In tema di peculato, per le condotte anteriori all’entrata in vigore del Codice di impresa e di insolvenza, non è configurabile una posizione di garanzia in capo ai membri del comitato di sorveglianza nella procedura di liquidazione coatta amministrativa, poiché l’articolo 201 R.D. 16 marzo 1942 n. 267 equipara tale organo al comitato dei creditori nel fallimento, al quale non si applica l’articolo 2407, comma 2, c.c.; ne consegue l’insussistenza di un obbligo giuridico di impedire l’evento dannoso ex articolo 40, comma 2, c.p.
La pronuncia in oggetto trae origine da una vicenda giudiziaria concernente la condanna di più soggetti per il reato di peculato continuato , in relazione all'appropriazione, nel periodo compreso tra il 2007 e il 2014, di ingenti somme di denaro (pari a circa 25 milioni di euro) provenienti dal fondo pubblico denominato “Particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico”, relativo ad una città del Mezzogiorno e sottoposto a procedura di liquidazione coatta amministrativa. I soggetti coinvolti risultavano essere, rispettivamente: il commissario liquidatore del fondo, nella sua qualità di pubblico ufficiale; tre membri del comitato di sorveglianza, nonché un soggetto che aveva percepito le somme illecitamente distratte mediante società a lui riconducibili. In primo grado di giudizio, il Tribunale di Roma pronunciava condanna nei confronti degli imputati per il delitto di peculato continuato; successivamente, la Corte di Appello di Roma confermava integralmente tale decisione, ritenendo che i ricorrenti avessero l' obbligo giuridico di impedire la consumazione del reato , in ragione delle rispettive qualità di presidente e membri del comitato di sorveglianza, richiamando a sostegno la giurisprudenza formatasi in materia di collegio sindacale. Pertanto, i condannati proponevano ricorso per Cassazione, deducendo plurimi motivi. Tra questi, i tre componenti del comitato di sorveglianza del fondo “Gestione fuori bilancio” deducevano la violazione di legge con riferimento agli articolo 40 comma 2, e 314 c.p. , nonché agli articolo 41, commi 1 e 7, 198, 201 e 205 del R. d. n. 267 del 1942, sostenendo che la Corte di Appello avesse erroneamente fatto applicazione dell'analogia in malam partem , avendo riconosciuto in capo al predetto comitato una posizione di garanzia equiparabile a quella propria dei sindaci. In particolare, la difesa del presidente del comitato di sorveglianza rilevava come la condotta appropriativa posta in essere dal commissario liquidatore del fondo di gestione non fosse suscettibile di essere impedita, atteso che quest'ultimo aveva artatamente tratto in inganno il comitato stesso, esibendo, in sede di controlli contabili, documentazione falsificata. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso annullando la sentenza impugnata senza rinvio, perché il fatto non sussiste, per difetto dei presupposti di applicazione dell' articolo 40 comma 2 c.p. Invero, secondo i Giudici, l'accertamento circa la sussistenza di una posizione di garanzia in capo al comitato di sorveglianza richiede un puntuale scrutinio delle disposizioni normative che ne regolano funzioni e attribuzioni . Premessa imprescindibile è che le condotte contestate agli imputati si collocano in epoca anteriore all'entrata in vigore del d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) e risultano, pertanto, assoggettate alla disciplina dettata dal R. d. 16 marzo 1942, n. 267 (recante disposizioni in materia di fallimento, concordato preventivo, amministrazione controllata e liquidazione coatta amministrativa), il quale, agli articolo 194 e ss., regola la procedura di liquidazione coatta amministrativa. In particolare, ai sensi dell'articolo 201 del citato R.D., il quale rinvia espressamente alla disciplina della procedura fallimentare , nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa il comitato di sorveglianza esercita le medesime funzioni attribuite al comitato dei creditori nella procedura fallimentare, come espressamente stabilito dall'articolo 41 del medesimo decreto. Tale disposizione prevede, tra l'altro, che ai componenti del comitato dei creditori trovi applicazione, in quanto compatibile, l' articolo 2407, commi 1 e 3 c.c. , con esclusione espressa della disciplina di cui al secondo comma, il quale, nella formulazione anteriore alla legge n. 35 del 2025 , stabiliva che i sindaci «sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi , quando il danno non si sarebbe prodotto se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica», così delineando in via esplicita la posizione di garanzia propria del collegio sindacale. Alla luce delle suesposte argomentazioni, i Giudici di legittimità hanno affermato che, atteso il disposto dell'articolo 201 R.D., il quale equipara il comitato di sorveglianza della liquidazione coatta amministrativa al comitato dei creditori, in capo a tale organo, non sia configurabile , ai sensi dell'articolo 41 del medesimo decreto, una responsabilità per omesso controllo , ossia, in altri termini, un obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso. In conclusione, i Giudici di Piazza Cavour hanno deciso che l'assetto normativo che disciplina la liquidazione coatta amministrativa non attribuisce al comitato di sorveglianza una posizione di garanzia assimilabile a quella riconosciuta ai sindaci , in contrasto con quanto affermato dalla sentenza impugnata. Ne deriva, pertanto, l'insussistenza di un obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso.
