Ancora sulla legittimità del mutuo solutorio: definizione e rimedi

La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l'ordinanza in commento, torna ad occuparsi del mutuo solutorio, rimarcandone la legittimità in allineamento al recente insegnamento delle Sezioni Unite.

Il mutuo solutorio , ossia il mutuo seguito dalla contestuale o comunque immediata destinazione delle somme a ripianare debiti pregressi, ben lungi dal rappresentare una figura contrattuale atipica, è da intendersi regolarmente concluso con l'accredito delle somme sul conto corrente in quanto ciò determina l'effettiva disponibilità giuridica delle stesse da parte del mutuatario; ciò a prescindere dal successivo (logicamente, anche se cronologicamente contestuale) impiego delle somme, la cui destinazione è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore e autonomo, dipendente dal primo che lo ha reso possibile. I fatti dedotti in lite La fattispecie può sintetizzarsi nei seguenti termini. I clienti di una banca avevano contestato innanzi al Tribunale di Modena la validità di un contratto di mutuo fondiario poiché ritenuto simulato ovvero, in subordine, nullo per carenza di causa e per violazione della legge sull'usura. Con conseguente nullità delle garanzie personali e reali prestate al riguardo. Il primo Giudice aveva disatteso siffatte domande osservando, fra l'altro, che la somma mutuata era entrata nella disponibilità giuridica della mutuataria e che il mutuo non aveva, quale unico scopo, quello di costituire in favore della banca garanzie reali e personali. Veniva altresì accertato che il tasso moratorio previsto nel contratto di mutuo non era usurario. Il Tribunale di Modena accoglieva poi la domanda riconvenzionale della banca cessionaria dei crediti derivanti dal mutuo, intervenuta nel giudizio ai sensi dell' articolo 111 c.p.c. , con condanna degli attori al pagamento a suo favore di un ingente importo. Seguiva il gravame che veniva respinto dalla Corte d'Appello di Bologna. Da qui il ricorso per cassazione. Il risultato interpretativo del giudice di merito non è sindacabile in sede di legittimità Per quanto d'interesse, i ricorrenti hanno contestato l'interpretazione fornita dalla Corte d'Appello alla clausola contrattuale relativa ai tassi d'interesse corrispettivi e moratori riproponendo in sede di legittimità la diversa interpretazione dagli stessi ritenuta preferibile. La Prima Sezione avverte però che quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (tutte plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra (cfr. Cass. 2 maggio 2006, n. 10131 ; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899 ; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644 ; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539 ; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254 ; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125 ). In buona sostanza, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito bensì afferisce soltanto alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (cfr. Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465 ; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891 ; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355 ). Ragion per cui la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articolo 1362 e ss. c.c. , avendo l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (v. Cass. 15 novembre 2013, n. 25728 ). Per tali ragioni il motivo di ricorso viene dichiarato inammissibile. La cessione dei crediti in blocco è «affare del giudice di merito» La Corte respinge il ricorso anche nella parte in cui i clienti hanno contestato la legittimazione e la titolarità del rapporto in capo alla banca cessionaria dei crediti. Ad avviso della Corte infatti l'accertamento della ricomprensione di un certo rapporto nell'ambito del «blocco» oggetto di una cessione dei crediti è affare del giudice di merito (tra le tante Cass. 10 febbraio 2023, n. 4277 ; Cass. 22 giugno 2023, n. 17944 ), sottratto al sindacato di legittimità. Il mutuo solutorio come contratto tipico La Prima Sezione della Suprema Corte nel respingere il ricorso coglie l'occasione per ribadire che i l c.d. mutuo solutorio, ossia il mutuo seguito dalla contestuale o comunque immediata destinazione delle somme a ripianare debiti pregressi, è da intendersi perfettamente concluso con l'accredito delle somme sul conto corrente , in quanto ciò determina l'effettiva disponibilità giuridica delle stesse da parte del mutuatario, e ciò a prescindere dal successivo (logicamente, anche se cronologicamente contestuale) impiego delle somme, la cui destinazione è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore, autonomo benché ovviamente dipendente dal primo, in quanto proprio dal primo reso possibile. La Prima Sezione aderisce quindi pienamente ai principi recentemente enunciati dalla Sezioni Unite con sentenza 5 marzo 2025, n. 5841 , precisando altresì che il sintagma «mutuo solutorio» non definisce una figura contrattuale atipica, né diversa dal contratto tipico di mutuo, ma piuttosto «una valenza meramente descrittiva di un particolare