Integra il reato di truffa aggravata il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo loro credere di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l'ingiusto profitto consistente nell'incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime.
Padre, madre e figlia sono stati condannati con doppia conforme per il delitto di truffa pluriaggravata e continuata in concorso , perché con artifici o raggiri, consistiti nello sfruttare la fama di mago, cartomante e guaritore di, nell'ingenerare falsamente nelle persone offese la convinzione di pericoli immaginari o di malattie cagionate da entità negative gravanti su loro stessi o sui loro familiari, approfittando, in talune occasioni, anche della particolare vulnerabilità e dell' età delle persone offese , inducendoli in errore per aver fatto credere di preservare ovvero di poter guarire loro e i loro familiari, con esorcismi e con pratiche magiche asseritamente terapeutiche, si procurarono un ingiusto profitto consistito nelle somme elargite dalle persone offese, quale corrispettivo per i rituali magici effettuati. Gli imputati proponevano ricorso, lamentando che i giudici di merito avevano ritenuto che il mero esercizio dell' attività di occultista fosse sufficiente ad ingenerare nelle persone offese la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli. La Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, sul rilievo che se ai fini della configurabilità dei reati di truffa non è sufficiente il solo fatto dell'esercizio a pagamento (e su richiesta dei clienti) del ruolo di mago, guaritore occultista, né che la mera credenza nell'esistenza di poteri magici sia idonea a configurare il raggiro doloso del mago, tuttavia, alla luce delle risultanze istruttorie, dovevano ritenersi logicamente esistenti i presupposti del reato di truffa pluriaggravata e continuata. I giudici di legittimità consolidano l'orientamento elaborato in tema di truffa vessatoria , secondo cui deve ritenersi configurata l'ipotesi aggravata del reato di truffa, di cui all' articolo 640 comma 2, n. 2, c.p. nel fatto di colui che, sfruttando la notorietà creatasi di mago o di guaritore, ingeneri nelle persone offese il pericolo immaginario dell'avveramento di gravi malattie e faccia credere alle stesse di poterle guarire o di poterle preservare e le induca in errore, compiendo asseriti esorcismi o pratiche magiche o somministrando e prescrivendo sostanze e si procura così, nel richiedere e accettare da quelle, un ingiusto profitto con danno delle stesse ( Cass. n. 5265/1996 , la quale ha altresì ritenuto che la prospettazione dell'insorgere di gravi malattie o dell'interruzione del relativo trattamento terapeutico erano tali da configurare l'elemento delle minacce finalizzate al compimento di atti di libidine; in senso conforme Cass. n. 10256/2002, la quale ha ritenuto il delitto in esame nei confronti di un soggetto che, nell'esercizio della sua attività di mago, aveva ottenuto da alcune vittime delle somme di denaro, facendo loro credere di avere poteri in campo medico e sentimentale, e di poter eliminare il malocchio attraverso pratiche esoteriche; Cass. n. 1910/2005; Cass. n. 1862/2006 ; Cass. n. 42445/2012 ). Si è precisato, inoltre, che ricorre l'aggravante prevista dall' articolo 640 comma 1, n. 2, c.p. , ove l'agente rappresenti il pericolo di un evento dannoso (la cui evenienza prescinde dalla sua volontà), correlato all'azione di forze occulte e tale che un comune discernimento è in grado di individuare come non reale; ne deriva che l'aggravante è configurabile tanto nel caso in cui l'agente prospetti alla persona offesa la necessità di compiere rituali magici per scongiurare la realizzazione di un male futuro, quanto nell'ipotesi in cui il rituale magico venga indicato come l'unica soluzione per allontanare il male esistente ( Cass. n. 48249/2016 ). Per i giudici di legittimità integra il delitto di cui all' articolo 640 comma 2, n. 2, c.p. e non la fattispecie di abuso della credulità popolare - depenalizzata dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 -, il cui elemento costitutivo e differenziale si individua nel turbamento dell'ordine pubblico e nell'azione rivolta nei confronti di un numero indeterminato di persone, il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore , ingeneri nelle persone offese la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, così procurandosi l'ingiusto profitto consistente nell'incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime ( Cass. n. 49519/2019 ). Nella vicenda portata all'attenzione della Corte di Cassazione, la condotta dell'imputato è consistita nell'accreditarsi come mago presso le pp.oo. e nel vantare le proprie capacità di incidere favorevolmente sulle situazioni familiari delle stesse attraverso riti e pratiche esoteriche , previa corresponsione di consistenti importi di danaro , determinati dalla prospettazione di pericoli ed insidie nei confronti dei congiunti, condotta che integra perfettamente il reato di truffa aggravata. Devesi in proposito evidenziare che ai fini della configurabilità del reato di truffa , il giudizio sulla idoneità della condotta a trarre in inganno la vittima deve essere effettuato ex post ed in concreto, con la conseguenza che la non particolare raffinatezza degli artifizi utilizzati, ovvero lo stato di vulnerabilità della vittima, non escludono l'offensività della condotta ( Cass. n. 30952/2016 ). Quanto al danno, gli esborsi di danaro sopportati dalle pp.oo. non corrispondono al compenso per l'opera prestata , dovendosi rilevare come gli stessi - in quanto frutto di attività fraudolenta e, quindi, di determinazioni volitive inficiate da errore per effetto degli artifizi e raggiri - sono giuridicamente sine causa e finalizzati esclusivamente all'ingiusto profitto dell'agente.
Presidente Imperiali - Relatore Nicastro Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 19/11/2024, la Corte d'Appello di Milano confermava la sentenza del 29/06/2023 del Tribunale di Lodi con la quale V. Ri.Vi. era stato condannato alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa per il reato di impiego di denaro di provenienza illecita (articolo 648-ter cod. pen.). Per quanto ancora rileva, secondo il capo d'imputazione, tale reato era stato contestato al Ri.Vi. perché non avendo concorso a commettere i reati di truffa di cui al capo b), impiegava in attività economiche la somma di Euro 492.100,00 (poi ridotta in sentenza a Euro 352.100,00) ricevuta da Ma.Va. dal 23/03/2015 al 20/06/2019 (in sentenza, al 24/07/2018) quale provento dei delitti predetti; in particolare, effettuava i seguenti acquisti immobiliari per arricchire il patrimonio sociale della società rappresentata: - in data 20/04/2015 acquisto dell'immobile sito in P. alla Via(Omissis) venduto ad un'asta giudiziaria per la somma di Euro 33.350,00, versata mediante assegni circolari; in data 05/07/2018 acquisto di una villetta a schiera con autorimessa pertinenziale, ubicata in M. (L.), Via (Omissis), per una somma complessiva di Euro 95.000,00, di cui Euro 15.000,00 corrisposti mediante due assegni bancari, emessi in data 31 luglio 2017; Euro 15.000,00 corrisposti mediante due assegni bancari non trasferibili... dell'importo di Euro 7.500,00 emessi in pari data; Euro 40.000,00 corrisposti mediante otto bonifici mensili di Euro Euro 5.000,00 dal 1 settembre 2017 al 3 aprile 2018; Euro 25.000,00 corrisposti mediante assegno circolare in data 05.07.2018; - in data 22/06/2018 acquisto di un'autovettura modello Jaguar F-Pace targata (Omissis) per la somma di Euro 69.000,00 versata a mezzo bonifici bancari; - in data 24/04/2018, acquisto degli immobili siti in C. (oggi C.) (L) via (Omissis), per il prezzo di Euro 135.000,00, di cui Euro 20.000,00 corrisposti mediante bonifico bancario disposto in data 22 dicembre 2016 e Euro 115.000,00 mediante bonifico disposto in data 31 maggio 2018; (. .) . Secondo il capo d'imputazione, pertanto, le somme impiegate dall'imputato sarebbero state provenienti dai reati di truffa di cui al capo b) , il quale capo è stato trascritto alla pag. 23 della sentenza di primo grado e alla pag. 12 della sentenza impugnata. Con tale capo b), erano stati contestati a Re.Ca., a sua moglie Ma.Mo.e a alla loro figlia Ma.Va.