Esclusa la tenuità del fatto in presenza di più illeciti oltre quello contestato

Non può essere riconosciuta la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex articolo 131- bis c.p. all’imputato che abbia commesso almeno due illeciti ulteriori rispetto a quello oggetto del procedimento.

Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza in esame, riconoscendo l'esistenza di una condotta abituale che impedisce l'applicazione dell'istituto.      Il caso riguardava un soggetto che, dopo la condanna in primo e secondo grado, aveva proposto ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge e difetti di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della tenuità del fatto . In particolare, l'imputato contestava che la Corte d'Appello avesse considerato come ostativa l'abitualità del reato , senza valutare né il tempo trascorso tra i diversi reati precedenti, né le circostanze dell'esecuzione delle pene in precedenza comminate, nonché la mancata applicazione della causa di non punibilità. L'imputato sosteneva inoltre che non fosse stato adeguatamente considerato il suo comportamento successivo al reato . La Cassazione ha ritenuto il motivo di ricorso aspecifico, osservando che la sentenza impugnata richiama i precedenti penali dell'imputato, sia risalenti che recenti, come prova della sua abitualità delinquenziale . Secondo la Suprema Corte, la doglianza avrebbe dovuto essere supportata da una dettagliata analisi dei precedenti penali, risultanti dal certificato penale. In ogni caso, anche superando tale carenza, non emergevano errori di valutazione da parte della Corte territoriale , considerando che tra le condanne più recenti vi era quella della Corte d'Appello di Torino del 5 gennaio 2023 per un furto commesso il 14 gennaio 2021, quindi successivo al reato oggetto del giudizio. La Cassazione ha quindi ritenuto corretta e non illogica la conclusione circa la sussistenza dell'abitualità criminosa. Ha ribadito che, ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il comportamento deve considerarsi abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti ulteriori rispetto a quello oggetto del procedimento.

Presidente Romano – Relatore Cananzi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Torino, con la sentenza emessa il 21 novembre 2024 confermava quella del Tribunale di Vercelli, che aveva accertato la responsabilità penale di M.F. in ordine al delitto di tentato furto, con equivalenza dell'aggravante della esposizione alla pubblica fede all'attenuante della tenuità del danno, consistendo la refurtiva in generi alimentari per il valore di 62,00 euro. 2. Il ricorso per cassazione proposto nell'interesse di M.F. consta di tre motivi, enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall' articolo 173 disp. att. cod. proc. pen. 3. Il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla aggravante della esposizione alla pubblica fede. La Corte territoriale avrebbe fatto mal governo dei principi in materia, sussistendo nel caso in esame il controllo continuativo da parte del direttore del supermercato, che condusse all'interruzione della condotta di impossessamento e quindi alla riqualificazione in primo grado della condotta da consumata in tentata. 4. Il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell' articolo 131-bis cod. pen. , lamentando che la Corte territoriale abbia ritenuto ostativa l'abitualità del reato, senza confrontarsi né con il tempo trascorso fra i reati precedenti e quello per cui si procede, né con le circostanze della pregressa esecuzione di alcune pene in precedenza comminate, nonché con la mai applicata causa di non punibilità. Inoltre, nessun apprezzamento sulla tenuità è stato operato dalla sentenza impugnata, né è stato valorizzato il comportamento susseguente il reato, rilevante alla luce della disciplina di nuovo conio. 5. Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all' articolo 20-bis cod. pen. Apparente e comunque viziata sarebbe la motivazione in ordine al diniego della pena sostitutiva, che si limita alla valutazione dei precedenti penali, senza tenere in conto la misura della pena detentiva applicata, pari a due mesi di reclusione, e lo spirito della riforma Cartabia che ha introdotto l' articolo 20-bis cod. pen. 6. Il ricorso è stato trattato senza l'intervento delle parti, ai sensi del rinnovato articolo 611 cod. proc. pen. , come modificato dal d.lgs. n. 150 del 2022 e successive integrazioni. 7. Il Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. Antonio Balsamo, ha concluso come indicato in epigrafe. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato. 2. Quanto al primo motivo lo stesso è generico per aspecificità. Infatti, la censura non si confronta con la sentenza, che esclude del tutto la sussistenza di un sistema di sorveglianza con operatore addetto e pronto a impedire la commissione del furto (cfr. fol. 4 della sentenza impugnata), né la ricorrente deduce a riguardo travisamento della prova. Per il costante insegnamento di questa Corte, ben governato da parte della sentenza impugnata, sussiste l'aggravante di cui all' articolo 625, primo comma, n. 7, cod. pen. qualora il furto della cosa esposta alla pubblica fede sia commesso in un luogo avente un sistema di videosorveglianza, il quale, ancorché consenta la conoscenza postuma delle immagini registrate dalla telecamera, non costituisce di per sé una difesa idonea a impedire la consumazione dell'illecito attraverso un immediato intervento ostativo, né garantisce in maniera continuativa la custodia del bene da parte del proprietario o di altra persona addetta alla sua sorveglianza (ex multis Sez. 5, n. 1509 del 26/10/2020, dep. 2021, Saja, Rv. 280157; Sez. 5, n. 6682 del 8/11/2007, dep. 2008, Manno, Rv. 239095; Sez. 5, n. 35473 del 20/05/2010, Canonica, Rv. 248168). La ricorrente non prende atto di tale orientamento, anzi pone a base della doglianza una alternativa ricostruzione dei fatti, non confrontandosi con l'approdo ricostruttivo della sentenza impugnata che ha escluso l'esistenza di un sistema di sorveglianza come anche la sorveglianza diretta da parte della vigilanza, tanto che la Corte territoriale rileva come l'azione criminosa fu arrestata in modo accidentale. La censura, come anticipato, è generica in quanto non si confronta in modo specifico con tali argomentazioni decisive. 3. Quanto al secondo motivo di ricorso - che lamenta l'omesso riconoscimento della causa di non punibilità ex articolo 131-bis cod. pen. – anch'esso è aspecifico. La sentenza impugnata richiama i precedenti penali, non solo risalenti ma anche relativi a tempi recenti, ai fini della prova della abitualità del reato. La doglianza sul punto è aspecifica in quanto avrebbe dovuto essere formulata con una analisi specifica dei precedenti penali, tratti e comprovati dal certificato penale. Ma anche volendo superare il deficit di specificità, non emerge comunque alcun travisamento in cui sia incorsa la Corte territoriale, in quanto fra le condanne patite dalla imputata - quelle più recenti - si rinviene anche la sentenza del 5 gennaio 2023 della Corte di appello di Torino, che confermava la condanna per furto commesso il 14 gennaio 2021, dunque successivo a quello per cui si procede. In tal senso, assolutamente corretta e non manifestamente illogica è l'assorbente affermazione che sussista l'abitualità, in sintonia con il principio per cui, ai fini di tale presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall' articolo 131 bis cod. pen. , il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591). Nel caso in esame l'abitualità era attestata dai reati precedenti come anche da quello successivo al furto per il quale si procede. Ogni ulteriore doglianza formulata con il presente motivo è, poi, assorbita dalla preliminare valutazione di sussistenza della abitualità, in quanto la stessa è causa ostativa al riconoscimento dell'esimente anche in presenza di un fatto di lieve entità. 4. In ordine al terzo motivo, lo stesso è fondato. 4.1 A ben vedere la Corte di appello rileva come le pene sostitutive per la M.F. non siano idonee alla rieducazione e, soprattutto, non assicurerebbero la prevenzione del pericolo di commissione dei reati, tenuti in conto i numerosi e altamente specifici precedenti, che non risultano avere costituito una remora per l'imputata. La richiesta avanzata per conto dell'imputata, in sede di conclusioni, era quella della sostituzione della pena detentiva con quella dei lavori di pubblica utilità. 4.2 Va evidenziato come sia fondata la censura per contraddittorietà della motivazione, fra la mitezza della pena - quantificata in mesi due di reclusione - e il diniego della pena sostitutiva. A riguardo, infatti, condivide questa Corte il principio per cui, in tema di sanzioni sostitutive, il giudice della cognizione in sede di condanna dell'imputato è tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all' articolo 133 cod. pen. sia ai fini della determinazione della pena da infliggere sia, subito dopo, ai fini dell'individuazione della pena sostitutiva ex articolo 58 legge 24 novembre 1981, n. 689 , come riformato dal d.lgs. n. 150 del 2022 , dovendo esservi tra i due giudizi continuità e non contraddittorietà e favorendosi l'applicazione di una delle sanzioni previste dall' articolo 20-bis cod. pen. quanto minore risulti la pena in concreto inflitta rispetto ai limiti edittali (Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 – 01). A ben vedere l' articolo 58, primo comma, l. 689 del 1981 prevede che il giudice «può applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. La pena detentiva non può essere sostituita