Presidente De Amicis – Relatore Tondin Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello di Roma ha condannato i ricorrenti per il delitto di peculato continuato, per essersi appropriati, con le operazioni descritte nel capo di imputazione, di ingenti somme di denaro della Gestione fuori bilancio Particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della città di Palermo , in liquidazione coatta amministrativa, di cui Na.St. aveva la disponibilità in qualità di commissario liquidatore e, quindi, di pubblico ufficiale. A Pe.Ma. è ascritto il reato di peculato a titolo di concorso con il commissario liquidatore, per avere percepito, tramite società a lui riconducibili, somme di denaro provento dei fondi a disposizione della Gestione fuori bilancio. Ma.Do., Pe.Pa. e Br.Se., in qualità di membri del comitato di sorveglianza, sono stati ritenuti responsabili del medesimo reato ai sensi dell' articolo 40, comma 2, cod. pen. La sentenza fonda l'accertamento dei fatti, commessi dal 2007 al 2014, sulla confessione di Na.St. che ha ammesso di essersi appropriato di quasi 25 milioni di Euro della Gestione fuori bilancio di cui era commissario liquidatore, versandoli in parte in conti a lui riconducibili, in parte a società riconducibili a Pe.Ma.-, sulle dichiarazioni dei testi escussi, sugli esiti delle intercettazioni telefoniche e sulle indagini svolte dalla Guardia di finanza. 2. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi per cassazione tutti gli imputati. 2.1 Ricorso di Na.St. La difesa di Na.St. ha dedotto i motivi di ricorso di seguito sintetizzati. 2.1.1. Difetto di motivazione e violazione di legge in relazione agli aumenti di pena per i reati posti in continuazione, Nella prospettazione difensiva la Corte di appello avrebbe violato il divieto di reformatio in peius, in quanto, tenuto conto che ha dichiarato la prescrizione dei reati commessi fino a gennaio 2011 e che solo otto episodi di peculato non sarebbero prescritti, avrebbe dovuto aumentare la pena, al più, di quattro mesi di reclusione, in considerazione del fatto che il Tribunale aveva applicato per ventotto episodi posti in continuazione un aumento di anni uno e mesi tre di reclusione, pari a circa quindici giorni di reclusione per episodio. 2.1.2. Violazione di legge in relazione all' articolo 157 cod. pen. , in quanto, alla data della pronuncia della sentenza impugnata, erano prescritti tutti gli episodi commessi fino al 21 aprile 2011 e non solo quelli commessi prima del gennaio 2011. 2.1.3. Violazione di legge in relazione all' articolo 157 cod. pen. , in quanto, al momento del deposito della motivazione, erano prescritti tutti i reati commessi sino al 6 settembre 2011. 2.1.4. Violazione di legge in relazione all' articolo 69 cod. pen. , in quanto la Corte di appello, pur in assenza di un motivo di impugnazione sul punto, in applicazione dell' articolo 597, comma 5, cod. proc. pen. , avrebbe potuto e dovuto effettuare d'ufficio il giudizio di comparazione ritenendo le circostanze attenuanti generiche prevalenti, alla luce del comportamento processuale dell'imputato. 2.2 Ricorso di Pe.Ma. Nell'interesse di Pe.Ma. sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso. 2.2.1. Violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento della prova. Si assume al riguardo che, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, le dichiarazioni rese dal ricorrente sarebbero generiche e non specifiche e lo stesso memoriale da lui redatto non spiegherebbe nel dettaglio gli accordi con Na.St.; viene contestato, inoltre, che Pi.Fr. sia stato il prestanome del ricorrente. 2.2.2. Violazione di legge, difetto di motivazione e travisamento della prova, sotto plurimi profili. La sentenza impugnata non si sarebbe confrontata con le censure contenute nell'atto di appello e avrebbe reiterato il travisamento delle dichiarazioni di Na.St.che, in dibattimento, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, avrebbe riferito di non sapere chi fosse Pi.Fr.. Tale travisamento sarebbe rilevante in quanto idoneo a minare l'attendibilità del coimputato, sulle cui dichiarazioni è stata fondata la responsabilità del ricorrente. In secondo luogo si rileva che erroneamente la Corte di appello, ripetendo l'assunto del Tribunale, avrebbe ritenuto che i testi Lu. e Ma.avessero confermato che il dominus delle società era Pe.Ma. e non Pi.Fr.. Erronea sarebbe, poi, la affermazione secondo cui quest'ultimo non aveva mai avuto rapporti con la Ragioneria Generale dello Stato, poiché dalla documentazione prodotta emerge che vi aveva lavorato per molti anni. Nella prospettazione difensiva, poi, non emergerebbe da alcuna risultanza probatoria che Pe.Ma. trattenesse circa il 40% delle somme versate alle sue società, non essendo ricostruito tale flusso di denaro nemmeno dalla documentazione acquisita dalla Guardia di finanza. Infine, non vi sarebbe alcuna prova del fatto che il ricorrente facesse da tramite tra il commissario giudiziale e gli altri organi della procedura. 