Danno biologico da malattia professionale ed oneri probatori

L’inclusione di una malattia fra quelle indicate ai sensi dell’articolo 3 d.P.R. n. 1124/1965, determina l'esistenza di una presunzione legale di origine professionale, qualora il lavoratore abbia provato l'adibizione ad una lavorazione tabellata - o l'esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazione - e l'esistenza della malattia ed abbia effettuato la denuncia nel termine massimo di indennizzabilità.

La prova che la malattia sia determinata da cause extraprofessionali, e non dal lavoro, non può prescindere da un accertamento in fatto, svolto attraverso attività istruttoria di tipo tecnico e documentale. È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in commento. I fatti di causa Il dipendente impiegato nei ruoli civili del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, in servizio presso una Capitaneria di porto, lamentava una condizione di costrittività organizzativa che gli avrebbe provocato un danno biologico . Tale fattispecie gli sarebbe stata diagnosticata da un medico come «disturbo post traumatico da stress con alterazione del tono dell'umore, ansia ribelle, introversione, difficoltà nel lavoro, insonnia, crisi di panico». Per quanto sopra, si induceva ad agire in giudizio nei confronti dell'Inail, al fine di ottenere il risarcimento di quanto patito. Il tribunale prima, e la Corte territoriale successivamente, rigettavano la domanda. In particolare, i giudici di secondo grado precisavano che la malattia lamentata rientrava fra quelle tabellate ai sensi dell'articolo 3 del d.p.r. 1124/1965, determinandosi, conseguentemente, una presunzione dell'origine professionale dello stato morboso. Tuttavia, era comunque necessario che il lavoratore, previa denuncia nei termini di indennizzabilità, provasse che l'adibizione ad una lavorazione tabellata avesse provocato la malattia. Per i giudici di secondo grado, anche all'esito della fase istruttoria, non vi era la prova che l'appellante fosse stato vittima di un'aggressione psicologica, perfezionatasi attraverso comportamenti sistematicamente preordinati ad una discriminazione professionale . Avverso la sentenza di secondo grado, proponeva ricorso per Cassazione il lavoratore affidando il gravame a due motivi, cui l'Istituto resisteva con controricorso La pronuncia Innanzitutto, la S.C. precisa che, sul piano normativo, il D.M. 11 dicembre 2009, che ha ad oggetto l'aggiornamento dell'elenco delle malattie per cui è obbligatoria la denuncia, ai sensi dell' articolo 139 del T.U. 1124 /65, annovera proprio il disturbo post traumatico da stress, con riferimento alle lavorazioni definite come costrittività organizzativa . In esse si annoverano la marginalizzazione dell'attività lavorativa, lo svuotamento di mansioni, la mancata assegnazione di compiti lavorativi con inattività forzata ed altro ancora. Tuttavia, è necessario che, prima di attribuire la connotazione di malattia tabellata , sia posta in essere una duplice verifica: ovvero l'oggettiva esistenza di condizioni organizzative che costringono un lavoratore a ridurre la qualità e la quantità delle mansioni svolte e, d'altro canto, la alterazione psichica del vissuto lavorativo . Pertanto, per poter riconoscere, in via di presunzione, il nesso causale tra l'esposizione a rischio e la malattia diagnosticata , occorre una dimostrazione in fatto di atti e comportamenti che denotino una costrizione organizzativa nociva all'integrità psicofisica del lavoratore. In altre parole, occorre la dimostrazione della deviazione consapevole da un modello organizzativo che crei condizioni di marginalizzazione dell'attività lavorativa, di inattività forzata, di dequalificazione, ecc. Dopodiché, è chiarito che, se la costrittività organizzativa o il mobbing possono essere considerati in ambito Inail, questo non significa che l'esistenza di un disturbo psichico, in connessione con il lavoro svolto, sia ragione di copertura assicurativa; è infatti, necessario che sussista una situazione di nocività effettiva all'interno della situazione lavorativa. Ancor più specificamente, la Corte Suprema precisa che, quel che rileva, non è soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio , «ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa» (sul punto la giurisprudenza è copiosa; cfr., fra le molte, Cass. 13882/2016 ; Cass. 27829/2009 ). Nondimeno, la pronuncia