utilizzo del mutuo». In questa direzione, non è dunque possibile qualificare il mutuo solutorio come pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché tale spostamento invece vi è ed è anzi presupposto dell'operazione: l'accredito in conto corrente delle somme erogate non solo è sufficiente ad integrare la datio rei giuridica propria del mutuo, ma anzi proprio la possibilità di un loro impiego è condizione per estinguere il debito già esistente. Esclusa quindi l'intrinseca illegittimità del mutuo solutorio , la Prima Sezione osserva, in punto di rimedi, che l'eventuale sua finalizzazione al pregiudizio delle ragioni dei terzi rileva sotto il profilo dell'inefficacia (revocatoria ordinaria o fallimentare). L'arresto delle Sezioni Unite e il precedente contrasto di legittimità Come sopra anticipato, la Prima Sezione ha aderito ai principi recentemente enunciati dalla Sezioni Unite con sentenza 5 marzo 2025, n. 5841 , secondo cui il perfezionamento del contratto di mutuo – con la conseguente nascita dell'obbligo restitutorio a carico del mutuatario –  si verifica nel momento in cui la somma mutuata , ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo , attraverso l'accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante. Ad avviso delle S.U., infatti, tale destinazione costituisce il frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale e non incide sulla validità del contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), come titolo esecutivo. L'arresto delle Sezioni Unite dirime il contrasto creatosi tra due orientamenti : a) il primo , per vero minoritario e più recente ( Cass. n. 20896/2019 , Cass. n. 7740/2020 ; Cass. n. 1517/2021 ), ad avviso del quale l'accordo contrattuale con la quale si realizza l'utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione debitoria del cliente correntista, con contestuale costituzione a favore della banca di una garanzia reale, integra un'operazione meramente contabile di dare e avere su conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario. In questa prospettiva, siffatta operazione provocherebbe l'effetto sostanziale di dilatare le scadenze dei debiti pregressi con conseguente applicazione dell' articolo 1231 c.c. che, infatti, fa espresso riferimento alle modificazioni accessorie dell'obbligazione le quali, come tali, non producono novazione. Non vi sarebbe pertanto alcuna novazione dell'originaria obbligazione del correntista; ciò in quanto manca l' animus novandi , posto che nei contratti di mutuo solutorio non si rintraccia in genere alcuna espressa e inequivoca volontà di estinguere l'obbligazione precedente. Il titolo esecutivo, azionabile dall'istituto di credito a fronte di un inadempimento del mutuatario, dovrà di conseguenza ritenersi costituito (esclusivamente) dal mutuo originario e non dalla successiva modificazione di quel rapporto; b) il secondo , tradizionale e prevalente ( Cass. n. 5193/1991 , Cass. n. 11116/1992 , Cass. n. 1945/1999 , Cass. n. 23149/2022 , Cass. n. 37654/2021 , Cass. n. 724/2021 ; Cass. n. 16377/2023 , Cass. n. 31560/2023 , Cass. n. 5151/2024 ; Cass. n. 2779/2024 ) secondo cui il mutuo solutorio, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non è nullo, in quanto non contrario né alla legge, né all'ordine pubblico. In base a siffatta diversa prospettiva, l'accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente a integrare la datio rei giuridica propria del mutuo; il perfezionamento del contratto di mutuo, infatti, con la consequenziale nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a detto fine, che sia previsto l'obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. L'effettività della traditio è in tal caso del resto dimostrata dal fatto che l'impiego per l'estinzione del debito già esistente produce l'effetto di purgare il patrimonio del mutuatario di una posta negativa. Il ripianamento delle passività costituisce, infatti, una delle possibili modalità di impiego della somma mutuata e dimostra che il mutuatario abbia potuto disporre della somma; né un tale impiego può considerarsi di per sé illecito in quanto lesivo dei diritti o delle aspettative dei creditori dal momento che, a tutela di chi risulti danneggiato da tale atto negoziale, l'ordinamento appresta rimedi speciali e la sanzione dell'inefficacia.   Le S.U. hanno dato continuità a questo secondo orientamento, statuendo che la destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse non presenta di per sé carattere di intrinseca illegittimità. Con la doverosa precisazione che, in concreto, il c.d. mutuo solutorio potrebbe mascherare un atto in frode ai creditori o un mezzo anomalo di pagamento . Una tale finalizzazione dell'operazione rileverebbe però soltanto sotto il profilo dell'inefficacia (revocatoria ordinaria o fallimentare), non dell'invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative. Gli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non sono, infatti, illeciti né nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell'ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato (cfr. Cass. Sez. U. n. 33719/2022 ).