(pag. 23 della sentenza di primo grado) reati di truffa pluriaggravata e continuata in concorso (articolo 81, secondo comma, 110, e 640, secondo comma, n. 2 e n. 2-bis cod. pen. ), perché, in concorso fra loro, con i ruoli specificati nel capo a), con più azioni esecutive di un unico disegno criminoso, con artifici o raggiri, consistiti nello sfruttare la fama di mago, cartomante e guaritore di Re.Ca., nell'ingenerare falsamente nelle persone offese la convinzione di pericoli immaginari o di malattie cagionate da entità negative gravanti su loro stessi o sui loro familiari, approfittando, in talune occasioni, anche della particolare vulnerabilità e dell'età delle persone offese, inducendoli in errore per aver fatto credere di preservare ovvero di poter guarire loro e i loro familiari, con esorcismi e con pratiche magiche asseritamente terapeutiche, si procurarono un ingiusto profitto consistito nelle somme elargite dalle persone offese, quale corrispettivo per i rituali magici effettuati. Con l'aggravante di aver ingenerato nelle persone offese il timore di un pericolo immaginario. Con l'aggravante di aver profittato di circostanze di persona tali da ostacolare la privata difesa . 2. Avverso la suddetta sentenza del 19/11/2024 della Corte d'Appello di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite dei propri difensori avv. XX e avv. XX, V(Omissis), affidato a cinque motivi. 2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l' (e)rronea applicazione della norma penale in tema di reato presupposto ( articolo 640 comma 2 e 2 bis c.p. e 648-ter.l c.p). , nonché l' inosservanza ed erronea applicazione del principio in dubio prò reo ex articolo 27 comma 2 Cost. e articolo 6 comma 2 CEDU . 2.1.1. Il Ri.Vi.contesta anzitutto la locuzione (i)l motivo non convince che è stata utilizzata dalla Corte d'Appello di Milano alla pag. 11 della sentenza impugnata, in quanto la stessa locuzione costituirebbe un' espressione di permanenza del dubbio e di mancanza di convinzione motivata certa sul fatto reato presupposto , con la conseguenza che, utilizzandola, la Corte d'Appello di Milano si sarebbe posta in contrasto con il principio in dubio prò reo che si ricava dall' articolo 27, secondo comma, Cost. , e dall'articolo 6, comma 2, CEDU . 2.1.2. In secondo luogo, a proposito dell' individuazione degli elementi costitutivi della truffa aggravata di Ma.Va., dal momento che solo con riguardo alla sua posizione il Ricorrente è chiamato a rispondere del reato di cui all'articolo 648 ter c.p. , il Ri.Vi. contesta il passaggio della motivazione della sentenza impugnata che figura nel terzo e nel quarto capoverso della pag. 11 di essa. Secondo il ricorrente, la Corte d'Appello di Milano sarebbe incorsa nel vizio logico e giuridico di affermare una presupposizione nella presupposizione . Ciò in quanto la responsabilità di Ma.Va. per il presupposto reato di truffa verrebbe fatta discendere direttamente dalla considerazione che la sua presenza (pur se tacita) accanto al padre nelle trasmissioni televisive e in rare occasioni di incontro, implica che esista prima di essa, e con essa, proprio l'attività truffaldina del padre che fa da sfondo e... colora il comportamento di Ma.Va. . Così facendo, tuttavia, la Corte d'Appello di Milano defini(rebbe) come certa e presupposta proprio la presupposizione (il reato di truffa) che è chiamata a definire ad accertare... cosi che, sempre per definizione, dalla certezza implicita della responsabilità di Re.Ca. deriva quella della figlia, anche se quest'ultima non è attiva in alcun comportamento tipico della truffa . La sentenza impugnata sarebbe perciò inficiata da un corto circuito logico che vizia la decisione e priva la accusa a carico del Ricorrente della condizione stessa di dichiarabilità in rapporto solo alla responsabilità di Ma.Va. . 2.1.3. In terzo luogo, (ancora riferendosi specificamente al ruolo di Ma.Va. , il Ri.Vi. denuncia che la Corte d'Appello di Milano avrebbe tratto prove di colpevolezza a carico della stessa da circostanze assolutamente estranee al contesto del comportamento che viene contestato al padre come attività propria di truffa . Così, secondo il ricorrente, il fatto che Ma.Va. e sua madre Ma.Mo. figurassero spesso nelle trasmissioni televisive mediante le quali il padre Re.Ca. (noto come mago (Omissis) ) esercitava la propria attività di mago mediante la lettura dei tarocchi e ricevessero le telefonate in diretta dei telespettatori non costituisce, né ha mai costituito nel processo, opera propria di commissione del reato presupposto . Ciò a meno di contestare ora, per la prima volta, che il fatto di esercitare l'attività stessa di mago e lettore di carte in una trasmissione pubblica televisiva costituisca, per ciò solo, commissione del reato di truffa,... nonostante essa sia riconosciuta ed ammessa dall'ordinamento . Lo stesso dovrebbe dirsi per il fatto che Ma.Va. aveva spesso accompagnato il padre nelle visite a casa dei clienti, se non si dice, e prova, che in quelle occasioni ella direttamente abbia posto in essere comportamenti di truffa tutti assimilabili alla fattispecie normativa . In realtà, la Corte d'Appello di Milano non individua alcun elemento, nell'atteggiamento passivo di quest'ultima, come quello idoneo a configurare quello proprio della truffa contestata nel capo di imputazione . Il Ri.Vi. contesta ancora che le affermazioni fatte dalla Corte d'Appello di Milano nel quarto capoverso della pag. 11 della sentenza impugnata sarebbero per di più semplicemente... inventate, perché, in realtà, la lettura delle deposizioni delle tre sole parti offese sentite in aula nella udienza del 16.2.2023 offre una ricostruzione diversa e contraria alle asserzioni della sentenza impugnata . Il ricorrente rappresenta al riguardo che, dalle deposizioni delle tre menzionate persone offese (Omissis), (Omissis) e (Omissis): a) non si trova mai cenno ad attività anche solo di convincimento o di partecipazione al comportamento del padre o di consapevolezza di quello che il padre trattava e faceva con le partì offese ; b) non si avverte nelle parole dei testi mai nessuna sorpresa improvvisa e fuori luogo o sospetta, nessun fastidio delle parti offese, nessuna inopportunità o pressione . 2.1.4. In quarto luogo, nel passare più propriamente al fatto di Re.Ca. , il ricorrente contesta che la Corte d'Appello di Milano avrebbe ritenuto in sé provato e definito, a prescindere da ogni esame istruttorio, che l'esercizio dell'attività di occultista mago e cartomante da parte del Re.Ca.