in breve commento dà atto che la Corte territoriale ha svolto un attento apprezzamento delle risultanze istruttorie ed ha escluso la sussistenza di un qualunque carattere persecutorio . Trattasi di convincimento di merito insuscettibile di scrutinio da parte del giudice di legittimità. Neppure è sufficiente il semplice insorgere della malattia, al fine di ottenere il risarcimento richiesto, laddove le condizioni della prestazione non eccedano la normalità dei rapporti di lavoro. Infine, è fatto un riferimento ai principi che informano il motivo di ricorso previsto dall' articolo 360, n. 1, comma 5 c.p.c , come riformato dall' articolo 54 del d. l. 83/2012 , conv. nella l. n. 134/2012 . Sul punto, è chiarito che il ricorrente deve indicare il fatto storico, il dato testuale o extratestuale da cui risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la valenza della sua decisività. In ogni caso, il mancato esame di elementi istruttori non integra il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, nel caso in cui il fatto stesso sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. In conclusione, il ricorso è dichiarato inammissibile , con condanna del ricorrente al pagamento dell'ulteriore contributo unificato, ma con dispensa dal pagamento delle spese processuali in presenza della dichiarazione esonerativa per motivi reddituali.

Presidente Garri - Relatore Orio Rilevato che: l. La Corte d'Appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso proposto da Ca.Sa. volto a conseguire la condanna di INAIL al riconoscimento del danno biologico derivante dalla malattia professionale diagnosticatagli, consistente in disturbo post traumatico da stress con alterazione del tono dell'umore, ansia ribelle, introversione, difficoltà nel lavoro, insonnia, crisi di panico , che il consulente tecnico d'ufficio aveva ritenuto non eziologicamente connessa con la specifica condizione dell'attività e dell'organizzazione di lavoro. La Corte territoriale, premessa la distinzione dell'onere probatorio tra malattia tabellata e non, ha ritenuto che l'inclusione della malattia denunciata tra le prime ai sensi dell' articolo 3 D.P.R. 1124/65 (giusta tabella allegata al D.M. 12/7/2000 cod. 181 e D.M. 11/12/2009, Lista II, gruppo 7, n.01), determina l'esistenza di una presunzione dell'origine professionale solo qualora il lavoratore abbia provato l'adibizione ad una lavorazione tabellata -o l'esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazionee l'esistenza della malattia, ed abbia effettuato la denuncia nel termine di indennizzabilità; si tratterebbe di una presunzione non assoluta ma superabile con la prova, a carico di INAIL, che la malattia è stata determinata da cause extraprofessionali e non dal lavoro. Nel caso in esame, il lavoratore, impiegato nei ruoli civili del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, in servizio presso la Capitaneria di Porto di Mazara del Vallo, con la qualifica di assistente informatico e incaricato alla sezione gente di mare/pesca , aveva lamentato una condizione di costrittività organizzativa , ossia una marginalizzazione dell'attività lavorativa, per mancata assegnazione di compiti lavorativi con inattività forzata e inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro, che sarebbe consistita in alcuni atti e comportamenti (un rapporto disciplinare, esposti alla Procura della Repubblica da parte dei superiori, il rigetto di una domanda di modifica del giorno di rientro pomeridiano, plurime azioni vessatorie da parte dei superiori che insistevano affinché il ricorrente utilizzasse un sistema informatico di cui conoscevano il malfunzionamento, condotte diffamatorie dei superiori sui comportamenti del ricorrente sul posto di lavoro) di cui in giudizio era stata accertata l'inconfigurabilità nell'ipotesi di mobbing; ne restavano assenti il disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione, la reiterazione, sistematicità ed intenzionalità della condotta, sia da un punto di vista oggettivo che soggettivo, sia nella valutazione del singolo episodio che in una visione d'insieme. Da quanto raccolto in fase istruttoria non v'era prova che l'appellante, già soccombente in primo grado, fosse stato vittima di un'aggressione psicologica perfezionatasi attraverso comportamenti sistematicamente preordinati alla sua discriminazione professionale . 