Nella pronuncia in esame si ricorda che «non sussiste un obbligo della gestante di denunciare la propria condizione, obbligo che potrebbe comportare una disparità di trattamento tra generi» e «non può essere desunto dai canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c. o da altri generali principi dell'ordinamento».
Il caso in oggetto vede come protagonista una lavoratrice in dolce attesa , che si è vista negata da parte della Corte d'appello di Venezia, in riforma della pronuncia del Tribunale di Treviso, la domanda di nullità del licenziamento intimato, avendo accertato la tempestività della revoca del suddetto licenziamento (seppur comunicato oltre il termine previsto dall' articolo 5 del d.lgs. n. 23/2015 ) e l'illegittimità del rifiuto della lavoratrice di riprendere il servizio (tale da determinare un fondato motivo di licenziamento per giusta causa dovuta ad assenza ingiustificata). Riprendendo la giurisprudenza sulla tematica in esame, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso della gestante, esprime un importante principio di diritto: « anche in caso di lavoratrice in gravidanza , il diritto potestativo di revoca del licenziamento dettato dall'articolo 5 della legge n. 23 del 2015 decorre sempre dalla data di impugnazione del licenziamento medesimo (pur se tale impugnazione non denunci lo stato di gravidanza); il termine perentorio di 15 giorni per l'esercizio di tale diritto di revoca non è suscettibile di interruzione o sospensione alcuna a seguito di successiva produzione di documentazione concernente lo stato di gravidanza».
Presidente Manna – Relatore Boghetich Fatti di causa 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in riforma della pronuncia del Tribunale di Treviso, ha respinto la domanda di Bo.Ma. di nullità del licenziamento intimato, dallo STUDIO PARTES Srl, il 4.5.2022 in quanto intimato nei confronti di lavoratrice in stato di gravidanza, avendo accertato la tempestività della revoca del suddetto licenziamento (seppur comunicato oltre il termine previsto dall' articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 ) e l'illegittimità del rifiuto della lavoratrice di riprendere il servizio (tale da determinare un fondato motivo di licenziamento per giusta causa dovuta ad assenza ingiustificata). 2. La Corte territoriale ha ritenuto di interpretare l' articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 nel senso che, ove il motivo di invalidità del licenziamento non attenga alle ragioni per le quali il licenziamento è stato intimato (nel caso di specie, stato di gravidanza rispetto ad un licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo), il termine di 15 giorni per esercitare il diritto potestativo di revoca dell'atto di recesso decorre solamente con l'atto di impugnazione del lavoratore che renda noto il profilo di invalidità; ad avviso della Corte d'Appello la decorrenza di tale termine perentorio da una qualsiasi impugnazione del licenziamento (posta in essere senza alcuna specificazione del motivo invalidante non conosciuto o non conoscibile dal datore di lavoro) si porrebbe in contrasto sia con la ratio deflattiva e di ragionevole componimento dei contrapposti interessi che connotano l'istituto sia con i generali principi di parità di trattamento e di ragionevolezza ex articolo 3 Cost. ; sulla scorta di tale interpretazione, la Corte territoriale ha ritenuto che la generica impugnazione del licenziamento (in quanto illegittimo e/o nullo e/ inefficace ) inviata l'11.3.2022 (rispetto ad un licenziamento, per giustificato motivo oggettivo, comunicato il 21.2.2022) non fosse suscettibile di far decorrere il termine per l'esercizio potestativo della revoca del licenziamento, che ha iniziato a decorrere solamente dalla lettera di integrazione dell'impugnazione inoltrata dalla lavoratrice (con comunicazione del 31.3.2022) con la quale si informava dello stato di gravidanza e alla quale si allegava certificato medico; conseguentemente, la dichiarazione di revoca, comunicata il 7.4.2022, sarebbe stata tempestiva e il secondo licenziamento (intimato, il 4.5.2022, per assenza ingiustificata rispetto all'invito a riprendere l'attività lavorativa dal 12.4.2022) sarebbe stato legittimo. 3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la lavoratrice con due motivi; la società ha resistito con controricorso, illustrato da memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione e/o falsa applicazione degli articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 e 6 della legge n. 604 del 1966 ( ex articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ), avendo la Corte territoriale introdotto nella fattispecie legislativa un requisito formale (la comunicazione del motivo invalidante il recesso, nella specie lo stato di gravidanza) non previsto nella disposizione normativa. 