(pag. 11) sia idonea ad ingenerare nelle persone offese la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli, inducendoli così in errore sulla possibilità di poterli scongiurare ed opporre con l'esercizio delle sue arti (ibidem), sfruttando così la loro suggestionabilità e credulità . Cosà facendo, la Corte d'Appello avrebbe giustifica(to) che la convinzione personale di ciascuna parte offesa circa la realtà delle potenze magiche od occulte... sia assolutamente inutile rispetto alla sussistenza del reato, dal momento che la sola possibilità di credere a tali manifestazioni e potenze è indice di debolezza cognitiva personale e di fragilità del soggetto, idonea a configurare il raggiro doloso del mago . La Corte d'Appello di Milano non avrebbe chiarito: a) come sarebbe stata indagata ed accertata, rispetto alle singole tre parti offese,... la fragilità e suggestionabilità ; b) come sia stato indagato il ruolo dì induzione in errore o raggiro del mago (Omissis)(per non parlare di quello di Ma.Va.) ; c) come sarebbe stato prospettato un male ingiusto o un pericolo nella mente delle tre parti offese che prima non era presente e che sia stato invece costruito dolosamente dal mago (Omissis) . La Corte d'Appello non avrebbe vagliato alcun elemento di fatto della fattispecie di truffa contestata come reato presupposto e avrebbe inammissibilmente ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità dello stesso reato, il solo fatto di avere esercitato a pagamento (e su richiesta delle parti offese) il ruolo di mago, guaritore occultista . Attività, queste, che invece l'ordinamento ammette, assoggettandole anche a tassazione. Né la Corte d'Appello di Milano avrebbe spiegato perché chi presti fede alle menzionate pratiche debba essere considerato un minus raggirabile e come in concreto tale credenza avrebbe costituito un elemento illecito del comportamento del mago (Omissis) . Il ricorrente lamenta infine che l'inibizione, da parte del Tribunale di Lodi, di indagare in modo più approfondito le convinzioni personali delle persone offese, alla cui certezze originarie sarebbe in realtà appartenuto il requisito della induzione in errore e della minaccia di un danno ingiusto , farebbe venire meno la prova del reato presupposto, violerebbe i diritti della difesa e comporterebbe che si debba ritenere mancato l'accertamento della truffa. 2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce: a) in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l' (e)rronea applicazione dell'articolo 648 ter c.p. e l' inosservanza dell' articolo 27 comma 2 Cost. , dell'articolo 533 comma 1 c.p.p. e dell'articolo 125 disp. att. c.p.p. (Sentenza pagg. 12-14) ; b) in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Sentenza afferma, in relazione al reato presupposto, che Ma.Va.incassasse soldi o svolgesse attività di cartomanzia o partecipasse in altro modo alle attività del padre presso il domicilio delle parti offese, contro le risultanze - antitetiche - delle deposizioni delle 3 parti civili sentite come testi (trascrizioni verbale udienza 16.02.2023 pagg. 5, 24 e 30-31) . Il Ri.Vi.espone che: a) con il proprio atto di appello, aveva argomentato la impossibilità di ritenere che le operazioni effettuate dalla società ZZ Srl, con fondi forniti da Ma.Va., fossero collegate ai pagamenti effettuati a favore di Re.Ca.dalle 85 parti offese, rispetto alle quali è stata promossa l'azione penale e definito il capo d'imputazione ; b) nel processo, 82 delle 85 parti offese non sono state neppure valutate..., così che di 85 ipotesi di reato solo tre costituiscono, di fatto e di diritto, oggetto del processo. Solo in relazione ai proventi illeciti delle tre parti offese costituite parti civili, e per le sole somme tratte dal rapporto con queste tre parti offese, è possibile valutare la posizione del (Omissis) ; c) sempre con il proprio atto di appello, aveva evidenziato e contestato la impossibilità che ZZ Srl abbia fatto uso di somme imputabili anche solo presuntivamente alle tre parti offese , alla luce sia del fatto che i pagamenti dalle stesse effettuati ammontavano, complessivamente, a Euro 114.800,00, sia della non coincidenza temporale tra gli stessi pagamenti e gli acquisti che furono effettuati da ZZ Srl con la provvista che era stata a essa fornita da Ma.Va.. Tanto esposto, il ricorrente contesta i passaggi della motivazione della sentenza impugnata che figurano negli ultimi due capoversi della pag. 12 della stessa (con prosecuzione nella pag. 13) in quanto, in tali passaggi, la Corte d'Appello di Milano, nonostante il reato contestato al Ricorrente (il solo per il quale la difesa è posta in grado di contraddire e fare scelte processuali ed istruttorie) sia connesso al riutilizzo dei proventi specifici tratti della truffa in danno delle sole tre parti offese considerate nel processo, e nonostante non confuti e neghi l'argomento d'appello circa la impossibilità che i fondi investiti da Ma.Va.per l'acquisto delle quote de ZZ Srl siano riconducibili temporalmente ad alcuna delle parti offese , avrebbe comunque ritenuto illecito il comportamento del Ricorrente, dal momento che la imputazione permetterebbe la censura del comportamento generale ed indifferenziato del Mago (Omissis)verso chiunque, senza bisogno di definire verso chi esso sia diretto. Perciò ogni somma che da lui provenga non possa che dirsi provento di reato e quindi riutilizzo di proventi di truffa a danno di ogni innominato e ignoto soggetto che con Re.Ca.sia venuto in contatto . In tale modo, la Corte d'Appello di Milano avrebbe trasforma(to) il reato di truffa in danno di soggetti identificati in una valutazione assoluta generale del comportamento indifferenziato di Re.Ca.nei confronti di chiunque, violando così il precetto dell' articolo 640 c.p. Peggio ancora, assume la sentenza di potere prescindere dalla prova concreta della sussistenza di singole fattispecie di reato di truffa a carico specifico di 85 soggetti identificati..., facendo ricorso alla dichiarazione assoluta e generalista... dell'illiceità tout court della attività che Re.Ca.esercita: quella cioè di mago esoterista , sicché per definizione ogni somma riconducibile a Re.Ca.altro non è che provento di reato, dal momento che la sua attività è truffa ripetitiva del medesimo schema illecito . Peraltro, non solo la Corte d'Appello di Milano non risolverebbe il nodo processuale della prova del reato in ogni singola sua manifestazione a danno di parti offese individuate ma, anche a volere supporre la ricorsività del comportamento truffaldino di Re.Ca.ritiene di non avere necessità neppure di individuare, provare e contestare le caratteristiche e condizioni di questa ricorsività generale della truffa . Operazione, comunque, non possibile sulla base del capo di imputazione (che in realtà si riferisce esattamente alle parti offese individuate) , mentre la Corte d'Appello di Milano sostanzialmente costruisce una figura di truffa libera dalla necessità di collegamento tra il comportamento dell'agente e quello della parte offesa . Vi sarebbe quindi una distanza illegittima tra il capo di imputazione e l'oggetto della analisi della Corte di Appello . Il ricorrente contesta ancora la motivazione che è contenuta nel terzo capoverso della pag. 13 della sentenza impugnata, in quanto: a) collega la imputazione del ricorrente Ri.Vi.non più e solo (secondo il capo di imputazione) a Ma.Va., bensì ad una non esplicita, ma ritenuta sotterraneamente, collaborazione con i (Omissis) , intesi come gruppo associato a delinquere (del quale non vi è traccia nel capo di imputazione) ; b) come egli aveva evidenziato nel proprio atto di appello, (s)e Ma.Va.è accusata di avere operato per rendere occulto e nascosto il denaro ritenuto provento di reato del padre, come si spiega in Sentenza, e nel processo, la possibilità per il Ri.Vi.di porre in essere esattamente lo stesso comportamento delittuoso che, con ogni evidenza accusatoria, già era stato sottratto alla tracciabilità? Inspiegato come abbia potuto farlo senza concorrere nel reato di cui all'articolo 648-ter.l c.p. contestato a Ma.Va. ; c) diversamente da quanto mostrerebbe di ritenere la Corte d'Appello, egli non è imputato perché professionista commercialista, ma solo perché amministratore della società ZZ Srl. La motivazione è quindi eccentrica rispetto al reato, alla contestazione di esso ed al ruolo proprio imputato al (Omissis) . 