2.2.3. Difetto di motivazione, in quanto la Corte di appello avrebbe fondato la responsabilità del ricorrente su affermazioni apodittiche e meramente reiterative di quelle contenute nella sentenza di primo grado. Non sarebbero state, poi, adeguatamente valutate le dichiarazioni rese da Ad.Re., legale rappresentante della società Europa 2004, e di Gi.Ma., da cui si desumerebbe l'estraneità del ricorrente alle attività di tali società. Né sarebbe stato spiegato come la sua responsabilità si desuma dalle scritture contabili di queste società, scritture che non sono mai state rinvenute. Con il medesimo motivo il ricorrente contesta, infine, le modalità con cui la Corte ha calcolato i termini di prescrizione del reato. 2.3. Ricorso di Br.Se. Br.Se. è stato condannato perché, in qualità di Presidente del comitato di sorveglianza della gestione fuori bilancio Particolari e straordinarie esigenze anche di ordine pubblico della città di Palermo , ha omesso ogni forma di controllo e vigilanza atta a impedire la commissione del reato di peculato. Nel suo interesse sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso. 2.3.1. Violazione di legge in relazione agli articolo 40, comma 2, 314 cod. pen. e 205 R.d. n. 267 del 1942, unitamente al difetto di motivazione, in quanto il comitato di sorveglianza non riveste una posizione di garanzia. In ogni caso, anche a voler ipotizzare il contrario, nel caso di specie la condotta appropriativa realizzata da Na.St.non avrebbe potuto essere impedita, in quanto quest'ultimo ha tratto in inganno il comitato di sorveglianza, esibendo allo stesso, in occasione dei controlli contabili, documenti falsificati. 1.5.1. Diretto alla motivazione e travisamento del ratto in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto che il comitato di sorveglianza non abbia regolarmente svolto i controlli, che sono stati, invece, diligentemente eseguiti, come emerge, tra l'altro, dal fatto che, in più occasioni, ha richiesto chiarimenti o confrontato il saldo della banca con il saldo presentato dal commissario liquidatore. In realtà il controllo è stato totalmente vanificato dal fatto che quest'ultimo ha realizzato il peculato mediante gli artifizi e raggiri sopra descritti, come da lui dichiarato nell'interrogatorio del 20 marzo 2015, riportato nel ricorso, nella parte di rilievo. 2.3.3. Violazione di legge in relazione agli articolo 40, comma 2, 43 e 314 cod. pen. e difetto di motivazione, in ordine alla compatibilità del dolo eventuale con la responsabilità omissiva. Si afferma, sotto tale profilo, che i raggiri di Na.St., che ha sottoposto al comitato di sorveglianza estratti conto falsificati, non avrebbero consentito al ricorrente nemmeno di rappresentarsi la condotta appropriativa e che al più, possibili condotte connotate da inerzia potrebbero essere rimproverabili a titolo di colpa. Si rimarca, infine, l'irragionevolezza della condotta ascritta, consistita nella dolosa omissione dei dovuti controlli, senza alcun profitto personale. 2.4. Ricorso di Ma.Do. Nell'interesse di Ma.Do., membro del comitato di sorveglianza, sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso. 2.4.1. Violazione di legge in relazione agli articolo 40, comma 2, e 314 cod. pen. e difetto di motivazione in ordine sia al rapporto di causalità tra la condotta omissiva concorsuale e la realizzazione dell'evento del reato sia all'elemento psicologico nella forma del dolo eventuale. Sotto il primo profilo la sentenza impugnata sarebbe motivata in modo meramente apparente, in quanto si limita a richiamare una presunta posizione di garanzia rivestita dal comitato di sorveglianza, posizione, peraltro, insussistente in quanto l'articolo 205 R.d. n. 267 del 1942 non la prevede. Inoltre, del tutto contraddittoriamente la sentenza impugnata avrebbe ritenuto attendibile Na.St., senza, però, valorizzare la parte delle sue dichiarazioni in cui aveva chiarito di aver falsificato gli estratti conto presentati al comitato di sorveglianza, escludendo qualsiasi forma di complicità dei suoi membri. Lo stesso Pe.Ma., sia in sede di interrogatorio di garanzia, sia in sede dibattimentale, aveva sostenuto l'estraneità di Ma.Do. al reato, paventando al più una sorta di culpa in vigilando. (Omissis), si rileva che non sono stati valutati elementi favorevoli ai ricorrente quali l'archiviazione della Procura regionale per il Lazio della Corte dei conti, che ha escluso la sussistenza di una condotta omissiva dolosa o gravemente colposa. 