Appuntando il ragionamento sul piano dell’onere della prova, le Sezioni Unite forniscono una importante coordinata di orientamento sul tema controverso della rinuncia implicita al credito azionato da parte di una società cancellata dal registro delle imprese in corso di processo.
I fatti di causa La vicenda dibattuta può riassumersi nei seguenti termini. Una s.r.l., intestataria di un conto corrente, ed i suoi fideiussori convennero in giudizio la banca per sentire accertare alcune anomalie contabili con conseguente condanna alla restituzione delle somme indebitamente incamerate. Il Tribunale di Napoli dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alle domande proposte dalla società, rilevando che la stessa era stata cancellata dal registro delle imprese, con rinuncia implicita alla pretesa azionata. Il Tribunale rigettò le domande proposte dai fideiussori per difetto di legittimazione alla richiesta di ripetizione delle somme corrisposte dalla società alla banca. La Corte partenopea accoglieva, invece, la domanda proposta dal socio unico della società estinta condannando la banca. Ciò sul presupposto che in mancanza di una norma che preveda, in caso di cancellazione intervenuta in corso di causa, la rinuncia al credito, i diritti vantati dalla società estinta, non riportati nel bilancio finale di liquidazione, transitano nella titolarità dei soci. Seguiva ricorso per cassazione da parte della banca. Con ordinanza interlocutoria, la Prima Sezione rimetteva gli atti alla Prima Presidente che disponeva l'assegnazione alle Sezioni Unite in ragione del contrasto giurisprudenziale formatosi in ordine alla configurabilità di una tacita rinuncia ai crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione dal registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, in pendenza del giudizio volto a farli accertare. L' interesse del fideiussore a far accertare le anomalie contabili in pendenza del rapporto di conto corrente Chiarisce, anzitutto, la Corte Suprema a Sezioni Unite che l'azione di ripetizione può determinare l'obbligo della banca di rimborsare le somme indebitamente incamerate soltanto a seguito della chiusura del conto (v. Cass., n. 13586/2024). Tuttavia, prima della chiusura del conto, non può escludersi l'interesse ad agire per ottenere l'accertamento dell'invalidità delle clausole contrattuali che prevedano l'applicazione d'interessi ultralegali o usurari o la capitalizzazione degli interessi o l'addebito di altre poste illegittime ed il ricalcolo dell'ammontare del saldo (Cass. n. 21646/2018). Interesse ad agire da riconoscersi non soltanto al correntista ma anche al fideiussore. Quest'ultimo, mentre non può considerarsi legittimato all'esercizio dell'azione di ripetizione, a meno che non abbia provveduto egli stesso all'estinzione del saldo di chiusura, a seguito dell'escussione della garanzia da parte della banca (Cass. n. 13418/2022), vanta un indubbio interesse al ricalcolo del saldo in pendenza del rapporto, al fine di ottenere l'espunzione dal conto delle poste illegittimamente addebitate e la conseguente riduzione del debito garantito, per l'eventualità che il debitore principale non provveda al pagamento al momento della cessazione del rapporto di conto corrente. Estinzione della società e rinuncia al credito: gli orientamenti divergenti Ciò chiarito, viene poi ricordato il principio di diritto delle Sezioni Unite (enunciato con le pronunce nn. 6070 e 6071) secondo cui, ove all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale, mentre le obbligazioni della società non si estinguono, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), giacché il mancato espletamento di tale attività da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (nello stesso senso, cfr. Cass. n. 25974/2015; Cass. n. 23269/2016). Nell'ambito di tale indirizzo, come rilevato dalla Prima Sezione nell'ordinanza interlocutoria, l'inerzia del liquidatore rappresenta un elemento idoneo a fondare una presunzione qualificata di rinuncia alle predette pretese, ancorché relative a crediti incerti ed illiquidi; con la conseguenza che non si determina alcun fenomeno successorio nella pretesa sub judice e i soci della società estinta non sono legittimati ad impugnare la sentenza di appello che abbia rigettato questa pretesa (v. Cass. n. 15782/2016). Questa prima corrente giurisprudenziale, ricordano le Sezioni Unite, non è stata condivisa dalla giurisprudenza successiva la quale ha affermato, in tema di cancellazione volontaria, che l'estinzione della società, ove intervenuta in pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (cfr. Cass. n. 9464/2020; Cass. n. 30075/2020). Segue: esclusione della presunzione di rinuncia tacita al credito e onere della prova Dopo aver ripercorso anche i punti di criticità segnalati dalla Prima Sezione nell'ordinanza interlocutoria, le Sezioni Unite osservano che ciò che accomuna le due tesi affermatesi nella giurisprudenza di legittimità è il rifiuto dell'automatismo insito nel meccanismo teorizzato dalle Sezioni Unite nelle pronunce poco sopra richiamate in virtù del quale, per le mere pretese e per i crediti incerti o illiquidi, il mancato inserimento nel bilancio di liquidazione risulterebbe di per sé sufficiente ad escluderne la trasmissione ai soci, implicando una rinuncia al diritto, che comporterebbe una presunzione juris et de jure di estinzione, anche nel caso in cui sia pendente un giudizio promosso dalla società per il suo accertamento. La differenza tra i due orientamenti consiste nel fatto che, mentre per il primo la regola è che il diritto si trasmette ai soci, nonostante la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione, mentre l'estinzione costituisce un'eccezione, che dev'essere rigorosamente allegata e provata da chi intenda farla valere, e quindi dalla controparte dell'ex-socio, per il secondo la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione rende applicabile, almeno per le mere pretese ed i crediti incerti o illiquidi, una presunzione (semplice) di