In tema di epidemia colposa, le Sezioni Unite hanno stabilito che il delitto è configurabile anche per condotta omissiva, ove sussista una posizione di garanzia, il nesso causale e la violazione di regole cautelari, superando interpretazioni restrittive ancorate alla sola azione commissiva e valorizzando la tutela della salute pubblica in chiave costituzionale e sistematica.
La sentenza delle Sezioni Unite affronta una questione di particolare rilievo per il diritto penale italiano: la possibilità di configurare il delitto di epidemia colposa (articolo 438 e 452 c.p.) anche in presenza di una condotta omissiva da parte del soggetto agente, in ossequio al principio di equivalenza tra azione ed omissione espresso dall'articolo 40, comma 2, c.p. La Corte si è trovata a dirimere un contrasto giurisprudenziale generato da precedenti che, valorizzando l'espressione normativa «mediante diffusione di germi patogeni», avevano ricostruito il delitto come fattispecie a condotta rigidamente vincolata, ritenendo così inapplicabile la clausola di equivalenza omissiva. Il contesto di riferimento è reso ancora più attuale dall'emergenza pandemica Covid-19, che ha visto il proliferare di procedimenti penali a carico di soggetti investiti di doveri organizzativi e di garanzia, in particolare nei luoghi di lavoro e nelle strutture sanitarie. La Suprema Corte, dopo una ricognizione tanto delle fonti dottrinali quanto dei precedenti giurisprudenziali, sottolinea la necessità di una lettura evolutiva della norma, che tenga conto sia della lettera della legge sia degli sviluppi sociali e scientifici che hanno profondamente modificato la percezione e la gestione del rischio epidemico. Viene così, superata l'interpretazione restrittiva fondata sui lavori preparatori del codice Rocco e sulla presunta esclusività della condotta attiva (spargimento volontario), optando per una definizione dell'evento epidemico come reato causalmente orientato e a forma libera. In questa prospettiva, la «diffusione di germi patogeni» qualifica l'evento (l'epidemia) e non vincola la tipologia della condotta, che può ben essere anche omissiva, purché sussista una posizione di garanzia e il necessario obbligo giuridico di impedire l'evento dannoso. La decisione delle Sezioni Unite si pone in chiaro raccordo con il sistema dei delitti contro l'incolumità pubblica, ribadendo come la finalità principale sia la tutela del bene collettivo della salute pubblica, in linea con l'articolo 32 Cost. e con i doveri di solidarietà dell'articolo 2 Cost. L'interpretazione estensiva della fattispecie incriminatrice risponde all'esigenza di garantire un'efficace protezione contro i rischi epidemici, alla luce della complessità dei moderni contesti organizzativi e delle responsabilità che gravano su soggetti titolari di posizioni di garanzia, come datori di lavoro, dirigenti di strutture sanitarie e responsabili della sicurezza. La sentenza si sofferma inoltre, sulla necessità di verificare, in concreto, la sussistenza del nesso di causalità tra omissione e evento epidemico, nonché la violazione di specifiche regole cautelari. Viene chiarito infatti, che la posizione di garanzia non comporta un'automatica responsabilità penale in caso di evento lesivo, ma impone un rigoroso accertamento della prevedibilità ed evitabilità dell'evento, della violazione della regola cautelare e della concreta incidenza causale della condotta omissiva. In tal modo, la Corte offre una chiara guida sia agli operatori del diritto sia ai giudici di merito, indicando i parametri di accertamento e delimitando la sfera della responsabilità penale, evitando derive oggettive e garantendo il rispetto del principio di legalità, tassatività e colpevolezza.
Presidente Cassano - Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 marzo 2024, il Tribunale di Sassari ha assolto Va.Da., perché il fatto non sussiste, dal reato di cui agli articolo 40, secondo comma, 438, primo comma, e 452, primo comma, n. 2, cod. pen., per avere cagionato, in qualità di delegato del datore di lavoro ex articolo 16, comma 3-bis, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, per colpa - consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza degli obblighi di cui all'articolo 77, comma 4, D.Lgs. cit. - un'epidemia, sviluppatasi all'interno dell'Ospedale civile di A tra marzo e aprile 2020, non fornendo ai lavoratori dello stesso i necessari dispositivi di protezione individuale, in numero idoneo, al fine di contrastare, all'interno del nosocomio, la diffusione del Sars-Cov.2, non assicurando ai lavoratori una formazione sufficiente ed adeguata al rischio proveniente da tale virus, anche mediante addestramento all'uso di dispositivi di protezione individuale, e non adottando, infine, misure collettive e individuali di protezione dal rischio biologico del predetto virus. Il Tribunale ha premesso che, secondo la nozione accreditata dalla scienza medica, per epidemia si intende ogni malattia infettiva o contagiosa suscettibile, per la propagazione dei suoi germi patogeni, di una rapida ed imponente manifestazione in un medesimo contesto e in un dato territorio, che colpisce un numero di persone tale da destare un notevole allarme sociale e il correlativo pericolo e ha poi sottolineato che la nozione giuridica avrebbe invece un ambito più ristretto così desumibile dall'impiego, nella norma dell'articolo 438 cod. pen., della locuzione mediante diffusione di germi patogeni , espressiva di ben determinati e circoscritti percorsi causali. Conseguentemente, il reato presenterebbe la struttura dell'illecito causalmente orientato , ovvero, secondo quanto subito dopo spiegato, un reato la cui struttura richiede un percorso causale predeterminato di talché, secondo quanto affermato da sentenze di questa Corte, richiamate dal giudice di primo grado, il medesimo evento, realizzato però a seguito di un diverso percorso causale, difetterebbe di tipicità (Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017, dep. 2018, Giacomelli, Rv. 272261 - 01). In altri termini, richiamando anche la esegesi di Sez. 4, n. 20416 del 04/03/2021, La Rosa, non mass., si verserebbe in una ipotesi di condotta commissiva a forma vincolata, incompatibile con il disposto di cui all'articolo 40, secondo comma, cod. pen. riferibile esclusivamente ai reati a forma libera; di qui, dunque, in sostanza, la conclusione, considerando anche che la formula cagionare mediante diffusione , prevista dalla norma, implicherebbe un comportamento solamente attivo, l'impossibilità di integrazione del reato mediante una condotta omissiva, pena la violazione del principio di legalità, salva restando la possibilità di un concorso omissivo ex articolo 110 cod. pen. nell'altrui condotta attiva. 