La pena accessoria cade a fronte della riduzione della condanna in sede di esecuzione

La riduzione della pena operata dal giudice dell’esecuzione, quando porta la pena principale al di sotto del limite di legge, comporta la caducazione automatica della sanzione accessoria, in coerenza con i principi costituzionali di personalizzazione e rieducazione della pena.

Con la sentenza n. 34776/2025, la Corte Suprema di Cassazione si pronuncia in tema di revoca della sanzione accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici , a seguito della riduzione della pena principale ex articolo 442, comma 2- bis , c.p.p., dopo la rinuncia all'impugnazione. Il caso nasce dal rigetto, da parte del giudice dell'esecuzione, della richiesta di revoca della pena accessoria, nonostante la pena rideterminata fosse scesa al di sotto del limite di tre anni previsto dall' articolo 29 c.p. La Cassazione ribalta questa impostazione, richiamando la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 208/2024 e sottolineando come «la regola di sistema vigente nel nostro ordinamento è che la misura finale della pena (e non già quella irrogata in sede di cognizione) costituisce il presupposto circa la valutazione delle condizioni per la revoca della pena accessoria». La Suprema Corte chiarisce che negare la revoca della sanzione accessoria sulla base della pena originaria significherebbe creare una ingiustificata disparità di trattamento , vanificando anche l'efficacia deflattiva della norma. Il giudice dell'esecuzione , dunque, «può procedere alla revoca della pena accessoria nella ipotesi in cui la pena – a seguito della riduzione del sesto – scenda al di sotto dei tre anni di reclusione». In conclusione, la Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata, eliminando la pena accessoria, e conferma così la centralità della pena finale effettiva ai fini della verifica dei presupposti per l'applicazione delle sanzioni accessorie.

Presidente Rocchi – Relatore Poscia Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, in funzione di giudice dell'esecuzione, respingeva la richiesta - avanzata nell'interesse di S.G. - di revoca della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque disposta, nei confronti del predetto, con la sentenza emessa (a seguito del rito abbreviato) dal medesimo Giudice per le indagini preliminari in data 20 dicembre 2024, con la quale il predetto era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione, convertiti in 2190 ore di lavori di pubblica utilità ai sensi dell' articolo 20-bis cod. pen. , per violazione della legge stupefacenti. 1.1. La richiesta era fondata sul fatto che, a seguito della rinuncia all'appello da parte dell'imputato, la pena come sopra inflitta era stata ridotta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia, quale giudice dell'esecuzione, con provvedimento in data 19 febbraio 2025 emesso ai sensi dell' articolo 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. , di un sesto e rideterminata in anni due e mesi sei di reclusione ed euro 3.333,33 di multa; di conseguenza, secondo il condannato, essendo ora la pena inferiore ad anni tre, doveva essere revocata la pena accessoria sopra indicata ai sensi dell' articolo 29 cod. pen. 1.2. Il giudice dell'esecuzione, invece, respingeva la domanda in oggetto ritenendo che la fattispecie della riduzione della pena di un sesto, regolata dall' articolo 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. , non può influire sugli ulteriori effetti penali derivanti dalla sua determinazione in sede di cognizione in assenza di una espressa indicazione in tal senso da parte del legislatore. 2. Avverso la predetta ordinanza il condannato, per mezzo dell'avv. David Maria Russo, ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico ed articolato motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all' articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. , insistendo per il suo annullamento. Il ricorrente lamenta, ai sensi dell'articolo 506, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 442, comma 2-bis, del codice di rito e 29 cod. pen. e del d.P.R. 309/90 in relazione alle pene accessorie, con particolare riferimento alla interdizione temporanea dai pubblici uffici. Al riguardo osserva che, essendo la pena divenuta inferiore ad anni tre, ai sensi del citato articolo 29 la pena accessoria doveva essere necessariamente revocata essendo venuto meno il relativo presupposto normativo. 3. Il Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l'annullamento senza rinvio della ordinanza impugnata con la eliminazione della pena accessoria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito indicate. 2. Invero, il comma 2-bis dell'articolo 442 del codice di rito, introdotto dall' articolo 24, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 150 del 2022 prevede che quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna (pronunciata all'esito del rito abbreviato), la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto dal giudice dell'esecuzione. 