro confronti, si traducano in una indifferenza omissiva , frutto di una deliberata e consapevole trascuratezza verso gli elementari bisogni affettivi ed esistenziali dei figli, quando, cioè, i maltrattamenti siano realizzati anche in violazione dell' articolo 147 cod. civ. in punto di educazione ed istruzione e rispetto delle regole minimali del vivere civile, cui non si sottrae la comunità familiare alla luce dell'articolo 30 Cast. (Sez. 6, n. 4332 del 10/12/2014, dep. 2015, cit.; Sez. 5, n. 32368 del 29/03/2018, cit.). 6. Era stato altresì chiarito che, per la configurabilità del reato di maltrattamenti nei confronti della prole, sub specie di violenza assistita, fosse necessaria, da un lato, la presenza di condotte di violenza reiterate nel tempo, in linea con la natura abituale del reato e con la specifica tutela accordata dalla norma, che è finalizzata a proteggere i membri della famiglia da un sistema di vita vessatorio e non dal singolo episodio di violenza, e, dall'altro, che la percezione ripetuta da parte del minore del clima di oppressione di cui è vittima uno dei genitori risultasse foriera di esiti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata ed oggettivamente verificabili (Sez. 6, n. 18833 cit.). In virtù di tali caratteristiche, dunque, la giurisprudenza di legittimità aveva distinto l'ipotesi della violenza assistita - in cui il minore è vittima del reato ai sensi dell' articolo 572 cod. pen. perché, sebbene non direttamente oggetto delle condotte di maltrattamento, ha comunque subìto nella crescita l'effetto negativo causato dall'avere appunto assistito a condotte concretanti una situazione abituale di sopraffazione all'interno del proprio nucleo familiare - dalla differente ipotesi in cui il minore, senza subire un tale effetto, fosse stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all' articolo 572 cod. pen. , affermando l'applicabilità, in tale seconda ipotesi, non già dell' articolo 572 cod. pen. , bensì dell'aggravante disciplinata dall'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. In particolare, mentre per il ricorrere della prima autonoma ipotesi sarebbe stato necessario che il minore percepisse le condotte vessatorie reiterate nel tempo e ne ricavasse uno stato di sofferenza psico-fisica, affinché, invece, fosse integrata l'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. sarebbe stato sufficiente che il fatto fosse commesso in un luogo ove si trovasse contestualmente anche un minore, senza che fosse necessario che gli atti di violenza posti in essere alla presenza del minore assumessero il carattere dell'abitualità, essendo sufficiente che egli assistesse ad uno dei fatti che si inseriscono nella condotta costituente reato (Sez. 6, n. 2003 del 25/10/2018, dep. 2019, Z., Rv. 274924) e anche qualora non fosse in grado, per età o per altre ragioni, di percepire e di avere consapevolezza del carattere offensivo della condotta in danno di terzi avvenuta in sua presenza (Sez. 6, n. 55833 del 18/10/2017, V., Rv. 271670). 7. La giurisprudenza antecedente al 2019 aveva, peraltro, interpretato in senso ampio il concetto di presenza . L'aggravante - osservavano i giudici di legittimità - è in definitiva configurabile tutte le volte che il minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato, pur non assistendovi direttamente, anche quando la sua presenza non sia visibile a/l'agente, sempre che costui ne abbia la consapevolezza, ovvero avrebbe dovuto averla usando l'ordinaria diligenza (Sez. 1, n. 12328 del 02/03/2017, Gioia, Rv. 269556). Il significato di questa percezione non richiedeva, dunque, che il minore fosse anche in condizione, per il grado di maturità psico-fisica conseguito, di comprendere la portata offensiva o lesiva degli atti commessi a suo cospetto. Il concetto di in presenza , detto altrimenti, non sarebbe stato coincidente con quello di al cospetto , sia dal punto di vista materiale (condotta posta in essere al cospetto e dunque davanti agli occhi del minore), sia dal punto di vista soggettivo (consapevolezza da parte dell'autore che il fatto è commesso in presenza del minore). In sintesi la giurisprudenza individuava una dicotomia tra il minore che percepisce e il minore che assiste , configurando quest'ultima come ipotesi più restrittiva rispetto alla prima. Una interpretazione affermata anche con riferimento a reati diversi da quello di maltrattamenti, ad es. in una fattispecie relativa a delitto di violenza sessuale posto in essere alla presenza di un minore di poco più di un anno (Sez. 3, n. 46236 del 