2. Avverso la sentenza di rigetto propone ricorso la parte privata, affidandosi a due motivi, a cui INPS resiste con controricorso. 3. La causa è stata trattata e decisa all'adunanza camerale del 10/6/2025. Considerato che: 1.Preliminarmente il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello abbia omesso di valutare due elementi fondamentali: che la fattispecie è tabellata e sarebbe stato l'INAIL a dover fornire la prova dell'origine extralavorativa della malattia; che la condotta principale che ha dato origine alla malattia risiede nell'avere costretto il dipendente a svolgere per oltre un anno un lavoro illegittimo. La Corte, sotto il primo profilo, avrebbe applicato le regole ermeneutiche e probatorie dei giudizi di mobbing promossi contro la parte datoriale, anziché le regole proprie dei giudizi previdenziali, e sotto il secondo profilo avrebbe vessato il rifiuto a svolgere un lavoro illegittimo. Con il primo motivo il ricorrente deduce, in relazione all' articolo 360 co.1 n. 5 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 co.1 D.P.R. 1124/65 e del D.M. 12/7/2000 e dell'allegato al D.M. Lavoro del 11/12/2009 pubbl. in GU n.65 del 19/3/2010 (in Lista II gruppo 7: malattie psichiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro), in relazione ad articolo 2697 c.c. per omesso esame di fatto decisivo tenuto conto che la patologia di costrittività organizzativa è tabellata e grava su INAIL l'onere di fornire la prova contraria. Il disturbo post-traumatico da stress cronico severo è infatti malattia prevista dal D.M. 12/7/2000 codice 181, e dall'allegato al D.M. 11/12/09 -lista II gruppo 7-, come disfunzione dell'organizzazione del lavoro e disturbo dell'adattamento cronico; vige dunque la presunzione di origine professionale ed è onere di INAIL fornire la prova di una diversa eziologia extralavorativa. La natura di malattia tabellata esonera il lavoratore dalla prova del nesso causale, dovendo egli solo provare d'essere stato addetto alla lavorazione tabellata e di essere affetto da patologia, mentre l'INAIL non ha fornito la prova contraria. In materia di infortuni sul lavoro trova applicazione, poi, il principio di equivalenza causale per cui è sufficiente, per far sorgere la tutela, che l'esposizione a rischio sia stata concausa concorrente della malattia, non essendo richiesto che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente. Con il secondo motivo deduce, in relazione all' articolo 360 co.1 n.3 c.p.c. , la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362 e 1363 cod. civ. in relazione alla espletata prova tecnica in primo grado e testimoniale in secondo grado, da cui risulterebbe confermata la volontà punitiva del Comandante verso il ricorrente, e nel ricostruire l'intento persecutorio si evincerebbe il nesso causale tra patologie a lavoro; deduce anche, in relazione all' articolo 360 co.1 n.5 c.p.c. , l'errata valutazione e l'omesso pronuncia su un punto decisivo della controversia, e la contraddittorietà della motivazione, per avere la Corte d'Appello esaminato parzialmente le prove testimoniali e documentali omettendo di esaminare alcuni elementi estremamente rilevanti da cui risulterebbe che il ricorrente fosse l'unico dipendente incaricato di utilizzare il sistema (Omissis) dal cui malfunzionamento discendevano le continue vessazioni e pressioni su di lui esercitate. In sostanza, il ricorrente lamenta che l'analisi dei singoli fatti non abbia consentito di verificare la reiterata costrizione che ha cagionato la malattia; ed era mancata una CTU in appello che accertasse intento persecutorio e l'incidenza dei comportamenti del Comandante della capitaneria e di altri dipendenti nella causazione della malattia professionale; le prove testimoniali erano state esaminate parzialmente e non era stato rilevato che dopo il procedimento disciplinare archiviato era stata fatta denuncia alla Procura della Repubblica da cui il lavoratore sarebbe stato poi assolto. Nel controricorso l'Istituto eccepisce l'inammissibilità del ricorso in cui non è illustrata la violazione di norme di diritto contenuta in sentenza, ed è indicata la censura ex articolo 360 primo comma n. 5 c.p.c. con mescolanza e sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei. Sul primo motivo richiama la pronuncia della Corte di Cass. n.3207/19 secondo la quale c'è presunzione di origine professionale solo se è provata l'adibizione ad una lavorazione tabellata o l'esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazione; sul secondo motivo, rileva che se la doglianza si riduce a vizio motivazionale essa non rientra nella residua ipotesi di carenza del minimo costituzionale ove pure non sia stato correttamente esercitato il potere di apprezzamento delle prove non legali, ed ancora, la valutazione del corredo probatorio compete solo al giudice di merito. 