2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce: a) in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l' (e)rronea applicazione dell' articolo 43 c.p. in relazione all'articolo 648-terc.p. in tema di elemento soggettivo del reato: nel caso di specie con riferimento al dolo specifico richiesto dall'articolo 648 ter c.p. (Sentenza pagg. 13-14) , nonché l' (e)rronea applicazione dell'articolo 648-terc.p. contestato al Ri.Vi.in relazione all' articolo 648-ter 1 c.p. contestato a Ma.Va., sotto il profilo dell'elemento oggettivo - Incompatibilità tra le fattispecie ; b) in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui la Sentenza afferma (e utilizza per riconoscere la responsabilità dell'imputato) che il Ricorrente partecipasse alle trasmissioni tv in cui il mago (Omissis)leggeva i tarocchi, contro le risultanze -antitetiche - della deposizione del teste Pa.(trascrizioni verbale udienza 16.02.2023 pag. 17) . Dopo avere trascritto i passaggi della motivazione della sentenza impugnata che figurano nell'ultimo paragrafo della pag. 13 e nel primo paragrafo della pag. 14 della stessa, il ricorrente espone che (t)utte le operazioni societarie de ZZ Srl sono in chiaro con tracciamento diretto, e dichiarato in contabilità, dei pagamenti e dei finanziamenti ricevuti da Ma.Va. . Dopo avere affermato che la Corte ammette e riconosce argomentativamente anche che la società ZZ Srl (id est quindi l'imputato (Omissis)) non aveva un disegno... finalizzato a rendere occulti i proventi illeciti del gruppo Re.Ca.(diversamente... il reato contestato sarebbe altro e non quello per cui è processo) e ammette pure che i soci de ZZ Srl traevano un vantaggio imprenditoriale dalla operazione di cessione delle quote societarie -vantaggio che era stato anche spiegato dall'imputato nel corso del suo esame dibattimentale -, il ricorrente contesta la valorizzazione, da parte della Corte d'Appello di Milano, del fatto che non si comprendeva quale sarebbe stato il vantaggio economico di Ma.Va.e della sua famiglia. La valorizzazione di tale elemento sarebbe però inficiata dal vizio concettuale di ritenere incongrua, o non capita, la operazione imprenditoriale dal punto di vista di Ma.Va., ma non da quello delZZ Srl, dei suoi soci e quindi del (Omissis) . Il ricorrente argomenta in proposito: (m)a se il Ri.Vi. aveva un interesse diretto e ricostruibile alla operazione come proprio e giustificato, in ragione dei vantaggi che ZZ Srl certamente ne traeva, perché mai dovrebbe incidere la determinazione interna di Ma.Va....? La motivazione interna della Ma.Va.non rileva e non coincide con quella del (Omissis), se non si prova che fosse condivisa ed inficiasse l'interesse proprio di quest'ultimo. Pertanto, l'argomento utilizzato dalla Corte per stabilire la sussistenza del dolo specifico in capo al Ri.Vi. è inesistente e giuridicamente fuorviante . Sarebbe parimenti (ininfluente che Ma.Va. abbia deciso di operare l'acquisizione delle quote della Sibille Srl, e finanziare il proprio subingresso, per ritornare in possesso di beni immobili di famiglia . In ogni caso, costituirebbe un ragionamento inconcluso e privo del nesso tra le intenzioni eventuali di Ma.Va.(o della sua famiglia) e l'operazione proposta al (Omissis) , derivare immotivatamente la consapevolezza soggettiva del Ri.Vi.circa il presunto carattere truffaldino delle somme donate da Re.Ca.alla figlia dal fatto che Ma.Va.avesse in mente di utilizzare quelle somme sia per sottrarle alla disponibilità delle parti offese e farle circolare, sia per ottenere così anche il recupero di beni già appartenuti alla sua famiglia . Sarebbe irragionevole presumere che da atti di per sé leciti (le operazioni societarie palesi e documentate tra ZZ e Ma.Va.) sia desumibile il carattere illecito delle somme in esse utilizzate, solo perché la Sentenza ritiene che la natura dell'attività Di Re.Ca.sia per definizione truffaldina. Equivale ad affermare che la consapevolezza circa la natura illecita delle somme utilizzate in capo all'utilizzatore sia provata solo con la prova della stessa illiceità originaria . Come risulterebbe dall'ultimo periodo della pag. 14 della sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Milano avrebbe accomunato impropriamente il Ri.Vi.ai ritenuti autori della truffa, senza dire perché il caso specifico del Ri.Vi.sia equiparato in toto, sotto il profilo della conoscenza illecita dei ricavi dell'attività del Re.Ca., alla consapevolezza che solo gli autori di tali asseriti reati hanno ed avevano certamente, e non indica mai un solo elemento di convincimento che conduca dal Ri.Vi.alla dolosa consapevolezza di fare uso di denaro provento di truffa ai danni delle parti offese individuate nel capo di imputazione, ed alla volontà di renderlo irrintracciabile in operazioni economiche palesi . Il Ri.Vi. contesta poi l'affermazione della Corte d'Appello di Milano che figura nel primo paragrafo della pagina 14 della sentenza impugnata, deducendo che tale affermazione sarebbe per un verso inconcludente, ed anzi contraddittoria; per altro basata su di un elemento in fatto assolutamente non vero ed inesistente nel processo . Sarebbe inconcludente e contraddittoria perché considera prova della consapevolezza soggettiva colpevole in capo al Ri.Vi.il fatto che egli fosse commercialista del (Omissis), senza precisare mai come sia possibile considerare logico e ragionevole il collegamento tra la professione del Ri.Vi.con l'evidenza della provenienza illecita del denaro che il suo cliente dichiarava nelle proprie denunce dei redditi sotto il codice ATECO (Omissis), che comprende attività di astrologi e spiritisti ; sarebbe falsa, là dove richiama, a sostegno del comportamento del (Omissis), il fatto che egli avesse partecipato alla trasmissione televisiva durante la quale Re.Ca.svolgeva la lettura dei tarocchi , atteso che (n)on c'è, né mai c'è stata nel processo, alcuna prova o indicazione o contestazione che Ri.Vi.abbia partecipato ad alcuna delle trasmissioni del mago (Omissis) , come risultava dal contenuto delle dichiarazioni della persona offesa Pa., unico soggetto che aveva fatto riferimento a una consimile circostanza. Nella sentenza impugnata non vi sarebbe in definitiva alcun dato utile alla definizione penalmente valida, se non un vaghissimo reiterato richiamo al fatto che certo nessuno poteva non sapere che l'attività svolta dal Re.Ca. fosse penalmente illecita e truffaldina . 2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., i' (i)nosservanza delle norme a presidio dell'esercizio dell'azione civile seppur nel processo penale: in particolare, inosservanza degli articolo 74 e 75 c.p.p. e dell'articolo 163 n. 3, 4,5 epe e 2697 c.c. (Sentenza pag. 14) . Con riguardo alla legittimità della costituzione di parte civile contro il (Omissis), ed all'accoglimento di essa , il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello di Milano non avrebbe consideralo) che gli atti di costituzione fanno solo esclusivo letterale riferimento alla responsabilità diretta di Re.Ca. per la truffa denunciata, ma non svolgono alcun elemento di considerazione del ruolo e della responsabilità diretta e particolare del (Omissis) . La stessa Corte d'Appello avrebbe anche introdotto) inammissibilmente il criterio della riferibilità oggettiva di ogni somma di Re.Ca.e di Ma.Va.a reati contro ignoti e non contro le parti civili costituite, e trasformalo) quindi la richiesta di recupero delle somme versate dalle parti civili in pretesa di maggior difficoltà nell'esercizio dell'azione di recupero su tutto il patrimonio generico della famiglia (Omissis) . Rispetto a tale difficoltà - che, ripete il ricorrente, non è affatto il contenuto della azione di parte civile, ma un'autonoma deduzione dei Giudici di Appello, come tale inammissibile -, la valutazione della Corte in Sentenza, secondo cui il risarcimento corrisponde al rischio di rintraccio delle somme illecitamente sottratte, è una considerazione illogica e soprattutto errata. È un fatto che Ma.Va. ha acquistato le quote delle ZZ Srl e le detiene personalmente e nella società ZZ Srl sono custoditi cespiti immobiliari ampiamente a disposizione e di valore enormemente superiore al versamento delle parti civili, quindi se mai il patrimonio palese di Ma.Va. è stato incrementato e reso meno volatile . 2.5. Con il quinto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all'articolo 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l' (e)rronea applicazione degli articolo 132 e 133 c.p. In relazione ai criteri di determinazione della pena - (Sentenza, pagg. 14 e 15) . Il Ri.Vi.lamenta che, nel confermare la pena che era stata irrogata dal Tribunale di Lodi, la Corte d'Appello di Milano avrebbe anzitutto erroneamente valorizzato l'elemento che egli avrebbe negato alcune circostanze anche di fronte all'evidenza , così sostanzialmente ritenendo che la mancata confessione, da parte di colui che ritenga di non avere ragioni di responsabilità in merito ai fatti contestati, costituiscono un elemento di aggravamento della pena o, in ogni caso, di impossibilità di riconoscimento a suo favore di elementi attenuanti rispetto alla sua determinazione , in violazione del principio di non colpevolezza e del diritto di difesa. In secondo luogo, la Corte d'Appello di Milano avrebbe trascurato due rilevantissimi fatti emersi nel corso del processo , segnatamente: a) la circostanza che l'imputato ricorrente è stato tratto a giudizio ex articolo 648ter c.p. relativamente al reato presupposto di truffa in danno di 85 parti offese, mentre invece-le sentenze di primo grado e appello hanno accertato e dichiarato la responsabilità rispetto a 3 sole ipotesi di reato, dando quindi per insussistenti le restanti 82 fattispecie, per le quali in entrambe le sentenze, e durante l'intero processo, non vi è stata alcuna trattazione o istruttoria ; b) rispetto al capo di imputazione è stata riconosciuta e dichiarata la insussistenza della contestazione relativa all'acquisto di un immobile in C., piazza (Omissis), effettuato il 19.11.2018 e certamente non riferibile al (Omissis) . Considerato in diritto 1. Il primo motivo non è fondato. 1.1. E, anzitutto, infondata la censura del ricorrente secondo cui la locuzione il motivo non convince - che è stata utilizzata dalla Corte d'Appello di Milano in apertura della motivazione del rigetto del motivo di appello (il primo) con il quale il Ri.Vi.aveva contestato l'accertamento del presupposto delitto di truffa continuata e pluriaggravata in concorso -, in quanto costituirebbe un' espressione di permanenza del dubbio e di mancanza di convinzione motivata certa sul fatto reato presupposto , farebbe emergere un contrasto con il principio in dubio prò reo (che il ricorrente ricava dall' articolo 27, secondo comma, Cost. , e dall'articolo 6, comma 2, CEDU ). Appare infatti di tutta evidenza come con la suddetta locuzione la Corte d'Appello di Milano altro non abbia significato se non che gli argomenti dell'appellante non erano da essa ritenuti idonei a vincere quelli che erano stati spesi nella sentenza appellata, con la conseguenza che il motivo di appello si doveva ritenere infondato, senza che dalla stessa locuzione sia pertanto possibile ricavare la manifestazione, da parte della stessa Corte d'Appello, della permanenza di dubbi in ordine alla sussistenza del menzionato reato presupposto. 1.2. Prima di passare a esaminare gli ulteriori profili di censura, si deve rammentare l'orientamento consolidato della Corte di cassazione secondo cui ricorre la cosiddetta doppia conforme quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest'ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (tra le tante: Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, Valerio, Rv. 252615-01). 1.3. Ciò rammentato, passando agli ulteriori profili di censura - i quali, essendo tra loro strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente -, si deve anzitutto evidenziare che, dalla lettura del capo d'imputazione, risulta che il reato presupposto del delitto di impiego di denaro di provenienza illecita che è stato contestato al ricorrente è costituito dai reati di truffa di cui al capo b) , il cui provento il Ri.Vi.avrebbe impiegato nelle attività economiche che sono indicate nell'imputazione a lui contestata (di cui al capo i ). Come si è detto nella parte in fatto, con il suddetto capo b) dell'imputazione, erano stati contestati a Re.Ca., a sua moglie Ma.Mo.e alla loro figlia Ma.Va.(pag. 23 della sentenza di primo grado) reati di truffa pluriaggravata e continuata in concorso (articolo 81, secondo comma, 110, e 640, secondo comma, n. 2 e n. 2-bis cod. pen. ), perché, in concorso fra loro, con i ruoli specificati nel capo a), con più azioni esecutive di un unico disegno criminoso, con artifici o raggiri, consistiti nello sfruttare la fama di mago, cartomante e guaritore di Re.Ca., nell'ingenerare falsamente nelle persone offese la convinzione di pericoli immaginari o di malattie cagionate da entità negative gravanti su loro stessi o sui loro familiari, approfittando, in talune occasioni, anche della particolare vulnerabilità e dell'età delle persone offese, inducendoli in errore per aver fatto credere di preservare ovvero di poter guarire loro e i loro familiari, con esorcismi e con pratiche magiche asseritamente terapeutiche, si procurarono un ingiusto profitto consistito nelle somme elargite dalle persone offese, quale corrispettivo per i rituali magici effettuati. Con l'aggravante di aver ingenerato nelle persone offese il timore di un pericolo immaginario. Con l'aggravante di aver profittato di circostanze di persona tali da ostacolare la privata difesa . Da quanto si è appena evidenziato, risulta anzitutto l'erroneità della tesi del Ri.Vi. (che si è riassunta al punto 2.1.2. della parte in fatto) secondo cui solo con riguardo alla sua posizione (id est: di Ma.Va.) il Ricorrente è chiamato a rispondere del reato di cui all'articolo 648 terc.p. . Ciò evidentemente non è, atteso che, se è vero che la somma che il Ri.Vi. ha impiegato nelle attività di cui all'imputazione era stata da lui materialmente ricevuta da Ma.Va. (così il capo i ), è tuttavia altrettanto inconfutabilmente vero, alla luce dei capi i) e b) dell'imputazione che si sono sopra trascritti, che la stessa somma era provento dei delitti predetti , cioè dei delitti di truffa continuata e pluriaggravata in concorso di cui al capo b). E tali delitti, come si è detto, erano stati contestati non certo alla sola Ma.Va.ma, in concorso con lei, anche a suo padre Re.Ca. (il mago (Omissis) ) e a sua madre (Omissis). Il Ri.Vi.era quindi chiamato a rispondere del reato di impiego di denaro di provenienza illecita non, come si sostiene nel ricorso, solo con riguardo alla sua posizione , cioè alla posizione di Ma.Va., ma con riguardo all'impiego di denaro preveniente da reati di truffa continuata che erano stati commessi non dalla sola Ma.Va.ma anche, in concorso con lei, da suo padre Re.Ca. e da sua madre (Omissis). Da ciò discende anche che, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, il