Presidente Scoditti - Redattore Catallozzi Rilevato che: - la (OMISSIS) s.r.l., D. P., R. P. e la (OMISSIS) s.a.s. di D. P. propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata 15 settembre 2023, di reiezione dell'appello per la riforma della sentenza del Tribunale di Modena che aveva respinto le loro domande di accertamento della simulazione del contratto di mutuo fondiario stipulato dalla predetta (OMISSIS) s.r.l. con la (OMISSIS) s.p.a. o, in via subordinata, della sua nullità per carenza di causa o per usurarietà del tasso di interesse pattuito, con conseguente declaratoria di nullità delle garanzie personali e reali prestate dalla (OMISSIS) di P. D. s.a.s., P. D. e P. R., e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della banca, aveva condannato gli attori, in solido fra loro, al pagamento in favore di quest'ultima della somma di euro 176.277,02, oltre interessi legali; - la Corte di appello ha riferito che la allegazione di simulazione o nullità per carenza di causa del contratto di mutuo fondiario dedotto in giudizio si basava sul fatto che la somma mutuata non era mai entrata nella disponibilità della mutuataria, essendo stata funzionale all'estinzione di un debito di un terzo (la (OMISSIS) s.a.s.) e alla costituzione in favore della banca di ulteriori garanzie e, in via alternativa, sulla natura usuraria del tasso di interesse di mora pattuito; - ha dato atto che il giudice di prime cure aveva disatteso le domande attoree, osservando, in particolare, che la somma mutuata era entrata nella disponibilità giuridica della mutuataria, che il mutuo non aveva, quale unico scopo, quello di costituire in favore della banca garanzie reali e personali per il debito della (OMISSIS) s.a.s. e che il tasso di interesse moratorio non era usurario, e aveva ritenuto fondata la domanda riconvenzionale della banca, avuto riguardo all'accertato inadempimento al contratto di mutuo fondiario oggetto di causa; - ha, quindi, respinto il gravame degli odierni ricorrenti confermando, sostanzialmente, le motivazioni poste dal Tribunale a fondamento della decisione appellata; - il ricorso è affidato a tre motivi; - resistono con distinti controricorsi sia la (OMISSIS) s.p.a., sia la (OMISSIS) s.p.a., quale mandataria della (OMISSIS) s.r.l., intervenuta, quale cessionaria del credito controverso, nel corso del grado di appello; - a seguito di proposta di definizione del giudizio a norma dell'articolo 380-bis cod. proc. civ., i ricorrenti chiedono la decisione della causa; - le parti depositano memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 cod. proc. civ.; Considerato che: - il primo motivo è così rubricato: «Vizio di motivazione per mancata ammissione della richiesta di prova testimoniale. Vizio di violazione di legge ex articolo 360 n. 3 c.p.c. , in relazione agli articolo 112 c.p.c. , 1414, 1417 c.c. per avere la Corte di appello di Bologna escluso la ricorrenza, nel caso di specie, di un accordo simulatorio»; - con il secondo motivo si deduce il «Vizio di violazione di legge ex articolo 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli articolo 1815, 1418, 1419 e 1367 c.c. e motivazione contraddittoria per non avere la Corte di appello di Bologna affermato la nullità della clausola di determinazione degli interessi di mora di cui all'articolo 3 del contratto di mutuo del 19/06/2014 e le relative conseguenze applicative»; - con il terzo motivo si lamenta il «Vizio di violazione di legge ex articolo 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli articolo 58 tub , 2697 c.c., 111, 115 e 116 c.p.c., per non avere la Corte di appello di Bologna verificato in concreto, secondo le risultanze processuali, se il presunto credito oggetto di causa rientrasse effettivamente o meno nel contratto di cessione in favore di (OMISSIS)»; - la proposta di definizione del giudizio ha ritenuto che tutti i motivi di ricorso fossero inammissibili; - con riferimento al primo motivo ha evidenziato che «Nel dedurre «vizio di motivazione per mancata ammissione della richiesta di prova testimoniale» i