2. Avverso la sentenza assolutoria ha interposto ricorso per saltum, ai sensi degli articolo 569 e 606, lett. b) cod. proc. pen., il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari, denunciando come erronei sia il fatto che la previsione dell'articolo 40, secondo comma, cod. pen. possa applicarsi ai soli reati ed. a forma libera sia, in ogni caso, la ritenuta presupposta natura di reato a forma vincolata del delitto di epidemia. Sotto il primo aspetto l'articolo 40, secondo comma, cod. pen. sarebbe, secondo il ricorrente, applicabile anche ai reati a forma vincolata, a sostegno di tale assunto richiamando, pur in assenza di particolari articolazioni, Sez. 6, n. 28301 del 08/04/2016, Dolce, Rv. 267829 - 01 e Sez. 3, n. 53102 del 22/09/2016, Mimun, Rv. 268554 - 01 ed altresì menzionando l'elaborazione dottrinale sul tema. Sotto il secondo aspetto evidenzia che il termine epidemia (quale nozione in particolare tratta dalla Enciclopedia Treccani) evoca una manifestazione collettiva d'una malattia (colera, influenza ecc..), che rapidamente si diffonde fino a colpire un gran numero di persone in un territorio più o meno vasto in dipendenza di vari fattori, si sviluppa con andamento variabile e si estingue dopo una durata anche variabile . La diffusione di germi patogeni costituirebbe, quindi, secondo il ricorrente, la modalità necessaria di estrinsecazione dell'epidemia sicché, nel linguaggio comune, la stessa non potrebbe esistere in assenza di diffusione di agenti patogeni. In tale ottica il richiamo, nella norma incriminatrice, alla diffusione di germi patogeni avrebbe una funzione meramente chiarificatrice, finalizzata a meglio descrivere il fatto tipico, senza però nulla aggiungere in termini di tipicità del fatto, già tutto racchiusa nel sostantivo epidemia , non utile a selezionare, tra ipotetiche condotte attuative, una soltanto delle modalità di commissione, invero trattandosi dell'unica attraverso la quale il delitto di epidemia può venire commesso. In conclusione, il delitto di epidemia sarebbe dunque integrabile anche in via omissiva. 3. Con ordinanza del 19 settembre 2024, la Quarta Sezione penale, ravvisando un potenziale contrasto, in seno alla giurisprudenza di legittimità, circa la compatibilità del delitto di epidemia colposa con la forma omissiva, ha rimesso la questione alle Sezioni unite. 3.1. L'ordinanza, dopo avere premesso che, nel caso di specie, la condotta ascritta all'imputato riguarda pacificamente un comportamento omissivo, ricorda che nella giurisprudenza di legittimità due sole pronunce si sono occupate del reato in esame nella forma omissiva giungendo ad escludere tale possibilità. Una prima decisione, rappresentata dalla già sopra ricordata Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017, dep. 2018, Giacomelli, Rv. 272261 - 01, e riguardante l'addebito mosso al dirigente di una società preposta alla gestione dell'acquedotto comunale per avere determinato l'insorgenza di un'epidemia nella popolazione per gli effetti del consumo di acqua pericolosa per salute, avrebbe dato conto che la dottrina maggioritaria e la giurisprudenza, di merito e di legittimità (Sez. 4, n. 2597 del 26/01/2011, Ceriello, non mass., sia pur in un obiter dictum), hanno sottolineato che il fatto tipico dell'articolo 438 cod. pen. ha previsto anche un percorso causale strettamente predeterminato, con la conseguenza che il medesimo evento realizzato secondo un diverso percorso difetterebbe di tipicità. Siffatta strutturazione della norma (segnatamente caratterizzata dal sintagma mediante la diffusione di germi ), espressiva di un reato a condotta vincolata (e non invece, più semplicemente, di un reato a mezzo vincolato) sarebbe pertanto incompatibile con la clausola di equivalenza prevista all'articolo 40, secondo comma, cod. pen., riferibile alle sole fattispecie a forma libera. Una seconda decisione sarebbe rappresentata da Sez. 4, n. 20416 del 04/03/2021, La Rosa, cit., che, pronunciandosi in relazione al sequestro di una casa di riposo per la diffusione del virus Covid-19 tra ospiti e personale della struttura, ha escluso la configurabilità del delitto di epidemia colposa per omissione, sul rilievo che il fatto tipico afferisce a condotta commissiva vincolata, incompatibile con la formula di cui all'articolo 40, secondo comma, cod. pen. 3.2. Sul lato opposto, la Sezione rimettente ha richiamato Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791 - 01, che, in un obiter dictum espresso senza affrontare il tema della tipicità della forma omissiva nel reato di cui all'articolo 438 cod. pen., ha osservato che: la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede, con espressione quanto mai ampia, che il soggetto agente procuri un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni, senza individuare in che modo debba avvenire detta diffusione; occorre però, al contempo, e ciò è evidente, che sia una diffusione capace di causare un'epidemia . 3.3. Tanto premesso, l'ordinanza di rimessione ha evocato la possibilità di un'interpretazione più ampia, ammissiva della realizzazione del reato di epidemia colposa anche in forma omissiva. A tali fini ha anzitutto richiamato il dato letterale, ritenuto non ostativo ad una ricostruzione della tipicità aperta anche alla forma omissiva e la cui corretta interpretazione dovrebbe essere ispirata ai criteri anche enunciati dalle Sezioni Unite civili secondo cui l'attività interpretativa giudiziale è segnata, anzitutto, dal limite di tolleranza ed elasticità dell'enunciato, ossia del significante testuale della disposizione che ha posto, previamente, il legislatore e dai cui plurimi significati possibili (e non oltre) muove necessariamente la dinamica dell'inveramento della norma nella concretezza dell'ordinamento ad opera della giurisprudenza stessa (Sez. U civ., n. 38596 del 06/12/2021, Rv. 663248 - 01), principi che, applicati alla disposizione in oggetto, consentirebbero di ritenere che il verbo diffondere, dal significato molto ampio, possa ricomprendere le forme più diverse, inclusive anche del lasciare che altri diffonda . Né si potrebbe trascurare, ad avviso del Collegio, il mutato contesto storico e sociale rispetto a quello presente al momento del varo della norma, allorquando al legislatore del 1930 lo spargimento di germi si era presentato come prioritaria modalità di realizzazione del reato sul versante doloso, senza considerazione della rilevanza, solo successivamente assunta, della gestione del rischio sanitario, correlata a condotte inosservanti per lo più colpose. Dunque, mentre da un lato non potrebbe desumersi, sulla base della Relazione al Codice penale del 1930, la certa volontà di escludere dall'alveo della tipicità i comportamenti omissivi, pur a fronte della dichiarata necessità di fronteggiare, con lo strumento