2.4.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli articolo 133 e 81 cod. pen. , non essendo stati indicati i criteri utilizzati per la quantificazione dell'aumento di pena in continuazione. 2.5. Ricorso di Pe.Pa. Nell'interesse di Pe.Pa., membro del comitato di sorveglianza, sono stati dedotti i seguenti motivi di ricorso. 2.5.1. Violazione di legge in relazione agli articolo 40, comma 2, e 314 cod. pen. , 41, commi 1 e 7, 198, 201 e 205 R.d. cit., in quanto erroneamente la sentenza impugnata, con un inammissibile ricorso all'analogia in malam partem, ha ritenuto sussistere in capo al comitato di sorveglianza una posizione di garanzia equiparata a quella dei sindaci e non si è confrontata con il provvedimento con cui la Corte dei conti ha archiviato il procedimento riguardante la dedotta responsabilità per danno erariale, instaurato a carico dei componenti del comitato di sorveglianza. 2.5.2 Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla sussistenza del rapporto di causalità tra la condotta omissiva concorsuale ascritta all'imputato e la realizzazione del reato. 2.5.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'elemento soggettivo del reato contestato, difettando una rigorosa dimostrazione della sussistenza del dolo, alla luce della documentazione bancaria falsificata, della produzione di contratti falsificati e della non riferibilità al ricorrente della conversazione telefonica intercorsa tra Ma.Do. e (Omissis) riportata a pagina 10 della sentenza di appello. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso proposto da Na.St. è inammissibile per genericità. 1.1. È opportuno premettere che il Tribunale, ritenuto ingiustificato il rigetto dell'istanza di applicazione della pena formulata dall'imputato in sede di udienza preliminare, ha, in motivazione, accolto tale richiesta, ritenendola congrua. Nel dispositivo, tuttavia, richiamati gli articolo 533 e 535 cod. proc. pen. , lo ha dichiarato responsabile dei reati a lui ascritti e lo ha condannato alla pena di quattro anni e due mesi di reclusione di cui alla richiesta di applicazione pena ex articolo 444 c.p.p. . La sentenza di appello ha, implicitamente, ritenuto che la sentenza di primo grado fosse di condanna e non di applicazione della pena, evidentemente dando prevalenza al dispositivo sulla motivazione e osservando che il Tribunale, per determinare il trattamento sanzionatorio da riservare... ha assunto a paradigma il quantum di pena di cui alla richiesta formulata ex art 444 cod. proc. pen. in sede di udienza preliminare e disattesa dal Gup . Ciò premesso, la Corte di appello ha dichiarato la prescrizione di tutti i reati di peculato antecedenti al gennaio 2011 e, per quelli residui, ha inflitto un aumento di pena in continuazione di mesi sei di reclusione; la sentenza di primo grado aveva, invece, inflitto, per tutti gli episodi posti in continuazione, un aumento di anni uno e mesi tre di reclusione. Il ricorrente assume che gli episodi originariamente contestati fossero ventotto e che la Corte di appello ne abbia dichiarati prescritti venti, con la conseguenza che ne residuerebbero otto (e per tale ragione viene dedotta la violazione del divieto di reformatio in peius, ipotizzando che in primo grado siano stati inflitti circa quindici giorni per ciascun episodio in continuazione). In realtà, la lettura dei capi di imputazione non consente di individuare il numero degli episodi contestati indicato dal ricorrente -la sola lettera a), infatti, comprende n. 122 bonifici, la lettera b) si riferisce a 54 assegni e le successive lettere c) e d) a una pluralità di operazioniné il numero degli episodi residui, in quanto, per una cospicua serie di fatti, non è indicata la data di commissione Al riguardo il ricorso è formulato in modo del tutto generico perché non esplicita quali siano gli episodi che si ritengono non prescritti e quali siano gli episodi prescritti, sicché va dichiarato, per questa parte, inammissibile. In ogni caso, va precisato che, in tema di divieto di reformatio in peius in appello, l'omessa specificazione dei singoli aumenti di pena disposti in primo grado in relazione a plurimi reati continuati, non consente di presumere che l'aumento sia stato operato in misura eguale per ciascuno di essi, sicché ben può il giudice del gravame, dichiarato il proscioglimento per alcuni reati, rideterminare la pena applicando un aumento per la continuazione che non sia proporzionalmente ridotto, purché la pena finale risulti inferiore rispetto a quella irrogata dal primo giudice (Sez. 6, n. 30164 del 02/04/2019, D'Antuono, Rv. 276229 01), come accaduto nel caso di specie, in cui, peraltro, l'aumento in continuazione è stato estremamente modesto. 1.2. Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono manifestamente infondati. Ai fini del computo della prescrizione, infatti, rileva il momento della lettura del dispositivo della sentenza di condanna e non quello successivo del deposito della stessa (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 277593 02). Inoltre, il giudice di appello può legittimamente riconoscere le attenuanti generiche anche ex officio, ma il mancato esercizio di tale potere, eccezionalmente riconosciuto dall' articolo 597, comma 5, cod. proc. pen. , non è censurabile in cassazione, né è configurabile in proposito un obbligo di motivazione, in assenza di specifica richiesta nei motivi di appello, o nel corso del giudizio di secondo grado (Sez. 5, n. 3756S del 08/07/2015, Tota-, Rv. 264552 01). ¦ 1.3. Il secondo motivo di ricorso, con cui si investe questa Corte del tema della prescrizione, che sarebbe stata erroneamente calcolata dalla sentenza impugnata, è, invece, fondato. La Corte di appello ha indicato il termine di prescrizione dei reati di peculato contestati in tredici anni, cinque mesi e sedici giorni, in quanto tali reati, tutti commessi anteriormente alla legge n. 69 del 2015 , erano puniti, nel momento in cui sono stati posti in essere, con pena massima di dieci anni di reclusione. Il relativo termine massimo di prescrizione era, dunque, quello di anni dodici e mesi sei, cui vanno aggiunti i rilevati periodi di sospensione, fino a giungere al termine di anni tredici, cinque mesi e sedici giorni, sopra indicato. Computando tale termine di prescrizione a ritroso rispetto all'emissione della sentenza di secondo grado (4 ottobre 2024), si perviene alla conclusione che, in quel momento, erano prescritti tutti i fatti commessi prima del 28 novembre 2011 e non, come erroneamente ritenuto dalla Corte di appello, i soli episodi antecedenti al gennaio 2011. La rilevata fondatezza del motivo di gravame concernente la prescrizione dei reati ascritti all'imputato comporta la valida instaurazione del rapporto processuale di impugnazione in relazione a tutti gli episodi oggetto di imputazione a prescindere dalla inammissibilità dei motivi aventi ad oggetto gli ulteriori punti della decisione -, con la conseguenza che la causa di estinzione deve essere rilevata finché il giudizio non sia esaurito integralmente in ordine ai capì concernenti la definizione dei reati ai quali la causa stessa si riferisce (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Tuzzolino, Rv. 216239). Pertanto, si devono dichiarare ad oggi prescritti tutti i reati commessi prima del 28 novembre 2011°contestati ai capi a), d) ed e), mentre sono integralmente prescritti i reati di peculato contestati ai capì b) e c), relativi a fatti antecedenti al 2011. Per i reati di peculato commessi dal 28 novembre 2011 va dichiarata l'irrevocabilità dell'accertamento della responsabilità dell'imputato, ai sensi dell' articolo 624, comma 2, cod. proc. pen. L'intervenuta prescrizione impone la declaratoria di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi prima del 28 novembre 2011. (Omissis), invece, disporre il rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per la rideterminazione della pena in relazione alle condotte successive a tale data, essendo necessario l'accertamento di situazioni di fatto non compatibili con il giudizio di legittimità, e, in particolare, l'accertamento della data di commissione di ciascun episodio di peculato non prescritto per il quale è stata accertata la responsabilità. Nel giudizio di rinvio dovranno essere liquidate anche le spese sostenute nella presente fase dalla parte civile Ministero dell'economia e delle finanze. 2. Il primo motivo di ricorso di Pe.Ma. è manifestamente infondato. Dalla sentenza di primo grado, il cui apparato motivazionale si fonde con quello della conforme sentenza di secondo grado, emerge che nei primi interrogatori innanzi al pubblico ministero e al giudice per le indagini preliminari il ricorrente ha spiegato in modo dettagliato il sistema ideato da St.Ma. e la sua partecipazione ad esso, rivelando anche particolari non noti agli inquirenti (cfr. stralcio delle dichiarazioni riportato alle pagine 37 e 38 della sentenza di primo grado). La confessione è stata posta a base del giudizio di colpevolezza, avendone i giudici favorevolmente apprezzato la veridicità, la genuinità e l'attendibilità e ciò anche se l'imputato, dopo aver reso confessione nel corso delle indagini preliminari, non ha confermato in dibattimento le dichiarazioni rese precedentemente. La ritrattazione è stata, infatti, ritenuta non genuina, perché le dichiarazioni originarie erano confermate da una serie di altri elementi di prova, e segnatamente dalle conformi dichiarazioni del correo St.Ma. e dalla documentazione acquisita dalla Guardia di finanza, relativa ai flussi di denaro verso le società facenti capo a Pe.Ma., che non svolgevano alcuna attività per conto della procedura e si limitavano a emettere fatture per operazioni inesistenti. Tale motivazione, logica e immune da vizi, non è intaccata dalle doglianze contenute nel ricorso. La censura relativa al ruolo di Pi.Fr. è inammissibile in quanto formulata in modo del tutto generico. 