quando sussistono fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato». In sostanza, l'esistenza di precedenti penali - la cui esecuzione della pena non ha avuto efficacia dissuasiva rispetto alla reiterazione di condotte di reato successive - in sé non determina automaticamente l'inadeguatezza della pena sostitutiva, che va valutata anche nella sua concretezza. La pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, richiesta dall'imputata, corredata dalle prescrizioni - richieste e consentite - al fine di evitare la recidiva, potrebbe assicurare una specifica efficacia rieducativa, essendo in astratto la peculiarità della pena sostitutiva in sé più idonea a sollecitare un iter di reinserimento sociale, tanto più che dalla sentenza impugnata emerge che il movente del delitto sia da rinvenirsi in esigenze di sostentamento. A ben vedere se viene valorizzato tale ultimo profilo – quale movente delle abituali condotte delittuose – quale fattore ostativo alla tenuità del fatto ex articolo 131-bis cod. pen. , non di meno occorre una motivazione specifica in ordine alla inadeguatezza delle prescrizioni a contenere il pericolo di recidiva, prescrizioni che vanno valutate in uno al percorso di reinserimento delineato con la specifica pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità. Tale pena sostitutiva, in particolare, potrebbe recare potenzialità di reinserimento attivo in un contesto latamente lavorativo e, quindi, risultare ben più efficace della pena detentiva, già scontata dall'imputata nel passato, senza alcun efficace risultato specialpreventivo. L'affidamento al giudice della cognizione del potere discrezionale di sostituzione della pena detentiva per un verso tende a valorizzare da subito, e non a ridosso dell'esecuzione, la conoscenza ‘diretta' dell'imputato e della sua personalità per individuare un trattamento sanzionatorio appropriato; per altro verso, assicura al giudice della cognizione una gamma di pene qualitativamente diverse, che possano consentire l'individuazione – con il consenso dell'imputato e nei limiti della discrezionalità attribuita dall'ordinamento - di quella più idonea al percorso di effettivo reinserimento della persona dell'imputato. 4.3 In tal senso, va richiamato quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 139 del 2025 che - riconoscendo al legislatore la discrezionalità nella individuazione delle cause soggettive ostative all'applicazione delle pene sostitutive ex articolo 59 l. 689 del 1981 e succ. mod. - afferma che la riforma – d.lgs. n. 150 del 2022 – ha con nettezza «inteso configurare le pene sostitutive come autentiche pene, destinate come tali ad arricchire gli strumenti sanzionatori a disposizione del giudice della cognizione per realizzare le funzioni proprie della sanzione penale. Ciò si desume anzitutto dall'introduzione, nel Libro I del codice penale, del nuovo articolo 20-bis , che espressamente le elenca, così completando il novero delle pene principali e accessorie già indicate negli articoli precedenti del Capo I del Titolo II (dedicato, appunto, alle pene) del Libro I del codice penale». Prosegue la Corte costituzionale affermando che «[u]na simile scelta è del resto esplicitata dalla relazione illustrativa del d.lgs. n. 150 del 2022, in cui si chiarisce che le pene sostitutive riformate debbono intendersi, appunto, come ‘vere e proprie pene […] diverse da quelle edittali (detentive e pecuniarie), irrogabili dal giudice penale in sostituzione di pene detentive, funzionali alla rieducazione del condannato, così come a obiettivi di prevenzione generale e speciale'. Tutto ciò» - prosegue la Corte costituzionale - «in coerenza con la preziosa indicazione dello stesso articolo 27, terzo comma, Cost. , che ragiona di ‘pene' al plurale: stimolando così il legislatore a sperimentare forme di reazione sanzionatoria diverse – e in ipotesi più conformi tanto al senso di umanità, quanto alla funzione rieducativa – rispetto alla tradizionale pena carceraria». Se il principio di proporzione ha la sua applicazione - oltre che nell'ambito della offensività e colpevolezza – anche in relazione al trattamento sanzionatorio, spetta al giudice della cognizione valutare anche qualitativamente la pena più proporzionata al delitto e alla persona del reo e più idonea al suo reinserimento e al contenimento del pericolo di recidiva. È ben chiara a questa Corte la sussistenza di una pluralità di funzioni della pena, espresse dallo stesso legislatore nella necessità special-preventiva di evitare la reiterazione di ulteriori reati ex articolo 58, primo comma, l. 689 del 1981 . Si verte della necessità di coniugare le plurime finalità della pena. Quella rieducativa è «coessenziale al volto costituzionale della pena, nell'ordinamento italiano; tanto da non poter essere sacrificata ‘sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della pena (sentenze n. 78 del 2007, n. 257 del 2006, n. 68 del 1995, n. 306 del 1993 e n. 313 del 1990)', qualunque sia la gravità del reato commesso dal condannato (sentenza n. 149 del 2018, punto 7 del Considerato in diritto). Conseguentemente, non solo le autorità preposte all'esecuzione della pena, ma – ancor prima – il legislatore nella fase di comminatoria edittale, e poi il giudice in sede di irrogazione della pena, sono costituzionalmente vincolati a orientare la propria discrezionalità in maniera tale da favorire – e certamente da non ostacolare – quel ‘cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale', nel quale si declina la funzione rieducativa della pena (sentenza n. 179 del 2017, punto 4.4. del Considerato in diritto)» (così Corte cost., sentenza n. 139 del 2025 , par. 9.1.). Tuttavia la stessa Corte costituzionale esclude che la finalità rieducativa debba essere considerata, per vincolo costituzionale, come l'unica finalità legittima della pena: «Il legislatore ben può, dunque, assegnare anche altre finalità alla pena – come il contenimento della pericolosità sociale del condannato e la deterrenza nei confronti della generalità dei consociati – a condizione appunto di non sacrificare, in nome di queste pur legittime finalità, la sola funzione della pena espressamente indicata quale costituzionalmente necessaria, la rieducazione del reo; e a condizione di assicurare – assieme – il rispetto di tutti gli altri principi costituzionali che limitano la potestà punitiva statale» (par. 9.2). 4.4 A questa valutazione complessa è chiamato, allora, il giudice della cognizione: nel formulare la prognosi di efficacia – o meno - della pena sostitutiva e delle prescrizioni correlate in funzione special-preventiva deve valutare, evidentemente i precedenti penali. D'altro canto, anche l'orientamento sostenuto da questa Sezione, che pure consente di rifarsi esclusivamente ai precedenti penali per delibare l'istanza di pena sostitutiva, afferma che in tema di pene sostitutive di pene detentive brevi il giudice può respingere la richiesta anche facendo esclusivo riferimento ai soli precedenti penali dell'imputato purché dalla loro valutazione, che deve essere oggetto di specifica, puntuale e concreta motivazione, emergano elementi indiscutibilmente negativi in ordine alla prognosi della finalità rieducativa della pena sostitutiva, del contenimento del rischio di recidiva e dell'adempimento delle prescrizioni imposte (Sez. 5, n. 24093 del 13/05/2025, Gambina, Rv. 288210 – 01; in senso contrario, Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006 – 02, per la quale in tema di pena sostitutive di pene detentive brevi, il giudice di merito non può respingere la richiesta di applicazione in ragione della sola sussistenza di precedenti condanne, in quanto il rinvio all' articolo 133 cod. pen. contenuto dall' articolo 58 legge 24 novembre 1981, n. 689 , come riformato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 , deve essere letto in combinato disposto con l'articolo 59 della stessa legge, che prevede, quali condizioni ostative, solo circostanze relative al reato oggetto di giudizio, non comprensive dei precedenti penali). Pertanto, anche a tale parametro dovrà attenersi il Giudice del rinvio, oltre che al principio di sostanziale coerenza fra la pena minima e il diniego della pena sostitutiva, che pur se non si risolve in alcun automatismo (quale sarebbe l'equazione: pena minima = pena sostitutiva) comunque implica un supplemento argomentativo che giustifichi il diniego della pena ex articolo 20-bis cod. pen. , a fronte della pena detentiva minima – o prossima al minimo edittale - determinata ex articolo 133 cod. pen. 4.5 Ne consegue che in tema di applicazione delle pene sostitutive ex articolo 20-bis cod. pen. , spetta al giudice della cognizione una valutazione prognostica complessa - funzionale a garantire la finalità rieducativa sancita dall' articolo 27 Cost. e quella specialpreventiva prevista dall' articolo 58, primo comma, l. 689 del 1981 e succ. mod. – che tenga in conto anche le potenzialità di reinserimento attivo intrinseche nelle modalità di esecuzione delle singole pene sostitutive diverse da quelle carcerarie, così da procedere all'individuazione, anche qualitativa, della pena più rispettosa del principio di proporzione rispetto al delitto, al reinserimento effettivo della persona del reo, al pericolo di reiterazione di reati a tutela dei consociati. 5. Ne consegue l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, dovendosi dichiarare inammissibile il ricorso nel resto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della pena sostitutiva con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Torino. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.