penale, condotte di chi, trovandosi in possesso di germi responsabili di una epidemia, ne realizzi la diffusione, dall'altro dovrebbe assegnarsi un particolare rilievo alla locuzione, all'interno della norma incriminatrice, mediante diffusione di germi patogeni , che conserverebbe la propria centralità, mantenendo una fondamentale funzione di descrizione selettiva dell'evento, accentuandone il disvalore sotto il profilo della peculiare prospettiva di tutela , in quanto ad essere vincolata non sarebbe la condotta, la quale ammetterebbe qualsiasi modalità di trasmissione della malattia, bensì il mezzo attraverso il quale si verifica l'evento . Di qui, dunque, l'applicabilità, nella specie, del reato di epidemia colposa, dell'articolo 40, secondo comma, cod. pen.: oltre a rimarcare che il paradigma dei reati causalmente orientati è ordinariamente impiegato dal legislatore per la tutela penale di beni giuridici, come quello di specie (la salute pubblica e la incolumità collettiva), rispetto ai quali si intenda apprestare una tutela giuridica particolarmente intensa, la ordinanza appare propensa a confutare la pretesa incompatibilità della formula di equivalenza di cui all'articolo 40, secondo comma, cod. pen. rispetto ai reati a forma vincolata, tra i quali, secondo il criticato indirizzo esegetico, sarebbe incluso anche il delitto di epidemia. Dimostrativa della infondatezza di tale assunto sarebbe del resto la giurisprudenza in tema di truffa mediante silenzio serbato dal contraente sul sopravvenuto verificarsi di un evento costituente presupposto della permanenza di una obbligazione pecuniaria a carattere periodico, posto che, in tale evenienza, il silenzio del beneficiario della prestazione è attivamente orientato a trarre in inganno il debitore circa la sussistenza della causa dell'obbligazione (Sez. 2, n. 24487 del 18/04/2023, Mantovani, Rv. 284856 - 01). Dunque, ha concluso la Quarta Sezione, anche a ritenere che non si sia in presenza di un reato a mezzo vincolato, bensì a condotta vincolata, ben potrebbe ammettersi la integrazione del reato con condotta anche solo omissiva. In conclusione, ravvisando la sussistenza di un contrasto potenziale, l'ordinanza ha disposto la rimessione della questione alle Sezioni Unite. 4. Con successivo provvedimento del 3 dicembre 2024, la Prima Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando la trattazione del ricorso per l'odierna udienza pubblica. Considerato in diritto 1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente: Se il delitto di epidemia colposa possa essere integrato anche da una condotta omissiva . 2. Prima di affrontare funditus la questione posta, è necessario premettere che il delitto di epidemia trova collocazione, nel più generale ambito dei delitti contro l'incolumità pubblica di cui al titolo VI del libro II del codice penale, all'interno dell'articolo 438 cod. pen. (a sua volta incluso tra i delitti di comune pericolo mediante frode di cui al capo II di detto titolo), ove, sotto la rubrica Epidemia appunto, si prevede che chiunque cagiona un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l'ergastolo. Se dal fatto deriva la morte di più persone si applica la pena dell'ergastolo (pena così sostituita a quella originaria di morte per effetto del D.Lgs. Igt. 10 agosto 1944, n. 224). A detta previsione si affianca poi l'articolo 452 cod. pen. che, rubricato delitti colposi contro la salute pubblica , contempla il fatto, assoggettato alle pene specificamente ivi previste, di chiunque commetta, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articolo 438 e 439. A giustificazione dell'incriminazione in oggetto (inserita nei delitti di comune pericolo mediante frode) va ricordato che il Guardasigilli dell'epoca spiegava come l'introduzione della nuova figura delittuosa fosse dovuta alla enorme importanza che ha ormai acquistato la possibilità di venire in possesso di germi, capaci di cagionare un'epidemia, e di diffonderli (v. Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, volume V, progetto definitivo di un nuovo codice penale con la Relazione del guardasigilli on. Ro.Al., Relazione sui libri II e III del progetto, Roma, II, 229, par. 477). 2.1.Immediata è dunque la constatazione dell'impiego, da parte del legislatore, di una nozione che, se da una parte, riposa su un dato apparentemente predefinito laddove appare recepire il concetto di epidemia assunto nel suo significato etimologico derivante dalla lingua greca (epi demios, ovvero diffuso nel popolo), dall'altra ne precisa, però, al tempo stesso, le caratteristiche clinico-patologiche, riassunte, come meglio si chiarirà oltre, nella individuazione dei germi patogeni quali vettori della diffusione (e ritenuti comprensivi, a pag. 229 della Relazione ministeriale già citata sopra, di tutti gli esseri capaci di produrre malattie infettive ). Di qui, dunque, l'elaborazione, sia giurisprudenziale che, soprattutto, dottrinale, volta anzitutto a dar corpo, in una necessaria perimetrazione degli elementi costitutivi del reato sul piano oggettivo, ai requisiti di indispensabile caratterizzazione del fatto, essendosi concordemente ritenuta la necessità della rapida, massiva ed incontrollata diffusività su un numero indeterminato di persone tale da qualificare la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto per l'incolumità pubblica (v., al riguardo, in particolare, Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791 - 01 e, altresì, Sez. U civ., n. 576 del 11/01/2008, non mass, sul punto; nella giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Savona, 06/02/2008 e Trib. Bolzano, 20/06/1978), e da dare conto, altresì, della gravità della sanzione comminata, così, peraltro, secondo alcune pronunce, da escludere la configurabilità del reato in caso di propagazione circoscritta solo a determinati ambienti. Sotto un secondo profilo, poi, riferibile al bene giuridico tutelato, lo stesso è stato condivisibilmente individuato, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, in quello, di rilievo costituzionale (articolo 32 Cost.), della salute pubblica, essendo il reato inserito all'interno dei delitti contro l'incolumità (in particolare, come già anticipato, nei delitti di comune pericolo mediante frode, ove la frode non è data da un artificio ingannatorio, del resto incompatibile con l'ipotesi colposa, ma dalla insidiosità del mezzo, ovvero, appunto, dei germi patogeni). Di qui, allora, anche in tal caso con valutazione di diffuso sentire , l'ulteriore notazione secondo cui, nella specie, a buon diritto si può dire versarsi al cospetto di un bene la cui dimensione è solo di natura collettiva, essendo del resto le aggressioni individuali già tutelate dalle previsioni riferibili ai reati contro la persona. Tale inquadramento, peraltro, contribuisce a spiegare anche le ragioni dell'assai rarefatta applicazione della norma in sede penale non essendo sufficiente, per la sua integrazione, l'intervenuto contagio di un certo numero di persone, bensì essendo necessario il pericolo di diffusione verso un numero indeterminato di vittime potenziali. 