Disoccupazione involontaria e tutela del lavoratore

La mancata concreta reintegrazione del prestatori di lavoro nel posto di lavoro ed il conseguente permanere dello stato di bisogno economico, nella situazione di oggettiva disoccupazione involontaria in cui i lavoratori possono trovarsi, non fa venir meno le ragioni tipiche del sostegno economico previdenziale che costituisce la ratio e la finalità delle indennità di mobilità e/o disoccupazione previste dall'ordinamento.

I fatti di causa Un lavoratore si vedeva richiedere dall'Inps la restituzione di quanto erogatogli a titolo di indennità di mobilità, regolarmente percepita, allorché ebbe a trovarsi in stato di disoccupazione . Decideva quindi di agire giudizialmente, al fine di ottenere l'accertamento dell'insussistenza del credito vantato dall'ente. Il tribunale rigettava il ricorso e il dipendente proponeva appello avverso tale pronuncia. Nel contempo, altri lavoratori avevano azionato un diverso procedimento, avente il medesimo oggetto. Qui, il Tribunale adito dichiarava l'insussistenza del diritto dell'Istituto ad ottenere la restituzione dei trattamenti di integrazione salariale e delle indennità di mobilità erogate ai dipendenti. Le due controversie venivano riunite e trattate congiuntamente, trattandosi della medesima questione che aveva dato adito alle due decisioni contrastanti. Più in particolare, la Corte di merito precisava che l'Inps aveva erogato l'indennità di mobilità ad alcuni lavoratori dipendenti di una azienda dichiarata poi fallita. Era stato acclarato che si era verificato un trasferimento d'azienda , ai sensi dell' articolo 2112 c.c. , nei confronti di altra società presso la quale i lavoratori erano stati reintegrati, ma, immediatamente licenziati perché era intervenuta sentenza di fallimento anche nei riguardi della seconda azienda, quella appunto, presso la quale i lavoratori erano stati reintegrati. Da un punto di vista di diritto, la Corte territoriale valutava che, pur essendo venuto meno lo stato di disoccupazione a seguito della sentenza di reintegrazione nella seconda azienda, l'erogazione dell'indennità fosse giustificata in ragione dell'oggettiva persistenza dell'assenza di retribuzione, conseguita all'inottemperanza dell'ordine reintegratorio. Discendeva da quanto sopra, che non era dovuta la restituzione di alcuna somma erogata, con conseguente reiezione dell'appello dell'Inps che aveva chiesto la restituzione di quanto appunto corrisposto. La Sezione Lavoro della Suprema Corte registrava la sussistenza di orientamenti non uniformi e, conseguentemente, rimetteva la trattazione della controversia avanti le Sezioni Unite. Infine, va aggiunto che l'Inps ha impugnato la sentenza di secondo grado con unico articolato motivo, cui hanno resistito le parti con controricorso. La pronuncia L'Istituto ricorrente ritiene che l'indennità di mobilità non sarebbe dovuta in caso di accertata esistenza di un rapporto di lavoro , nascente dalla declaratoria di illegittimità del recesso e di condanna alla reintegrazione. Le Sezioni Unite danno atto di due orientamenti fra loro contrastanti : il primo di essi si fonda sul presupposto che la pronuncia giudiziale abbia effetti ex tunc sulla operatività del rapporto di lavoro che, una volta ricostituito, non lascia spazio ad un'ipotesi di disoccupazione e dunque al legittimo mantenimento dell'indennità connessa ( Cass. n. 11994/2024 ed altre conformi). Un secondo orientamento ritiene indispensabile che la reintegrazione sia attuata con una situazione di fatto, tale da escludere la sussistenza di una situazione di disoccupazione ( Cass. 9418/2007 , 29295/2019 ed altre). Invero, si tratta, in entrambi i casi, di misure attuative dell' articolo 38 comma 2 Cost , riconducibili al più ampio genus degli ammortizzatori sociali ed alla loro finalità. Si tratta di disposizione che ritiene meritevole di tutela, sia la condizione legata alla disabilità fisica o dall'età, sia quella connessa alla disoccupazione involontaria. Dunque, l'obiettivo della norma è quello di garantire forme di adeguatezza economica in situazioni oggettive che non la consentano . L'indennità di mobilità, al pari di altri istituti similari, mira a fornire mezzi di adeguato sostentamento, per il tempo della disoccupazione involontaria. In tale situazione, la persistenza del ridetto stato di disoccupazione, ancorché a seguito di un ordine di reintegrazione, non può che determinare il legittimo pagamento dell'indennità di che trattasi e l'insussistenza del diritto dell'Inps a recuperare le somme erogate a tal titolo. Sul punto, la sentenza richiama anche alcune pronunce del Giudice Costituzionale, sia pure relative a diverse fattispecie ( Corte Cost. n. 90/2024 e n. 194/2021 ) e conclude ponendo l'attenzione al dato concreto del bisogno di sostegno esplicitato nell'intero assetto normativo contenuto nella nota legge 223/1991. Quindi, il ricorso è rigettato con condanna dell'Istituto ricorrente al pagamento delle spese di giustizia e dell'ulteriore contributo unificato.

