Se i procedimenti a carico dell’imputato per spaccio di sostanze stupefacenti di cui all'articolo 73 d.P.R. n. 309/1990 e reato associativo di cui al successivo articolo 74 pendono davanti ad autorità giudiziarie diverse e non sussiste connessione qualificata tra i medesimi, il meccanismo di retrodatazione dei termini di custodia cautelare non può operare.
Le due ordinanze e il tentativo di retrodatazione Nel caso di specie, il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel febbraio 2022 ha applicato la custodia cautelare in carcere all'imputato, in seguito all'arresto per violazione dell'articolo 73 del d.P.R. 309/1990; il GIP del Tribunale di Napoli ha poi emesso una nuova ordinanza cautelare, per il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti ex articolo 74 del medesimo decreto. La Difesa dell'imputato ha chiesto che la durata della custodia cautelare relativa alla seconda misura venisse retrodatata alla data di esecuzione della prima, sostenendo: l'esistenza di un vincolo di connessione tra i due procedimenti e la riconducibilità dei fatti a un medesimo disegno criminoso. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere prima, e il Tribunale del Riesame di Napoli poi, hanno tuttavia rigettato l'istanza, ritenendo insussistenti i presupposti per l'applicazione dell' articolo 297, comma 3, c.p.p. L'imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione della disposizione citata e lamentando che la seconda misura avrebbe dovuto essere retrodatata perché i fatti erano desumibili dagli atti del primo procedimento. L'ambito applicativo dell'articolo 297, comma 3, c.p.p. In estrema sintesi, la Suprema Corte è stata chiamata a chiarire se la retrodatazione dei termini di custodia cautelare possa operare nel caso di misure emesse da uffici giudiziari diversi, a condizione che i fatti oggetto delle due ordinanze siano desumibili dagli atti del primo procedimento. Ai sensi dell' articolo 297, comma 3, c.p.p. citato, infatti, «Se nei confronti di un imputato sono emesse più ordinanze che dispongono la medesima misura per uno stesso fatto, benchè diversamente circostanziato o qualificato, ovvero per fatti diversi commessi anteriormente alla emissione della prima ordinanza in relazione ai quali sussiste connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b) e c), limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri, i termini decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima ordinanza e sono commisurati all' imputazione più grave. La disposizione non si applica relativamente alle ordinanze per fatti non desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto con il quale sussiste connessione ai sensi del presente comma». La disposizione citata prevede quindi che i termini di custodia cautelare decorrano dal giorno in cui è stata eseguita la prima misura, qualora i reati siano connessi nei modi qualificati di cui all'articolo 12, comma 1, lett. b) e c) c.p.p. (segnatamente, si tratta delle ipotesi di concorso formale, continuazione e connessione teleologica, limitatamente ai casi di reati commessi per eseguire gli altri). La giurisprudenza della Consulta . Come osservato dalla Corte di Cassazione, la giurisprudenza costituzionale, dapprima con la sentenza del 28 marzo 1996, n. 89, e, in tempi più recenti, con la sentenza del 3 novembre 2005, n. 408, ha poi esteso l'applicabilità della retrodatazione anche ai casi in cui, pur mancando una connessione qualificata, i fatti oggetto della seconda misura siano già desumibili dagli atti del primo procedimento. Le Sezioni Unite, però, con le pronunce del 19 dicembre 2006, n. 14535, Librato , e del 28 maggio 2020, n. 23166, Mazzitelli , hanno precisato che tale estensione vale solo se i procedimenti pendono dinanzi alla stessa autorità giudiziaria . Nel caso in cui, invece, le autorità giudiziarie procedenti siano diverse, la retrodatazione resta subordinata alla presenza di una connessione qualificata. Mancanza di connessione qualificata tra il reato associativo e il reato di spaccio Richiamando tali principi, la Cassazione ha rigettato il ricorso. Il Collegio ha rilevato che i procedimenti a carico dell'imputato pendevano rispettivamente davanti al GIP di Santa Maria Capua Vetere e al GIP di Napoli e, dunque, dinanzi ad autorità diverse. Inoltre, tra il reato associativo ( articolo 74 d.P.R. n. 309/1990 ) e il reato di spaccio ( articolo 73 d.P.R. n. 309/1990 ) commesso precedentemente non era ravvisabile alcuna connessione qualificata. Secondo la Corte, l'episodio di spaccio non rappresentava una proiezione del programma del reato associativo, ma una mera manifestazione di abitualità criminosa, priva di nesso di continuazione o di finalità teleologica: i diversi contesti spazio-temporali degli illeciti, le differenti circostanze e le diverse modalità esecutive dei reati in questione erano stati correttamente valorizzati dai Tribunali per escludere la medesimezza del disegno criminoso. Retrodatazione senza automatismi La Corte ha ricordato infine che la ratio dell'istituto della retrodatazione consiste nell'evitare che, attraverso l'emissione di più misure cautelari per fatti connessi, si determini una prolungata compressione della libertà personale oltre i limiti temporali stabiliti dalla legge . Tuttavia, come osservato dal Collegio, tale tutela non può tradursi in un meccanismo automatico: la retrodatazione resta un rimedio eccezionale, la cui applicazione è subordinata alla verifica della connessione qualificata o, nei soli casi di identità di autorità giudiziaria, alla desumibilità degli elementi dagli atti. Nel caso di specie, dunque, l'assenza di una connessione qualificata ha impedito di considerare unitaria la vicenda cautelare e il termine di custodia è stato correttamente fatto decorrere dalla seconda misura.
Presidente De Amicis – Relatore Giordano Il testo integrale della sentenza sarà disponibile a breve.