fatto che la Corte d'Appello di Milano abbia potuto trarre elementi di responsabilità in capo a Ma.Va.da circostanze estranee al contesto del comportamento che viene contestato al padre come attività propria di truffa -come la partecipazione (come anche la madre) alle trasmissioni televisive mediante le quali il padre esercitava la propria attività di mago e la ricezione delle telefonate in diretta dei telespettatori e come l'accompagnamento dello stesso padre (come anche la madre) nelle visite a casa dei clienti - non integra, di per sé, alcun vizio della sentenza impugnata. Infatti, poiché, come si è detto, a Ma.Va.era contestato di avere concorso con il padre (e con la madre) nei reati truffa continuata, il suo contributo partecipativo concorsuale, materiale o morale, ben si poteva manifestare attraverso forme atipiche della condotta criminosa, senza che fosse necessario, come è invece sostenuto dal ricorrente, che si provasse che ella direttamente abbia posto in essere comportamenti di truffa tutti assimilabili alla fattispecie normativa . Chiarito che, pertanto, il reato presupposto del delitto di impiego di denaro di provenienza illecita che è stato contestato al ricorrente è costituito dai reati di truffa continuata e pluriaggravata di cui al capo b) commessi in concorso tra loro da Re.Ca., da Ma.Mo. e da Ma.Va., si deve rilevare che, come è stato evidenziato nella sentenza di primo grado (pag. 27) - con la quale, per le ragioni che si sono dette (al punto 1.2), l'impugnata sentenza di appello si deve reputare saldarsi, con la conseguenza le due sentenze possono essere lette congiuntamente, costituendo un unico complessivo corpo decisionale -, i fatti di cui al capo b) dell'imputazione e l'attribuibilità degli stessi a Re.Ca., a Ma.Mo.e a Ma.Va.si dovevano ritenere accertati con la sentenza di patteggiamento del 17/05/2021 del G.i.p. del Tribunale di Lodi, divenuta irrevocabile il 09/06/2021. Ciò in quanto la sentenza di patteggiamento è legislativamente espressamente equiparata a una sentenza di condanna ( articolo 445, comma 1 -bis, terzo periodo, cod. proc. pen. ). Per tale ragione, la Corte di cassazione ha chiarito che la stessa sentenza, che sia divenuta irrevocabile, può essere utilizzata a fini probatori in un altro procedimento penale, ai sensi dell' articolo 238-bis cod. proc. pen. , quanto alla prova del fatto e della sua attribuibilità (Sez. 3, n. 44311 del 08/10/2024, Federici, Rv. 287384-01, la quale ha considerato anche la modifica che è stata apportata al comma 1 -bis dell' articolo 445 cod. proc. pen. dall'articolo 25, comma 1, lett. b, del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150; Sez. 5, n. 12344 del 05/12/2017, dep. 2018, Nicho, Rv. 272665-01; Sez. 5, n. 7723 del 12/11/2014, dep. 2015, Mazzola, Rv. 264058-01; Sez. 1, n. 50706 del 05/06/2014, Macrì, Rv. 261480-01). È vero che, a norma dell' articolo 238-bis cod. proc. pen. (che richiama gli articolo 187 e 192, comma 3, dello stesso codice), la menzionata sentenza irrevocabile di patteggiamento non costituiva piena prova dei fatti con essa accertati, ma necessitava dei cosiddetti riscontri esterni - i quali, come è stato chiarito dalla Corte di cassazione, possono consistere in elementi di prova sia rappresentativa sia logica (Sez. 6, n. 42799 del 30/09/2008, Campesan. Rv. 241860-01), anche già utilizzati nell'altro giudizio (Sez. 6, n. 23478 del 19/04/2011, De Caro, Rv. 250098-01) - di cui il giudice deve dare evidentemente conto. Il Collegio ritiene che tali elementi di riscontro siano stati effettivamente adeguatamente rinvenuti dai giudici di merito nella dichiarazioni delle costituite parti civili (Omissis), (Omissis) e Pa., le quali, come è stato dato più specificamente conto nella sentenza di primo grado (in particolare, a pag. 24), avevano riferito, in modo sostanzialmente sovrapponibile, come Re.Ca., alias il mago (Omissis) , avesse ingenerato in esse la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli per loro stesse e/o per i loro familiari, facendo loro credere di potere scongiurare tali pericoli con i rituali magici da lui praticati (rituali proposti a (Omissis) quale unica via per soccorrere i suoi parenti; rito per annullare la fattura che sarebbe stata fatta al figlio di (Omissis), in assenza del quale si sarebbe verificato un grave incidente; rito di Natale e rito della Tanzania per bonificare la stalla di Pa., nella quale Re.Ca. aveva detto di avvertire un'entità che, altrimenti, avrebbe continuato a provocare danni, ed esorcismo con riguardo alla situazione dei familiari dello stesso Pa.), che le persone offese gli retribuivano con ingenti somme. Alla luce di ciò, il Collegio considera che i giudici del merito abbiano logicamente ritenuto che tali dichiarazioni confermassero quello che si doveva reputare essere il modus operandi del mago (Omissis) , quale era stato accertato con la menzionata sentenza di patteggiamento irrevocabile. Modus operandi nel realizzare il quale Re.Ca. era coadiuvato anche dalla figlia (Omissis), che - come è stato, pure non illogicamente, reputato - ne aveva quanto meno rafforzato i propositi criminosi, partecipando alle trasmissioni televisive (che, nei nomi, rinviavano sia al padre sia alla figlia), gestendo le telefonate in diretta dei clienti e anche recandosi di persona presso le abitazioni delle vittime. Ne discende, conclusivamente, che, diversamente da quanto è affermato dal ricorrente, la Corte d'Appello di Milano (e, prima, il Tribunale di Lodi) non ha ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità dei reati di truffa, il solo fatto di avere (Re.Ca.) esercitato a pagamento (e su richiesta dei clienti) il ruolo di mago, guaritore occultista , né ha sostenuto che la mera credenza nell'esistenza di poteri magici sia idonea a configurare il raggiro doloso del mago , ma, alla luce delle risultanze istruttorie costituite delle menzionate sentenza di patteggiamento irrevocabile e dichiarazioni delle parti civili, ha logicamente accertato l'esistenza dei presupposti reati di truffa pluriaggravata e continuata di cui al capo b) dell'imputazione e l'attribuzione degli stessi reati a Re.Ca., Ma.Mo.e Ma.Va.in concorso tra loro. Facendo poi corretta applicazione del principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui integra il delitto di cui all' articolo 640, secondo comma, n. 2), cod. pen. , il comportamento di colui che, sfruttando la fama di mago, chiromante, occultista o guaritore, ingeneri nelle persone offese la convinzione dell'esistenza di gravi pericoli gravanti su di esse o sui loro familiari e, facendo credere loro di poter scongiurare i prospettati pericoli con i rituali magici da lui praticati, le induca in errore, cosi procurandosi l'ingiusto profitto consistente nell'incameramento delle somme di denaro elargitegli con correlativo danno per le medesime (Sez. 2, n. 49519 del 29/11/2019, relativa proprio a Re.Ca., Rv. 278004-01; Sez. 2, n. 42445 del 19/10/2012, Aloise, Rv. 253647-01; Sez. 2, n. 1862 del 19/12/2005, dep. 2006, Locaputo, Rv. 233361-01). 