In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell'art.2 l.n. 576.980, sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione Istat inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 18, c. 4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato anziché secondo quello maggiore dovuto.
La questione sottoposta all'attenzione della Corte di Cassazione trae origine dalla domanda di alcuni avvocati volta alla riliquidazione delle loro pensioni di vecchiaia , previa rivalutazione dei propri redditi a partire dal 1980, secondo l'indice medio annuo Istat dell'anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 (pari al 21,1%), anziché a partire dal 1981, secondo l'indice medio annuo Istat dell'anno 1981, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1981 (pari al 18,7%), come invece aveva fatto la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. La Corte territoriale aveva accolto la domanda del gruppo di avvocati ritenendo che la regola sulla rivalutazione ( articolo 27, ultimo comma, l. n. 576/1980 ) si applicasse anche alle pensioni maturate successivamente al 1980 e che la riliquidazione non potesse essere negata per il fatto che non fosse stato pagato il maggiore importo della contribuzione, parametrato alla rivalutazione decorrente dal 1980 anziché dal 1981. La rivalutazione Il primo motivo di impugnazione da parte di Cassa Forense riguarda le modalità di rivalutazione . La Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite, aveva già enunciato il principio per cui la rivalutazione dei redditi opera in conformità al disposto dell'articolo 27, comma quattro, ovvero secondo l' indice medio annuo relativo all'anno di entrata in vigore della legge, cioè l'anno 1980, e dunque sulla base della variazione dell'indice Istat registrata nell'anno precedente ovvero nel 1979. Tali pronunce poggiano su rilievo delle Sezioni Unite (Cass. n. 7281/2004 ) secondo cui, diversamente da quanto sostenuto dalla Cassa, l'articolo 27 comma quattro non è norma di diritto transitorio, bensì criterio generale applicabile sia alle pensioni liquidate prima dell'entrata in vigore della l.n. 576/1980 sia a quelle liquidate dopo. Pertanto, l'entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento, ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall'anno di entrata in vigore della legge, ossia dal 1980, applicando l'indice medio annuale Istat di quest'ultimo, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980. L'omissione contributiva Il secondo motivo di impugnazione posto dalla Cassa Forense riguarda l'omissione contributiva . Secondo la Cassa, considerata la dovuta rivalutazione, si rileverebbe una minore contribuzione da parte dell'avvocato. In altri termini, essendo stati versati contributi inferiori a quelli dovuti - poiché parametrati nell'aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%) - si dovrebbe concludere per l'esistenza di una violazione dell'obbligazione contributiva . Sul punto la Corte di Cassazione depone per un inadempimento del contribuente che non può essere sanato nemmeno eccependo l'erronea convinzione di non essere obbligati a versare di più. Da qui discende il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione (e dichiarato ai fini Irpef) è solo quello su cui si sono versati effettivamente i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola comunque prendendo come base la media dei migliori redditi , fermo restando il limite per cui la misura del reddito denunciato ai fini Irpef è da rapportare ai contributi effettivamente versati . Se, come nel caso di specie sono stati versati i contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, allora tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Tale ricostruzione nomofilattica risulta rispettosa sia del principio di solidarietà che connota la previdenza forense sia del principio di corrispettività sinallagmatica tra contribuzione e prestazione. La base di calcolo per il trattamento pensionistico dovrà, quindi, sempre corrispondere alla contribuzione effettivamente versata.