2.1. Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile sia perché sollecita una diversa lettura delle risultanze probatorie che sono state adeguatamente valutate dalle conformi sentenze di primo e secondo grado, sia perché formulato in modo generico. Sul punto va ribadito che, nel caso di cosiddetta doppia conforme , il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un'informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, Rv. 283777-01), cosa che non è accaduta nel caso di specie. La sentenza di secondo grado, infatti, ha confermato le valutazioni di quella di primo grado in riferimento alla attendibilità di St.Ma., che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non ha mai affermato di non sapere chi fosse Frasca, ma solo di non averlo conosciuto. Le dichiarazioni auto ed etero accusatorie di Na.St. sono conformi a quelle rese in fase procedimentale dal ricorrente e trovano pieno riscontro nella documentazione acquisita dalla Guardia di finanza, da cui emerge che consistenti flussi di denaro drenati dalla Gestione fuori bilancio sono stati fatti confluire nelle società che facevano capo al ricorrente, con cui la Gestione non aveva alcun reale rapporto economico. Tali società non avevano consistenza né apparato, essendo in sostanza enti fittizi costituiti proprio allo scopo di emettere fatture per operazioni inesistenti, in modo da mascherare l'indebita appropriazione di denaro da parte del ricorrente e del commissario liquidatore. In questo univoco contesto probatorio, le censure della difesa relative alle dichiarazioni dei testi Lu., Ma., Ge., Re.e Ma.e al contenuto dei verbali del comitato di sorveglianza, oltre che essere formulate in modo generico, sono sostanzialmente volte ad ottenere una inammissibile rivalutazione di profili probatori già oggetto di uniforme giudizio in primo e in secondo grado. 2.2. Il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui contesta la ricostruzione dei fatti operata, con motivazione conforme, dalla sentenza di primo e secondo grado, è manifestamente infondato per i motivi sopra riportati. Fondata, invece, è la censura con cui si investe la Corte della prescrizione dei reati ascritti al ricorrente, per i motivi già esposti in riferimento alla posizione di Na.St., che devono intendersi, pertanto, qui integralmente richiamati. Anche per il ricorrente Pe.Ma., dunque, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio limitatamente ai reati commessi prima del 28 novembre 2011 e contestati ai capi a), d) ed e), in quanto estinti per intervenuta prescrizione. Per i reati di peculato commessi dopo tale data va dichiarata l'irrevocabilità dell'accertamento della responsabilità dell'imputato, ai sensi dell' articolo 624, comma 2, cod. proc. pen. Si deve, invece, disporre il rinvio-ad altra Sezione della Corte di appello di-Roma per la rideterminazione della pena. 3. I ricorsi di Ma.Do., Pe.Pa. e Br.Se. sono fondati. La sentenza impugnata ha ritenuto i ricorrenti responsabili del reato di peculato continuato, in quanto potevano e dovevano impedirlo, in qualità di Presidente e di membri del comitato di sorveglianza (articolo 40, comma 2, e 314 cod. pen. ), richiamando sul punto la giurisprudenza relativa alla responsabilità del collegio sindacale. 4. La valutazione della condotta contestata ai membri del comitato di sorveglianza pone tre ordini di questioni. La prima questione attiene alla sussistenza, in capo all'organo di vigilanza, di una posizione di garanzia che fonda la responsabilità per omesso impedimento e in difetto della quale può residuare solo l'ordinaria responsabilità concorsuale ( articolo 110 cod. pen. ). Solo se è configurabile una posizione di garanzia si pone la seconda questione, che attiene all'esistenza di un nesso di causalità tra la condotta omessa e l'evento appropriativo. Infine, se esiste anche il nesso di causalità, occorre verificare se la condotta omissiva sia stata o meno dolosa. 5. La verifica della sussistenza di una posizione di garanzia impone l'esame delle norme che disciplinano le funzioni e i compiti del comitato di sorveglianza. Infatti, i reati omissivi impropri non sono configurati attraverso apposite norme, ma sono la risultante della combinazione di norme incriminatrici con una disposizione di parte generale (l' articolo 40, comma 2, cod. pen. ). La responsabilità penale si fonda, dunque, sull'esistenza di una norma giuridica extrapenale che impone un determinato comportamento, funzionale ad evitare la verificazione dell'evento, la cui realizzazione costituisce la violazione dell'interesse tutelato dalla norma penale. Le condotte ascritte agli imputati sono anteriori rispetto all'entrata in vigore del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) e, quindi, sono