In tema di confisca di prevenzione, la Corte di Cassazione ribadisce che il terzo titolare formale del bene non può essere gravato da un onere di dimostrazione piena della legittima provenienza del bene, ma è gravato da un mero onere di allegazione, posto che la scissione tra proprietà formale in capo al terzo e disponibilità in capo al proposto deve essere fornita dal P.M., e tale disponibilità di fatto deve essere accertata con “indagine rigorosa, intensa ed approfondita”, giacché il giudice ha l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza.
La sentenza La Corte di Appello aveva motivato, piuttosto superficialmente, il rigetto dell'opposizione del terzo, titolare del bene confiscato, osservando che l'atto di opposizione si sarebbe limitato a replicare i temi e le allegazioni già oggetto di valutazione con la prima decisione di rigetto. In particolare, la Corte territoriale aveva affermato che il giudizio di sproporzione tra il valore dell'investimento e i redditi del nucleo familiare della ricorrente sarebbe stato già̀ « cristallizzato con giudizio irrevocabile » nella decisione divenuta definitiva. Inoltre, le allegazioni difensive avrebbero mirato a dimostrare l'esistenza di una capacità reddituale del nucleo familiare di origine della ricorrente ed in particolare del padre, ma non sarebbero tali da «giustificare la lecita provenienza delle risorse impiegate per il conseguimento dei beni». Infine, la consulenza di parte sulla redditività delle superfici coltivabili avrebbe offerto risultati meramente probabilistici e i redditi dichiarati non risulterebbero tali da coprire il valore dei beni confiscati. Con il ricorso, la difesa si duole della omessa valutazione – in sostanza – delle copiose allegazioni documentali con cui si era rappresentata la capacità di investimento dei genitori della opponente (con disinvestimento titoli tra il 2003 e il 2007 per circa 457mila euro), sì da sostenere una ipotesi ricostruttiva diversa rispetto a quella che ha condotto alla confisca del bene . La difesa censura l'affermazione per cui il giudizio di sproporzione sarebbe già «cristallizzato» in modo irrevocabile. Nel ricorso si evidenzia, ancora, che l'attività̀ di coltivatore diretto svolta dal padre della ricorrente ha generato redditi ulteriori e diversi rispetto a quelli da lavoro dipendente La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso , affermando, anzitutto, che la Corte di Appello era partita da una «affermazione sorprendente e del tutto erronea in diritto, lì dove afferma che il giudizio di sproporzione reddituale del nucleo ( omissis ), contenuto nel provvedimento irrevocabile, renderebbe intangibile la statuizione di confisca del bene immobile ». La sentenza in commento osserva che vi è una più̀ che ventennale elaborazione giurisprudenziale sulle «facoltà del terzo intestatario (mai citato in giudizio) di promuovere un incidente di esecuzione pienamente “recuperatorio” di ogni facoltà probatoria tesa a dimostrare l'effettiva titolarità (totale o parziale) del bene oggetto di confisca ». Si precisa nella sentenza in esame che “il contenuto dimostrativo della statuizione di confisca – sotto il profilo patrimoniale – non è opponibile al soggetto terzo, inciso nel diritto di proprietà, che non ha partecipato al procedimento e che deve poter dimostrare, con ogni mezzo, la titolarità “reale” del bene. La Corte di Cassazione osserva che sostenere che «il giudizio di sproporzione tra redditi e investimenti del nucleo familiare ( omissis ) ha avuto esito di “ incapienza ” rispetto al costo dell'investimento non ha nessuna importanza rispetto alla tesi, liberamente sostenibile, della provenienza delle risorse investite (per acquisto del terreno e successiva edificazione) dalla famiglia di origine della ( omissis ), tesi sostenuta dalla difesa con l'atto di opposizione». La sentenza in esame osserva che la stessa Corte di Appello pare rendersi conto dell'insostenibilità della tesi da essa affacciata, tanto è vero che in una seconda parte del provvedimento esamina – sia pure fugacemente – la produzione difensiva, in ciò̀ smentendo la sua stessa premessa. Ma la sentenza in commento aggiunge che, anche in tale parte della decisione, la Corte di merito «muove da una – seppure implicita – premessa in diritto errata». Infatti, « il terzo titolare formale del bene non può essere gravato da un onere di dimostrazione piena della legittima provenienza del bene , ma è gravato da un mero onere di allegazione, posto che la scissione tra proprietà formale e disponibilità in capo al condannato (o al soggetto pericoloso in prevenzione) deve essere fornita dall'organo