2. Con il secondo motivo si denunzia errata violazione e/o falsa applicazione degli articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e 2119 c.c. ( ex articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ), avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto sussistente il rapporto di lavoro (in conseguenza della revoca del licenziamento, ritenuta erroneamente tempestiva) e non esercitabile il diritto di opzione dell'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro. 3. I motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione, meritano accoglimento nei sensi qui di seguito esplicitati. 4. I giudici del merito hanno accertato che il licenziamento intimato dalla società è stato comunicato alla lavoratrice quando era in stato di gravidanza; hanno, poi, sottolineato che la revoca del recesso è stata adottata dal datore di lavoro oltre i termini temporali previsti dall' articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 (applicabile, ratione temporis, alla fattispecie), se si considerava il primo atto di impugnazione (generico) del licenziamento inviato dalla lavoratrice, ma che una interpretazione della disposizione normativa coerente con i principi dell'ordinamento imponeva di considerare, quale dies a quo del termine perentorio di 15 giorni, il successivo invio (da parte della lavoratrice) del certificato medico. A parere della Corte distrettuale, dunque, nel caso di motivi invalidanti il licenziamento non conosciuti (o non conoscibili) dal datore di lavoro e non inerenti alle ragioni per le quali il licenziamento è stato intimato, il termine perentorio di 15 giorni per la revoca decorre dalla conoscenza (o conoscibilità) del suddetto motivo invalidante. 5. Va premesso che la tutela avverso i licenziamenti dettata, ratione temporis, dalla legge n. 604 del 1966 , dall'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e dal D.Lgs. n. 23 del 2015 è disciplina speciale, diversa da quella ordinaria; questo regime speciale dettato dal legislatore per la risoluzione del rapporto di lavoro prevede, a fini di assicurare certezza dei rapporti giuridici, un termine di decadenza per impugnare tutti i licenziamenti invalidi (quindi, anche per quelli nulli, salva l'ipotesi del licenziamento orale) e al lavoratore che non ha impugnato nel termine di decadenza è precluso il diritto di far accertare in sede giudiziale l'illegittimità del recesso e di conseguire il risarcimento del danno: se tale onere non viene assolto, il giudice non può conoscere della illegittimità del licenziamento, neppure per ricollegare al recesso conseguenze risarcitorie di diritto comune (cfr. Cass. n. 5545/2007 , Cass. nn. 5107 e 2676 del 2010, Cass. n. 9827/2021 ); per impugnare il licenziamento non si richiedono formule particolari, essendo sufficiente, come testualmente specificato dall' articolo 6 della L. n. 604 del 1966 , qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore di impugnare il licenziamento medesimo (cfr. da ultimo Cass. n. 10883/2021 ), essendo esclusivamente rilevante che l'atto esprima la volontà inequivoca di impugnare il licenziamento (cfr. Cass. n. 12709/1997 ), volontà a fronte della quale incombe unicamente sul datore di lavoro l'onere di provare la sussistenza di una giustificazione del recesso ( ex articolo 5 della legge n. 604 del 1966 ). 6. La disciplina speciale dettata dal legislatore per la risoluzione dei rapporti di lavoro prevede, altresì, la revoca del licenziamento ( articolo 18, comma 10 della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012 nonché articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 ) che richiede l'esercizio del diritto entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del licenziamento; in tal caso, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo anteriore alla revoca, mentre non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti da detti articoli. 7. Il diritto di revoca disciplinato da queste norme ( articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 che riproduce l' articolo 18, comma 10, della legge n.300 del 1970 ) ha natura di diritto potestativo: il legislatore riconosce al datore di lavoro il potere di modificare la sfera giuridica del lavoratore con un atto unilaterale, senza la necessità di un consenso da parte di quest'ultimo; il ripensamento del recesso produce effetti immediati nella sfera giuridica del lavoratore, consentendo la disapplicazione dei regimi sanzionatori (rispettivamente delineati dai primi commi dell' articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e dagli articolo 2 e 3 del D.Lgs. n. 23 del 2015 ) purché di questo diritto sia esercitato entro il breve lasso di termine perentorio ivi previsto (15 giorni dall'impugnazione del licenziamento). 10. Le condizioni previste dal legislatore per l'esercizio di tale diritto potestativo sono chiaramente dettate dalle disposizioni normative ( articolo 18, comma 10 della legge n. 300 del 1970 e 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015) e volte fini di certezza dei rapporti giuridici e di equilibrato contemperamento dei contrapposti interessi (un breve lasso di tempo che consente la ripresa del rapporto di lavoro, il pagamento del periodo di inattività forzata del lavoratore, l'esclusione di ulteriori risarcimenti). 