L’avvocato può usare un linguaggio “forte” senza essere sanzionato

L’uso di un linguaggio forte da parte dell’avvocato non è di per sé deontologicamente rilevante. Per cui, se le espressioni attengono alla materia del contendere e sono a scopo difensivo, non costituiscono illecito disciplinare.

È quanto ha affermato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 465/2024, pubblicata il 1° luglio 2025, sul sito del Codice deontologico, accogliendo il ricorso di un legale sanzionato dal CDD di Trieste. I fatti I fatti hanno per protagonista un avvocato del foro di Gorizia il quale era stato sottoposto a procedimento disciplinare a seguito di un esposto presentato da una collega. Quest'ultima lamentava l'uso, in una comparsa di risposta, di espressioni denigratorie e insinuazioni offensive rivolte alla propria condotta professionale , legate a una vicenda di negoziazione assistita e successivo giudizio di rilascio di un immobile. Il Consiglio distrettuale di disciplina di Trieste aveva ritenuto le frasi contenute nell'atto “obiettivamente offensive” e non giustificate dall'attività difensiva, irrogando all'incolpato la sanzione della censura. L'avvocato incolpato proponeva ricorso al CNF, sostenendo che le espressioni usate non avevano finalità denigratoria ma erano strettamente funzionali alla difesa del proprio assistito .   La decisione del CNF Dalla disamina di tutti gli elementi emergenti dagli atti del procedimento, il Consiglio rileva innanzitutto che « le espressioni riportate nel capo di incolpazione rispondono alle esigenze difensive che il ricorrente ha dovuto soddisfare nell'interesse del suo assistito , anche in ragione delle difficoltà insite nelle particolari circostanze in cui è stato costretto ad agire». Il CNF ha quindi ribadito il seguente orientamento della giurisprudenza domestica: «il conflitto tra il dovere di difesa, da un lato, e il dovere di non utilizzare espressioni che possano offendere il contraddittore, dall'altro lato, va risolto dando prevalenza al “diritto a svolgere la difesa giudiziale nel modo più largo e insindacabile salvo l'ipotesi in cui le espressioni offensive siano gratuite, ossia non abbiano relazione con l'esercizio del diritto di difesa e siano oggettivamente ingiuriose' e che ‘pertanto non commette illecito disciplinare l'avvocato che, in un atto del giudizio, usi espressioni forti per effettuare valutazioni generali attinenti alla materia del contendere e a scopo difensivo”» (cfr. CNF n. 86/2019; n. 92/2021). Nel caso di specie, l'incolpato non aveva altra scelta, per tutelare la parte assistita, «se non quella di stigmatizzare l'azione posta in essere dalla collega di parte avversa alla stregua delle norme processuali e sostanziali, la cui violazione fosse in grado di determinare l'invalidità degli opposti atti difensivi». Inoltre, tutte le argomentazioni difensive utilizzate dall'incolpato, sebbene involgenti direttamente l'attività professionale posta in essere dalla collega di controparte, «possono ritenersi assolvere ai profili della continenza , della pertinenza e della verità , così da non potersi ritenere ricorrenti i profili di responsabilità disciplinare addebitati allo stesso ricorrente». Pertanto, non potendosi ritenere sussistenti gli addebiti disciplinari contestati, il CNF accoglie il ricorso .

CNF, parere n. 465