Mancata conclusione del contratto definitivo di compravendita: il promissario acquirente risarcisce per la detenzione illegittima dell’immobile protratta nel tempo

In caso di mancata stipula di un contratto preliminare di compravendita di immobile il promissario acquirente inadempiente non solo deve restituire l’immobile, ma deve provvedere a risarcire il promittente venditore per i frutti civili percepiti durante la detenzione. Ciò in quanto la pronuncia di inadempimento costituisce una condanna retroattiva e un riconoscimento postumo dell’illegittimità della pregressa detenzione.

Il caso Una società agiva in giudizio avverso un privato lamentando come questi detenesse da anni un immobile di proprietà della prima in ragione di un contratto preliminare di compravendita stipulato anni addietro. Tale contratto non si era mai convertito in un contratto di vendita definitivo e il promissario acquirente, che pure aveva per anni detenuto l'immobile, non aveva nemmeno versato nulla per onorare il contratto preliminare . Si costituiva, tardivamente, il promissario acquirente sostenendo in pratica che la realtà espressa dal contratto preliminare non rappresentasse che una parte della situazione in oggetto e che a seguito della sottoscrizione del documento sarebbero subentrati non ben precisati ulteriori accordi che avrebbero giustificato la detenzione e il mancato pagamento dei relativi oneri. Il giudizio di prime cure si chiudeva con un totale riconoscimento delle ragioni attoree e con la condanna della parte convenuta alla restituzione dell'immobile e la dichiarazione della risoluzione del contratto preliminare di compravendita, oltre che al pagamento di una somma di denaro rappresentativa del rimborso degli oneri condominiali anticipati e risarcimento danni per la mancata disponibilità dell'immobile oggetto della lite. Il promissario acquirente agiva quindi in gradi di appello. La doglianza del promissario acquirente si articolava in diversi punti, tutti sostanzialmente incentrati sulla stessa tipologia di ragionamento. L'appellante sosteneva, infatti, l' insussistenza del dedotto inadempimento in ragione di diversi accordi intercorsi ab origine tra le parti che avrebbero consentito allo stesso una immediata immissione nella detenzione dell'immobile. In seconda battuta egli sosteneva una violazione dei criteri di interpretazione del contratto , per non avere il giudice di prime cure tenuto conto del complessivo comportamento delle parti e – in buona sostanza – per non avere valutato che, se la controparte lo aveva immesso nella detenzione e non aveva preteso pagamenti, né aveva poi insistito per la stipula del contratto definitivo di compravendita, allora sarebbe sussistita tra le parti un'altra pattuizione che non traspariva dal contratto. Sosteneva, ancora, l'appellante che vari mutamenti nell'organigramma della società appellata avrebbero reso allo stesso impossibile prendere contatti con le persone di riferimento e quindi reso impossibile procedere alla stipula del definitivo. In questo giudizio d'appello si costituiva, quindi, la società proprietaria dell'immobile, che chiedeva il rigetto dell'appello e la conferma del giudizio di primo grado. La Corte d'Appello, all'esito del giudizio, confermava la sentenza impugnata . Quanto ai motivi dedotti dall'appellante, il Giudice affermava in primis che quanto a presunti accordi verbali invocati dall'appellante non sarebbe sussistita alcuna prova e, soprattutto, l'appellante stesso non aveva dedotto con precisioni in cosa sarebbero consistiti gli accordi, tra quali soggetti sarebbero stati presi e in cosa avrebbero derogato il contratto preliminare di compravendita rendendo lecite le condotte dell'appellante. Affermava la Corte d'Appello, infatti, che «anche la seconda censura era infondata, poiché l'appellante aveva posto nuovamente in essere una sorta di petizione di principio , postulando l'esistenza di altri e diversi accordi intervenuti tra le parti, di cui era stata omessa qualsivoglia dettagliata descrizione, né l'appellante aveva indicato in quale modo tali accordi avessero inciso, sul piano interpretativo, quanto all'obbligo di pagamento del prezzo, in ordine al quale non erano state sollevate allegazioni o contestazioni di sorta». Quanto al resto, secondo la Corte anche un eventuale accordo sull'immediata detenzione dell'immobile non avrebbe comportato deroghe agli obblighi di pagamento previsti , e soprattutto non avrebbe comportato alcuna revoca degli obblighi di concludere il contratto definitivo di compravendita. La sentenza d'appello, quindi, confermava l'esito del giudizio di primo grado. La Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a tutte le possibili spese giudiziali Il promissario acquirente, insistendo nella propria linea difensiva, agiva quindi in Cassazione. Nuovamente, egli, non avendo sostanzialmente concrete ragioni di diritto, invocava in punto di principio il seguente ragionamento. Stante il protratto inadempimento del contratto preliminare di compravendita, consistito nella detenzione dell'immobile ab origine , nel mancato pagamento di oneri (perlomeno alla luce del sole) e nella mancata conversione in un contratto definitivo di compravendita, sarebbe stata evidente la sussistenza di altri e diversi accordi presi tra le parti in deroga alle originarie pattuizioni . Con la sentenza in esame, la Seconda Sezione della Cassazione rigettava in modo deciso tale interpretazione giudiziale. Premettendo sulla procedibilità formale del ricorso, la Corte spiegava nella decisione immediatamente la totale infondatezza dello stesso. Secondo i Giudici, infatti, pur affermando che dalle condotte delle parti si potesse desumere che il promittente venditore avesse consentito una anticipata detenzione dell'immobile prima della stipula del definitivo e del saldo del prezzo, ciò non avrebbe in alcun modo costituito un esonero dalla necessità di addivenire ad un contratto definitivo di compravendita immobiliare, né di pagare il prezzo dell'affare . Conclude il proprio pensiero la Cassazione affermando quindi che «in altri termini, il consenso prestato dal promittente alienante all'anticipata detenzione degli immobili – come desumibile dalla disamina del contegno complessivo assunto dalle parti, di cui si è debitamente tenuto conto – doveva pur sempre ritenersi funzionale , in mancanza di elementi probatori di segno contrario, al completamento del programma negoziale concordato , ossia alla stipula del definitivo di vendita e al pagamento del saldo del corrispettivo». In mancanza della stipula del definitivo e del pagamento del prezzo, quindi, ha ragione la parte venditrice ad affermare che siano venuti meno i presupposti per la detenzione dell'immobile e che sia necessario risolvere il contratto preliminare, restituire il bene e provvedere a pagare il danno cagionato. Si specifica che, trattandosi di bene fruttifero , l'obbligo di restituzione della prestazione ricevuta si associa all'obbligo di restituzione dei frutti civili maturati, o del loro equivalente in denaro. In conclusione, quindi, la pronuncia di inadempimento costituisce una condanna retroattiva e un riconoscimento postumo dell'illegittimità della pregressa detenzione . Tali principi erano stati espressi nelle decisioni di merito e, in considerazione di ciò, la sentenza di appello veniva confermata, con rigetto del gravame presentato. A sottolineare la convinzione della Cassazione in merito alla erroneità della tesi del ricorrente, questi veniva condannato al rimborso delle spese di lite della controparte, al pagamento di una somma a titolo di articolo 96 comma III c.p.c. , del pagamento di una somma a titolo di articolo 96 comma IV c.p.c. e del versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ex articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, a dimostrazione dell'integrale rigetto della linea difensiva del ricorrente.

Presidente Carrato – Relatore Trapuzzano Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.