3. Quanto, allora, alla questione posta, appare anzitutto necessario dare conto del grado di elaborazione svolta, sui temi alla stessa connessi, dalle pronunce indicate dalla ordinanza di rimessione, e già ricordate sopra, quale imprescindibile presupposto per giungere ad individuare, con il metodo del necessario confronto con i precedenti di questa Corte, la soluzione che deve essere qui privilegiata. E ciò perché, in realtà, ad un'attenta lettura delle sentenze suddette, fondamentalmente incentrata sulla configurabilità o meno del reato di epidemia (nella specie oggetto della decisione, colposa) nella forma anche omissiva, una analitica spiegazione dei percorsi seguiti per giungere all'uno o all'altro esito pare essere stata non consentita dal fatto che la più parte di tali pronunce riguardavano reati diversi da quello di epidemia, sì che, tra l'altro, le affermazioni sul punto si sono risolte in altrettanti obiter. 3.1 Così è a dirsi per le affermazioni di Sez. 4, n. 2597 del 22/10/2010, dep. 2011, Ceriello, non mass., (richiamata peraltro da Sez. 4, n. 20416 del 04/03/2021, La Rosa, non mass.), avente ad oggetto il delitto di lesioni colpose ove, a pag. 3, si è affermato semplicemente, nell'ambito di una esemplificazione dei reati per i quali il legislatore avrebbe previsto il percorso causale (sicché un evento conseguito all'esito di un percorso diverso difetterebbe di tipicità), che il reato di epidemia può essere cagionato solo mediante la diffusione di germi patogeni , senza nessun accenno al tema della natura anche eventualmente omissiva del reato. E così pare doversi affermare anche con riguardo a Sez. 5, n. 13800 del 13/02/2020, De Vizio, non mass., le cui affermazioni appaiono parimenti riassumibili nella sola inclusione del reato di epidemia tra i reati caratterizzati da specifiche modalità di causazione dell'evento . 3.1.1. Una diversa rilevanza ai fini della presente analisi, dovuta all'ambito del giudizio affrontato, riguardante, questa volta, proprio il reato di epidemia (in particolare con riguardo alla distribuzione, avvenuta per colpa, di acque per uso potabile pericolose per la salute pubblica in quanto microbiologicamente contaminate da virus e batteri), presenta Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017, dep. 2018, Giacomelli, Rv. 272261 - 01, del resto significativamente posta in risalto dalla stessa ordinanza di rimessione; ivi, infatti, si è specificato che il legislatore ha previsto, nell'articolo 438 cod. pen., il percorso causale con la conseguenza che il medesimo evento realizzato a seguito di un diverso percorso difetta di tipicità , da ciò deducendosi che l'evento cagionato dall'azione incriminata (...) deve estrinsecarsi secondo una precisa modalità di realizzazione, ossia mediante la propagazione volontaria o colpevole di germi patogeni di cui l'agente sia in possesso secondo, del resto, l'impostazione esplicitata nella Relazione del Guardasigilli ai lavori preparatori del codice penale (di cui già si è dato conto sopra). Di qui la conclusione che la norma evocherebbe una condotta commissiva a forma vincolata di per sé incompatibile con il disposto dell'articolo 40, comma 2, cod. pen., riferibile esclusivamente alle fattispecie a forma libera, ovvero a quelle la cui realizzazione prescinde dalla necessità che la condotta presenti determinati requisiti modali . Allo stesso tempo, una diversa ricostruzione interpretativa che inquadrasse la fattispecie di cui all'articolo 438 cod. pen. e del correlato articolo 452 nella categoria dei cosiddetti reati a mezzo vincolato risulterebbe, ha precisato la sentenza, riduttiva in quanto finirebbe per disapplicare la predetta locuzione che rappresenta uno degli elementi essenziali della fattispecie . 3.1.2. Da tale prima ricognizione pare dunque evincersi l'emersione della affermazione, essenzialmente rapportabile, per le ragioni dette, a Sez. 4, Giacomelli, cit., secondo cui il delitto di epidemia è reato a condotta vincolata e non, invece, causalmente orientato, nel senso - costantemente attribuito anche dalla dottrina a tale categoria dogmatica - che la condotta deve necessariamente manifestarsi con le caratteristiche specifiche e determinate richieste dalla norma, ovvero, segnatamente, mediante la diffusione di germi patogeni, da ciò discendendo la non configurabilità della forma omissiva di realizzazione dell'evento. In altre parole, e per esplicitare ancor meglio l'essenza del ragionamento, poiché i termini utilizzati dal legislatore sarebbero rivelatori, nella specie, di una condotta necessariamente attiva (come sarebbe anche confermato dalla Relazione del Guardasigilli circa la necessità che il soggetto attivo abbia, come visto, il possesso dei germi da diffondere), non potrebbe operare, sulla base dei principi generali, la cosiddetta clausola di equivalenza di cui all'articolo 40, secondo comma, cod. pen. (che equipara la condotta omissiva tenuta da colui che abbia l'obbligo giuridico di impedire l'evento a quella attiva) applicabile ai soli reati a forma libera o causalmente orientati; e ciò nel segno, tra l'altro, di una impostazione dottrinale secondo cui il dominio naturale e (salvo il caso di concorso di persone) esclusivo dell'articolo 40 co.2, è quello delle fattispecie causalmente orientate . 3.2. Un epilogo di segno diverso quanto all'inquadramento del reato è dato invece da Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., Rv. 277791 - 01, anch'essa, come visto, richiamata dalla ordinanza di rimessione, secondo cui la norma incriminatrice non seleziona le condotte diffusive rilevanti e richiede con espressione quanto mai ampia che il soggetto agente procuri un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni senza individuare in che modo debba avvenire detta diffusione; occorre però al contempo (...), che sia capace di causare un'epidemia , in tal modo desumendosi la qualificazione di fattispecie solo causalmente orientata. A maggior ragione, si è aggiunto, potendo la diffusione ben avvenire in varie forme (per contatto o via aerea o attraverso superfici o altri vettori o per liberazione di animali infetti o per scarico di rifiuti in acqua ecc.) e non essendo necessaria una relazione di alterità tra l'oggetto della diffusione e il soggetto della stessa, non potendosi escludere che una diffusione possa aversi pur quando l'agente sia esso stesso vettore dei germi patogeni . Da queste considerazioni pare derivare la conclusione, peraltro