2.1. Secondo il giudice dell'esecuzione la norma in questione non consentirebbe, contestualmente alla riduzione in questione, di disporre la revoca della interdizione temporanea dai pubblici uffici nonostante, solo per effetto di tale riduzione, la pena risulti contenuta entro i limiti che escludono l'applicazione di detta pena accessoria a norma dell' articolo 29 cod. pen. 2.2. Deve, anzitutto, ricordarsi che la Corte costituzionale con la sentenza n. 208 del 2024 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell' articolo 442, comma 2-bis, del codice di procedura penale , nella parte in cui non prevede che il giudice dell'esecuzione può concedere altresì la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici; inoltre ha dichiarato in via consequenziale, ai sensi dell' articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l'illegittimità costituzionale dell' articolo 676, comma 3-bis, cod. proc. pen. , nella parte in cui non prevede che il giudice dell'esecuzione può concedere altresì la sospensione della pena e la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, quando il giudice della cognizione non abbia potuto provvedervi perché la pena allora determinata era superiore ai limiti di legge che consentono la concessione di tali benefici. 2.3. Orbene, come chiarito dal Giudice delle leggi con la sentenza sopra richiamata (resa in tema di sospensione della pena e di non menzione della condanna) il meccanismo sopra indicato produce effetti anche nella generalità delle ipotesi in cui il codice di procedura penale prevede riduzioni di pena finalizzate a incentivare, a scopi deflativi del contenzioso, definizioni processuali alternative rispetto al dibattimento (rito abbreviato, patteggiamento, procedimento per decreto). In tutte queste fattispecie, la diminuzione di pena connessa al rito si opera sulla pena già determinata in base alle regole generali del codice penale. Pertanto, la diminuzione della pena conseguente a scelte processuali individuali non è una concessione al condannato, ma riflette la precisa logica sinallagmatica adottata dal legislatore, che garantisce un minor carico sanzionatorio a chi volontariamente rinunci a esercitare parti integranti del proprio diritto costituzionale di difesa, fornendo così un contributo al più rapido ed efficiente funzionamento del sistema penale nel suo complesso: il che non è senza significato nemmeno ai fini della valutazione della necessità di pena del singolo condannato. Ne consegue che è del tutto logico che (come già ritenuto dalla Corte costituzionale in tema di sospensione condizionale e non menzione con la sopra richiamata decisione) che anche la valutazione sui presupposti per l'applicazione delle pene accessorie venga operata rispetto alla pena così come determinata a valle delle scelte processuali dell'Imputato, che costituiscono, esse pure, elementi significativi nella commisurazione in senso lato della pena a lui applicabile. 2.4. In particolare, l' articolo 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. , stabilisce un meccanismo premiale, per effetto del quale la pena viene ridotta di un sesto nell'ipotesi in cui il condannato in esito a un giudizio abbreviato non proponga impugnazione contro la sentenza. Tale riduzione è espressamente indicata quale ulteriore rispetto a quella della metà o di un terzo prevista dal comma 2. 2.5. In entrambi i meccanismi normativi, la pena originariamente determinata dal giudice sulla base degli ordinari criteri di cui agli articolo 133 e 133-bis cod. pen. subisce una modificazione ex lege, in omaggio a logiche deflattive del contenzioso penale: rispetto all'ipotesi del comma 2, al fine di incentivare il ricorso al rito abbreviato, caratterizzato dalla rinuncia alle garanzie del contraddittorio nella formazione della prova; rispetto a quella, ora all'esame, del comma 2-bis, allo scopo di indurre il condannato a rinunciare ad impugnazioni miranti unicamente a una riduzione della pena inflittagli (così la relazione finale della Commissione di studio per elaborare proposte di riforma in materia di processo e sistema sanzionatorio penale, nonché in materia di prescrizione del reato, attraverso la formulazione di emendamenti al disegno di legge A.C. 2435, pagina 27). Nell'una e nell'altra ipotesi, il legislatore si ripromette dunque di ottenere un risparmio di tempi e di energie per il già sovraccaricato sistema penale italiano, riducendo per quanto possibile - rispettivamente - il numero di giudizi dibattimentali e di impugnazioni. 2.6. La peculiarità della riduzione ulteriore di pena di cui al comma 2-bis risiede, però, nella circostanza che alla rideterminazione della pena è chiamato il giudice dell'esecuzione, anziché il giudice della cognizione. Ciò, da un lato, è conseguenza necessaria del meccanismo normativo, che presuppone la rinuncia all'impugnazione nei termini di legge da parte del condannato e, dunque, il passaggio in giudicato della sentenza di condanna; dall'altro lato, questa peculiarità pone, sul piano esegetico, il quesito se, nel silenzio del legislatore, anche il giudice dell'esecuzione abbia il potere (o il dovere) di revocare la pena accessoria, quando soltanto per effetto della nuova riduzione vengano meno i requisiti per la stessa pena accessoria. 3. Ciò posto, questo Collegio, tenuto conto di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la citata sentenza n.208/2024 , ritiene che una risposta negativa a tale quesito sia incompatibile con i principi costituzionali in materia. 