3. Il ricorso è complessivamente inammissibile. 4. Preliminarmente, si osserva che sul piano normativo il D.M. 11 dicembre 2009, avente ad oggetto l'aggiornamento dell'elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi dell' articolo 139 del T.U. 1124 /65, contempla, in Lista II al Gruppo 7, fra le malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro, il disturbo post-traumatico da stress con riferimento alle lavorazioni/esposizioni definite come costrittività organizzative , di cui in nota fornisce descrizione definitoria e comportamentale; si annoverano la marginalizzazione dalla attività lavorativa, svuotamento di mansioni, mancata assegnazione di compiti lavorativi con inattività forzata, prolungata attribuzione di compiti dequalificanti o con eccessiva frammentazione esecutiva rispetto al profilo professionale posseduto, prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici, impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie, inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro, esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale, esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo, ed altre assimilabili. La previsione della esposizione di rischio cui si collega la malattia psichica tabellata incontra tuttavia un limite ontologico e finalistico nella nozione categoriale data dalla Lista II in cui risulta inserita, risultando in essa raggruppate le malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità (a fronte delle malattie della Lista I di elevata probabilità e di contro alla Lista III relativa a malattie la cui origine lavorativa è possibile ), e nella disposizione dell'articolo 2 del medesimo decreto ministeriale laddove viene precisato che l'aggiornamento dell'elenco delle malattie di cui al decreto ministeriale del 14 gennaio 2008 per le quali è obbligatoria la denuncia ai sensi e per gli effetti dell'articolo 139 del testo unico approvato con D.P.R. 30 giugno 1965, n.1124 riguarda esclusivamente le voci della Lista I, gruppi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; la Lista II, gruppi 1 e 6, e la Lista III, gruppi 1 e 2 . 4 .1 - Il D.M. 11/12/2009 ha dunque aggiornato e integrato l'elenco delle malattie che devono essere segnalate ai sensi della normativa vigente, in particolare quelle potenzialmente correlate all'attività lavorativa, ma il confermato inserimento della costrittività organizzativa nel gruppo 7 della Lista II, in forza della limitata probabilità di origine lavorativa assegnatale, già così previsto nel D.M. 14/1/2008, necessita di un'indagine sull'idoneità delle peculiari modalità lavorative a provocare quella malattia. La previsione della disfunzione dell'organizzazione del lavoro quale causa del disturbo posttraumatico da stress non può prescindere da una verifica di tipo non soltanto medico-legale in ordine alla patologia psichica e psicosomatica descritta in tabella, ma soprattutto dalla verifica delle condizioni organizzative gravanti sul lavoratore quale fonte della disfunzione costrittiva, in ragione delle esposizioni di rischio derivanti dalle modalità di espletamento del lavoro come innanzi descritte. Ricorre, dunque, la necessità di una duplice verifica prima di attribuirne la connotazione di malattia tabellata : l'oggettiva esistenza di condizioni organizzative che costringono il lavoratore a ridurre la pienezza qualitativa e quantitativa delle mansioni, e la soggettiva alterazione psichica del vissuto lavorativo nell'ordinario e prolungato (non occasionale) svolgimento dell'attività lavorativa. 