contrastante con gli approdi di Sez. 4, n. 9133 del 12/12/2017, dep. 2018, Giacomelli, cit. - anche se manca un 'esplicita affermazione in tal senso - della configurabilità della condotta anche in forma omissiva. Che, del resto, nel panorama giurisprudenziale di legittimità siano rintracciabili decisioni che tale configurabilità abbiano, sia pure solo implicitamente, ritenuto (tra le altre, Sez. 4, n. 47144 del 14/10/2004, Canelli, non mass.), non par dubbio già solo per il fatto che nei relativi giudizi, seppure solo cautelari, si versava, come pare risultare, in ipotesi di condotta omissiva non fatta oggetto di alcuna valutazione di segno contrario da parte della Corte. Pare, infine, fondatamente ascrivibile a tale indirizzo, seppure non intervenuta con riguardo al reato di epidemia, anche Sez. 3, n 29315 del 11/06/2009, Locorotondo, Rv. 244585 - 01. Tale pronuncia, giudicando di un ricorso relativo al delitto di diffusione di una malattia delle piante o degli animali di cui all'articolo 500 cod. pen. (norma nella quale la costruzione di condotta ed evento è assimilabile a quella dell'articolo 438 cod. pen., prevedendosi il fatto di chiunque cagiona la diffusione di una malattia ), ha infatti considerato il reato a forma libera in considerazione dell'uso del verbo cagionare, comprensivo di tutte le possibili condotte commissive o omissive , in tal modo ponendosi come logico sviluppo di 1 quanto affermato da Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., cit., con riguardo al dilatato significato attribuibile alla nozione di diffusione. 4. Lo sfondo giurisprudenziale così ricostruito è allora espressivo, in entrambi gli orientamenti, di una non compiuta metabolizzazione dei postulati che la risoluzione della questione deve invece necessariamente richiedere e dell'assenza di un quadro sufficientemente stabilizzato; né parrebbero proficuamente invocabili a tal fine Sez U. civ., n. 576 del 11/01/2008, Volpe contro Ministero della Salute, Rv. 600899 - 01, chiamate a pronunciarsi sulla responsabilità di tipo civilistico, avendo le stesse unicamente dato conto della difficile conciliabilità della volontaria diffusione dei germi con il comportamento di omessa sorveglianza, senza affrontare il tema della diffusione colposa in relazione al quale si pone la questione dell'applicabilità dell'articolo 40, secondo comma, cod. pen. Non a caso, del resto, la questione è stata rimessa dalla Quarta sezione per effetto di un ritenuto contrasto giurisprudenziale solo potenziale a norma dell'articolo 618, comma 1, cod. proc. pen. Tutto ciò deve precisarsi anche al fine di scongiurare possibili evocazioni del fenomeno di overruling in malam partem che, in una astratta prospettiva, potrebbe discendere dall'adesione di queste Sezioni Unite alla configurabilità del reato anche in forma omissiva. In proposito va osservato, solo per sottolineare ciò che realmente rileva ai presenti fini, che l'overruling richiede necessariamente, nella definizione che questa Corte a Sezioni Unite ha già dato del fenomeno, un pregresso indirizzo di tale significanza da non potere lasciare dubbi di sorta al destinatario del precetto circa le conseguenze, penali o meno, della propria azione. Sotto altro profilo, e in realtà addirittura pregiudizialmente, non sarebbe mai appropriato evocare il fenomeno dell'overruling in malam partem se non in presenza di una pronuncia delle Sezioni Unite, depositarie di dieta assistiti dal valore del precedente relativamente vincolante loro attribuito dall'articolo 618, comma 1 -bis, cod. proc. pen. (v., a tale ultimo proposito, Sez. U, n. 8052 del 26/10/2023, dep. 2024, Rizzi, non mass, sul punto), e non, come nel caso in esame, di singole sezioni semplici, per di più in un quadro, come detto, di affermazioni non idonee a creare nei consociati un legittimo affidamento sulla liceità o meno di proprie condotte omissive. 5. Tale essendo dunque il contesto nomofilattico sin qui maturato, le Sezioni Unite ritengono che al quesito posto debba darsi risposta affermativa. 5.1. Come già evidenziato sopra, il dato normativo dell'articolo 438 cod. pen. si limita a prevedere come reato il cagionare un'epidemia mediante la diffusione di germi patogeni : va quindi anzitutto ripudiato l'assunto - che, ove ritenuto condivisibile, impedirebbe qualunque prospettazione di reato non solo omissivo, ma, addirittura, come più oltre si dirà, colposo - che in tanto detta diffusione possa esservi in quanto la stessa avvenga giocoforza per effetto di spargimento dei germi patogeni ad opera del soggetto agente, con la conseguenza, non ultima, che non potrebbe cagionare un'epidemia chi, infetto, contagi altre persone. Come già anticipato, anche a volere ritenere la diffusione quale condotta del reato (e non invece di descrizione dell'evento, come meglio si dirà oltre), una tale interpretazione, indebitamente selettiva di un fatto (ovverossia la diffusione), formulato dalla norma in termini generali e del tutto indifferenziati quanto al tramite (giammai escludente lo stesso autore), è il frutto della valorizzazione della Relazione del Guardasigilli al progetto del codice penale, laddove si giustificava l'introduzione del delitto con il fine di impedire che l'autore del fatto si potesse valere del possesso dei germi onde cagionare, attraverso il loro spargimento, l'epidemia. E tuttavia, riesce assai difficile ritenere che la diffusione di cui all'articolo 438 cit. possa essere interpretata come unicamente quella consistente nello spargimento volontario . 5.1.1. Va infatti anzitutto chiarito che l'illustrazione sul punto della Relazione non può vincolare l'interprete: già Sez. U, n. 12759 del 14/12/2023, dep. 2024, L., non mass, sul punto (pag. 15, par. 8.3), hanno affermato, richiamando Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266803 - 01, a sostegno della inidoneità dei lavori preparatori a fondare interpretazioni di disposizioni di legge valicanti il dato letterale delle stesse, come l'intenzione del legislatore debba essere estratta dall'involucro verbale attraverso il quale essa è resa nota ai destinatari e all'interprete e non possa conseguentemente identificarsi con quella dell'organo o dell'ufficio che ha predisposto il testo , dovendo essere ricercata nella volontà statuale, finalisticamente intesa . Né, contrariamente a quanto da taluno prospettato sulla base della sentenza n. 327 del 2008 della Corte costituzionale i lavori preparatori possono essere ritenuti elemento di vincolo esegetico . Il Giudice delle Leggi, nel dichiarare non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 434 cod. pen. nella parte in cui punisce il disastro innominato sollevate in riferimento agli articolo 24,25, secondo comma, e 27 Cost., sul presupposto della invocata inidoneità della mera