La Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento intimato dal datore di lavoro al lavoratore a fronte delle ripetute condotte di abuso nell’accesso e nella trasmissione di dati sensibili, condotte che configurano una violazione grave della policy aziendale, tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
Con la sentenza in oggetto, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Campobasso che aveva respinto il ricorso di un lavoratore dipendente avverso il licenziamento disciplinare intimatogli per gravi violazioni in materia di gestione dei dati aziendali. Il lavoratore si era visto contestare una serie di comportamenti ritenuti gravissimi: «reiterate condotte di abuso negli accessi al sistema omissis , ricercando, visualizzando e trasmettendo all’esterno dati sensibili, esponendo l’Azienda a danni di immagine, oltre che a potenziali pregiudizi patrimoniali». L’azienda contestava inoltre un «numero impressionante di accessi abusivi al sistema omissis effettuati dal lavoratore» distribuiti nell’arco di un notevole lasso temporale (da ottobre 2020 a maggio del 2021) cui si riferisce la contestazione, con «l’invio di ben 125 mail a 10 indirizzi esterni alla organizzazione della datrice di lavoro, con allegate 133 fatture di clienti […], integrante una violazione dei dati personali della clientela». La Suprema Corte ha ritenuto infondate tutte le censure del lavoratore , sia in punto di legittimità dei controlli sui dispositivi aziendali sia in ordine alla proporzionalità della sanzione espulsiva, ribadendo la gravità delle condotte e la «consapevole, intenzionale e persistente violazione delle regole aziendali». La Corte ha sottolineato la correttezza della procedura datoriale e l’adeguatezza delle informative ai dipendenti, escludendo vizi nella raccolta della prova. Proprio in merito a tale profilo, la sentenza ha valorizzato il fatto che la società datrice di lavoro aveva regolarmente diffuso la policy aziendale sull’uso delle dotazioni informatiche . In particolare, la sentenza sottolinea che: «vi era la prova che era stata fornita anche al lavoratore un’adeguata informativa mediante diffusione della policy aziendale sull’utilizzo delle dotazioni informatiche; con essa ‘la datrice di lavoro informava, […], i dipendenti della possibilità di effettuare, in caso di rilevate anomalie, verifiche e controlli nel rispetto delle previsioni di legge, riservandosi, in caso di accertamento di comportamenti non conformi alle disposizioni aziendali, la possibilità di applicare le previsioni contrattuali in materia disciplinare». Questo passaggio dimostra che l’azienda aveva adempiuto all’obbligo di trasparenza previsto dalla normativa privacy e dallo Statuto dei lavoratori : i dipendenti erano stati messi a conoscenza sia delle regole di utilizzo dei sistemi informatici sia della possibilità di controlli e delle conseguenze disciplinari in caso di violazione. L’informativa è stata considerata “ adeguata ” proprio perché specifica e chiaramente rivolta anche al lavoratore coinvolto, soddisfacendo così i requisiti di legge. Confermata la legittimità del licenziamento, la Cassazione ha condannato il lavoratore al pagamento delle spese processuali.
Presidente Manna – Relatore Amendola Il testo integrale sarà disponibile a breve.