Presidente Esposito - Relatore Garri Fatti di causa 1. La Corte d'Appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto le domande di Ba.Ma., Be.Gi., Da.Di., Da.Re. + Altri Omessi, Fe.Pe., Fe.Ca. + Altri Omessi, volte alla riliquidazione della loro pensione di vecchiaia previa rivalutazione dei propri redditi a partire dal 1980 secondo dell'indice medio annuo ISTAT dell'anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 (pari al 21,1%), anziché a partire dal 1981 secondo dell'indice medio annuo ISTAT dell'anno 1981, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1980 e il 1981 (pari al 18,7%), come fatto invece dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense. 1.1. La Corte territoriale ha ritenuto che l' articolo 27, ult. co. della legge n. 576 del 1980 si applicasse anche alle pensioni maturate successivamente al 1980; né la riliquidazione poteva essere negata per il fatto che non fosse stato pagato il maggior importo della contribuzione parametrato alla rivalutazione decorrente dal 1980 anziché dal 1981. Il Regolamento della Cassa, che vieta il computo, ai fini del calcolo della pensione, degli anni di iscrizione nei quali vi sia stata una parziale omissione contributiva - precisava la Corte - non risultava applicabile retroattivamente, siccome approvato nel 2006. Infine, la Corte ha respinto la domanda della Cassa di condanna al pagamento delle differenze contributive dovute in relazione al maggior indice di rivalutazione riconosciuto al pensionato. 2. Avverso la sentenza, la Cassa ha proposto ricorso con quattro motivi, illustrati da memoria. 2.1. Ba.Ma., Be.Gi., Da.Di., Da.Re. + Altri Omessi, Fe.Pe., Fe.Ca. + Altrio Omessi, hanno resistito con controricorso, illustrato da memoria. 2.2. A seguito di infruttuosa trattazione in adunanza camerale, la causa è stata rinviata all'odierna udienza, in vista della quale le parti hanno depositato ulteriori memorie. In camera damerò se consiglio, il collegio ha riservato il termine di 90 giorni per il deposito del presente provvedimento. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli articolo 2, 10, 15, 16, 26 e 27 della legge n. 576 del 20 settembre 1980 nonché del combinato disposto degli articolo 2, 10 della stessa legge e dell'articolo 2116 c.c. in relazione all' articolo 360 primo comma n. 3 c.p.c. 1.1. Con la censura si deduce che la Corte sarebbe incorsa nella violazione delle norme citate laddove ha ritenuto che la misura del coefficiente di rivalutazione da applicare all'entrata in vigore della legge n. 576 del 1980 ai redditi utili per la determinazione della pensione sia quella del 21,1% (indice 1979-1980) e non quella ritenuta dalla Cassa del 18,7% (indice del 1981). Inoltre, si ritiene che la decorrenza dell'adeguamento debba essere fissata al 1.1.1983. 1.2. Si sostiene che il risultato cui perviene la sentenza impugnata non solo comporta importanti riflessi economici sul bilancio della Cassa, mettendone a repentaglio la sua stessa tenuta, ma soprattutto muove dall'errata interpretazione delle norme richiamate atteso che l' articolo 27 comma 4 della legge n. 576 del 1980 non può avere una portata generale essendo piuttosto una norma a carattere eccezionale e transitorio. A conferma di tale natura si sottolinea che l'articolo 26 della stessa legge dispone in via generale che la legge n. 576 disciplina solo le pensioni maturate dal 1.1.1982 e dunque la rivalutazione non può decorrere su redditi pensionabili e pensioni al 1979-1980. 1.3. Si osserva che con D.M. Giustizia 30.9.1982, emanato su richiesta della stessa Cassa in virtù della sua autonomia normativa, è stato disposto che dal 1.1.1983 gli importi delle pensioni erogate dalla Cassa siano aumentate del 18,7 % e che nella stessa misura siano adeguati i limiti di reddito di cui all'articolo 2 comma 5 e 10 comma 1 della stessa legge 576. 1.4. Ad avviso della ricorrente, pertanto, correttamente in base all'articolo 16 comma 2 della legge citata, è stata applicata la prima rivalutazione dal 1.1.1983 con indice del 18,7% alle pensioni delle parti in causa, tutte decorrenti dopo il 1982 (pari alla svalutazione intervenuta tra il 1980, indice medio alla data di entrata in vigore della legge 576, e il 1981 il cui indice medio è stato rilevato dall'Istat nel 1982). 1.5. Si sottolinea che una corretta interpretazione dell'articolo 27 della legge citata, che si applica alle pensioni maturate dopo il 1982 sulla base delle tabelle che devono essere redatte entro quattro mesi dall'entrata in vigore della legge 576, conferma il carattere eccezionale e transitorio del disposto dell'articolo 27 ultimo comma. 1.6. Si aggiunge che l'articolo 16 commi 1 e 3 conferma ulteriormente la ricostruzione proposta laddove prevede che il contributo soggettivo debba essere rivalutato con la medesima modalità (1980-1981) e decorrenza (1.1.1983). Si rileva infatti che tanto si rivalutano i contributi tanto si rivalutano i redditi da porre a base delle pensioni e le relative prestazioni. Tutto in una prospettiva di equilibrio di bilancio. 1.7. Si ricorda che ai sensi dell'articolo 26 penultimo comma le pensioni restano fisse nella misura in atto alla data di entrata in vigore della legge (con rivalutazioni fino e non oltre il 31.12.1979). 2. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli articolo 2, 10, 11, 19 della legge n. 576 del 1980 , dell'articolo 3 comma 9 della legge n. 35 del 1995 e dell' articolo 66 della legge n. 247 del 2012 in relazione all' articolo 360 primo comma n. 3 c.p.c. La Cassa si duole del mancato accoglimento della domanda proposta in via riconvenzionale di recupero della contribuzione omessa ed evidenzia che essendo identico l'indice ISTAT per la rivalutazione del reddito da utilizzare per il calcolo della pensione e per il calcolo della contribuzione soggettiva e del pari la decorrenza delle variazioni che interessano tutti gli elementi della previdenza forense (pensioni e contributi) erra la Corte di appello nell'escludere che vi sia stata una omissione contributiva anche se solo parziale (tra il 18,7% e il 21,1%) e specificatamente per effetto del versamento del contributo soggettivo in misura poi risultata inferiore rispetto a quella dovuta e comunque utilizzata per il calcolo della pensione (v. esemplificazione a pag. 26). Innalzato il tetto si innalza la quota di contributi e l'omissione c'è. Il terzo motivo di ricorso investe la sentenza denunciandone la violazione e falsa applicazione degli articolo 2 e 10 della legge n. 576 del 1980 per non aver considerato che essendosi i contributi prescritti, così divenendo non più esigibili, non si sarebbe potuto procedere alla condanna della Cassa al pagamento delle differenze di pensione pretese che devono esser calcolate avendo riferimento alle contribuzioni effettivamente versate e versabili. Aggiunge che sarebbe irrilevante l'inerzia della Cassa ne recupero poiché il credito contributivo esiste autonomamente a prescindere dalla richiesta di adempimento. (v. Cass. 21830 2014 e alte citate a p. 30). Esclusa la automaticità delle prestazioni, la pensione doveva essere liquidata sulla base dei redditi per i quali i contributi erano stati effettivamente versati e del massimale preesistente. La contribuzione prescritta non può essere utilizzata e perciò ritiene corretto il calcolo effettuato sulla base dei contributi effettivamente versati. EVIDENZIA CHE PER ALCUNI VI SONO ERRORI MATERIALI E DI CALCOLOESSENDO STATI RICONOSCIUTI IMPORTI CHE LA CASSA HA GIA' EROGATO (FASCICOLETTO LETTERA A) Con il quarto motivo si deduce che in violazione e falsa applicazione degli articolo1362 e 2116 c.c. , degli articolo 2 , 10 e 19 della legge n. 576/1980 e dell'articolo 3 comma 9 della legge n. 335/1995 e dell'articolo 66 della legge n. 247/ 20?? in relazione al Regolamento della Cassa 16.12.2005, approvato con D.M. 24.7.2006, si deduce che per i ricorrenti Be.Gi., Da.Di. + Altri Omessi, Fe.Ca., tutti in pensione da data successiva al 1.1.2006 quando è entrato in vigore l'articolo 1 del Regolamento della Cassa (non avere la Corte applicato il Regolamento ad Ad.An. , andato in pensione nel 2009, e quindi dopo la sua entrata in vigore. Erra la Corte nel ritenere inapplicabile l'articolo 1 del citato regolamento che afferma l'inefficacia ai fini della pensione degli anni di iscrizione alla Cassa per i quali sia accertata un'omissione di contributi anche solo parziale evidenziando che si tratta di principio già esistente nell' articolo 2 della legge n. 576/1980 e che in ogni caso per i soggetti indicati la decorrenza era successiva al 1.1.2006. Con il primo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 2, 10, 15, 16, 26, 27 L. n. 576/80 e 2116 c.c., per non avere la Corte ritenuto che la rivalutazione decorresse dal 1980. Con il secondo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 2 e 10 L. n. 576/80 , per avere la Corte riliquidato il trattamento pensionistico nonostante non fossero stati versati i maggiori contributi dovuti a seguito di rivalutazione decorrente dal 1980. Con il terzo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli articolo1362 e 2116 c.c. , degli articolo 2 , 10, 19 L. n. 576/80 e dell'articolo 3, co. 9 L. n. 335/95 , in relazione al Regolamento della Cassa 16.12.2005, approvato nel 2006, per avere la Corte erroneamente validato ai fini pensionistici gli anni coperti da contribuzione parziale. Il Regolamento era applicabile al controricorrente e, comunque, quanto da esso stabilito era già deducibile dall' articolo 2 L. n. 576/80 . Con il quarto motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 2, 10, 11, 19 L. n. 576/80 , dell' articolo 3, co. 9 L. n. 335/95 , per avere la Corte respinto la domanda della Cassa di pagamento dei contributi non pagati, negando che si trattasse di omissione contributiva. Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso avanzate dai controricorrenti. Per un verso, il ricorso è sufficientemente specifico nell'indicare con chiarezza le censure addotte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali essa sarebbe errata. Per altro verso, il richiamo all' articolo 360-bis, n. 1 c.p.c. appare inconferente posto che vari precedenti di questa Corte sul tema sono intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, sicché può dirsi che l'orientamento di legittimità in materia si è formato solo in seguito al ricorso. Il primo motivo è infondato. In fattispecie analoghe alla presente, dove era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell' articolo 2 L. n. 576/80 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (articolo15 e 16, co. 1), questa Corte ( Cass. 9698/10 , Cass. 16585/23 , Cass. 27609/24 ) ha affermato che la rivalutazione dei redditi, opera in conformità al disposto dell'articolo 27, co. 4, ovvero secondo l'indice medio annuo relativo all'anno di entrata in vigore della presente legge, cioè l'anno 1980, e dunque sulla base della variazione dell'indice ISTAT registrata nell'anno precedente, ovvero nel 1979. Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a sezioni unite da questa Corte (v. 7281/04) per cui, diversamente da quanto ritiene la Cassa, l'articolo 27, co. 4 è norma non di diritto transitorio, ma che detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell'entrata in vigore della L. n. 576/80 , bensì anche a quelle liquidate dopo. In particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (articolo 26, co. 1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione, opera previa rivalutazione di detti redditi a partire dall'anno di entrata della legge, e quindi dal 1980. Si deve qui aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite n. 7281/04, nella parte in cui assume invece a riferimento l'indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Tale sentenza ha riguardato infatti la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell'articolo 16, co. 1, non già la rivalutazione dei redditi (articolo 15), su cui calcolare l'ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla L. n. 576/80 sono solo quelle che maturano dal 1 gennaio 1982, le sezioni unite hanno affermato che la rivalutazione della pensione avviene sulla base dell'indice del 1981 relativo al 1980 (ovvero dell'indice medio annuo relativo all'anno di entrata in vigore della legge), e quindi dell'indice precedente all'anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell'anno ancora precedente; in particolare in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l'anno immediatamente successivo, ciò comporta necessariamente che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di amministrazione della Cassa, emessa lo stesso anno del pensionamento, che necessariamente farà riferimento alla variazione intervenuta nel corso dell'anno precedente. Nel caso di specie, invece, si tratta non di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del consiglio di amministrazione della Cassa (commi 1 e 3 dell'articolo 16), ma di rivalutare i redditi, già prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980. Conferma della presente lettura degli articolo15 , 26 e 27 L. n. 576/80 si rinviene nel secondo comma dell'articolo 27, in base al quale la prima tabella di cui all'articolo 15, co. 2 - ovvero la tabella dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal consiglio di amministrazione della Cassa entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT - è redatta entro quattro mesi dall'entrata in vigore della presente legge. La prima tabella deve essere quindi redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.80, ovvero entro il 12.2.81, e quindi essa non poteva che prendere a riferimento l'indice medio ISTAT registrato nel 1980 sulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l'indice ISTAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all'intero anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell'anno 1981, anziché già dal 12.2.81. Non osta a quanto fin qui detto il D.M. 30.9.82 adottato su delibera del consiglio di amministrazione della Cassa ex articolo 16, co. 1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni che dei redditi, dal 1981. La delibera della Cassa, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell'anno precedente, e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall'articolo 27, co. 4, in tema di decorrenza della prima rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn. 9698/10, e 16585/23, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato ove contrario alla norma primaria, ovvero l'articolo 27, co. 4 L. n. 576. Il primo motivo di ricorsa va dunque respinto, essendosi la Corte d'Appello attenuta al seguente principio di diritto: In tema di previdenza forense, l'entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1 gennaio 1982, va rivalutata a partire dall'anno di entrata in vigore della legge n. 