4.2 - Per ritenere presuntivamente ricorrente il nesso causale tra l'esposizione a rischio e la malattia diagnosticata occorre dunque una previa dimostrazione in fatto di atti e comportamenti che denotino una costrizione organizzativa potenzialmente nociva alla integrità psico-fisica del lavoratore, il che richiede una dimostrazione in fatto sulle modalità e presupposti causativi dell'effetto patologico; non basta acclarare l'adibizione a mansioni aventi i connotati esemplificativi, o ad essi assimilabili, elencati in Lista II gruppo 7, e la natura stressogena della patologia, ma occorre la dimostrazione della deviazione consapevole da un modello organizzativo che crei condizioni di marginalizzazione dalla attività lavorativa, di inattività forzata, di dequalificazione e frammentazione esecutiva delle prestazioni assegnate, di impedimenti o inadeguatezza informative e strumentali, di esasperate forme di controllo. In questi termini, la dimostrazione della reiterazione ed intento persecutorio di condotte datoriali orientate verso la denunciata costrittività organizzativa si rivela in stretta connessione causale con il diagnosticato disturbo psichico, rilevante anche ai fini della copertura assicurativa. 5. L'inclusione della malattia denunciata tra le malattie tabellate, ai sensi dell' articolo 3 D.P.R. n.1124/1965 , determina l'esistenza di una presunzione legale di origine professionale qualora il lavoratore abbia provato l'adibizione ad una lavorazione tabellata -o l'esposizione ad un rischio ambientale provocato da quella lavorazionee l'esistenza della malattia ed abbia effettuato la denuncia nel termine massimo di indennizzabilità (cfr. Cass. ord. n.3207/2019 ). Prima ancora di verificare se l'INAIL abbia assolto al proprio onere probatorio contrario sulla ricorrenza del nesso causale, attraverso la prova che la malattia sia stata determinata da cause extraprofessionali e non dal lavoro, occorre dunque che siano delineati gli aspetti oggettivi e soggettivi della lamentata costrittività organizzativa, e ciò non può prescindere da un accertamento in fatto compiutamente svolto nei due gradi di merito attraverso attività istruttoria di tipo tecnico (CTU in primo grado), documentale e testimoniale (in grado di appello). 5.1 - Se è vero, come osservato in ord. n.23665/2022, che la costrittività organizzativa o il mobbing, nelle loro varie manifestazioni, possono essere considerati in ambito INAIL ( Cass. 14 maggio 2020, n. 8948 ; Cass. 5 marzo 2018, n. 5066 ) e che l'inserimento di tali profili nelle tabelle di cui all' articolo 139 D.P.R. 1124/1965 può avere valore indiziario ( Cass. 12 settembre 2019, n. 22837 ; Cass. 2 agosto 2012, n. 13868 ); ma ciò non significa che l'esistenza di un disturbo psichico in connessione con il lavoro svolto sia, di per sé sola, ragione di copertura assicurativa, restando la fattispecie soggetta alle regole proprie delle malattie c.d. tabellate ; affinché si verifichi il rischio assicurato o la responsabilità datoriale e necessario che la situazione lavorativa intercetti una situazione obiettiva di nocività, perché il rapporto interpersonale interno ad un'organizzazione, inserito in una relazione continuativa, è in sé possibile fonte di tensioni, il cui sfociare in una malattia del lavoratore non può in sé dirsi ragione per la qualificazione in termini morbigeni dell'attività svolta, se non quando risulti l'eccedenza dalla norma, per fattori intenzionali (mobbing), per inadempimenti (dequalificazioni; svuotamento mansioni) o ricorrenze indebitamente stressogene (straining), anche sotto il profilo della perdurante eccedenza dei carichi o, al contrario, di vicende di emarginazione e simili . Il rilievo è tratto dalla pronuncia di questa Corte, con ord. n. 8948/2020 in cui, a conferma dell'orientamento espresso con ord. n. 5066/2018, è stato osservato che, nel richiamare il concetto di rischio tutelato ex articolo 1 D.P.R. n. 1124/65 e la natura delle malattie professionali di cui al successivo articolo 3, occorre tener presente che rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa, come questa Corte ha affermato in svariate occasioni (per le attività prodromiche, per le attività di prevenzione, per gli atti di locomozione interna, le pause fisiologiche, le attività sindacali) ai sensi dell' articolo 1 TU in materia di infortuni sul lavoro (cfr., tra le tante, Cass. 13882/16 , Cass. 7313/2016 , Cass. 27829/2009 ; Cass. 10317/2006 , Cass. 16417/2005 , Cass. 7633/2004 , Cass. 3765/2004 , Cass. 131/1990 ; Cass. 12652/1998 , Cass. 10298/2000 , Cass. 3363/2001 , Cass. 9556/2001 , Cass. 1944/2002 , Cass. 6894/2002 , Cass. 5841/2002 , Cass. 5354/2002 ). Lo stesso orientamento è stato riaffermato da questa Corte a proposito dell' articolo 3 TU e delle malattie professionali, nella sentenza n. 3227/2011, con la quale la protezione assicurativa è stata estesa alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, ritenuta meritevole di tutela ancorché, certamente, non in quanto dipendente dalla prestazione pericolosa in sé e per sé considerata (come rischio assicurato ), ma soltanto in quanto connessa al fatto oggettivo dell'esecuzione di un lavoro all'interno di un determinato ambiente . 