05/06/2024, A., Rv. 287203) e in altro caso in materia di omicidio (Sez. 1, n. 12328 cit.). Si affermava in tali decisioni che, ai fini della configurabilità dell'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen., la prescritta presenza del minore alla commissione del fatto postula la sola percezione visiva o auditiva di quanto accaduto da parte del predetto, indipendentemente dalla sua età, dal grado di maturazione psico-fisica raggiunto o dalla capacità di registrare e interiorizzare gli eventi delittuosi. In conclusione, fino all'entrata in vigore della legge n. 69 del 2019 , la tutela approntata nelle ipotesi di maltrattamenti posti in essere in presenza del minore era duplice, sussistendo: da un lato, la condotta maltrattante cui il minore semplicemente presenziasse, senza ricavarne uno stato di sofferenza psico-fisica, di per sé integrante l'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen.; dall'altro lato, l'abituale condotta vessatoria posta in essere nei confronti dell'altro genitore, cagionante al minore, nel totale dispregio dei suoi più elementari bisogni affettivi, ripercussioni negative sul suo sviluppo psicofisico, integrante invece, nella forma appunto della c.d. violenza assistita, il reato di maltrattamenti di cui all' articolo 572 cod. pen. Di qui, in particolare, la conseguenza che, nel primo caso, a differenza del secondo, il minore non poteva essere considerato persona offesa. La giurisprudenza, sulla base di tali presupposti in diritto e dei consolidati esiti degli studi condotti in materia dalle discipline psicologiche, neuropsichiatriche, pedagogiche e sociali in punto di effetti negativi sullo sviluppo psichico del minore costretto a vivere in una famiglia in cui si consumino dinamiche di maltrattamento, era pervenuta alla conclusione che la condotta di colui che compia atti di violenza fisica contro la convivente integra il delitto di maltrattamenti anche nei confronti dei figli, in quanto lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve necessariamente collegarsi a specifici comportamenti vessatori posti in essere nei confronti di un determinato soggetto passivo, ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all'interno di una comunità in conseguenza di atti di sopraffazione indistintamente e variamente commessi a carico delle persone sottoposte al potere del soggetto attivo (cfr. Sez. 5, n. 41142 del 22/10/2010, C., Rv. 248904). Entro tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimità aveva condiviso, in materia, le nozioni elaborate dalle scienze psicologiche e sociali secondo le quali per violenza assistita intrafamiliare si intende l'esperire da parte del/della bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando essi avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti . La violenza assistita, secondo tali scienze, genera nelle vittime sensazioni di paura, terrore, impotenza e colpa - per la incapacità di protezione di figure di riferimento affettivo - ma anche rabbia e frustrazione; produce, soprattutto, danni molto seri nel breve e nel lungo periodo nei bambini costretti a farne esperienza e inculca nei minori modelli di comportamento connotati da relazioni violente, incentrate sul potere e sulla sopraffazione. 8. Nel descritto contesto giurisprudenziale si è inserita la modifica normativa del 2019. Come anticipato, all'esito di tale intervento, l'attuale articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies cod. pen. prevede che il reato sia aggravato dall'avere nei delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale e contro la libertà personale, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza . Il secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , dopo la riforma del 2019, prevede che la pena del delitto è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell' articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 , ovvero se il fatto è commesso con armi . L' articolo 572, comma quinto, cod. pen. , infine, stabilisce ora che Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato . 9. In tale complesso quadro normativo e giurisprudenziale va, dunque, calato il contrasto sulla configurabilità dell'aggravante nel caso in cui il fatto sia commesso alla presenza di persona minore e sulla necessità, o meno, dell'abitualità. Non appare, invece, revocabile in dubbio che sia nella fattispecie in cui la persona minore sia vittima di violenza cd. assistita, sia nella fattispecie in cui la persona minore dei diciotto sia vittima diretta di condotte maltrattanti, l'aggravante di cui al secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , direttamente strutturata sulla qualità della persona offesa dal reato (minore degli anni diciotto) e funzionale alla tutela del soggetto passivo del reato che si trova in condizioni di debolezza o minorata difesa, presuppone l'abitualità della condotta di maltrattamenti. Si è ritenuto, invece, che l'aggravante dell'uso di arma, di cui all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. - in cui parimenti si fa riferimento al fatto - si configura anche in caso di uso meramente occasionale o isolato, in quanto comunque espressivo di un maggior disvalore della condotta (Sez. 6, n. 35859 del 16/09/2024, P., Rv. 2869659). Ciò ad evidenziare la valenza polisemica del lemma fatto al quale, genericamente, fa rinvio la descrizione dell'aggravante di cui al comma secondo dell' articolo 572 cod. pen. 10. Occorre, dunque, interrogarsi sulla nozione di fatto ricostruendone la portata sulla base del dato letterale, teorico e di sistema per cogliere la ratio legis, ovvero lo scopo e l'intenzione del legislatore. Non sfugge, sul piano descrittivo, che la struttura dell'aggravante di cui all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. si differenzia, sul piano della illustrazione degli elementi che concorrono alla sua configurabilità e, quindi, della tipicità, dall'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies cod. pen.: questa faceva espresso riferimento alla commissione del reato di cui all' articolo 572 cod. pen. , che dava per perfezionato, la prima, invece, fa riferimento diretto al fatto . 10.1. E proprio la valenza testuale del termine fatto - utilizzato in modo ricorrente nel codice penale per indicare il fatto tipico nel quale si realizza l'ipotesi di reato, quindi comprensivo di tutti i suoi elementi costitutivi - è stata valorizzata dall'interpretazione che ritiene che l'elemento materiale della circostanza aggravante, in assenza di ulteriori specifiche indicazioni normative, è correlato alla struttura necessariamente abituale del reato cui l'aggravante accede. La struttura del reato di maltrattamenti si caratterizza, infatti, per la contemporanea sussistenza di fatti commissivi e omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo, perfezionandosi allorché si realizza un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità (Sez. 6, n. 34480 del 31/05/2012, D., Rv. 253568). Secondo tale orientamento - che pure non trascura di analizzare la ratio dell'aggravante e la tenuta costituzionale della interpretazione proposta in relazione al principio di offensività e proporzionalità - deve ritenersi che il fatto cui assiste il minore deve essere costituito da un numero minimo di episodi idoneo a rivelare la maggiore pericolosità e offensività della condotta criminosa, non essendo, invece, sufficiente che il minore assista a un singolo episodio in cui si concretizza la condotta maltrattante. Ad avviso della Corte è innegabile la correttezza formale di tale interpretazione, che risulta ancorata al dato testuale e rispettosa del principio di tipicità. Si tratta, inoltre, di una interpretazione volta a contenere letture che affiorano nella giurisprudenza di merito e che, talvolta meccanicisticamente, ritengono sussistente la circostanza aggravante in presenza di un generico clima familiare di tensioni o di veri e propri comportamenti abusanti in danno di uno dei coniugi, ma prescindendo dall'esame delle concrete dinamiche familiari in cui sono coinvolti anche i figli minori. 10.2. Ci si deve, tuttavia, chiedere se le conclusioni raggiunte da tale orientamento siano condivisibili alla stregua di una interpretazione convenzionalmente conforme e di sistema dell'aggravante in esame. Non può trascurarsi, infatti, il descritto percorso giurisprudenziale che aveva già delineato le nozioni di violenza cd. assistita, violenza percepita e violenza indiretta e che aveva portato il legislatore, con il risalente D.L. n. 93 del 14/08/2013 , alla introduzione dell'aggravante di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. che si riferiva, in generale, ai delitti non colposi contro la vita e l'incolumità individuale, a quelli contro la libertà personale nonché al delitto di maltrattamenti commessi in presenza... di un minore di anni diciotto , distinguendo, come si è illustrato al punto 6 del Considerato in diritto, la fattispecie di violenza assistita (cd. maltrattamento) dalla fattispecie di violenza assistita (cd. semplice), perché commessa in presenza. Si deve, inoltre, ricordare che già