576/80 ai sensi dell'articolo 27, co. 4 della stessa legge, e quindi dal 1980, applicando l'indice medio annuo ISTAT dell'anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980 . Il secondo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione, e sono fondati. Occorre in primo luogo esaminare il tema dell'omissione contributiva, ovvero dell'inadempimento dell'obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa (indice medio ISTAT del 1981). Non è condivisibile l'idea per cui la rivalutazione su una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell'obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, di cui condivide la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell'obbligo contributivo, così come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, importa non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato. Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest'ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall'impianto della legge n. 576. Ai sensi dell'articolo 16, co. 4, infatti, il contributo soggettivo minimo (articolo 10, co. 2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell'indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all' articolo 10, co. 1 L. n. 576/80 , invece, l'incidenza della rivalutazione sull'obbligo contributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l'aliquota del contributo soggettivo (articolo 16, co. 4 nel suo riferimento al limite di reddito di cui all'articolo 10, co. 1), viene aumentato di anno in anno l'importo del contributo (in percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione). Dunque, essendo stati versati contributi ex articolo 10, co. 1, lett. a) inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell'aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%), si deve concludere per l'esistenza di una violazione dell'obbligazione contributiva. Ovviamente tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (articolo 18), bensì ai fini del rapporto tra effettiva contribuzione (articolo 2) e misura della pensione, come oltre si dirà. L'inadempimento nemmeno può essere sanato dal fatto che siano stati poi pagati i contributi di cui all'articolo 10, co. 1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell'articolo 11. Nel caso di specie rileva l'inadempimento all'obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell'articolo 10, essendo tale obbligazione l'unica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (v. l'articolo 2, co. 2, che richiama la sola lettera a) dell'articolo 10, co. 1). La difesa di parte controricorrente argomenta poi che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all'epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla Cassa, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla Cassa, sicché non vi fu errore addebitabile, stante la buona fede. Premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l'errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minor misura dell'obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex articolo 1218 c.c. ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza ( Cass. 1003/86 , Cass. 2586/86 , Cass. 7729/04 ), va detto che tale profilo attiene non all'inadempimento, il quale sussiste come violazione dell'obbligazione contributiva (adempiuta solo parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell' articolo 1218 c.c. Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l'inadempimento (v. Cass. , sez. un. , n. 13533/01 ), mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere. Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, andrà quindi valutato in sede di giudizio di rinvio. Detto che vi fu inadempimento all'obbligazione contributiva, occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione. Ai sensi dell' articolo 2, co. 1 L. n. 576/80 , la pensione di vecchiaia è pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione , all'1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall'iscritto ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione. Questa Corte (v. Cass. 5672/12 , Cass. 7621/15, Cass. 15643/18 , Cass. 30421/19 , Cass. 694/21 ) ha avuto modo di affermare, in relazione all' effettiva contribuzione dell'articolo 2, che essa non significa integrale , con la conseguenza che, sebbene parziale, essa serve a far computare l'annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si commisura alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti. In particolare è stato specificato dalla sentenza n. 5672/12, che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l'anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, e che il calcolo della pensione si fa prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo Ancora, la sentenza n. 15643/18, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri incentrata sull' articolo 2 L. n. 773/82 , che ha un testo identico a quello dell' articolo 2 L. n. 576/80 , per quanto qui di rilievo ( per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione ), ha affermato che l'aggettivo effettiva introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione effettivamente versata . Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati effettivamente i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui - non vigendo il principio dell'automatismo della prestazione pensionistica - la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la previdenza forense e si trasforma questa in una previdenza mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte Cost. n. 67/18 ). Premesso che nemmeno riguardo alle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di astratta sinallagmaticità tale da far perdere il connotato solidaristico al sistema pensionistico, nel caso di specie la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché invece modulata su un parametro indipendente quale è quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e tuttavia correlati non alla prestazione ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria -quali sono il contributo soggettivo di cui all'articolo 10, co. 2, lett. b) e il contributo integrativo dell'articolo 11 - conferma il carattere non mutualistico della previdenza forense. Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell'assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l'obbligo contributivo, non v'è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall'adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre effettivamente versata. Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l'assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell'irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la Cassa abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà comunque diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum, allo stesso modo per cui, non operando più l' articolo 2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell'AGO, il lavoratore non ha comunque diritto ad ottenere la prestazione dall'Inps, quanto piuttosto il risarcimento dei danni. La sentenza va dunque cassata in accoglimento del secondo e quarto motivo, con rinvio alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all'applicazione del seguente principio di diritto: In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell' articolo 2 L. n. 576/80 , sono quelli coperti da contribuzione effettivamente versata , sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli articolo10 e 18, co. 4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto . Il terzo motivo è per un verso inammissibile e per altro infondato. È inammissibile laddove deduce la violazione del Regolamento della Cassa adottato il 16.12.2005, e approvato nel 2006. Secondo costante orientamento di questa Corte, i Regolamenti adottati dalla Cassa Forense allo scopo di disciplinare il rapporto contributivo degli iscritti e le prestazioni previdenziali e assistenziali da corrispondere non si configurano come previsioni regolamentari in senso proprio, ma come fonti negoziali, nonostante la successiva approvazione con decreto ministeriale. Il sindacato di questa Corte è dunque limitato all'ipotesi in cui venga dedotta una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articolo1362 c.c. (Cass. 8592/25, Cass. 27541/20 ). Ora, il motivo, pur citando nella rubrica l' articolo 1362 c.c. , non prospetta con la necessaria specificità la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli articolo1362 ss. c.c. , assumendo nella sostanza il Regolamento come norma direttamente violata ( articolo 360, co. 1, n. 3 c.p.c. ). Il motivo è poi infondato laddove deduce che, anche senza l'applicazione del Regolamento, l'azzeramento dell'annualità di anzianità assicurativa per il caso di mancato pagamento integrale della contribuzione sarebbe desumibile dall' articolo 2 L. n. 576/80 . Contro tale esegesi dell' articolo 2 L. n. 576/80 , come già ricordato, si è più volte pronunciata questa Corte ( Cass. 5672/12 , Cass. 7621/15, Cass. 15643/18 , Cass. 30421/19 , Cass. 694/21 ), affermando che la contribuzione solo parziale non può impedire di conteggiare per intero l'annualità ai fini dell'anzianità contributiva. In conclusione, vanno accolti il secondo e quarto motivo di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d'Appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso e, respinti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese di lite del presente giudizio di cassazione.