5.2 - In questa ottica è stata riconosciuta, ad esempio, tutela ad un rischio generico (quello della percorrenza di un tratto stradale) cui soggiace qualsiasi persona che lavori, o l'estensione dell'ambito di tutela assicurativa in relazione alla nozione di rischio ambientale che delimita lo spazio entro il quale si esercitano le attività lavorative in modo oggettivo a prescindere dalla diretta adibizione ad una macchina, sì da individuare i soggetti tutelati nell'ambito dell'attività lavorativa (tutti i soggetti che frequentano lo stesso luogo a prescindere dalla manualità della mansione ed a prescindere dal fatto che siano addetti alla stessa macchina); e tanto in conformità al principio affermato in giurisprudenza costituzionale secondo cui a parità di rischio occorre riconoscere parità di tutela (con riferimento al rischio ambientale, Corte Cost. 206/1974 e n.114/1977 , per i lavoratori operanti nello stesso ambiente ed esposti alla stessa causa patogena). Prosegue Cass. ord. n.8948/20 In tal senso questa Corte si è espressa a Sez. Unite con la pronuncia 3476/1994 rapportando la tutela assicurativa al lavoro in sé e per sé considerato e non soltanto a quello reso presso le macchine , essendo appunto la pericolosità data dall'ambiente di lavoro. Ed ancora, nella stessa direzione muove, soprattutto, la nota sentenza della Corte Cost. n. 179/1988 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, comma primo, del testo unico numero 1124 del 1965 nella parte in cui non prevede che l'assicurazione contro le malattie professionali nell'industria è obbligatoria anche per le malattie diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate concernenti le dette malattie e da quelle causate da una lavorazione specificata , talché, come riconosciuto da questa Corte con sentenza n. 5577/1998, l'assicurazione contro le malattie professionali è obbligatoria per tutte le malattie anche diverse da quelle comprese nelle tabelle allegate al citato testo unico e da quelle causate da una lavorazione specificata o da un agente patogeno indicato nelle tabelle stesse, purché si tratti di malattie delle quali sia comunque provata la causa di lavoro . 6. Sul punto, la Corte territoriale ha apprezzato alcune delle circostanze di maggiore rilievo illustrative, nella prospettazione del ricorrente, della dedotta costrittività (un rapporto disciplinare per essersi il lavoratore rifiutato di inserire i dati nel sistema informatico (Omissis); gli esposti alla Procura della Repubblica da parte dei superiori gerarchici; il rigetto della domanda di modifica del giorno settimanale di rientro pomeridiano; le azioni vessatorie dei superiori che continuavano a vessare il ricorrente affinché lavorasse utilizzando il predetto sistema informatico e non quello precedentemente in uso; le condotte diffamatorie nei riguardi del ricorrente tacciato di dormire sul posto di lavoro e di non saper fare il proprio lavoro, nonché di essere mafioso e di possedere armi in macchina) escludendo per ciascuna di esse l'intento persecutorio, preordinato alla prevaricazione, e la loro afflittività ai fini della estromissione del dipendente dal contesto lavorativa per ciascun episodio citato la Corte, sulla base di prove testimoni Data e documentali, ha escluso il carattere persecutorio ed ha fornito una versione ricostruttiva dei fatti a giustificazione di quanto lamentato o accaduto. Si tratta di un convincimento di merito rispetto al quale, stante comunque l'irrilevanza della mera insufficienza motivazionale ( Cass., S.U., 7/4/2014, n. 8053 ), è irrilevante e non ammissibile la reiterazione della diversa versione ricostruttiva dei fatti, sia in presenza di una pronuncia di rigetto, in appello, confermativa del primo grado (cd. doppia conforme), sia in ragione della inaccessibile revisione del merito in sede di giudizio di legittimità. 