il d. I. n. 93 cit. aveva dato attuazione all'articolo 46, lett. d), della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (cd. Convenzione di Istanbul del 2011), ratificata con I. n. 77 del 2013, che imponeva agli Stati membri di prevedere come circostanza aggravante il fatto del reato commesso su un bambino o in presenza di un bambino . L'interpretazione che richiede l'abitualità della esposizione alla violenza domestica si traduce, rispetto alla più risalente interpretazione della circostanza di cui all' articolo 61, comma 1-quinquies, cod. pen. , in un arretramento della soglia di punibilità, a svantaggio della vittima, in netto contrasto con la finalità - di avanzamento della tutela - che costituisce il fondamento della legge n. 69 del 2019 e che, al comma quinto dell' articolo 572 cod. pen. , ha positivizzato, attribuendogli la veste di persona offesa dal reato, la persona del minore che assiste ai maltrattamenti. Rispetto alla interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza nella vigenza dell'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies cod. pen., secondo cui è sufficiente che il minore assista a un singolo episodio in cui si concretizza la condotta maltrattante, l'interpretazione secondo cui l'aggravante è integrata dalla ricorrenza degli episodi cui il minore assiste, finisce, a ben vedere, con il sovrapporre la nozione di presenza e I' in sé dell'aggravante, enucleato e precisato nella giurisprudenza, alla fattispecie di violenza cd. assistita in danno del minore. Ci si può chiedere, inoltre, non essendo sufficiente un solo episodio, quanti episodi e di quale tenore, rispetto alle plurime forme in cui il delitto di maltrattamenti si consuma, fra cui condotte non violente ma di offesa, svilimento, evidentemente di più difficile percezione, siano idonei ad integrare l'aggravante. 10.3. A tal riguardo il caso in esame offre uno spunto significativo per segnalare il limite della interpretazione secondo cui, ai fini della integrazione della circostanza aggravante di cui al secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , non è sufficiente la presenza del minore ad uno solo degli episodi attraverso i quali si è realizzata la condotta di maltrattamenti essendo, invece, necessaria la ricorrenza di una pluralità di episodi. Non è contestato, infatti, che la minore presente all'episodio del 22 giugno 2022 - che non coabitava stabilmente con la nonna pur trovandosi frequentemente presso la stessa - ha riportato un disagio psicologico, che ha richiesto la somministrazione di cure psicologiche. Né è contestato che tale episodio ha inciso anche sulla vita di relazione della bambina, che rifiuta di recarsi a casa della nonna, il che è di particolare rilevanza, tenuto conto che la vita di relazione di un minore si svolge, prevalentemente, in ambito familiare. In realtà la polarizzazione dell'interpretazione giurisprudenziale sul numero degli episodi - ne è sufficiente uno/non basta uno, ma ne occorrono molti - rischia di dequotare la complessa evoluzione giurisprudenziale che si era registrata in materia di maltrattamenti in famiglia cd. assistiti, concentrando l'attenzione su un dato meramente formale (quello della presenza) o su quello letterale del lemma fatto (che evoca la natura abituale del reato di maltrattamenti), trascurando, tuttavia, che il reato di maltrattamenti in famiglia è strutturato e tipizzato, quale reato di pura condotta, in chiave di pericolo astratto e in ragione della realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti) consumata in ambito familiare e, quindi, non solo in danno della persona che ne subisce gli effetti diretti - per lo più la donna - ma anche della comunità familiare e, soprattutto, dei figli minori che assistono, più o meno continuativamente, a condotte di violenza e sopraffazione. È noto che, non solo sul piano linguistico ma anche sostanziale, l'antico reato di maltrattamenti - che sconta, nonostante i reiterati interventi legislativi, le critiche di mancanza di tassatività della descrizione della condotta - non costituisce lo strumento più adeguato di tutela contro le forme di violenza di genere e di violenza domestica che costituiscono una vera emergenza attestata dai dati statistici in rapida ed esponenziale crescita. Deve, inoltre, rilevarsi che, nella materia della violenza di genere e della violenza domestica, l'approccio della cultura penalistica sconta una visione focalizzata sul soggetto attivo, tendendo a marginalizzare la posizione della vittima sul versante tanto degli istituti di parte generale quanto della descrizione delle singole fattispecie incriminatrici. Lo stesso concetto di vittima , del resto, fatica ad affermarsi a livello normativo e il complessivo impianto codicistico fa riferimento alla persona offesa dal reato , per indicare il soggetto titolare dell'interesse giuridico offeso, distinto dal soggetto danneggiato, rilevante anche ai fini della individuazione della condotta penalmente rilevante, concentrando l'attenzione sulle categorie dogmatiche e sulla struttura del reato e non sulla ratio di tutela dei singoli che compongono la comunità familiare, soprattutto quando siano, come i minori, soggetti vulnerabili. 