3.1. Anzitutto, chi rinunci al proprio diritto all'impugnazione della sentenza di condanna pronunciata all'esito di un giudizio abbreviato, in cambio di un ulteriore sconto di pena rispetto a quello già ottenuto per effetto della scelta del rito, si troverebbe in una posizione significativamente deteriore rispetto a tutti coloro che si avvalgano di analoghi sconti di pena, in cambio della rinuncia a proprie facoltà processuali parimenti coperte dal diritto costituzionale di difesa e dai principi del giusto processo. Rispetto a tutti costoro, è la pena determinata a valle della riduzione di pena connessa al rito - e non già quella determinata dal giudice a monte di tale riduzione - a costituire il presupposto per la revoca della eventuale pena accessoria. 3.2. Invero, una tale disparità di trattamento non sarebbe giustificabile sulla base dell' articolo 3 Cost. E ciò tanto più in quanto, come già osservato, la rinuncia all'impugnazione della sentenza di condanna, dalla quale dipende la riduzione di un sesto della pena, è sacrificio diverso e ulteriore rispetto alla rinuncia alle garanzie del dibattimento, che è già compensata dalla riduzione della metà o di un terzo prevista dal comma 2 dell' articolo 442 cod. proc. pen. 3.3. Inoltre, la tesi sostenuta dal giudice dell'esecuzione con l'ordinanza impugnata si pone in contrasto con le ordinarie regole di commisurazione in senso lato della pena, a loro volta espressione del principio della finalità rieducativa di cui all' articolo 27, terzo comma, Cost. 3.4. Ne consegue che, come statuito dalla Corte costituzionale in tema di sospensione condizionale della pena e di non menzione, la regola di sistema vigente nel nostro ordinamento è che la misura finale della pena (e non già quella irrogata in sede di cognizione) costituisce il presupposto circa la valutazione delle condizioni per la revoca della pena accessoria. Deve poi ricordarsi che, il principio costituzionale della personalità della responsabilità penale di cui all' articolo 27, primo comma, Cost. , esige l'individualizzazione della sanzione rispetto al singolo fatto di reato e alla situazione del singolo condannato (ex multis, sentenze n. 91 del 2024, punto 9 del Considerato in diritto; n. 86 del 2024, punto 5.8. del Considerato in diritto; n. 197 del 2023, punto 5.5.1. del Considerato in diritto; n. 195 del 2023, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 40 del 2023, punto 5.2. del Considerato in diritto; n. 222 del 2018, punti 7.1. e 7.2. del Considerato in diritto). 3.5. Infine, la soluzione sostenuta nella ordinanza impugnata finirebbe per minare gravemente l'effettività dell'incentivo alla rinuncia all'impugnazione, per chi sia stato condannato a una pena che, grazie alla riduzione di un sesto, impedisce l'applicazione della pena accessoria. In tal caso, infatti, il condannato avrebbe ogni incentivo per proporre appello, mirando a ottenere in quella sede una riduzione della pena, anche grazie al meccanismo del concordato con rinuncia ai motivi di appello di cui all' articolo 599-bis cod. proc. pen. 4. Pertanto, sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione in questione (consentita in forza di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza sopra richiamata) deve ritenersi che il giudice dell'esecuzione, in forza dei poteri riconosciutigli dall'articolo 676, commi 1 e 3-bis, del codice di rito, possa procedere alla revoca della pena accessoria nella ipotesi in cui la pena - a seguito della riduzione del sesto - scenda al di sotto dei tre anni di reclusione. 4.1. Invero, il Giudice delle leggi ha precisato che una simile interpretazione è possibile non solo in considerazione del silenzio serbato sul punto dal legislatore (e dunque dell'assenza di dati testuali incompatibili con tale interpretazione), ma anche alla luce dei principi gradatamente enucleati dalla giurisprudenza di legittimità, dai quali emerge che tra i poteri del giudice dell'esecuzione - fondati che siano su espresse disposizioni normative, su applicazioni analogiche di tali disposizioni ovvero su un'analogia iuris che muova dal principio generale del necessario adeguamento del titolo esecutivo a fatti sopravvenuti al giudicato stesso - rientra il potere di effettuare ogni valutazione conseguente alla rideterminazione della pena irrogata nella sentenza irrevocabile, a sua volta imposta dalle disposizioni di legge di volta in volta rilevanti. 4.2. In simili ipotesi, il giudizio di esecuzione è chiamato a ospitare un «frammento di cognizione» (sentenza n. 183 del 2013, punto 6 del Considerato in diritto), sulla base del materiale raccolto in precedenza o - eventualmente -delle nuove evidenze necessarie a compiere le valutazioni in parola, sì da adeguare le statuizioni relative alla pena nel loro complesso alla mutata situazione sopravvenuta al giudicato, e alla quale il giudicato stesso deve essere conformato. 5. In conclusione, la ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio con la revoca della pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici essendo venuto meno il relativo presupposto; infatti, poiché le pene accessorie costituiscono effetti penali di determinate condanne, la statuizione della sentenza che le prevede o che determina la loro durata, ove ciò non comporti una valutazione discrezionale, può essere esclusa o modificata anche in sede di legittimità nelle ipotesi di mancanza originaria o sopravvenuta del loro presupposto legale (Sez. 2, n. 13221 del 20/11/1998, Rv. 211967 - 01). P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata ed elimina la pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici applicata al ricorrente con sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia del 20/12/2024.