nozione di disastro ad assicurare il rispetto del principio di tassatività della fattispecie penale, ha effettivamente richiamato, onde affermare la conformità a Costituzione del precetto, la Relazione del Ministro Guardasigilli ove si rappresentava la funzione di chiusura della norma, tesa a colmare ogni eventuale lacuna che, di fronte alla multiforme varietà dei fatti, possa presentarsi nelle norme concernenti la tutela della pubblica incolumità. A ben leggere la sentenza, tuttavia, l'argomentazione adottata dalla Corte costituzionale per giungere a ritenere non indefinita la nozione di disastro di cui all'omonimo reato, ha valorizzato essenzialmente la nozione accolta dalla giurisprudenza di legittimità, e dunque il diritto vivente, fondata su elementi dimensionali ed offensivi capaci di circoscrivere la valenza del concetto in termini di compatibilità con il principio costituzionale di tassatività, così restando, il mero riferimento alla Relazione ministeriale, quale corollario argomentativo del tutto residuale rispetto alla essenza del ragionamento svolto. Del resto, diversamente ragionando, ovvero assegnando ai lavori preparatori di una legge una valenza tale da rendere recessiva ogni altra argomentazione, pur quando la stessa si faccia carico, come necessario e sufficiente, dei vari criteri interpretativi desunti dall'articolo 11 preleggi, si finirebbe per assegnare a tali dati una funzione di atipica interpretazione autentica che, invece, non può che restare confinata alle sole norme che siano espressamente dettate dal legislatore in tal senso. 5.1.2. In secondo luogo, non pare decisivo neppure l'ulteriore argomento, talora valorizzato in dottrina, secondo cui l'impossibilità di assimilare al concetto di diffusione quello di contagio discenderebbe dalla distinzione sul punto effettuata dallo stesso legislatore del 1930, che, proprio sulla nozione di contagio aveva fondato specifiche previsioni di reato poi abrogate come l'articolo 544 cod. pen. intitolato contagio di sifilide e di blenorragia : come infatti osservato dalla già citata Sez.1, n. 48014 del 30/10/2019, P., la previsione di dette condotte non implicava che nella nozione di diffusione di germi patogeni, di cui all'articolo 438 cod. pen., non potessero - e quindi ancora oggi non possano - rientrare le diffusioni per contagio con il compimento di atti di contatto con la vittima , giacché, condivisibilmente, la relazione tra le due nozioni poteva essere descritta in termini di specialità per specificazione, nel senso che il compiere su taluno atti tali da procurargli il pericolo di contagio... era una delle modalità in cui si può concretizzare la condotta ampia e non meglio altrimenti definita di diffusione di germi patogeni . 5.1.3. Ma una decisiva smentita di tale impostazione pare provenire, nell'attualità, dallo stesso legislatore dell'emergenza Covid-19, che, con riguardo all'ipotesi della condotta di colui che, risultato positivo al virus, si limiti a violare l'obbligo di confinamento nella propria abitazione o dimora, ha prospettato la possibile configurabilità, oltre che del reato di cui all'articolo 260 r.d. 27 luglio 1934, n. 1265, anche di quello di epidemia (v., segnatamente, l'articolo 2, comma 3, D.L. 16 maggio 2020, n. 33, con riferimento all'articolo 1, comma 6, stesso decreto, secondo cui salvo che il fatto costituisca reato punibile ai sensi dell'articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all'articolo 1, comma 6, è punita ai sensi dell'articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265 o, ancor prima, nel medesimo senso, pur con variazioni semantiche, l'articolo 4, comma 6, D.L. 25 marzo 2020, n. 19 con riferimento all'articolo 1, comma 2, lett. e) stesso decreto). Senza aggiungere, infine, che, ove si richiedesse che la diffusione sia unicamente riferita al comportamento di chi sia in possesso dei germi, da tenere pertanto distinti dalla sua persona, e non anche di chi ne sia semplicemente contagiato, si finirebbe per introdurre una sorta di reato proprio o a soggettività ristretta , fondato su una specifica qualifica caratterizzante il soggetto attivo come detentore o possessore del germe, a dispetto della natura certamente comune del reato evidenziata dell'incipit chiunque . 6. Tanto premesso, è la struttura della norma, da leggersi anche in correlazione al bene giuridico protetto della incolumità pubblica (tradizionalmente tutelata, come meglio si dirà oltre, mediante fattispecie di reati causalmente orientati), a rivelare come, nella specie, si versi in presenza di un reato a forma libera e non già a condotta vincolata. Ciò, tanto più dovendosi avere cura di evitare interpretazioni che, nel negare la configurabilità del reato anche nella forma omissiva, finiscano nella sostanza per escludere, pur a fronte della corrispondente previsione del codice penale, la possibilità di integrazione della epidemia colposa. È infatti assai difficile, a ben vedere, prospettare una condotta dolosa che non sia realizzata in forma attiva una volta che il concetto di diffusione sia inteso come condotta di propagazione del germe da parte del soggetto attivo; in altri termini, una volta esclusa l'omissione, ogni condotta attiva di diffusione non potrebbe che essere caratterizzata da una precisa volontà e consapevolezza in tal senso, senza più alcuno spazio per comportamenti che, imprudenti o negligenti o imperiti, sarebbero, alla fine, incompatibili con il concetto stesso di diffusione. In realtà, in una più corretta lettura della norma che valorizzi la immediata consecuzione tra soggetto, verbo ed oggetto, contenuta nell'articolo 438 cod. pen. ove si individua, come non contestato neppure da chi neghi il reato in forma omissiva, l'atto di cagionare come la condotta e, conseguentemente, l'epidemia quale oggetto della stessa e, dunque, in altri termini, quale evento del reato, pare conseguente ritenere la diffusione di germi patogeni , immediatamente posta dopo la epidemia , non già come specificazione vincolata della condotta stessa, ma come l' ubi consistam normativo dello stesso evento, ovvero, appunto, la epidemia; sì che l'epidemia, nella intenzione del legislatore, è quella che, normativamente, può verificarsi solo attraverso ( mediante , appunto) la diffusione (cioè la propagazione) di germi patogeni e non già attraverso le ulteriori forme di più ampio spettro constatabili nel contesto scientifico o naturalistico ma escluse, evidentemente, dall'orizzonte normativo. Si tratta, dunque, di una norma che, nel porre l'accento sull'evento e non sulla condotta (semplicemente data, come detto, dal cagionare ), si pone in piena armonia con la scelta ordinariamente effettuata dal legislatore quando si tratti di tutelare beni giuridici primari (come, nella specie quello della