10.4. È questo, ad avviso della Corte, il limite della interpretazione che richiede, ai fini della integrazione dell'aggravante della violenza assistita cd. semplice, l'abitualità della esposizione alla violenza del minore, lasciando però in ombra l'evoluzione legislativa e giurisprudenziale sottesa alla previsione dell'aggravante della presenza del minore a condotte di violenza domestica o intrafamiliare, aggravante che aveva ampliato la tutela penale ai minori vittime indirette di violenza domestica e che la giurisprudenza di legittimità - come si è prima illustrato - aveva progressivamente elaborato, raccogliendo le indicazioni delle scienze sociali ed evidenziando che il minore, pur non essendo soggetto passivo dei comportamenti abusanti, è vittima del reato di maltrattamenti, perché esposto ad un clima di sopraffazioni e violenze che subisce, senza il potere di modificarli, come spettatore, così come può essere vittima, senza che sia richiesta l'abitualità della esposizione alla violenza, di reati occasionali consumati con violenza contro la vita, l'incolumità individuale e la libertà personale, secondo l'aggravante comune di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies, cod. pen. ritenuta sussistente - come si è detto - in relazione a reati di violenza sessuale e omicidio. Se si concentra l'attenzione ricostruttiva sul piano degli effetti della esposizione a condotte violente, anche occasionali, è agevole cogliere la ratio dell'aggravante del reato violento commesso in presenza di minore, nella idoneità della condotta a cagionare uno stato di sofferenza di fronte a una condotta violenta commessa contro figure di riferimento affettivo da parte di persone di famiglia. Il minore, in tali casi, fa diretta esperienza di episodi che avvengono nel suo campo percettivo e che sono idonei, anche in bambini in età tenerissima, quando lo sviluppo neurobiologico dell'infante è particolarmente delicato e suscettibile - secondo le scienze piscologiche e sociali - di compromissione per la naturale impossibilità e difficoltà, per il neonato e l'infante, di elaborare le immagini e gli stimoli cui sono passivamente sottoposti, a cagionare uno stato di disagio e sofferenza non meno che per soggetti di età scolare o adolescenti, per i quali il danno consiste anche nella offerta di modelli comportamentali negativi, improntati alla violenza e sopraffazione dell'altro e che, come si è innanzi rilevato, nel caso in esame hanno avuto un impatto negativo sulla minore che ha assistito al violento episodio di maltrattamento della nonna. Riguardata in tale prospettiva, la previsione della presenza dei minori alle condotte di maltrattamenti consumate in ambito familiare o domestico costituisce, sul piano della teoria generale del reato, una circostanza aggravante che si aggiunge ad una fattispecie di reato già completa in tutti i suoi elementi costitutivi, quindi, anche sotto il profilo dell'abitualità della condotta, e che in quanto tale ne accresce la gravità. 10.5. In conclusione, il tema della configurabilità dell'aggravante della presenza del minore a fatti di maltrattamento non può risolversi sul piano della lettura dei lemmi che compongono la fattispecie incriminatrice, ma impone di leggere la norma nella prospettiva di un più completo e profondo approccio polidimensionale, fondato sul contestuale utilizzo di tutti i canoni ermeneutici indicati dal legislatore nelle disposizioni preliminari al codice civile (cfr. Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518, in materia dell'aggravante delle più persone riunite; Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974, in materia di aggravante del mezzo fraudolento), ricongiungendola alla sua ratio , anche di ordine convenzionale, scongiurando la possibilità che determinate fattispecie si sottraggano alla relativa disciplina a causa di un limite desunto da mere espressioni letterali, non senza trascurare, ai fini della ricostruzione della nozione di presenza, che questa non si risolve nella unicità o pluralità degli episodi ai quali il minore è stato esposto, ma richiede un' analisi qualitativa della dinamica familiare e della condotta abusante per inferirne gli effetti sul minore. La presenza del minore, prevista dal secondo comma dell' articolo 572 cod. pen. , non riguarda la percezione di un comportamento abituale o reiterato, come nel reato di maltrattamenti cd. assistiti, ma richiede che il minore percepisca la condotta violenta sanzionata dalla disposizione incriminatrice del reato di maltrattamenti, così come è necessario che percepisca la commissione di un delitto contro la vita, l'incolumità individuale e la libertà personale, secondo l'aggravante comune di cui all'articolo 61, comma 1, n. 11-quinquies cod. pen. La fattispecie incriminatrice di cui all' articolo 572 cod. pen. è strutturata e tipizzata, infatti, in chiave di reato di pericolo astratto e in ragione della semplice realizzazione della condotta tipica (i maltrattamenti), intesa quale condotta abituale consumata in ambito intrafamiliare. È, poi, compito del giudice ordinario quello di uniformare la figura criminosa al principio di offensività nella concretezza applicativa (e.ci. offensività in concreto ), nell'esercizio del suo potere interpretativo, allo scopo di evitare che l'area di operatività dell'incriminazione si espanda a condotte prive di un'apprezzabile potenzialità lesiva. Sul piano empirico, del resto, anche nell'ipotesi di maltrattamenti in presenza del minore non vi è motivo di dubitare dell'offensività in astratto della fattispecie in ragione dello stato di sofferenza indotto nella vittima spettatrice dell'episodio. È agevole rilevare che nella prassi giudiziaria il reato di maltrattamenti cd. assistiti si accompagna, nelle contestazioni, al reato di maltrattamenti in danno del coniuge o di persona convivente, così come la contestazione dell'aggravante di cui al secondo comma dell' articolo 572, cod. pen. Sul piano concettuale, tuttavia, è evidente che il reato di maltrattamenti cd. assistiti potrebbe essere oggetto di contestazione autonoma, e che, in tal caso, l'accertamento involge una verifica completa in punto di fatto sull'abitualità delle condotte maltrattanti - e, quindi, sulla necessaria pluralità e ripetizione in un contesto di tempo di fatti offensivi - che conferiscono all'azione il carattere di una ingiusta sopraffazione del soggetto passivo da parte dell'agente con effetti dannosi sulla vittima, contestazione autonoma che non può, invece, sussistere in relazione alla fattispecie aggravata del reato di maltrattamenti commesso in presenza del minore. In relazione al reato di maltrattamenti assistiti si è, dunque, affermato che il reato è configurabile purché il numero, la qualità e la ricorrenza degli episodi cui questi assiste siano tali da lasciare inferire il rischio della compromissione del suo normale sviluppo psico-fisico (Sez. 6, n. 47121 cit.). Deve, invece, affermarsi che, ai fini della sussistenza dell'aggravante del reato di maltrattamenti commessi in presenza di un minore, il giudice, a prescindere dal numero degli episodi di violenza intrafamiliare, deve accertare la qualità dell'episodio (o degli episodi) cui il minore assiste, verificandone la idoneità a determinare uno stato di sofferenza, fisica o psicologica, indotto dalle relative modalità di realizzazione. L'aggravante della violenza assistita cd. semplice - cioè del reato di maltrattamenti commesso in presenza del minore - prescinde dal numero degli episodi ma richiede, comunque, la idoneità della condotta maltrattante tenuta in presenza del minore a determinare uno stato di sofferenza, fisica o psicologica, nella vittima. 11. Altro tema che viene in rilievo nell'affrontare la questione della configurabilità dell'aggravante di cui all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. in relazione al reato commesso in presenza di persona minore degli anni diciotto, è quello della prova della circostanza del reato. È, questo, un tema di rilievo che ha effetti rilevanti, collegati all' aggravamento della pena e alle conseguenze che ne derivano in sede di affidamento dei figli e di eventuale ammissione a percorsi di mediazione. È innegabile che frequentemente le sentenze di merito, sulla scorta di contestazioni riduttive, risolvono la questione della sussistenza dell'aggravante attraverso il riferimento della presenza dei minori ad almeno uno degli episodi di maltrattamenti descritti dalle