6.1 - Così come non basta l'insorgere della malattia in sé sola a comprovare quanto necessario, se le condizioni della prestazione sono, secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non eccedenti la normalità dei rapporti di lavoro, in quanto, rispetto ad una patologia di natura psichica, non sono esclusi differenti fattori causali; d'altra parte, il ragionamento sulla normalità delle condizioni di lavoro non necessariamente deve svolgersi sulla base di una valutazione medico-legale, riguardando esso profili propri dei rapporti interpersonali nello speciale ambiente lavorativo, chiaramente di diretta pertinenza giudiziale. 7. Si osserva, inoltre, che il motivo di ricorso, come strutturato, sull'omesso esame di un fatto decisivo inerente alla natura di malattia tabellata a cui si applichi la regola dell'onere probatorio a carico di INAIL sulla fonte extralavorativa della patologia diagnostica, è peraltro inammissibile, in presenza di un dato istruttorio compiutamente svolto e analizzato dalla corte di merito, come innanzi argomentato. 7.1 - L' articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , riformulato dall' articolo 54 del D.L. 22/6/2012, n. 83 , conv. in legge 7/8/2012, n.134 , introduce nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli articolo 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. , il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Il principio, espresso dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053 del 2014, è stato più volte ripreso in altre pronunce della Corte di cassazione, con la precisazione che l'omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (ord. n.27415 del 2018 e n.17005 del 2024); va peraltro escluso che tale omesso esame possa riguardare l'argomentazione della parte la quale, svolgendo le proprie tesi difensive, non fa che manifestare il proprio pensiero sulle conseguenze di un certo fatto o di una determinata situazione giuridica (ord. n. 2961 del 2025) o che possa tradursi in una censura sul cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito (sent. N. 11892 del 2016), non inquadrabile nel paradigma dell' articolo 360, co.1, n. 5, c.p.c. (che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che -per il tramite dell' articolo 132, n. 4, c.p.c. - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante. Ed ancora, questa Corte ha precisato che nel paradigma del vizio denunciabile ai sensi del n.5 dell' articolo 360 c.p.c. non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (sent. n. 14802 del 2017), e che il vizio deve essere riferito ad un fatto inteso quale specifico accadimento storico-naturalistico (ord. n.24035 del 2018) la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti avente carattere decisivo (ord. n. 13024 del 2022). 8. Orbene, il ricorrente, nel formulare osservazioni critiche sull'argomentazione giudiziale espressa in sentenza, tralascia di indicare quale sia il fatto di cui sia stato omesso l'esame ed il rapporto di derivazione diretta tra l'omesso esame e la decisione a sé sfavorevole della controversia, circostanza che deve essere, a pena di inammissibilità del motivo, chiaramente allegata in ricorso (ord. n. 29954 del 2022). Peraltro, la valutazione delle prove raccolte costituisce un'attività riservata in via esclusiva all'apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, sicché rimane estranea al vizio previsto dall' articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c. qualsiasi censura volta a criticare il convincimento che il giudice si è formato, a norma dell' articolo 116, commi 1 e 2, c.p.c. , in esito all'esame del materiale istruttorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, atteso che la deduzione del vizio di cui all' articolo 360 n. 5 c.p.c. non consente di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali, contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione, da parte del giudice di legittimità, degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (ord. n.20553 del 2021). L'approfondimento svolto nella impugnata pronuncia ha infatti accertato l'assenza di comportamenti intenzionalmente vessatori, generatori di un ambiente logorante e stressogeno per il dipendente, non rispettoso di principi ergonomici e fonte di danno alla salute, e non sono emerse condizioni usuranti dal punto di vista psichico che, per effetto della ricorrenza di contatti umani in un contesto organizzativo e gerarchico, possano aver costituito fondamento per la tutela assicurativa pubblica ai sensi del D.P.R. n. 1124 del 1965 , nelle forme della c.d. costrittività organizzativa . 