2. Il secondo motivo non è fondato. Con tale motivo, il ricorrente contesta principalmente che il denaro che egli impiegò nelle attività economiche che sono indicate nel capo i) dell'imputazione si potesse ritenere, come hanno fatto i giudici del merito, di provenienza illecita. A tale proposito, il Collegio osserva come tale contestazione del ricorrente si fondi, in realtà, su due errori di prospettiva, i quali sono peraltro in parte già emersi esaminando il primo motivo. Il primo errore consiste nell'assumere che di 85 ipotesi di reato solo tre costituiscono, di fatto e di diritto, oggetto del processo. Solo in relazione ai proventi illeciti delle tre parti offese costituite parti civili, e per le somme tratte dal rapporto con queste tre parti offese, è possibile valutare la posizione del (Omissis) e, analogamente, che il reato contestato al Ricorrente... sia connesso al riutilizzo dei proventi specifici tratti dalla truffa in danno delle sole tre parti offese considerate nel processo , in quanto il capo di imputazione... in realtà si riferisce esattamente alle parti offese individuate . L'erroneità di tale assunzione discende dal fatto che, come si è visto esaminando il primo motivo, il reato presupposto del delitto di impiego di denaro di provenienza illecita che è stato contestato al ricorrente è costituito dai reati di truffa continuata e pluriaggravata di cui al capo b) dell'imputazione che erano stati commessi, in concorso da Re.Ca., da Ma.Mo.e da Ma.Va., ai danni non delle sole tre parti civili che si sono costituite nel presente processo (Omissis), (Omissis) e Pa.) ma di tutte le persone offese dei presupposti reati di truffa di cui al suddetto capo b) (le quali persone offese, secondo quanto è indicato nello stesso ricorso, risulterebbero essere 85). Ne discende che al Ri.Vi.era stato pertanto contestato, diversamente da quanto egli mostra di ritenere, di avere impiegato nelle attività economiche che sono indicate nel capo i) dell'imputazione il provento delle truffe che erano state commesse ai danni di tutte le suddette persone offese di tutti i suddetti reati di truffa di cui al capo b), e non il solo provento delle tre truffe commesse ai danni delle sole tre parti civili che si sono costituite nel presente processo. Il secondo errore di prospettiva che è stato commesso dal ricorrente nel formulare la propria contestazione consiste nell'avere attribuito apparente rilievo alle circostanze che il profitto delle presupposte truffe di cui al capo b) dell'imputazione fosse stato o no materialmente incassato da Ma.Va.e che questa avesse o no materialmente partecipato all'attività compiuta dal padre presso l'abitazione delle vittime delle truffe di induzione in errore delle stesse vittime mediante artifici e raggiri. L'erroneità di tale prospettiva discende dal fatto che, come si è visto esaminando il primo motivo, il Ri.Vi.era chiamato a rispondere del reato di impiego di denaro di provenienza illecita con riguardo all'impiego di denaro preveniente da reati di truffa continuata che erano stati commessi non dalla sola Ma.Va.ma anche, in concorso con lei, da suo padre Re.Ca. e da sua madre (Omissis), con la conseguenza che, poiché il contributo partecipativo concorsuale di Ma.Va.ben si poteva manifestare attraverso forme atipiche della condotta criminosa, non è di per sé rilevante che ella avesse o no compiuto manifestazioni proprie delle condotta tipica del reato di truffa. Posti tali errori di prospettiva, che inficiano la principale contestazione del ricorrente, il Collegio reputa che i giudici del merito abbiano ritenuto in modo non contraddittorio né manifestamente illogico che le somme che il Ri.Vi.ricevette da Ma.Va.e che impiegò successivamente nelle attività economiche che sono indicate nel capo i) dell'imputazione provenissero dal complesso dei reati di truffa in concorso di cui al capo b) dell'imputazione, tenuto conto: a) del fatto che, premesso che, per le ragioni che si sono dette, la Corte d'Appello di Milano ha correttamente ritenuto che l'imputazione ascritta non riguarda partitamente le sole tre persone offese costituite parti civili (pag. 12 della sentenza impugnata), la stessa Corte d'Appello ha pertanto altrettanto correttamente considerato il complesso di tutte le truffe di cui al capo b) dell'imputazione e il complesso di tutti i profitti delle stesse truffe, non illogicamente reputate, anche per quanto si è detto esaminando il primo motivo, espressive di un reiterato e collaudato modus operandi del mago (Omissis) ; b) del fatto che le somme che Ma.Va.aveva trasferito a ZZ Srl (di cui il Ri.Vi.era stato amministratore fino al 24/07/2018) e che lo stesso Ri.Vi.aveva poi impiegato nelle attività economiche che sono indicate nel capo i) dell'imputazione provenivano, pressoché esclusivamente, dall'attività che era svolta dal padre di Ma.Va.(pagg. 29-30 della sentenza di primo grado). Quanto alle ulteriori contestazioni del ricorrente, si deve osservare che: a) alla luce di quanto si è ripetutamente argomentato, diversamente da quanto mostra di ritenere il (Omissis), è del tutto corretto (come si è in effetti già detto) che la sentenza impugnata colleg(hi) la imputazione del ricorrente Ri.Vi.non più e solo... a Ma.Va., bensì ad una non esplicita... collaborazione con i (Omissis) ; b) il fatto che a Ma.Va.potesse essere stato contestato, con riferimento al trasferimento di denaro a ZZ Srl, il reato di autoriciclaggio non inficia di per sé l'affermazione di responsabilità dell'imputato per il diverso reato di impiego dello stesso denaro di provenienza truffaldina; c) l'affermazione della Corte d'Appello di Milano secondo cui il Ri.Vi. era andato oltre i doveri propri di un professionista che si occupa della contabilità di un cliente (pag. 13, terzo capoverso, della sentenza impugnata), anche a volerla ritenere eccentrica rispetto al reato , sarebbe solo ultronea e all'evidenza non tale da inficiare la motivazione in ordine alla provenienza illecita del denaro impiegato dal Ri.Vi.e, più in generale, alla responsabilità dello stesso imputato per il reato a lui ascritto. 3. Il terzo motivo non è fondato. Si deve anzitutto precisare che, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente - il quale ha fatto riferimento al dolo specifico richiesto dall'articolo 648 terc.p. - il delitto di impiego di denaro di provenienza illecita non richiede alcun dolo specifico in quanto per la sua integrazione è sufficiente il dolo generico, il quale è costituito dalla mera coscienza e volontà di destinare a un impiego economicamente utile i capitali illeciti, unitamente alla consapevolezza, anche solo generica, della loro provenienza delittuosa (Sez. 2, n. 14215 del 02/04/2025, Galeotti, Rv. in corso di attribuzione; Sez. 2, n. 43387 del 08/10/2019, Novizio, Rv. 277997-03, con la quale la Corte ha argomentato che, se il legislatore avesse ritenuto necessaria la sussistenza del dolo specifico, collegato alla finalità di ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle risorse impiegate, lo avrebbe espressamente previsto. Nel senso della non necessità che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie volte a ostacolare l'individuazione o l'accertamento della provenienza illecita dei beni, si veda anche: Sez. 6, n. 43781 del 09/10/2024, Basile, Rv. 287270-01; Sez. 2, n. 24273 del 18/02/2021, Iozzino, Rv. 281626-01). Ciò precisato, si deve osservare che i giudici del merito, con le conformi sentenze di primo e di secondo grado, hanno ritenuto la consapevolezza del Ri.Vi.della provenienza delittuosa delle somme da lui ricevute da Ma.Va.e da lui poi impiegate nelle attività economiche che sono indicate nel capo i) d'imputazione, sulla base dei seguenti elementi di prova e argomentazioni: a) i legami esistenti tra il Ri.Vi.e i membri della famiglia (Omissis), quali emergevano: a.l) dal fatto che l'immobile sito in C., via Zoncada, n. 20, nel quale aveva sede Dataquattro Srl, cioè lo studio di commercialista di cui il Ri.Vi.era stato socio fondatore e che aveva amministrato per più di venti anni, era di proprietà di Centauro Immobiliare Srl, cioè di una società che era partecipata e amministrata da Re.Ca., e che, nello stesso immobile, vi era anche la sede dì Raggio di Sole