pubblica incolumità), salvaguardati sempre attraverso fattispecie a forma libera o causalmente orientate , e presenta altresì una componente definitoria della nozione di epidemia, volutamente differenziata da quella scientifica. In altri termini, rilevato che il legislatore ha evitato di impiegare il verbo diffondere collegandolo, senza soluzioni di continuità, al chiunque autore del fatto (ciò che, inequivocabilmente, avrebbe consentito di qualificare la diffusione come percorso vincolato della condotta), scegliendo invece, diversamente, l'utilizzo del solo sostantivo, posposto all'evento epidemia , ben può dirsi che non è il soggetto autore del cagionare colui che diffonde , ma sono i germi patogeni, propri dell'epidemia come predefinita dal legislatore, che si diffondono dando così luogo all'evento. Qualificata, dunque, la diffusione dei germi patogeni come modalità predefinita di esplicazione - caratterizzazione dell'evento, diviene tra l'altro non solo superfluo, ma anche, fondamentalmente, asistematico l'interrogarsi sulla possibilità di estendere il concetto di diffusione sino al punto di ricomprendervi anche il lasciare che il germe si diffonda , atteso che una tale problematica, lambita, come già visto, da Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., cit. , presuppone, evidentemente, l' assegnazione della diffusione all'elemento della condotta e non già dell'evento, come invece appare corretto. 6.1. Non è poi condivisibile l'obiezione, avanzata in dottrina, secondo cui, interpretandosi la diffusione di germi patogeni solo come mezzo di espressione qualificata della epidemia e non come condotta vincolata, si ricadrebbe in un pleonasmo o in una inutile ridondanza giacché si sanzionerebbe null'altro che la epidemia diffusa mediante le modalità sempre comunque proprie dell'epidemia : la specificazione della norma serve invece, nella logica già indicata, e seguendo la condivisibile dottrina sul punto, ad escludere tutte le forme di epidemia che non avvengano attraverso la diffusione per via orizzontale di germi patogeni (tali essendo i batteri, virus e protozoi), quale caratteristica delle malattie infettive, bensì attraverso le sostanze tossiche o radioattive o parassitarie, egualmente contemplabili nell'orizzonte scientifico. 6.2. Di qui, allora, la conclusione, avallata da numerosi autori in sede scientifica, che il legislatore ha voluto limitare l'epidemia alle sole malattie infettive, siano esse contagiose o non contagiose, che, come descritto anche dalla dottrina che ha ammesso la configurabilità del reato in forma omissiva, sono le sole che, infatti, si propagano orizzontalmente attraverso, appunto, la diffusione di germi patogeni . Dunque, la lettura dell'articolo 438 cod. pen. nel senso appena detto (ovvero la qualificazione della diffusione come espressione normativa della epidemia e non come condotta ad opera del soggetto agente), non solo appare rispondere alla esatta concatenazione dei sintagmi impiegati nel testo, ma consente altresì in primo luogo di evitare di includere nel concetto di diffondere il significato di lasciare diffondere , e il conseguente rischio, evidentemente insito nelle pronunce ricordate sopra sub par. 3.2. (Sez. 1, n. 48014 del 30/10/2019, P., cit., e Sez. 3, n. 29315 del 11/06/2009, Locorotondo, cit.), di violare così il principio di legalità -tipicità. In secondo luogo, a fronte della ampia potenzialità semantica che al verbo cagionare , utilizzato del resto, in numerose previsioni penal-codicistiche a tutela di beni di rilevante interesse (si vedano, tra gli altri, gli articolo 452-bis, 452-quater, 500,576 cod. pen.), è possibile assegnare, una tale lettura conduce a qualificare il delitto non come reato a condotta vincolata ma come reato causalmente orientato in modo da rendere la fattispecie sicuramente permeabile alla clausola di equivalenza di cui all'articolo 40, secondo comma, cod. pen. In definitiva, dunque, non reato a condotta vincolata deve ritenersi quello di epidemia, ma, appunto, reato a condotta libera (il cagionare appunto) assistita allo stesso tempo dalla esclusività del mezzo di propagazione (ovvero mediante la sola diffusione di germi patogeni ), come ritenuto da parte rilevante della dottrina. 6.3. Né può sottacersi come la selezione dell'area di punibilità cui darebbe inevitabilmente luogo la configurazione del reato come a condotta vincolata sarebbe epilogo visibilmente stridente a fronte della non rilevanza delle modalità di aggressione ordinariamente caratterizzanti quelle previsioni che propendono nel dare risalto soprattutto alla tutela del bene giuridico in ragione della sua significanza anche costituzionale (quale è, nella specie, indubbiamente, il bene della salute pubblica). In altri termini, come notato anche in dottrina, escludere l'applicabilità della previsione di reato in presenza di condotte omissive finirebbe per contraddire la capacità della norma di assolvere alla funzione di tutela del bene della salute pubblica, rientrante nell'articolo 32 Cost., in coerenza con la stessa collocazione sistematica assegnatale dal codice. 6.4. Del resto, a conforto della prospettiva qui condivisa, si deve considerare anche il mutato contesto storico sociale: mentre al momento dell'introduzione nel codice della nuova fattispecie il fenomeno veniva prospettato come essenzialmente doloso, perché legato in particolare agli esiti della prima guerra mondiale legata all'uso in essa fatto delle armi batteriologiche (ovvero della dispersione di virus nocivi prodotti in laboratorio), nell'attuale, complesso, contesto socio-scientifico-tecnologico i risvolti dell'epidemia evocano sempre più i profili di gestione del rischio sanitario e si relazionano a condotte quasi esclusivamente inosservanti e perlopiù colpose che, con la lettura riduttiva di cui sopra, finirebbero, in realtà, per non venire mai sanzionate, a dispetto della formale presenza dell'articolo 452 cod. pen. In altri termini, accettandosi una visuale essenzialmente volontaria fondata sulla diretta e intenzionale dispersione del virus causata dal soggetto agente, il reato colposo si ridurrebbe alla figura residuale, e tra l'altro anacronistica, di chi, in possesso dei germi , se li lasci colposamente sfuggire e, pertanto, proprio la lettura qui ripudiata finirebbe per relegare la norma a casi di scuola , statisticamente ridottissimi. 