11. Al di fuori di dette condizioni (in specie, decorso il breve termine perentorio di 15 giorni previsto per l'esercizio del diritto potestativo), si riespandono i principi generali dell'ordinamento secondo i quali, nel rispetto dell'autonomia negoziale delle parti e in presenza di un licenziamento invalido, la revoca del licenziamento tramite proposta di ricostituzione del rapporto di lavoro presuppone l'accettazione da parte del lavoratore della suddetta proposta comunicata dal datore di lavoro (in applicazione dell' articolo 1326 c.c. ); questa Corte ha, invero, già affermato che l' articolo 18, comma 10, della legge n. 300 del 1970 non configura un divieto generale di revoca del licenziamento ove intervenuta fuori dagli indicati limiti temporali, in quanto in tali casi vale la giurisprudenza già elaborata sulla possibilità di rinnovare il licenziamento disciplinare nullo per vizio di forma (che integra un negozio diverso dal precedente ed esula dunque dallo schema dell' articolo 1423 c.c. , norma che impedisce la sanatoria di un negozio nullo ex tunc, non a comprimere la libertà di autonomia negoziale; cfr. Cass. n. 12448/2018 ); medesima facoltà deve essere ribadita in caso di applicazione dell' articolo 5 del D.Lgs.n. 23 del 2015 , sempre distinguendo tra diritto potestativo di revoca (che opera immediatamente, nel ristretto arco di tempo previsto dalla disposizione normativa) e proposta di ricostituzione del rapporto (che richiede l'accettazione del lavoratore). 12. Trattandosi, dunque, di ius poenitendi di carattere eccezionale rispetto ai principi generali dell'ordinamento, la disposizione normativa (nel caso di specie, l' articolo 5 del D.Lgs. n. 23 del 2015 ) non può essere applicata oltre il caso specifico, chiaramente delineato dal tenore lessicale (che impone, senza alcun distinguo, l'esercizio del diritto entro un termine breve che decorre dall'impugnazione del licenziamento): ciò rappresenta il frutto di un bilanciamento contemperato di interessi contrapposti da parte del legislatore (la libertà di iniziativa economica, ex articolo 41 Cost. , e la protezione della maternità, ex articolo 31 Cost. ), bilanciamento che si inserisce organicamente nell'ambito della disciplina speciale dettata per la risoluzione dei rapporti di lavoro innanzi delineata alla luce della quale va ricostruita la ratio della disposizione normativa. 13. Trattandosi, inoltre, di termine di decadenza è, come tale, insuscettibile, ex articolo 2964 c.c. , di interruzione e (in mancanza di disposizione contraria) di sospensione, pur avendo – questa Corte – già precisato che deve aversi riguardo al momento di invio della comunicazione (di revoca) al lavoratore (e non a quello della sua acquisita conoscenza), proprio perché la tempestiva revoca del licenziamento costituisce esercizio di un diritto potestativo del datore di lacoro, che produce in via immediata la modifica della sfera giuridica del destinatario (Cass. n. 16630 del 2024). 14. Inoltre, si deve rammentare che questa Corte ha già affermato che non sussiste un obbligo della gestante di denunciare la propria condizione, obbligo che potrebbe comportare una disparità di trattamento tra generi , e che non può essere desunto dai canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli articolo 1175 e 1375 c.c. o da altri generali principi dell'ordinamento , in quanto esso finirebbe per rendere inefficace la tutela della lavoratrice madre ed ostacolerebbe la piena attuazione del principio di parità di trattamento, garantito costituzionalmente e riaffermato anche dalla normativa comunitaria (Direttive CEE n. 76/207 e 92/85) (cfr. Cass. n. 9864/2002 ) , principi che, peraltro, non confliggono con un onere di collaborazione e cooperazione dei lavoratori al fine di porre in grado il datore di lavoro di assumere le decisioni (oltre che legittime) più opportune per la tutela della salute e del benessere dei dipendenti (cfr. in questa direzione, Cass. n. 14316/2024 che sottolinea, quale fase ineludibile, l'onere datoriale di acquisire informazioni cui non può corrispondere un comportamento ostruzionistico del lavoratore). 15. Il ricorso va, pertanto, accolto e va affermato il seguente principio di diritto: anche in caso di lavoratrice in gravidanza, il diritto potestativo di revoca del licenziamento dettato dall'articolo 5 della legge n. 23 del 2015 decorre sempre dalla data di impugnazione del licenziamento medesimo (pur se tale impugnazione non denunci lo stato di gravidanza); il termine perentorio di 15 giorni per l'esercizio di tale diritto di revoca non è suscettibile di interruzione o sospensione alcuna a seguito di successiva produzione di documentazione concernente lo stato di gravidanza. 16. In accoglimento dei motivi di ricorso, e in riforma della sentenza impugnata, la causa va rinviata alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che si atterrà al principio di diritto innanzi affermato e provvederà alla valutazione delle relative conseguenze sul rapporto di lavoro tra le parti e a regolare le spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà, altresì, sulle spese del presente giudizio di legittimità.