ricorrenti non si confrontano con la ratio decidendi adottata dal giudice del merito, il quale ha invece motivato il diniego di ammissione della prova testimoniale affermando che «tutte le suesposte argomentazioni», e cioè quelle concernenti la validità del c.d. mutuo solutorio, «escludono la rilevanza delle prove dedotte, volte a comprovare i presupposti in punto di fatto delle suddette deduzioni in diritto di cui si è appena evidenziata la infondatezza». La corte territoriale ha insomma con tutta chiarezza inteso dire che la narrazione articolata nella prova testimoniale non segnalava alcuna discrasia tra volontà e dichiarazione, bensì un programma negoziale che, ove pure svoltosi secondo l'originaria prospettazione attrice, era da ritenere vero e reale, oltre che lecito. Orbene, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (tra le tante Cass. n. 5654 del 07/03/2017 ): nel caso in esame, viceversa, la prova testimoniale era evidentemente superflua, visto che, ove pure riscontrata corrispondenza al vero delle circostanze prospettate, il contratto sarebbe rimasto, vero, reale e lecito»; - in ordine al secondo motivo ha osservato che «Esso censura in realtà l'interpretazione data dalla corte d'appello della clausola contrattuale concernente il cumulo di corrispettivi e moratori, contrapponendo all'interpretazione data la propria, che sarebbe preferibile: ma è cosa nota che in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati ( Cass. 10 febbraio 2015, n. 2465 ; Cass. 26 maggio 2016, n. 10891 ; Cass. 14 luglio 2016, n. 14355 ). In particolare, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell'interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli articolo 1362 e ss. c.c. , avendo l'onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato ( Cass. 15 novembre 2013, n. 25728 ). D'altronde, per sottrarsi al sindacato di legittimità, sotto entrambi i cennati profili, quella data dal giudice al contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito - alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito - dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l'altra ( Cass. 2 maggio 2006, n. 10131 ; Cass. 25 ottobre 2006, n. 22899 ; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644 ; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539 ; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254 ; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125 )»; - infine, in merito al terzo motivo, ha sottolineato che «I ricorrenti negano che la legittimazione attiva della cessionaria non fosse stata tempestivamente contestata, come invece ritenuto dalla corte d'appello: e però, nel vigore del novellato articolo 115 c.p.c. , a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l'effetto della relevatio ad onere probandi, spetta al giudice del merito apprezzare, nell'ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l'esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte ( Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680 ), ferma restando la sindacabilità del giudizio per vizio motivazionale ( Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490 ). Ora, la genericità della contestazione constatata dal giudice di merito trova in effetti riscontro nella stessa esposizione contenuta in ricorso, giacché gli originari attori inizialmente «impugnano e contestano estensivamente le comparse di costituzione e risposta della (OMISSIS) nonché della (OMISSIS) - quest'ultima intervenuta nel giudizio ex articolo 111 c.p.c. , ed entrambe prive di legittimazione nonché di titolarità», contestazione in effetti all'evidenza del tutto generica, e solo in conclusionale hanno rilevato «il difetto di legittimazione e di titolarità del rapporto dal lato attivo in capo a (OMISSIS), non avendo la predetta società dimostrato che il preteso credito de quo agitur abbia fatto oggetto del contratto di cessione». Ciò detto, indipendentemente dall'efficacia probatoria della produzione dell'avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che rechi l'indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, quel che è indubbio, nella giurisprudenza di questa Corte, è che l'accertamento della ricomprensione di un certo rapporto nell'ambito del «blocco» oggetto di cessione è affare del giudice di merito (tra le tante Cass. n. 4277 del 10/02/2023 ; Cass. n. 17944 del 22/06/2023 ), il quale, nella specie, ha effettuato la verifica, osservando che: «Da un lato, le risultanze dell'avviso di G.U., dall'altro lato, la generica e inefficace contestazione di parte appellante, inducono a ritenere provata la titolarità del credito pecuniario in capo a (OMISSIS) SRL», accertamento di merito sottratto al sindacato di questa Corte»; - il Collegio condivide tali considerazioni; - può aggiungersi, anche in replica alle osservazioni spiegate nella istanza di opposizione, che, come di recente autorevolmente affermato da questa Corte, con sentenza del 5 marzo 2025, n. 5841, resa a Sezioni Unite, il c.d. mutuo solutorio, ossia il mutuo seguito dalla contestuale o comunque immediata destinazione delle somme a ripianare debiti pregressi, è da intendersi perfettamente concluso con l'accredito delle somme sul conto corrente, in quanto ciò determina l'effettiva disponibilità giuridica delle stesse da parte del mutuatario, e ciò a prescindere dal successivo (logicamente, anche se cronologicamente contestuale) impiego delle somme, la cui destinazione è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore, autonomo benché ovviamente dipendente dal primo, in quanto proprio dal primo reso possibile; - ne consegue che il sintagma «mutuo solutorio» non definisce una figura contrattuale atipica, né diversa dal contratto tipico di mutuo, ma piuttosto «una valenza meramente descrittiva di un particolare utilizzo del mutuo»; - ha aggiunto che «Non è dunque possibile qualificare il mutuo solutorio come pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché tale spostamento invece vi è ed è anzi presupposto dell'operazione: l'accredito in conto corrente delle somme erogate non solo è sufficiente ad integrare la datio rei giuridica propria del mutuo, ma anzi proprio la possibilità di un loro impiego è condizione per estinguere il debito già esistente»; - ha, inoltre, concluso che la destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse, non presenta di per sé carattere di intrinseca illegittimità e osservato che una eventuale finalizzazione del c.d. mutuo solutorio al pregiudizio delle ragioni dei terzi rileva sotto il profilo dell'inefficacia (revocatoria ordinaria o fallimentare), ma non dell'invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative, e che, ove si tratti di mutuo fondiario, la sua finalizzazione al ripianamento di debiti pregressi non configura una causa di nullità del contratto per mancanza di causa, avuto riguardo alla estraneità dello scopo del finanziamento dalla causa del contratto, rappresentata, al contrario, dall'immediata disponibilità di denaro, a fronte della concessione di una garanzia immobiliare ipotecaria, e dall'obbligo di restituzione della somma erogata; - per le suesposte considerazioni, pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile; - le spese del giudizio seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo; - poiché il giudizio è definito in conformità della proposta, va disposta la condanna della parte istante a norma dell' articolo 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540 ); - i ricorrenti vanno, dunque, solidalmente condannati, nei confronti di ciascuna parte controricorrente, al pagamento di una somma che può equitativamente determinarsi in euro 5.000,00, oltre che al pagamento dell'ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile; condanna i ricorrenti, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi euro 5.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge. Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento della somma di euro 5.000,00 in favore di ciascuna parte controricorrente e dell'ulteriore somma di euro 2.500,00, in favore della Cassa delle ammende. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.