disciplinate dal R.d. 16 marzo 1942 n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa) che, agli articolo 194 e ss., regola la liquidazione coatta amministrativa. L'articolo 198 R.d. cit. stabilisce che con il provvedimento che ordina la liquidazione o con altro successivo viene nominato con commissario liquidatore. è altresì nominato un comitato dì sorveglianza di tre o cinque membri scelti fra persone particolarmente esperte nel ramo di attività esercitato dall'impresa, possibilmente fra i creditori ; il successivo articolo 201 disciplina gli effetti della liquidazione per i creditori e sui rapporti giuridici preesistenti rinviando alle disposizioni che regolano la procedura fallimentare (titolo II, capo III, sezione II e sezione IV e articolo 65) e precisando che si intendono sostituiti nei poteri del Tribunale e del giudice delegato l'autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione, nei poteri del curatore il commissario liquidatore e in quelli del comitato dei creditori il comitato di sorveglianza . Quindi, nella procedura di liquidazione coatta amministrativa il comitato di sorveglianza ha le stesse funzioni che ha il comitato dei creditori nella procedura fallimentare, funzioni che sono, a loro volta, disciplinate dall'articolo 41 R.d. cit. (disposizione contenuta nel titolo II, capo III, sezione IV, cui l'articolo 201, come detto, fa espresso rinvio). L'articolo 41 stabilisce che Il comitato dei creditori vigila sull'operato del curatore, ne autorizza gli atti ed esprime pareri nei casi previsti dalla legge, ovvero su richiesta del Tribunale o del giudice delegato, succintamente motivando le proprie deliberazioni.... Il comitato ed ogni componente possono ispezionare in qualunque tempo le scritture contabili e i documenti della procedura ed hanno diritto di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito.... Ai componenti del comitato dei creditori si applica, in quanto compatibile, l' articolo 2407, primo e terzo comma, del codice civile .... . L' articolo 2407 cod. civ. , relativo alla responsabilità dei sindaci, nella formulazione vigente all'epoca dei fatti (ossia prima delle modifiche introdotte con I. 14 marzo 2025, n. 35, entrata in vigore il 12 aprile 2025) stabiliva, al comma 1, che i sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio mentre il successivo comma 3 regolava l'esercizio dell'azione di responsabilità nei loro confronti, mediante rinvio alle disposizioni degli articoli 2393, 2393 bis , 2394, 2394 bis e 2395 cod. civ. , in quanto compatibili (la medesima disciplina è oggi prevista nella I. n. 14 del 2019, il cui articolo 140, comma 7, nel disciplinare i poteri e le funzioni del comitato dei creditori, rinvia all' articolo 2407, commi 1 e 3, cod. civ. ). articolo 41 citato non fa rinvio al secondo comma dell' articolo 2407 cod. civ. che, nella formulazione antecedente alla I. n. 35 del 2025, prevedeva che i sindaci sono responsabili solidalmente con gli amministratori per i fatti o le-omissioni di questi,-quando il danno nonsi sarebbe prodotto-se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi della loro carica , così configurando espressamente la posizione di garanzia del collegio sindacale. 6. Sul punto è opportuno precisare che l'articolo 41 citato, nella formulazione introdotta con il D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 , attribuiva al comitato dei creditori funzioni di vigilanza, consultive e autorizzatorie nonché il potere, riconosciuto anche singolarmente a ciascun componente, di ispezionare le scritture contabili e i documenti della procedura e di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito. A questo potere-dovere corrispondeva una responsabilità civile, tutte le volte in cui si fosse dimostrato che gli ammanchi non si sarebbero verificati se il comitato avesse effettuato i dovuti controlli. Ciò in quanto l'articolo 41, come novellato nel 2006, richiamava l'intero disposto dell' articolo 2407 cod. civ. , ivi compreso il comma 2, per cui i componenti del comitato erano esposti al rischio di un'azione di responsabilità per eventuali danni che al fallito, ai creditori e ai terzi fossero stati causati come conseguenza immediata e diretta dell'espletamento, o del mancato espletamento, delle loro funzioni. Il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169 , ha modificato la disposizione in esame, escludendo l'applicabilità del secondo comma dell' articolo 2407 cod. civ. , e mantenendo fermo il rinvio solo ai commi primo e terzo. Quindi il potere di ispezione, finalizzato alle funzioni di sorveglianza attribuite al comitato dei creditori, è venuto ad assumere una più ridotta importanza, perché alla sua violazione non corrisponde più, per espressa scelta legislativa, una responsabilità da inadempimento degli obblighi di controllo. Il D.Lgs. n. 169 del 2007 , cioè, limitando il rinvio dell'articolo 41, penultimo comma, all' articolo 2407, commi 1 e 3, cod. civ. ha espressamente escluso la responsabilità per omesso controllo. 