dell'accusa». La pronuncia aggiunge che, anche in tal caso, si tratta di un principio talmente radicato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, da non richiedere particolare illustrazione, posto che incombe sull'accusa l'onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione , funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento uti dominus del medesimo proposto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo, dev'essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita , avendo il giudice l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare (in tali termini già Sez. I, 10.11.1997, n. 6279). Sotto tale profilo, «la motivazione del diniego è, dunque, da un lato viziata nelle sue premesse, dall'altro incompleta e inadeguata rispetto alla produzione documentale della difesa », posto che la Corte territoriale non ha svolto «un reale esame del punto del disinvestimento e della produzione di redditi attraverso l'attività agricola, sempre nell'ottica dell'onere di allegazione di cui sopra». In conclusione, la Corte ha disposto l'annullamento della decisione impugnata, per nuovo giudizio davanti alla Corte d'appello, nel cui ambito, ferma restando la libera attribuzione di peso dimostrativo agli elementi di prova, dovranno trovare attuazione i principi di diritto enunciati dalla stessa Corte di Cassazione. Osservazioni Pregevole sentenza, che si richiama ai principi garantisti, peraltro ormai radicati nella giurisprudenza di legittimità italiana e della CEDU . Anzitutto, è corretto il principio per cui il contenuto dimostrativo della statuizione di confisca – sotto il profilo patrimoniale – non è opponibile al soggetto terzo , inciso nel diritto di proprietà, che, non avendo partecipato al procedimento, deve poter dimostrare, con ogni mezzo, la titolarità “reale” del bene. Com'è noto, era stata rimessa alle Sezioni Unite la controversa questione di diritto vertente sul quesito se, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo possa rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità e la proprietà dei beni confiscati ovvero sia legittimato a contestare anche i presupposti per l'applicazione della misura , quali la condizione di pericolosità, la sproporzione fra il valore del bene confiscato e il reddito dichiarato, nonché la provenienza del bene stesso. Le Sezioni Unite hanno affermato il principio di diritto per cui, in caso di confisca di prevenzione avente ad oggetto beni ritenuti fittiziamente intestati a un terzo, quest'ultimo può rivendicare esclusivamente l'effettiva titolarità dei beni confiscati , potendo, a tale fine, dedurre ogni elemento utile in relazione al thema probandum , senza poter prospettare l'insussistenza dei presupposti applicativi della misura, deducibile soltanto dal proposto ( Cass., Sez. Un., n. 30355/2025 ). Inoltre, merito della sentenza in commento è quello di aver chiarito, ancora una volta, che «incombe sull'accusa l'onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione»; infatti, l'intestazione fittizia è « funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto »; e tale disponibilità di fatto, «caratterizzata da un comportamento uti dominus del medesimo proposto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo», dev'essere accertata con «indagine rigorosa , intensa ed approfondita », giacché il giudice ha «l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare». È un piacere osservare che la più garantista giurisprudenza italiana si allinei ai dicta della CEDU e finisca per assimilare la confisca di prevenzione alla confisca da reato. È infatti recente la sentenza della CEDU , Sez. I, 25.9.2025, Isaia e altri c. Italia, che ha affermato che la confisca italiana di prevenzione contrasta con il Protocollo n. 1 alla Conv. e.d.u. sulla proprietà privata perché, nel caso concreto, fu imposta in modo arbitrario e manifestamente irragionevole in quanto i giudici italiani non hanno accertato alcun nesso tra le attività criminali del proposto e i beni confiscati. Dunque, la Cassazione conferma che scrivere castronerie capita a tutti, anche ai giudici. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte la Corte di Appello di Napoli, a detta della Cassazione, «parte da una affermazione sorprendente e del tutto erronea in diritto, lì dove afferma che il giudizio di sproporzione reddituale del nucleo D.P., contenuto nel provvedimento irrevocabile, renderebbe intangibile la statuizione di confisca del bene immobile». Non si comprende appieno – per il vero – il significato di simile affermazione che, ove fondata, finirebbe con il porre nel nulla la più che ventennale elaborazione giurisprudenziale sulle facoltà del terzo intestatario (mai citato in giudizio) di promuovere un incidente di esecuzione pienamente «recuperatorio» di ogni facoltà probatoria tesa a dimostrare l'effettiva titolarità (totale o parziale) del bene oggetto di confisca. Ciò per il semplice motivo per cui il contenuto dimostrativo della statuizione di confisca – sotto il profilo patrimoniale non è opponibile al soggetto terzo , inciso nel diritto di proprietà, che non ha partecipato al procedimento e che deve poter dimostrare, con ogni mezzo, la titolarità “reale” del bene (da ultimo, esprime tale principio di diritto Sez. un., Putignano del 27/03/2025, in attesa di deposito, la cui informazione provvisoria n. 3/2025 si sofferma in modo significativo, in tema di rivendicazione della effettiva titolarità dei beni confiscati, sulla possibile deduzione da parte del terzo di ogni elemento utile in relazione al thema probandum ). Dire che il giudizio di sproporzione tra redditi e investimenti del nucleo familiare D.P. ha avuto esito di “incapienza” rispetto al costo dell'investimento non ha nessuna importanza rispetto alla tesi, liberamente sostenibile, della provenienza delle risorse investite (per acquisto del terreno e successiva edificazione) dalla famiglia di origine della D.T., tesi sostenuta dalla difesa con l'atto di opposizione. Di ciò pare rendersi conto la stessa Corte di Appello, che in una seconda parte del provvedimento esamina – sia pure fugacemente – la produzione difensiva, in ciò smentendo la sua stessa premessa. Anche in tale parte della decisione, tuttavia, la Corte di merito muove da una – seppure implicita – premessa in diritto errata. Il terzo titolare formale del bene non può essere gravato da un onere di dimostrazione piena della legittima provenienza del bene , ma è gravato da un mero onere di allegazione , posto che la scissione tra proprietà formale e disponibilità in capo al condannato (o al soggetto pericoloso in prevenzione) deve essere fornita dall'organo dell'accusa. Anche in tal caso si tratta di un principio talmente radicato nella giurisprudenza di questa Corte, sì da non richiedere particolare illustrazione, posto che incombe sull'accusa l'onere di dimostrare rigorosamente , ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione , funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento “ uti dominus ” del medesimo proposto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo, dev'essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare (in tali termini già Sez. 1, n. 6279 del 10/11/1997, Rv. 208941). Sotto tale profilo la motivazione del diniego è dunque da un lato viziata nelle sue premesse , dall'altro incompleta e inadeguata rispetto alla produzione documentale della difesa , posto che non vi è un reale esame del punto del disinvestimento e della produzione di redditi attraverso l'attività agricola, sempre nell'ottica dell'onere di allegazione di cui sopra. Va pertanto disposto l' annullamento della decisione impugnata , per nuovo giudizio, nel cui ambito, ferma restando la libera attribuzione di peso dimostrativo agli elementi di prova, dovranno trovare attuazione i principi di diritto di cui sopra”. Della serie, “non prendete lucciole per lanterne una seconda volta”.
Presidente Casa – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 19 marzo 2025 la Corte di Appello di Napoli - quale giudice della esecuzione - ha respinto la opposizione introdotta da Di.An. (terzo intestatario) avverso la confisca di un immobile sito in S (titolo venuto ad esistenza nel giudizio celebratosi in danno di Pa.Pa.). Secondo la Corte di Appello l'atto di opposizione replica i temi e le allegazioni già oggetto di valutazione con la prima decisione di rigetto. In particolare, si afferma, in sintesi, che: a) il giudizio di sproporzione tra il valore dell'investimento e i redditi del nucleo familiare Di.An. - Pa.Pa. è già cristallizzato con giudizio irrevocabile nella decisione divenuta definitiva; b) le allegazioni difensive mirano a dimostrare l'esistenza di una capacità reddituale del nucleo familiare di origine della Di.An. ed in particolare del Di.An., ma non sono tali da giustificare la lecita provenienza delle risorse impiegate per il conseguimento dei beni ; c)ancora, la consulenza di parte sulla redditività delle superfici coltivabili avrebbe offerto risultati meramente probabilistici e i redditi dichiarati non risultano tali da coprire il valore dei beni confiscati. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - nelle forme di legge - Di.An. Il ricorso è affidato a un unico motivo con cui si deduce la mera apparenza di motivazione. La difesa si duole della omessa valutazione - in sostanza - delle copiose allegazioni documentali con cui si era rappresentata la capacità di investimento dei genitori della opponente (con disinvestimento titoli tra il 2003 e il 2007 per circa 457mila euro), sì da sostenere una ipotesi ricostruttiva diversa rispetto a quella che ha condotto alla confisca del bene (riferibilità al Pa.Pa.). Si censura l'affermazione per cui il giudizio di sproporzione sarebbe già cristallizzato in modo irrevocabile. Si evidenzia, ancora, che l'attività di coltivatore diretto svolta dal Di.An. ha generato redditi, come si è cercato di dimostrare, ulteriori e diversi rispetto a quelli da lavoro dipendente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. La Corte di Appello parte da una affermazione sorprendente e del tutto erronea in diritto, lì dove afferma che il giudizio di sproporzione reddituale del nucleo Di.An. - Pa.Pa., contenuto nel provvedimento irrevocabile, renderebbe intangibile la statuizione di confisca del bene immobile. Non si comprende appieno - per il vero - il significato di simile affermazione che, ove fondata, finirebbe con il porre nel nulla la più che ventennale elaborazione giurisprudenziale sulle facoltà del terzo intestatario (mai citato in giudizio) di promuovere un incidente di esecuzione pienamente recuperatorio di ogni facoltà probatoria tesa a dimostrare l'effettiva titolarità (totale o parziale) del bene oggetto di confisca. Ciò per il semplice motivo per cui il contenuto dimostrativo della statuizione di confisca - sotto il profilo patrimoniale -non è opponibile al soggetto terzo, inciso nel diritto di proprietà, che non ha partecipato al procedimento e che deve poter dimostrare, con ogni mezzo, la titolarità 'reale' del bene (da ultimo, esprime tale principio di diritto Sez. U, Putignano del 27/03/2025, in attesa di deposito, la cui informazione provvisoria n.3/2025 si sofferma in modo significativo, in tema di rivendicazione della effettiva titolarità dei beni confiscati, sulla possibile deduzione da parte del terzo di ogni elemento utile in relazione al thema probandum). Dire che il giudizio di sproporzione tra redditi e investimenti del nucleo familiare Di.An. - Pa.Pa. ha avuto esito di 'incapienza' rispetto al costo dell'investimento non ha nessuna importanza rispetto alla tesi, liberamente sostenibile, della provenienza delle risorse investite (per acquisto del terreno e successiva edificazione) dalla famiglia di origine della Di.An., tesi sostenuta dalla difesa con l'atto di opposizione. 2. Di ciò pare rendersi conto la stessa Corte di Appello, che in una seconda parte del provvedimento esamina - sia pure fugacemente - la produzione difensiva, in ciò smentendo la sua stessa premessa. Anche in tale parte della decisione, tuttavia, la Corte di merito muove da una - seppure implicita - premessa in diritto errata. Il terzo titolare formale del bene non può essere gravato da un onere di dimostrazione piena della legittima provenienza del bene, ma è gravato da un mero onere di allegazione, posto che la scissione tra proprietà formale e disponibilità in capo al condannato (o al soggetto pericoloso in prevenzione) deve essere fornita dall'organo dell'accusa. Anche in tal caso si tratta di un principio talmente radicato nella giurisprudenza di questa Corte, sì da non richiedere particolare illustrazione, posto che incombe sull'accusa l'onere di dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale di detta intestazione, funzionale alla esclusiva finalità di favorire il permanere del bene in questione nella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, disponibilità la cui sussistenza, caratterizzata da un comportamento uti dominus del medesimo proposto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo, dev'essere accertata con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare (in tali termini già Sez. 1, n. 6279 del 10/11/1997, Rv. 208941). Sotto tale profilo la motivazione del diniego è dunque da un lato viziata nelle sue premesse, dall'altro incompleta e inadeguata rispetto alla produzione documentale della difesa, posto che non vi è un reale esame del punto del disinvestimento e della produzione di redditi attraverso l'attività agricola, sempre nell'ottica dell'onere di allegazione di cui sopra. Va pertanto disposto l'annullamento della decisione impugnata, per nuovo giudizio, nel cui ambito, ferma restando la libera attribuzione di peso dimostrativo agli elementi di prova, dovranno trovare attuazione i principi di diritto di cui sopra. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli.