Malattia professionale ingravescente: i confini della revisione del risarcimento

In materia di patologie professionali ingravescenti, il risarcimento del danno biologico deve essere liquidato alla luce delle condizioni di salute e della prevedibile sopravvivenza. Lo ha ribadito la Suprema Corte, evidenziando che eventuali aggravamenti successivi non danno luogo a un nuovo diritto risarcitorio, essendo già stati considerati nella sentenza divenuta definitiva.

Con l'ordinanza in esame, la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata sulla delicata questione della revisione del risarcimento del danno biologico in presenza di patologie a decorso ingravescente, riaffermando la centralità del principio del giudicato e la preclusione della riliquidazione in caso di fatti clinici sopravvenuti già prevedibili. La vicenda trae origine da una domanda di revisione degli importi risarcitori per danno biologico, avanzata da un lavoratore successivamente deceduto nelle more del giudizio d'Appello, con subentro in causa dei suoi eredi. La controversia concerneva la liquidazione, già operata con sentenza passata in giudicato, di un danno da malattia professionale per una patologia caratterizzata da evoluzione irreversibile e prognosi infausta. Nel giudizio di Appello, la Corte veneziana aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione degli importi risarcitori già liquidati, ad eccezione di quelli relativi al danno temporaneo, richiamando il principio per cui il giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile. I giudici di secondo grado avevano specificato che la liquidazione originaria era stata effettuata tenendo conto della natura irreversibile della patologia , della prevedibile evoluzione sfavorevole e della necessità di cicli di chemioterapia , personalizzando il danno sia sotto il profilo patrimoniale che non patrimoniale e valorizzando la sofferenza fisica e morale subita dal danneggiato. Era stata, inoltre, dichiarata inammissibile la domanda di conversione del danno da invalidità permanente a temporanea e la richiesta di danno terminale, per carenza di allegazioni e perché non oggetto di richiesta in primo grado. Le ricorrenti, eredi del danneggiato, adivano, dunque, la Suprema Corte lamentando la sopravvenienza di nuovi fatti clinici e la mancata considerazione della trasformazione del danno in ragione del decesso. La Cassazione, richiamando il consolidato orientamento ( Cass. n. 35416/2022 ), ha ribadito che, in materia di malattie professionali ingravescenti , il risarcimento del danno biologico deve essere liquidato alla luce delle condizioni di salute e della prevedibile sopravvivenza e che eventuali aggravamenti successivi non danno luogo a un nuovo diritto risarcitorio , essendo già stati considerati nella sentenza divenuta definitiva. Il cosiddetto «aggravamento» - hanno chiarito i Giudici - costituisce la concretizzazione di un rischio già valutato nella stima originaria della ridotta validità biologica, escludendo così la possibilità di una nuova azione risarcitoria per gli stessi fatti. Alla luce di tali considerazioni, la Corte ha rigettato il ricorso , confermando il raddoppio del contributo unificato a carico delle eredi.

Presidente Esposito - Relatore Caso Fatti di causa 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d'appello di Venezia rigettava l'appello principale originariamente proposto da B. M. (cui erano subentrate le sue eredi B. V. e B. A.) contro la sentenza del Tribunale della medesima sede n. 157/2018; accoglieva l'appello incidentale proposto dall'Autorità di Sistema Portuale (OMISSIS) avverso la stessa sentenza e, in riforma di quest'ultima, dichiarava inammissibile il ricorso proposto in primo grado da B. M.; condannava le appellanti al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, come liquidate per ogni grado, e poneva a loro carico il cd. raddoppio del contributo unificato. 1.1. Premetteva la Corte territoriale: a) che, con la sentenza appellata, il Tribunale di Venezia aveva accolto in parte la domanda proposta da B. M. di revisione degli importi di risarcimento del danno biologico accordato dallo stesso Tribunale con sentenza n. 840/2015 , passata in giudicato; b) che lo stesso giudice di primo grado aveva invece dichiarato inammissibile la richiesta di modificazione della percentuale di danno biologico permanente a fronte del principio generale del giudicato che copre sia il dedotto che il deducibile; c) che, in particolare, il primo giudice, considerato che, con la precedente pronuncia, l'ente convenuto era stato condannato al pagamento del complessivo importo risarcitorio, comprensivo sia di danno temporaneo che permanente, pari ad € 615.788,00, oltre interessi legali dall'1.1.2014 al saldo effettivo, previa decurtazione della capitalizzazione della rendita Inail per la parte attinente al danno biologico, aveva ritenuto inammissibile la richiesta di revisione degli importi risarcitori ad esclusione di quelli per danno temporaneo, e all'esito di una nuova consulenza tecnica aveva condannato la resistente all'ulteriore pagamento della somma di € 48.647,50; d) che all'originario  appellante B. M., deceduto nel corso del secondo grado, erano subentrate le sue eredi B. V. e B. A.. 1.2. Dava ancora conto la Corte dei rispettivi motivi dell'appello principale e di quello incidentale dell'Autorità di Sistema Portuale (OMISSIS), e che quest'ultima, da un lato, in prima udienza, a seguito delle ulteriori conclusioni assunte dalle appellanti, ne aveva eccepito l'inammissibilità in quanto nuove e comunque aveva eccepito l'infondatezza della richiesta di risarcimento del danno terminale in quanto parte appellante non aveva allegato alcun danno; dall'altro, rinunciava al proprio primo motivo di appello incidentale, relativo al difetto di legittimazione passiva. 2. Tanto premesso, la Corte d'appello riferiva quanto considerato e deciso nella sentenza n. 840/2015, e che nel nuovo ed attuale giudizio il B. aveva lamentato un mutamento della condizione clinica invalidante in essere, evidenziando che quanto fotografato in detta sentenza passata in giudicato, di fatto, era una situazione in evoluzione e che, in particolare, erano accaduti nuovi fatti clinici caratterizzati da pesanti trattamenti di chemioterapia per fronteggiarla, con una conseguente stabilizzazione accertata e valutata come permanente dal dr. R. nella causa di indennizzo per malattia promossa contro l'Inail. 2.1. Dopo aver più estesamente riferito quanto considerato nella sentenza appellata, la Corte affermava di condividere soltanto parzialmente detta sentenza, rilevando che il passaggio in giudicato della sentenza n. 840/2015 impediva al giudice di rivedere anche il danno biologico azionato in termini sia di danno temporaneo che di danno permanente.  2.2. In tal senso richiamava ex articolo 118 disp. att. c.p.c. una propria sentenza, relativa a caso giudicato speculare a quello ora esaminato, e osservava: che la nuova consulenza tecnica disposta in primo grado aveva confermato che il pregiudizio rivendicato dal B. nel presente giudizio ineriva sempre al mesotelioma pleurico già oggetto del precedente giudizio (ed anzi oggetto anche di indennizzo Inail); che la domanda era originata dalla sopravvivenza del B. , il quale era stato sottoposto ad ulteriori cicli di chemioterapia che avevano spostato temporalmente la data della stabilizzazione, senza però incidere sulle percentuali di danno delle precedenti consulenze; che, nel primo giudizio conclusosi con la sentenza passata in giudicato, il giudice aveva liquidato sia il danno permanente che temporaneo nella consapevolezza che si trattasse di patologia non reversibile e che avrebbe portato ad un decesso del B. - come poi avvenuto - e con necessità per il danneggiato di sottoporsi a diversi cicli di chemioterapia che determinavano ulteriori stati di sofferenza sia fisica che morale; che il giudice aveva tenuto conto con apposita personalizzazione di tutto il danno sia patrimoniale che non patrimoniale, nonché dell'alto grado di sofferenza sia fisica che morale che tale patologia aveva provocato al de cuius, sicché si trattava di misura non più rivedibile sia in termini di danno temporaneo che permanente. 3. La Corte, quindi, richiamava ampiamente i principi di diritto enunciati in Cass. n. 35416/2022 , e concludeva che le considerazioni giuridiche ivi espresse consentivano di accogliere l'appello incidentale, con conseguente rigetto di quello principale proposto inizialmente dal B. e poi dalle sue eredi. 4. Inoltre, la Corte distrettuale riteneva che le ulteriori domande proposte dalle eredi rispetto alle conclusioni originarie e volte ad ottenere la trasformazione del danno da invalidità permanente per il periodo successivo alla ctu in danno temporaneo in ragione del sopravvenuto decesso del B., erano domande inammissibili in quanto nuove. 5. Quanto, poi, al danno terminale o catastrofale, la richiesta azionata in ragione di quanto previsto dalle più recenti tabelle milanesi non era sufficiente; mancavano sul piano delle allegazioni elementi sufficienti a far ritenere provato il diritto azionato che, in primo grado, non era stato neppure oggetto di richiesta da parte dell'interessato mancando il presupposto del decesso. 6. Avverso tale decisione B. V. e B. A. hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. 7. Con ordinanza depositata il 27.9.2024, questa Corte, a motivo della nullità dell'orinaria notificazione del ricorso per cassazione all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Venezia invece che all'Avvocatura generale dello Stato, disponeva che fosse rinnovata, a cura di parte ricorrente, la notifica del ricorso presso l'Avvocatura generale dello Stato, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa ordinanza, e rinviava la causa a nuovo ruolo. 8. Nonostante le ricorrenti abbiano provveduto regolarmente al suddetto incombente entro il termine assegnato, nessuno si è costituito per l'amministrazione intimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano Violazione e falsa applicazione dell' articolo 2909 c.c. per la sopravvenienza di fatti clinici nuovi . Richiamata una serie di precedenti di legittimità, lamentano che la sentenza non ha fatto tesoro degli insegnamenti espressi in tali precedenti, e che in particolare non ha tenuto conto dei fatti clinici nuovi accertati con le consulenze tecniche che l'hanno preceduta . Deducono, in particolare, che la sentenza impugnata <non considera che la ctu del dr. R. (ns. rif. 3), resa nella causa contro l'Inail, afferma che la nuova invalidità al 90%, dovuta alla voce 136 della tabella ministeriale a seguito della tac toracica del 22.6.2016 che ha constatato l' aumento del versamento pleurico anche scissurale, dopo il trattamento di chemioterapia subito ad Aviano . Ovviamente, trattandosi di un evento diagnosticato il 22.6.2016 esso non poteva essere previsto dalla sentenza n. 840/15. Del pari la sentenza impugnata non tiene conto della nuova stabilizzazione clinica valutata dalla ctu di primo grado in questa causa che descrive una serie di ricoveri ospedalieri comportanti ovviamente una serie di episodi di invalidità al 100% che non avevano potuto essere presi in considerazione dalla sentenza del 2015, perché successivi ad essa . 2. Con un secondo motivo denunciano Violazione e falsa applicazione dell' articolo 2909 c.c. , perché la morte della vittima, successiva alla sentenza emessa in vita, converte il danno da invalidità permanente in invalidità temporanea, ciò al doppio effetto - dell'aestimatio del danno tabellare; - e della valutazione dell'aliunde perceptum erogato dall'Inail quale cespite temporaneo e non perpetuo . 3. Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. 4. Il profilo d'inammissibilità è legato al rilievo che la censura si fonda su elementi fattuali di natura medico-legale parzialmente diversi da quelli considerati dai giudici di merito. 5. Comunque, il merito giuridico della doglianza è privo di fondamento nel caso di specie. 6. Condivisibilmente, la Corte di merito ha richiamato nella sua motivazione, Cass., sez. lav., 1.12.2022, n. 35416 , resa in relazione a fattispecie concreta analoga a quella che ci occupa. 6.1. In particolare, in tale sentenza di questa Corte sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: In tema di neoplasie polmonari causate da inalazione di amianto e, in generale, di malattie ingravescenti con evoluzione, con alta probabilità o con certezza, sfavorevole, l'incapacità biologica temporanea perdura in relazione alla durata della malattia e viene a cessare o con la guarigione (con pieno recupero delle capacità anatomo-funzionali dell'organismo) o con adattamento dell'organismo alle mutate e degradate condizioni di salute o, ancora, con la morte. In tema di neoplasie polmonari causate da inalazione di amianto e, in generale, di malattie ingravescenti con evoluzione, con alta probabilità o con certezza, sfavorevole, una volta avvenuto l'adattamento dell'organismo alle mutate e degradate condizioni di salute (c.d. stabilizzazione), spetta il risarcimento del danno non patrimoniale, sub specie di danno biologico, il quale va liquidato come invalidità permanente, utilizzando o il criterio equitativo puro o le apposite tabelle. In tema di neoplasie polmonari causate da inalazione di amianto e, in generale, di malattie ingravescenti con evoluzione, con alta probabilità o con certezza, sfavorevole, la determinazione del danno biologico da invalidità permanente deve avvenire alla luce delle concrete condizioni di salute del singolo e del periodo di sopravvivenza prevedibile, in relazione alla patologia diagnosticata, dovendosi tener conto, però, che, qualora lo stato di invalidità del soggetto trovi espressione nei gradi percentuali definiti per ciascuna patologia dai barèmes elaborati dalla comunità scientifica ed utilizzati in medicina legale, tali barèmes considerano, nella scala dei gradi di invalidità, il maggior rischio, cui è esposto il paziente, di subire, anche a distanza di tempo, una ripresa e sviluppo del fattore patogeno, che potrebbe condurre al decesso. Nell'eventualità, pertanto, che la liquidazione di siffatto danno, avvenga tramite tabelle che non valutano la concreta minore speranza di vita del soggetto leso ovvero sulla base di una consulenza tecnica che da tale minore speranza prescinda, il giudice deve maggiorare detta liquidazione in via equitativa . 7. Nella motivazione della stessa decisione è stato specificato che tali ipotesi di patologie ingravescenti, da valutarsi come sopra ai fini del danno biologico da invalidità permanente, <definiscono la nozione di aggravamento che, nel sistema della responsabilità civile, non determina la insorgenza di un nuovo diritto risarcitorio - volto ad adeguare l'eventuale liquidazione dell'equivalente monetario corrispondente al valore del danno biologico, come già stimato al tempo della originaria lesione della salute ed interamente risarcito mediante adempimento spontaneo o mediante realizzazione coattiva del diritto -, non potendo perdurare in una sorta di quiescenza e poi risorgere ex novo un debito ormai definitivamente estinto . L' aggravamento , infatti, costituisce la mera concretizzazione di un rischio connesso alla patologia, la cui possibilità di accadimento era stata già considerata nella stima della ridotta validità biologica del soggetto residuata dopo la lesione>. 7.1. E' stato, inoltre, evidenziato nella stessa decisione che: ... nella responsabilità civile, a differenza che nel sistema delle assicurazioni sociali delle malattie professionali che risponde prevalentemente ad esigenze solidaristiche e previdenziali ..., alla progressiva ingravescenza della menomazione della salute non corrisponde analogo modo di essere e di modificazione incrementativo del danno biologico risarcibile ( Cass., Sez. 3, n. 29492 del 14 novembre 2019 ) . 8. L'impugnata sentenza è conforme a tutti tali principi di diritto in fattispecie concreta contraddistinta da precedente giudizio tra le medesime parti definito con sentenza ormai passata in cosa giudicata, ossia, con la più volte cit. sent. n. 840/2015 del Tribunale di Venezia. 8.1. Infatti, come già accennato in narrativa, la Corte di merito ha considerato che la nuova consulenza tecnica espletata nel primo grado di questo giudizio aveva confermato, non solo che il pregiudizio allegato dal B., quando era ancora in vita, ineriva sempre al mesotelioma pleurico già oggetto del precedente giudizio, ma anche le percentuali di danno delle precedenti consulenze. In nota 1 in calce a pag. 10 ha riferito che il c.t.u. aveva aggiunto circa la c.d. sopravvivenza del B. all'atto dell'accertamento di primo grado era oltre ogni previsione data la malattia che vede una mortalità elevatissima intorno ai 24 mesi, raramente superandoli . E, soprattutto, la Corte ha osservato che nel primo giudizio conclusosi con la sentenza passata in giudicato, il giudice aveva liquidato sia il danno permanente che temporaneo nella consapevolezza che si trattasse di patologia non reversibile e che avrebbe portato ad un decesso del B. - come avvenuto nel caso di specie - e con necessità per il danneggiato di sottoporsi a diversi cicli di chemioterapia che determinavano ulteriori stati di sofferenza sia fisica che morale , e che aveva tenuto conto con apposita personalizzazione, di tutto il danno sia patrimoniale che non patrimoniale, nonché dell'alto grado di sofferenza sia fisica che morale che tale patologia aveva provocato nel de cuius . 9. Dunque, gli elementi che le ricorrenti asseriscono non essere stati considerati dalla Corte di merito sono ininfluenti perché la liquidazione del danno operata nella sentenza passata in giudicato teneva conto, oltre che di una prognosi infausta quoad vitam, anche dei cicli di chemioterapia cui doveva sottoporsi il danneggiato con i relativi pregiudizi sia fisici che morali, sicché le sopravvenienze cui si riferiscono le ricorrenti, non solo erano prevedibili, ma erano state previste quale evoluzione della malattia e quali effetti delle conseguenti cure, necessarie, ma a loro volta pregiudizievoli, già nella sentenza integrante il giudicato. 10. Il secondo motivo è inammissibile. 11. In tale censura, infatti, si assume che la sentenza impugnata non avrebbe compreso che la morte del signor B. ha trasformato la sua pregressa invalidità da perpetua a temporale, come del pari, l'aliunde perceptum dovrà essere valutato in funzione non di un'ipotetica rendita perpetua, ma di una rendita delimitata nel tempo , come se la Corte d'appello si fosse pronunciata nel merito di tali questioni. 11.1. Le ricorrenti non considerano che, invece, la Corte distrettuale, come già riferito in narrativa, ha reputato inammissibili, in quanto nuove, le domande basate sulla trasformazione del danno da invalidità permanente per il periodo successivo alla ctu in danno temporaneo in ragione del sopravvenuto decesso del B. , sicché una censura pertinente doveva attingere appunto tale statuizione di natura processuale. 12. Nulla dev'essere disposto quanto alle spese di questo giudizio di cassazione, perché l'amministrazione intimata non ha svolto difese in questa sede, ma le ricorrenti sono tenute al c.d. raddoppio del contributo unificato, se dovuto. 13. Venendo in considerazione dati relativi alla salute di B. M., originario appellante (cui sono subentrate le attuali ricorrenti per cassazione), va adottata al riguardo la statuizione specificata in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13 , comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.