Sas, società che era sempre riferibile a Re.Ca.; a.2) dal fatto che Ma.Va.e Re.Ca. erano residenti, la prima dal 2008 e il secondo dal 2010, nell'immobile di Camairago, via Roma, n. 13, che era di proprietà di Dataquattro Srl, che era all'epoca amministrata dal (Omissis); a.3) dal fatto che, come aveva riferito la parte civile Giuseppe Pa., durante i programmi televisivi del mago (Omissis) era stato trasmesso un video in cui Re.Ca. mostrava di avere donato un'auto al Comune di Camairago alla presenza, tra gli altri, del (Omissis), che il Re.Ca. aveva presentato come il suo commercialista (a proposito di quest'ultimo elemento, che è stato esattamente indicato alla pag. 34 della sentenza di primo grado, il Collegio ritiene che la sua valenza non si possa reputare inficiata dal fatto che, per errore, la Corte d'Appello di Milano abbia indicato che il Ri.Vi.aveva partecipato a un programma televisivo del mago (Omissis) anziché a un video che era stato trasmesso durante i programmi televisivi dello stesso mago); b) la sostanziale inspiegabilità delle operazioni di trasferimento di somme, da parte di Ma.Va.a ZZ Srl, e di successivo impiego delle stesse somme da parte del Ri.Vi.nelle attività economiche indicate nel capo i) dell'imputazione, se non nella prospettiva di reimpiegare nel mercato lecito somme di provenienza illecita, alla luce del fatto che Ma.Va.aveva trasferito le medesime somme a ZZ Srl in un momento in cui non poteva vantare alcuna pretesa nei confronti di tale società. Tale motivazione della ritenuta consapevolezza, quanto meno generica, del Ri.Vi. della provenienza delittuosa del capitale che gli era stato trasferito da Ma.Va., in quanto proveniente dall'attività truffaldina di suo padre, di sua madre e di lei stessa, e da lui impiegato nelle più volte menzionate attività economiche, appare priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, oltre che esente da vizi di violazione di legge. In particolare, contrariamente a quanto è sostenuto dal ricorrente, non appare né contraddittoria né manifestamente illogica la valorizzazione, da parte dei giudici del merito, dell'elemento che, dalle operazioni di trasferimento di somme, da parte di Ma.Va.a ZZ Srl, e di successivo reimpiego delle stesse somme da parte del (Omissis), non poteva derivare alcun vantaggio a Ma.Va.e a suoi familiari se non quello di reimpiegare nel mercato lecito le somme provenienti dall'attività truffaldina da essi svolta. Infatti, semplicemente, i giudici del merito hanno reputato - in modo che non appare, appunto, né contraddittorio né manifestamente illogico - che non fosse credibile che il (Omissis), alla luce dei suoi evidenziati legami con la famiglia Re.Ca.e dell'illogicità delle operazioni dal punto di vista di Ma.Va., avesse agito, senza fa(rsi) troppe domande (così a pag. 36 della sentenza di primo grado), perché le operazioni erano convenienti dal punto di vista de ZZ Srl e non, piuttosto, per destinare a un impiego economicamente utile capitali provenienti dalle attività illecite dei Martini , nella consapevolezza di tale provenienza. Si è già detto, infine, come il fatto che a Ma.Va. potesse essere stato contestato, con riferimento al trasferimento di denaro a ZZ Srl, il reato di autoriciclaggio non inficia di per sé l'affermazione di responsabilità dell'imputato per il diverso reato di impiego dello stesso denaro di provenienza truffaldina. Sul punto, peraltro, la doglianza del ricorrente appare anche, come già quella analoga che egli aveva prospettato nell'ambito del secondo motivo, fondamentalmente generica. 4. Il quarto motivo non è fondato. (Omissis), (Omissis e altri) Pa. avevano esercitato l'azione civile nei confronti del Ri.Vi.per il risarcimento del danno che era stato loro cagionato dal reato di impiego del denaro di provenienza dalle truffe che erano state commesse ai loro danni dal mago (Omissis) (Re.Ca.) in concorso con la moglie Ma.Mo. e con la figlia Ma.Va. I giudici del merito avevano accertato che il suddetto denaro di provenienza illecita era stato ricevuto dal Ri.Vi. da Ma.Va., la quale lo aveva in particolare trasferito a ZZ Srl, di cui il Ri.Vi.era amministratore (fino al 24/07/2018), impiegandolo, poi, lo stesso (Omissis), in attività economiche intestate a ZZ Srl Ciò posto, il Collegio reputa che, col ritenere che, poiché nessun membro della famiglia (Omissis) compariva all'epoca in ZZ Srl - sicché tale società era terza rispetto alla stessa famiglia - il reato di impiego di beni di provenienza illecita che era stato commesso dal Ri.Vi.aveva reso ancora più difficoltoso, per (Omissis), (Omissis) e Pa., rintracciare le somme che erano state loro fraudolentemente sottratte dalla famiglia (Omissis) e ottenere il pronto ristoro delle stesse somme, e che tale maggiore difficoltà aveva comportato un danno non patrimoniale che era quindi derivato dal reato che era stato commesso dal (Omissis), la Corte d'Appello di Milano abbia correttamente e logicamente ritenuto la fondatezza della domanda agli effetti civili che era stata proposta da (Omissis), (Omissis) e Pa. nei confronti del Ri.Vi.per ottenere il risarcimento del danno cagionato dal reato di impiego del denaro proveniente dalle truffe che essi avevano subito. 4. Il quinto motivo non è fondato. La giurisprudenza della Corte di cassazione è costante nell'affermare che la determinazione della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso in cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all' articolo 133 cod. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, Scaramozzino, Rv. 265283-01). Anche successivamente, è stato ribadito che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti e alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti e attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell'impiego dei criteri dì cui all' articolo 133 cod. pen. con espressioni del tipo: pena congrua , pena equa o congruo aumento , come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243-01). Nel caso di specie, la pena irrogata di cinque anni di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa è di gran lunga al di sotto della media edittale della pena per il delitto di cui all'articolo 648-ter cod. pen. (che è pari a pari a otto anni di reclusione ed Euro 15.000,00 di multa), con la conseguenza che l'obbligo di motivazione ben può ritenersi assolto dalla Corte d'Appello mediante il riferimento alle modalità del fatto e al lungo periodo in cui lo stesso era maturato ed era stato compiuto, riferimento di per sé idoneo a comprovare l'impiego dei criteri di cui all' articolo 133 cod. pen. , mentre il riferimento, che è stato pure operato dalla Corte d'Appello, al fatto che l'imputato aveva negato alcune circostanze ritenute evidenti, ancorché incongruo, non appare tale - tenuto conto dell'irrogazione di una pena ben al di sotto di quella media edittale e degli altri criteri utilizzati - da potere di per sé configurare un abuso del potere discrezionale che è conferito al giudice dall' articolo 132 cod. pen. 6. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. Dal rigetto del ricorso consegue altresì la condanna del ricorrente anche al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente grado dalle parti civili (Omissis), (Omissis) e Pa., le quali spese, tenuto conto della difesa congiunta di tre diverse parti civili, con i conseguenti aumenti, si liquidano in complessivi Euro 5.897,60, oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l'imputato al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel grado dalle parti civili Da.Ma., Ga.Ca. e Pa.Gi. che si liquidano in complessivi Euro 5897,60, oltre accessori di legge.