7. Una volta ritenuto, dunque, che la condotta del reato di epidemia sia solo quella, come spiegato sopra, di cagionare , da cui la natura dello stesso come reato causalmente orientato, ne viene di conseguenza la applicabilità al reato di epidemia della clausola di equivalenza giacché, come già spiegato con chiarezza da questa Corte, il principio di equivalenza tra causalità omissiva e causalità attiva si applica ai reati causali puri, caratterizzati dalla rilevanza dell'evento e dalla indifferenza della condotta e nei quali la norma incriminatrice tende ad evitare l'evento pericoloso per la salute pubblica indipendentemente dalle modalità comportamentali (Sez. 3, n. 16286 del 18/12/2008, dep. 2009, Del Balzo, Rv. 243455 - 01, tanto più significativa perché intervenuta nella ipotesi dell'articolo 674 cod. pen. caratterizzata dalle condotte, si potrebbe dire, anche in tal caso, diffusive , di versamento di polveri o di emissione di gas, vapori e fumi). E ciò esclude, allo stesso tempo, la necessità di interrogarsi, su un piano generale, come pur prospettato anche dall'ordinanza di rimessione, sul tema della compatibilità tra reati a condotta vincolata e clausola di equivalenza. 8. Né pare possibile individuare quale ostacolo dirimente alla lettura della condotta del reato di epidemia colposa anche (ma in realtà, come già spiegato sopra, soprattutto) in forma omissiva, la pretesa lesione che tale costruzione arrecherebbe alla necessità che il nesso di causalità e la colpevolezza siano sempre oggetto di prova oltre ogni ragionevole dubbio, secondo i postulati da tempo indicati con nettezza da questa Corte a necessario presidio del principio costituzionale di cui all'articolo 27 Cost. (si vedano, in particolare, Sez. U, n. 30328 del 10/07/2022, Franzese, Rv. 222138 - 01). Accedere ad una simile prospettiva comporterebbe infatti, a ben vedere, la messa in discussione della stessa compatibilità della clausola di equivalenza codicistica con i principi costituzionali appena richiamati, compatibilità, tuttavia, mai posta in dubbio dalla giurisprudenza; è, anzi, dato di comune patrimonio quello per cui la norma dell'articolo 40, secondo comma, cod. pen., risponde all'esigenza di coniugare i diritti di libertà dell'articolo 13 Cost. (tendenzialmente refrattari, in un sistema di civiltà giuridica proprio delle democrazie, alla imposizione generalizzata di obblighi di fare ) con i doveri inderogabili di solidarietà previsti dall'articolo 2 Cost., giungendo sul punto ad un risultato di equilibrio proporzionato e ragionevole. Quanto al rischio, da taluni evocato, di trasferire, sul piano penale, e di addebitare ai singoli eventi che dovrebbero, in realtà, restare confinati a deficit di tipo organizzativo, lo stesso appare in realtà neutralizzato dalla necessaria sussistenza, in capo al singolo chiamato a rispondere, di un obbligo giuridico, anche in relazione alle conoscenze scientifiche del momento, che è infatti pur sempre presupposto, da verificare con metodo rigoroso, della stessa applicabilità dell'articolo 40, secondo comma cod. pen. Non può dimenticarsi, in proposito, che, come significativamente sottolineato dalla dottrina, il meno che la causalità ipotetica possiede rispetto alla causalità reale deve essere compensato da un altro elemento: tale ulteriore elemento consiste, secondo l'articolo 40 cpv., nella violazione di un obbligo giuridico di impedire l'evento . In definitiva, dunque, è proprio la riconducibilità della omissione nell'alveo della previsione del secondo comma dell'articolo 40 cod. pen., assistito dalla necessaria sussistenza dell'obbligo giuridico in capo al soggetto agente, la garanzia di conformità del reato di epidemia nella forma omissiva al principio di legalità, diversamente sottoposto a frizione ove si seguisse la strada di una lettura estensiva della diffusione dei germi, interpretata come manifestazione della condotta. 9. Sulla base delle considerazioni che precedono deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: Il delitto di epidemia colposa può essere integrato anche da una condotta omissiva . 10. Resta ovviamente fermo che, per aversi reato nella forma omissiva, dovrà pur sempre sussistere, alla stregua dei principi generali da osservarsi anche in tal caso, in primo luogo la prova degli elementi in base ai quali opera la previsione dell'articolo 40, secondo comma, cod. pen., ovvero la sussistenza, in capo al soggetto agente, dell'obbligo giuridico di attivarsi, discendente dalle fonti di responsabilità che la giurisprudenza di questa Corte ha, nel tempo, individuato; in secondo luogo, con specifico riguardo al reato di epidemia, da tenere sempre necessariamente distinto dai reati che si limitino a ledere la salute individuale, sarà necessaria la valutazione, da compiere in presenza di una legge scientifica di copertura e secondo i principi della causalità generale, circa l'omesso impedimento della diffusione del germe a determinare o a concorrere nella determinazione del fenomeno rapido, massivo ed incontrollabile, lesivo del bene collettivo della salute e incontestabilmente proprio del reato in esame (per la generale necessità che il rapporto di causalità tra omissione ed evento sia fondato su un giudizio di alta probabilità logica, sulla scia di Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhan, Rv. 287463 - 01 e Sez. U, n. 30328 del 10/07/2022, Franzese, Rv. 222138 - 01, si veda, anche da ultimo, Sez. 4, n. 45399 del 02/10/2004, Rondinelli, Rv. 287463 - 01). Va aggiunto come questa Corte abbia anche affermato che la titolarità di una posizione di garanzia non comporta, in presenza del verificarsi dell'evento, un automatico addebito di responsabilità colposa a carico del garante, imponendo il principio di colpevolezza la verifica in concreto della sussistenza della violazione - da parte del garante - di una regola cautelare (generica o specifica), della prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso che la regola cautelare violata mirava a prevenire (cosiddetta concretizzazione del rischio), nonché della sussistenza del nesso causale tra la condotta ascrivibile al garante e l'evento dannoso (così, da ultimo, Sez. 4, n. 21554 del 05/05/2021, Zoccarato, Rv. 281334 - 01 e Sez. 4, n. 32216 del 20/06/2018, Capobianco e altro, Rv. 273568 - 01). 11. Ne consegue che, avendo il Tribunale di Sassari acceduto alla tesi della impossibilità, in linea teorica, di configurare la epidemia colposa nella forma della condotta omissiva, facendone derivare l'assoluzione dell'imputato ex articolo 129 cod. proc. pen., il motivo di ricorso è fondato. La sentenza impugnata, pronunciata dopo la verifica della regolare costituzione delle parti e, dunque, appellabile secondo la giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. U, n. 3512 del 28/10/2021, Lafleur, Rv. 282473 - 01), deve essere, conseguentemente, a fronte di ricorso proposto per saltum, annullata con rinvio, ex articolo 569, comma 4, cod. proc. pen., alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, che procederà al relativo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per il giudizio alla Corte di appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.