madri vittime di violenza domestica. La questione non involge l'accertamento del danno riportato dal minore, secondo le prospettazioni che talora chiamano in causa il sereno rapporto del figlio con il genitore violento , perché, come si è osservato in relazione alla fattispecie prossima dei maltrattamenti cd. assistiti, richiedere la verifica sull'idoneità della condotta a produrre un danno psico-fisico nel minorenne significherebbe ri-descrivere quest'ultimo in chiave di pericolo concreto e imporre, quindi, un accertamento, di caso in caso, non richiesto dal tipo. Significherebbe, in definitiva, destrutturare la forma dell'offesa prescelta dal legislatore costruita come fattispecie di pericolo astratto (cfr. Sez. 6, n. 47121, cit.). È, viceversa, necessaria un'indagine, prima, e una motivazione, poi, saldamente ancorata a dati fattuali che descrivano compiutamente il clima domestico. Non è seriamente contestabile - e sono dati empirici che non necessitano di riscontri testimoniali e men che mai di essere comprovati attraverso la deposizione del figlio minore - che episodi di aggressione consumati da soggetti in stato di ubriachezza o tossicodipendenti, o gravi episodi di deprivazione di mezzi di sussistenza, hanno un rilievo che coinvolge il clima familiare, al pari di violente aggressioni fisiche, diversamente da episodi, non meno gravi, che si giocano, invece, sul piano più personale dei rapporti fra coniugi. Ne consegue che l'attenzione dell'inquirente e del giudice deve essere volta a ricostruire con puntualità il clima domestico, senza perseguire facili scorciatoie probatorie che si risolvono nella presenza del minore ad uno degli episodi incriminati. 12. L'applicazione dei principi fin qui descritti al caso in esame comporta la infondatezza del motivo di ricorso. Il ricorrente neppure contesta che la minore, per come riferito nel corso del giudizio dalla madre, sorella dell'imputato, ha riportato un danno psicologico dalla esposizione alle violenze che l'imputato ha posto in essere ai danni della madre in occasione dell'episodio occorso il 22 giugno 2022. La bambina ha dovuto essere seguita da uno psicologo e ha rifiutato di recarsi ulteriormente a casa della nonna, una figura parentale di prossimità che, come noto, soprattutto per i bambini in tenera età, svolge funzioni di cura e accudimento, oltre che di solido riferimento affettivo, il che, nel limitato contesto di relazioni di una persona minore, è aspetto non trascurabile. Nel caso in esame, inoltre, la minore, anche se non residente con la nonna, ne frequentava stabilmente l'abitazione, come precisato dalla sorella dell'imputato, secondo la quale, quotidianamente, ella trascorreva alcune ore in casa della madre. Non rileva, dunque, la circostanza che la minore sia stata presente ad un unico episodio violento, quello su indicato del 22 giugno 2022, essendo stato causa sufficiente, per quanto accertato dai giudici del merito, alla produzione di un conclamato stato di disagio psicologico della bambina, derivante dall'essere stata costretta a subire un atto di maltrattamento nei confronti della nonna, figura per lei affettivamente significativa. 13. L' articolo 655 comma 2, cod. proc. pen. prevede la possibilità di sospensione dell'ordine di esecuzione della pena detentiva, salvo che per una serie di reati tassativamente individuati mediante il rinvio alle corrispondenti fattispecie incriminatrici, tra cui l' articolo 572, comma secondo, cod. pen. La giurisprudenza di questa Corte ha già affermato che il reato di cui all' articolo 572, comma secondo, cod. pen. , risultante per effetto della modifica operata con l' articolo 9, comma 2, della legge n. 69 del 2019 , costituisce titolo ostativo alla sospensione dell'esecuzione, in quanto reato già previsto come tale dall'articolo 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. il cui testo è rimasto sempre immutato (Sez. 1, n. 10373 del 29/01/2021, Vitali, Rv. 280739). Ne consegue l'erroneità del rilievo della sentenza impugnata secondo cui il ricorrente, essendo stata la pena irrogata sul più grave reato di estorsione, non aveva interesse alla deduzione della misura dell'aumento di pena, errore che, per effetto del rigetto del primo motivo di impugnazione, è, tuttavia, irrilevante. 14. Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Dispone, a norma dell 'articolo 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 19 6, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull'originale del provvedimento, un'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.