7. Poiché, come sopra detto, l'articolo 201 R.d. cit. equipara il comitato di sorveglianza della liquidazione coatta amministrativa al comitato dei creditori, si deve concludere che, anche in capo a quest'ultimo organo, non sia configurabile, in base all'articolo 41 cit., una responsabilità per omesso controllo, o, detto in altri termini, un obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso. Né tale obbligo è desumibile dalle altre norme che regolano le funzioni del comitato di sorveglianza; non, in particolare, dal successivo articolo 205, norma nella sentenza impugnata, che prevede solo la necessità di redazione di un rapporto, ossia di un parere, del comitato sulla relazione periodica sulla situazione patrimoniale dell'impresa e sull'andamento della gestione che il commissario liquidatore deve presentare all'autorità di vigilanza. In conclusione, il complesso delle norme che disciplinano la liquidazione coatta amministrativa non configura in capo al comitato di sorveglianza una posizione di garanzia assimilabile a quella dei sindaci, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata. Da ciò consegue che non è configurabile in capo al comitato dei creditori una responsabilità per omesso impedimento dell'evento ( articolo 40 cod. pen. ). Per questo, diversamente da quanto accade per i sindaci, la loro responsabilità, ove ne ricorrano i presupposti, dovrà essere circoscritta ai casi di concorso ex articolo 110 cod. pen. Da ciò consegue che la sentenza impugnata, che ha ritenuto sussistente in capo ai ricorrenti una responsabilità per omesso impedimento, va annullata senza rinvio per difetto dei presupposti di applicazione dell' articolo 40, comma 2, cod. pen. 8. In ogni caso, va rilevato che né la sentenza impugnata né la conforme sentenza di primo grado, come correttamente rilevato dai ricorrenti, contengono una motivazione in ordine al nesso di causalità. Difetta, in particolare, un motivato giudizio prognostico controfattuale in ordine alla realizzazione del reato qualora i membri del comitato di sorveglianza avessero pienamente adempiuto ai compiti di controllo, giudizio tanto più necessario alla luce dell'articolato sistema ideato da St.Ma., mediante la creazione di una serie di società a lui riconducibili, la formazione di scritture transattive apocrife e la presentazione ed esibizione di documentazione bancaria contraffatta. Né è stata data motivazione in ordine alla sussistenza del dolo concorsuale, che, nella responsabilità per omesso impedimento, certamente può sussistere anche in presenza del solo dolo eventuale, purché però esistano, e siano stati percepiti dal soggetto, segnali peculiari dell'evento illecito, caratterizzati da un elevato grado di anormalità, e sempre che l'accettazione del rischio da parte del garante concerna specificamente proprio l'evento tipico che con l'azione si sarebbe potuto evitare. Poiché, poi, la condotta omissiva (omesso controllo) è stata successiva al delitto, sarebbe stato necessario accertare se vi fosse una volontà originaria, precedente alla consumazione del reato, di apportare un contributo causale alla commissione delle illecite appropriazioni. La Corte di appello, dunque, ha erroneamente equiparato il piano di responsabilità ex articolo 40 cpv. cod. pen. alla mera ricorrenza di una presunta posizione di garanzia, valutando le numerose condotte di spoliazione del patrimonio della gestione fuori bilancio poste in essere dal commissario liquidatore, senza, tuttavia, verificare la concreta possibilità di avvedersi delle relative anomalie da parte del comitato di sorveglianza e senza tenere conto delle risultanze del quadro probatorio, pure puntualmente richiamato, con particolare riferimento al comportamento decettivo del commissario liquidatore, che esibiva ai membri del comitato di sorveglianza, come da lui stesso ammesso, documentazione falsificata. 9. In conclusione la sentenza impugnata va annullata senza rinvio nei confronti di Ma.Do., Pe.Pa., Br.Se. perché il fatto non sussiste, con la conseguente revoca delle correlate statuizioni civili. P.Q.M. A) Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Br.Se., Ma.Do. e Pe.Pa. perché il fatto non sussiste. Revoca nei confronti dei predetti ricorrenti le statuizioni civili. B) Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Na.St. e Pe.Ma. limitatamente alle condotte di peculato di cui alle lett. a), d) ed e) dell'imputazione commesse anteriormente alla data del 28 novembre 2011 perché i reati sono estinti per prescrizione. Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi e irrevocabile l'accertamento della responsabilità ai sensi dell 'articolo 624, comma 2, cod. proc. pen . Dispone la trasmissione degli atti ad altra Sezione della corte di appello di Roma per la rideterminazione della pena nei confronti di Na.St. e Pe.Ma. Conferma le statuizioni civili.