Il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito che l’avvocato non può contattare il giudice fuori udienza per discutere della causa. Tale condotta costituisce illecito disciplinare ai sensi dell’articolo 53, comma 2, del Codice Deontologico.
Con la sentenza n. 115/2025, pubblicata il 29 settembre 2025 sul sito del Codice Deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che costituisce illecito disciplinare il comportamento dell'avvocato che, fuori dall'udienza e in assenza della controparte, invii al magistrato un messaggio o una comunicazione personale per discutere della causa. La decisione è stata assunta in applicazione dell'articolo 53, comma 2, del Codice Deontologico Forense, che vieta agli avvocati qualsiasi contatto con il giudice in merito al procedimento in corso senza la presenza del collega avversario. La vicenda Nel caso esaminato, un avvocato era stato sanzionato dal Consiglio distrettuale di Disciplina con la sospensione dall'esercizio della professione forense per sei mesi, per una serie di violazioni deontologiche, tra cui quelle di cui agli articolo 9 (Dovere di dignità, probità, decoro e indipendenza) e 53, comma 4 (Rapporti con i magistrati). Sull'incolpato era stata esercitata anche l' azione penale con rinvio a giudizio per avere, tra l'altro, in concorso con un magistrato della Commissione Tributaria Provinciale, con cui intratteneva un rapporto di amicizia, ricevuto utilità, favorendo parti private mediante accoglimento dei ricorsi presentati e modificati esiti di deliberazioni e redatto motivazioni di sentenze. Il richiamo all'articolo 53 del Codice deontologico A nulla servono le doglianze del ricorrente, il CNF ritiene provata la responsabilità disciplinare e congrua la sanzione inflitta . Il Collegio coglie l'occasione per ripercorrere l'orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto sanzionabili fattispecie di sicuro minore impatto rispetto ai fatti contestati e accertati nel procedimento penale e disciplinare a carico dell'avvocato. Viene ribadito, infatti, che «costituisce illecito disciplinare (articolo 53, co. 2, cdf) il comportamento dell'avvocato che, fuori dall'udienza ed in assenza della controparte, avvicini il magistrato o lo contatti inviandogli una comunicazione personale per discutere della causa (nella specie, trattavasi di un messaggio via Messenger relativamente ad una causa in cui l'avvocato era costituito in proprio)» (cfr. ex multis CNF n. 232/2024 ). Ancora, è stato affermato che «il professionista deve tenere un comportamento nei confronti del giudice tale che deve assolutamente evitarsi che le parti ed il pubblico in genere e gli stessi colleghi possano , per effetto di manifestazioni esteriori, essere indotti a dubitare della imparzialità del giudice » (CNF n. 44/1989). La decisione Nel caso di specie, i fatti accertati comprovano in modo univoco l'assoluta gravità della condotta posta in essere dal ricorrente , il quale non contesta la sussistenza di un rapporto di antica amicizia con il giudice e lo scambio di file relativi a giudizi in corso di trattazione. Piuttosto, rincara il Consiglio, «in virtù del rapporto di amicizia accertato in sede procedimentale e da lui stesso ammesso con il giudice tributario - il ricorrente - avrebbe dovuto certamente astenersi dal patrocinare giudizi dinanzi al medesimo, anziché “approfittare” della situazione di favore e tenere una condotta che appare indiscutibilmente contraria invero alle disposizioni deontologiche individuate come violate dal CDD ed ai più generali ed universali principi che devono governare e sovraintendere l'esercizio del diritto di difesa ( articolo 24 Cost. , articolo 2, comma 1 e comma 4, e articolo 3 legge n. 247/2012 , articolo 9 CDF), oltre che improntare la condotta di un avvocato nei confronti del magistrato, essendo evidente che l'autorevolezza di un avvocato non risiede solo nella sua preparazione professionale , ma nella limpida correttezza del suo comportamento che deve essere improntato al rigoroso rispetto dei canoni deontologici e anche apparire tale all'esterno, dovendosi assolutamente evitare che le parti ed il pubblico in genere e gli stessi colleghi possano, per effetto di manifestazioni esteriori, essere indotti a dubitare della imparzialità del giudice» (CNF 44/1989 già citata). Per cui, a fronte «della assoluta gravità dei fatti accertati sia in sede penale e sia in sede disciplinare, della certa e rilevante intensità del dolo , oltre che dell'enorme disdoro provocato al decoro ed alla dignità dell'intera comunità forense – il CNF ritiene che - la sanzione in concreto irrogata dal CDD sia congrua e correttamente motivata all'esito di una equilibrata ponderazione dei fatti» e rigetta il ricorso.
CNF, sentenza n. 115/2025