Presidente D'Ascola Relatore Leone Fatti di causa M. L. aveva adito il tribunale di Fermo perché accertasse l'insussistenza del credito di E. 30.487,13, vantato dall'Inps a titolo di restituzione di quanto erogato per l'indennità di mobilità riferita al periodo 25.11.2009-25.11.2012. Il tribunale (sentenza n.23/2016 ) rigettava la domanda. Il M. L. proponeva impugnazione rilevando l'erronea interpretazione della legge da parte del tribunale, avendo, quest'ultimo, fornito una lettura delle disposizioni in materia contrastante con le norme costituzionali dirette a tutelare il lavoro e il sostegno del lavoratore in caso di disoccupazione involontaria (articolo 4 e 38 Cost. ) L'Inps si costituiva insistendo per il rigetto dell'appello. Con ulteriore e separato ricorso l'Inps aveva proposto appello avverso la sentenza (n. 82/2018 ) con cui il Tribunale di Ascoli Piceno aveva accolto le domande dei lavoratori in epigrafe indicati (N. G. ed altri) dichiarando l'insussistenza del diritto dell'Istituto ad ottenere la restituzione dei trattamenti di integrazione salariale e delle indennità di mobilità erogate ai predetti lavoratori dal 1.2.2009 al 11.7.2013, condannando l'Inps a pagare quanto già trattenuto. L'istituto previdenziale a sostegno della impugnazione, evidenziava che i lavoratori erano stati destinatari di una pronuncia di illegittimità del licenziamento loro intimato e della condanna del datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro, e che, pertanto, non potevano godere della indennità in questione, avendo questa, quale presupposto, lo status di disoccupazione. Le due cause erano riunite dalla corte territoriale e trattate congiuntamente, trattandosi della medesima questione, pur trattata con decisioni contrapposte, inerente il diritto all'indennità di mobilità/disoccupazione in caso di intervenuta pronuncia giudiziale di reintegrazione nel posto di lavoro. Nel caso in esame (in entrambe le posizioni) la condanna alla reintegrazione era rimasta non eseguita e nessuna retribuzione era stata percepita dai lavoratori. Al riguardo la corte di merito spiegava che l'Inps, ai lavoratori dei giudizi riuniti, tutti originariamente dipendenti della (OMISSIS) srl, poi dichiarata fallita, aveva erogato l'indennità di mobilità di cui all' articolo 7 l.n.223/1991 . Con sentenza n. 587/2013, passata in giudicato, era poi stato accertato che il fallimento di (OMISSIS) non aveva comportato la definitiva cessazione dell'attività aziendale, essendosi verificato un trasferimento d'azienda ex articolo 2112 c.c. in favore di (OMISSIS) srl. Presso quest'ultima, i lavoratori erano stati reintegrati ma erano stati, in immediata successione temporale, licenziati, perché intervenuta altra sentenza declaratoria del fallimento di (OMISSIS) srl. A fronte di tale vicenda la corte di appello valutava che, sebbene formalmente venuto meno, con la sentenza di reintegrazione, lo status di disoccupazione, quale presupposto per l'indennità in questione, la sua erogazione fosse comunque giustificata e legittimamente percepita, in ragione dell'oggettiva persistenza dell'assenza di retribuzione conseguita all'inottemperanza dell'ordine reintegratorio. Era infatti ritenuto che, come anche statuito in più occasioni dalla Corte di legittimità ( Cass. n. 2716/2012 e Cass. n. 7794/2017 ), l'indennità di mobilità è strumento che si raccorda al sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore privato della retribuzione e che, pertanto, non è sufficiente l'accertamento giudiziale della illegittimità del licenziamento a far venir meno lo stato di disoccupazione, essendo invece necessario che il lavoratore abbia la possibilità di realizzare concretamente gli effetti di tale sentenza ( Cass. n. 9418/2007 ). Il Giudice d'appello, in ragione della decisione assunta, affermava quindi non dovuta la restituzione delle somme erogate al M. L., accogliendo il suo ricorso, anche respingendo, invece, l'appello dell'Inps relativo alla richiesta restituzione nei confronti degli altri lavoratori. Avverso detta decisione l'Inps proponeva ricorso affidato ad un solo motivo anche coltivato con successiva memoria, cui resistevano i lavoratori con controricorso. La causa era