9. Analoghe considerazioni in fatto e in diritto coinvolgono l'analisi del secondo motivo di ricorso, anch'esso strutturato nel paradigma dell' articolo 360 co.1 n.5 c.p.c. La censura mossa dal ricorrente alla pronuncia di merito, invero, non indica i fatti, appartenuti alla causa, oggetto di discussione fra le parti, di cui non sia stata operata valutazione di merito; attraverso la ricostruzione in fatto e in diritto, la Corte ha rispettato la completezza motivazionale nel ritenere che i singoli episodi lamentati non siano espressivi di una disfunzione dell'organizzazione del lavoro. In dettaglio, la Corte ha rilevato che il rapporto disciplinare sul rifiuto di adempiere alle operazioni di inserimento graduale nel sistema (Omissis) delle matricole della gente di mare non recasse espressioni di giudizio di merito né imponesse sanzioni, che gli esposti alla Procura della Repubblica non contenessero toni accusatori o diffamatori ai danni del lavoratore quanto miravano a difendere l'operato degli esponenti già a loro volta destinatari di una precedente nota del lavoratore sulla mancanza di serenità lavorativa e su condotte vessatorie tenute a suoi danni, che il rigetto della domanda di modifica del giorno di rientro pomeridiano era motivato sull'esigenza di garantire il servizio di ricezione del pubblico e sulla mancanza di specifici impedimenti di altri familiari ad assistere un congiunto del lavoratore bisognevole di assistenza, che dall'istruttoria testimoniale svolta non erano emersi elementi di riscontro alle lamentate condotte diffamatorie, che dal provvedimento di archiviazione del procedimento disciplinare risultava che il lavoratore avesse ottemperato agli ordini impartiti con modalità diverse da quelle richieste dal suo superiore. Il ricorrente, da canto suo, ha espresso un dissenso valutativo all'iter argomentativo del giudice di merito, senza riportare nello specifico quali siano le evidenze storiche che avrebbero potuto consentire, diversamente da quanto ricostruito in fatto, di ritenere che gli atti adottati ed i comportamenti tenuti nel corso del rapporto lavorativo fossero espressivi di costrittività e causualmente connessi con il diagnosticato disturbo psichico. 10. L'ulteriore censura riportata nel secondo motivo di ricorso, sotto il profilo di violazione degli articolo 1362-1363 c.c. , è parimenti affetta da inammissibilità. Non va dimenticato che l'interpretazione del contratto è attività riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione ( Cass. ord. 20294/2019 ) e nel caso di specie il ricorrente non indica quale sia l'erronea valutazione compiuta dal giudice di merito nella interpretazione degli atti o dei comportamenti tenuti dalle parti nel corso del rapporto lavorativo in occasione dei singoli episodi denunciati (ut supra richiamati) sotto il profilo della difformità ermeneutica fornita in sede di giudizio rispetto ai criteri letterale, intenzionale, sistematico sanciti dalle citate disposizioni codicistiche. Trattasi, peraltro, di valutazioni compiute dal giudice di appello sulla base di dati probatori raccolti nel contraddittorio delle parti, espressive del prudente apprezzamento delle prove ai sensi dell' articolo 116 c.p.c. , che non soltanto non è stato oggetto di specifica censura come violazione di norma di legge processuale, ma neppure potrebbe risolversi in una inammissibile rivalutazione in sede di giudizio di legittimità dei mezzi di prova assunti nel giudizio di merito. La doglianza non indica una specifica violazione del canone ermeneutico bensì introduce una rinnovata valutazione del denunciato comportamento ostile datoriale. 11. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile. In presenza della dichiarazione esonerativa per motivi reddituali in caso di soccombenza, nulla si dispone in ordine alla regolazione delle spese processuali. 12. Ai sensi dell'articolo 52, co.2, del D.Lgs. n. 196/2003, in presenza di dati sensibili a tutela della dignità dell'interessato e della riservatezza dei dati inerenti alla salute, si dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente ordinanza, l'omissione delle generalità e di ogni altro dato identificativo della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell 'articolo 13 del D.P.R. n. 115 del 200 2, ove dovuto. Ai sensi dell 'articolo 52 del D.Lgs. n. 196 del 200 3, dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del ricorrente.