fissata per la decisione all'udienza camerale del 13.6.2024. Con ordinanza interlocutoria in pari data (RG n. 25399/24) la Sezione lavoro rimetteva gli atti alla Prima Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite, valutando che sul tema affrontato dalla decisione della corte territoriale si registravano orientamenti di legittimità non uniformi sulla interpretazione da attribuire allo stato di disoccupazione ed alla sua cessazione in caso di sentenza di condanna alla reintegrazione rimasta ineseguita. L'ordinanza interlocutoria sottolineava che un primo indirizzo giurisprudenziale aveva ritenuto necessario a far venir meno lo stato di disoccupazione solo la concreta attuazione della reintegrazione con una situazione de facto tale da escludere la situazione di bisogno protetta dalla legge ( Cass. n. 9418/2007 ; Cass. n. 28295/2019 ). Differente orientamento era stato espresso, anche di recente, da altre pronunce ( Cass. n.11994/2024 ; Cass. n. 8523/2023 ; Cass. n. 8513/2023 ) che avevano invece valorizzato il dato della presenza del ripristino del rapporto, a seguito di declaratoria di illegittimità del licenziamento, ex tunc, con la conseguente incompatibilità di un rapporto di lavoro con una situazione di disoccupazione generativa dell'indennità in questione. La causa era fissata per l'odierna udienza dinanzi alle Sezioni Unite. L'Ufficio della Procura Generale, con memoria scritta, concludeva per il rigetto del ricorso. Ragioni della decisione 1)Con l'unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articolo7, co.12, l.n.223/1991 e 45 ,3 co. RDL n.1827/2935 convertito in legge n.1155/1936 , vigenti ratione temporis, con riferimento agli articolo18 l.n. 300/70 e 2033 c.c. (articolo 360 co.1 n. 3 c.p.c.). Con tale motivo l'Inps si duole della errata valutazione della corte territoriale circa la sussistenza del diritto a percepire l'indennità di mobilità anche in caso di accertata esistenza di un rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento e di condanna giudiziale alla reintegrazione. Afferma dunque la legittimità dell'azione di recupero delle somme erogate. L'Istituto ricorrente ritiene che l'indennità di mobilità, al pari di quella di disoccupazione, costituisca una tutela di natura previdenziale che mira a garantire coloro che abbiano perso non volontariamente il lavoro, offrendo un sostegno per il tempo necessario a reperirne un altro. Osserva che nel caso in esame, diversamente, si è in presenza di situazioni in cui il rapporto di lavoro è dichiarato esistente da una pronuncia giudiziale che anche condanna il datore di lavoro alla reintegrazione. Tali circostanze portano ad escludere in radice, a giudizio dell'istituto, le condizioni che giustificano le tutele a sostegno del lavoratore disoccupato. In soccorso a tale posizione vengono richiamati i precedenti di questa Corte di legittimità che, fondandosi sulla diversità del rapporto di lavoro e di quello previdenziale e sui principi che hanno di conseguenza affermato la non interferenza tra le somme dovute al lavoratore dal datore di lavoro a seguito della illegittimità del recesso da quest'ultimo adottato, e le indennità riconosciute dall'Ente previdenziale per lo stato di disoccupazione, hanno poi escluso la possibilità di compensazione tra le stesse ( Cass. n. 2719/2012 Cass. 18353/2014 ) Le ragioni articolate dall'Istituto ricorrente pongono inoltre la diversa prospettiva che, in caso di inottemperanza all'obbligo datoriale di pagamento delle retribuzioni al dipendente, come nel caso di specie, quest'ultimo possa invocare la tutela prevista dagli articolo 1 e 2 del D.lvo n.n.80/1992 , a carico del Fondo di Garanzia. Tale soluzione non snaturerebbe l'indennità prevista per il caso della disoccupazione, ove quest'ultima sia da escludere in caso di ripristino ex tunc del rapporto di lavoro per disposto giudiziale. L'ordinanza interlocutoria, intervenuta in sede camerale all'esito dell'esame del ricorso dell'Istituto, muovendo dalla appartenenza dell'indennità di disoccupazione e della indennità di mobilità (pur nelle loro differenti caratteristiche e nei differenti presupposti) allo stesso genus degli ammortizzatori sociali operativi nello stato di bisogno del lavoratore e finalizzati a sostenere lo stesso in caso di disoccupazione involontaria, evidenzia come tali indennità costituiscano attuazione dell' articolo 38 secondo comma Cost. che riconosce il diritto dei lavoratori alla previsione e alla concreta assicurazione di “mezzi adeguati alle loro esigenze” per il caso di “disoccupazione involontaria”. Tale cornice di riferimento ha legittimamente determinato la distinzione tra il rapporto di lavoro e le retribuzioni ad esso riferite e le indennità in questione ed ha portato ad escludere che queste ultime possano essere detratte dagli importi che il datore di lavoro sia condannato a pagare nell'ipotesi di licenziamenti dichiarato illegittimo (sul punto Cass. n. 24447/2009 ; Cass. n. 9988/2008 ; 2928/2005 ed anche Cass .SU 12194/2002 ). E' stato infatti sottolineato che le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno ( Cass.SU n. 12194/2002 ) Tali conclusioni sono state estese a tutte le indennità previdenziali in quanto attribuite al lavoratore dall'ente previdenziale e dunque solo da questo recuperabili e ripetibili in ipotesi di restituzione al lavoratore delle retribuzioni percepite a seguito della declaratoria di illegittimità del recesso datoriale ( Cass. n.8150/2018 ). Fatte tali premesse circa la diversità di piani di relazione su cui muovono le attribuzioni patrimoniali in questione, l'ordinanza di rimessione si addentra nel tema centrale della possibilità o meno di assoggettare a restituzione all'Inps le somme erogate al lavoratore per lo stato di disoccupazione (indennità di mobilità o di disoccupazione), allorchè intervenga sentenza di condanna alla reintegrazione. In quest'ultima situazione la giurisprudenza di legittimità si è divisa nel ritenere che a costituire la base legittimante la restituzione fosse la sola sentenza declaratoria della illegittimità del licenziamento e di condanna alla reintegrazione -ripristino de iure(da ultimo Cass. n.11994/2024 ; Cass. n.854/2024 ; Cass. n. 384/2024 ), ovvero che fosse invece necessario il ripristino de facto del rapporto di lavoro per garantire la effettività della unica misura idonea a neutralizzare lo stato di disoccupazione ( Cass. n. 9418/2007 ; Cass. n. 29295/2019 ; Cass. n. 24950/2021 ; Cass. n. 22850/2022 ; Cass n. 848/2024 ). Il primo orientamento si fonda sul presupposto che la pronuncia giudiziale abbia effetti ex tunc sulla operatività del rapporto di lavoro che, una volta ricostituito de iure, non può lasciare spazio ad una ipotesi di disoccupazione e dunque al legittimo mantenimento della indennità relativa. Una diversa prospettiva è invece offerta dal secondo orientamento allorchè ritiene invece indispensabile, per garantire l'effettività della tutela, che la reintegrazione sia attuata con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege. Deve osservarsi che entrambe le opzioni assegnano allo stato di disoccupazione rilievo centrale da cui muovere per il riconoscimento delle tutele previste dall'ordinamento. Si tratta, come rilevato anche nell'ordinanza interlocutoria, di misure attuative del disposto dell' articolo 38, co.2, della Costituzione riconducibili al più ampio genus degli ammortizzatori sociali contro lo stato di bisogno dovuto alla disoccupazione. In tale alveo si sono susseguiti, nel tempo, interventi legislativi che hanno dapprima potenziato lo strumento dell'indennità di mobilità in discussione (la legge n. 223/1991 – articolo 7 co. 8 si sovrappone, in sostanza al trattamento per la disoccupazione involontaria, assorbendone la finalità), successivamente sostituendolo con l'introduzione dell'ASPI ( legge n. 92/2012 ) e successivamente della NASPI (legge n. 22/2015). Le considerazioni svolte in questa sede devono pertanto prendere le mosse da quali siano le finalità che, attuative del disposto della norma costituzionale, debbano essere perseguite, pure nelle diversità delle situazioni a cui sono dirette, dagli istituti giuridici in discussione. L' articolo 38 Cost. nel suo secondo comma racchiude i principi di tutela dei lavoratori che, in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, si trovino privi di mezzi di sostentamento adeguati alle proprie esigenze di vita. La disposizione raccoglie nel suo dictum i principi di solidarietà sociale che informano il sistema normativo di previdenza ed assistenza e ne direzionano l'operatività. Si tratta, peraltro, di disposizione che, considerando sullo stesso piano meritevole di tutela, sia le condizioni legate alla disabilità fisica o per età che la disoccupazione involontaria, ha posto l'attenzione a circostanze di fatto che possono riguardare la vita del lavoratore e che siano tali da privarlo, concretamente, dei mezzi adeguati al proprio sostentamento. La finalità da realizzare è dunque prospettata nell'ottica di garantire effettivamente forme di adeguatezza economica in situazioni oggettive che non la consentano. L'indennità di mobilità, al pari degli altri istituti sopra menzionati, deve mirare a fornire, per il tempo della disoccupazione involontaria, mezzi di adeguato sostentamento. L'articolo 3 del r.d. n. 1827 del 1935, dichiara espressamente che l'assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l'assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro. I principi contenuti nell' articolo 38 Cost. , assorbiti dalle specifiche disposizioni di legge e dagli strumenti in discussione, danno evidente rilievo al requisito della disoccupazione involontaria quale condizione di fatto priva di ulteriori connotazioni, e soltanto caratterizzata dalla situazione di bisogno cui apprestare rimedio. Il concetto di disoccupazione involontaria deve quindi essere inteso nella sua accezione fattuale solo ricollegata allo status di lavoratore privato della possibilità di svolgere la prestazione di lavoro e, di conseguenza, privato della retribuzione. Se tale risulta essere il senso della condizione considerata dalla disposizione costituzionale e dalle norme da essa discendenti, non può che tradursi, tale ratio, e con interpretazione fedele al dettato costituzionale, anche nelle tutele da apprestare. Queste non potranno che essere dirette a compensare l'assenza della retribuzione e così garantire misure di adeguato sostegno al lavoratore. A ciò consegue che, ai fini della erogazione della indennità di mobilità/disoccupazione, (come anche della Naspi), è più corretto considerare la situazione de facto che, determinata dalla decisione giudiziale di reintegrazione, sia poi seguita dalla sua effettiva ottemperanza ed invece ritenere non rispondente ai principi costituzionali di solidarietà e sostegno la considerazione della situazione de iure, non potendo, quest'ultima, assicurare il concreto ripristino funzionale del rapporto di lavoro, ben potendo, il datore di lavoro, lasciare insoddisfatto l'ordine giudiziale. Nel caso in esame, peraltro, il datore di lavoro è stato impossibilitato ad adempiere il dictum giudiziale, in quanto fallito. La persistenza dello stato di disoccupazione, come sopra inteso, pur a seguito dell'ordine reintegratorio, non potrà che determinare il legittimo pagamento dell'indennità in questione e l'insussistenza del diritto dell'Inps al recupero. A sostegno di tali conclusioni militano recenti pronunce del Giudice costituzionale in tema di Naspi ( Corte Cost. n.90/2024 e Corte Cost. n. 194/2021 ). Con la recente sentenza n. 90/24 è stato esaminato il caso in cui il lavoratore percettore dell'indennità in questione, che aveva in origine optato per la forma anticipata della stessa, svolgendo una attività imprenditoriale per un congruo periodo di tempo, ed aveva poi dovuto cessare detta attività per ragioni a lui non imputabili, aveva instaurato un rapporto di lavoro subordinato nel periodo assoggettato al beneficio in questione. In ragione del disposto dell' articolo 8 co.4 del d.lgs n. 22/2015 , attesa l'instaurazione del rapporto di lavoro subordinato nel periodo “coperto” dalla misura di sostegno, il percettore era tenuto alla restituzione dell'intera somma in origine erogata. Con la decisione richiamata Il Giudice delle leggi ha ritenuto la disposizione non rispondente ai parametri costituzionali di cui agli articolo 3 e 4 Cost. in quanto l'obbligo restitutorio doveva essere proporzionato alla durata del rapporto di lavoro coperto da Naspi, poiché solo per esso l'indennità risultava priva di causa e quindi indebita. Il Giudice delle leggi ha quindi, con sguardo diretto alla effettività della tutela, ritenuto illegittimamente percepita solo la somma che, sovrapponendosi alla retribuzione percepita per il rapporto di lavoro subordinato instaurato, determinava un effettivo indebito, non avendo, in tale circostanza, il lavoratore, necessità di sostegno, in quanto occupato. Per il precedente periodo, diversamente, l'indennità era dovuta e non poteva essere oggetto di restituzione all'Inps. L'attenzione al dato concreto del bisogno di sostegno è stata peraltro esplicitata nell'intero assetto normativo contenuto nella legge n. 223/1991 , allorchè, nell'articolo 8 commi 6 e 7, è stata prevista la conservazione dell'iscrizione nelle liste di mobilità, con sospensione dell'indennità di mobilità, in caso in cui il lavoratore accetti un lavoro subordinato a tempo parziale o determinato. Risulta evidente come, la presenza di una occupazione temporanea accompagnata dalla relativa retribuzione non determina il venir meno dell'intera situazione di assoggettamento del lavoratore alla tutela, in quanto, l'erogazione dell'indennità è sospesa per il solo tempo della temporanea occupazione, restando operativa per il successivo stato di cessazione del rapporto di lavoro. L'opzione interpretativa adottata non sembra inficiata dalla presenza di altre tutele che l'ordinamento appresta per i casi di insolvenza del datore di lavoro, quale ad esempio il Fondo di garanzia di cui al d.lgs. n. 80/1992 , istituito presso l'Inps in caso di datore di lavoro assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa amministrazione straordinaria…). Si tratta, a ben vedere, di istituto che, pur perseguendo la finale tutela del lavoratore, comunque interviene solo a seguito di procedure onerose per lo stesso (preventiva aggressione dei beni, accertata incapienza ed alle quali può sostituirsi con surroga e con insinuazione nel fallimento, anche l'ente previdenziale al fine di recuperare, in parte, quanto erogato) che operano con una logica differente, di tutela del credito (peraltro in forma parziale solo con il possibile riconoscimento di tre mensilità) e, quindi, decisamente con ratio interna non sovrapponibile a quella che pervade l'insieme delle misure in attuale esame, caratterizzate dallo spirito solidaristico e di immediato sostegno per il lavoratore privo di reddito. Quanto poi al comportamento richiesto al lavoratore in circostanze quali quelle in esame, (questione posta nell'ordinanza interlocutoria), deve richiamarsi, condividendola, la statuizione sul punto assunta dal Cass. n. 28295/2019 secondo cui “neppure rileva in senso ostativo alla percezione dell'indennità in discussione un'eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un'esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell'evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all' articolo 1227 c.c. , che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d'una prestazione assistenziale prevista per legge. Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe) circa le ragioni e l'imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l'esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali. A conclusione delle argomentazioni svolte, e con decisione di merito in assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, deve rigettarsi il ricorso dell'Inps poiché la mancata concreta reintegrazione dei lavoratori ed il conseguente permanere dello stato di bisogno economico nella situazione di oggettiva disoccupazione involontaria in cui gli stessi si erano trovati, non aveva fatto venir meno le ragioni tipiche del sostegno economico previdenziale che costituisce la ratio e la finalità delle indennità in discussione. Le spese di questo grado del giudizio seguono il principio di soccombenza, con distrazione, non potendosi provvedere sulle spese dei gradi precedenti in assenza di impugnazione incidentale. Dispone il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, in quanto ricorrono i presupposti processuali. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E.5.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese., con distrazione all'antistatario. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.