estinzione, che pone a carico dell'ex-socio che intenda azionare un diritto della società o proseguire un giudizio dalla stessa iniziato l'onere di allegare e provare di essere subentrato nella titolarità del diritto fatto valere. Le obiezioni che si possono muovere a quest'ultimo orientamento, viene puntualizzato, sono in gran parte le stesse che sono state sollevate dalla dottrina avverso la tesi dell'automatica estinzione dei crediti non inclusi nel bilancio di liquidazione. Sono state evidenziate le incertezze applicative connesse all'individuazione dei diritti suscettibili di estinzione, in ragione dell'indeterminatezza della distinzione tra i diritti veri e propri e le varie categorie emergenti dalla terminologia di volta in volta adottata, quali le «mere pretese, ancorché azionate ed azionabili in giudizio», i «diritti litigiosi o illiquidi», i «diritti ancora illiquidi ed incerti» e le «ragioni di credito». A ciò si aggiunge la difficoltà d'individuare le modalità d'iscrizione in bilancio delle «mere pretese», al fine di evitarne l'estinzione e di garantirne la trasmissione ai soci. Si è posta inoltre in risalto la difficoltà di ricondurre alla disciplina civilistica della rinuncia al credito o della remissione del debito, che richiede una manifestazione di volontà specificamente portata a conoscenza del singolo creditore, un comportamento meramente omissivo quale la mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione, non rivolto ad un destinatario determinato. La remissione del debito, costituendo un atto abdicativo di natura negoziale, postula infatti che il diritto di credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l'estinzione si verifichi solo se ed in quanto voluta dal creditore, con la conseguenza che la volontà di rimettere il debito presuppone in primo luogo la consapevolezza della sua esistenza da parte del creditore (cfr. Cass. n. 16125/2006): tale presupposto esclude che possano considerarsi oggetto di rinuncia diritti dei quali i liquidatori o i soci, al momento della formazione e dell'approvazione del bilancio di liquidazione, non conoscevano neppure l'esistenza, o che, pur essendo conosciuti, non presentavano i requisiti necessari per l'iscrizione in bilancio. Infine, è stato rimarcato che ricollegare più o meno automaticamente alla mancata iscrizione in bilancio l'estinzione del credito significa esporre a pregiudizio i creditori sociali i quali, pur vedendo ridotto il valore patrimoniale complessivamente destinato alla soddisfazione dei loro crediti, in misura pari al valore della pretesa o del credito incerto o illiquido, non hanno alcun mezzo di tutela a fronte della cancellazione della società, non potendo proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione, né domanda di revoca dell'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, e non disponendo di strumenti di conoscenza in ordine all'esistenza ed all'incasso da parte degli ex-soci di crediti originariamente spettanti alla società, che consentano loro di coltivare le sopravvenienze attive nei confronti dei terzi ed ottenere da questi ultimi o dagli ex-soci i relativi pagamenti. L'insegnamento delle Sezioni Unite In ragione di ciò, concludono le Sezioni Unite, è da preferire l'orientamento contrario che, escludendo l'operatività di una presunzione di estinzione in conseguenza della mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione, pone a carico del soggetto convenuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e dimostrare la mancata successione della controparte nella titolarità del credito originariamente spettante alla società: poiché infatti, in tema di cancellazione della società, la regola è costituita dalla sopravvivenza dei crediti della stessa, nei quali sono destinati a succedere i soci, salvo la remissione del debito ai sensi dell'articolo 1236 c.c., è la parte che resiste alla pretesa a dover far valere l'avvenuta estinzione del credito azionato nei suoi confronti, allegando e provando la sussistenza di un'inequivoca manifestazione di volontà remissoria, avente lei stessa quale specifica destinataria. Di seguito il principio delle Sezioni Unite enunciato nella sentenza in esame: «L'estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l'estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell'avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore con-venuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l'estinzione del credito».
Presidente D'Ascola - Relatore Mercolino Fatti di causa 1. La Cas.Dit. Srl, in qualità di intestataria di un conto corrente presso il Banco di Napoli Spa, e Ca.Gi. e Ca.Ga., Bu.An. ed Bi.An., in qualità di fideiussori della correntista, convennero in giudizio la Banca, per sentir accertare l'illegittima applicazione d'interessi, con la condanna alla restituzione delle somme indebitamente versate a tale titolo. Si costituì il Banco di Napoli, ed eccepì la prescrizione del credito e l'infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto. 1.1. Con sentenza del 28 aprile 2017, il Tribunale di Napoli dichiarò cessata la materia del contendere in ordine alle domande proposte dalla CasDit, rilevando che la società era stata cancellata dal registro delle imprese, e ritenendo che in tal modo essa avesse implicitamente rinunciato alla pretesa azionata, mentre rigettò le domande proposte dai fideiussori, ritenendo che gli stessi non fossero autonomamente legittimati alla ripetizione delle somme corrisposte dalla società alla Banca. 2. L'impugnazione proposta dalla CasDit in liquidazione è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d'Appello di Napoli, che con sentenza del 30 settembre 2020 ha invece accolto parzialmente il gravame proposto da Ca.Gi., in qualità di socio unico della CasDit, condannando il Banco di Napoli al pagamento della somma di Euro 456.746,48, oltre interessi legali dalla domanda, e dichiarando invece assorbita la domanda proposta dai fideiussori. Premesso che la cessazione della materia del contendere costituisce un'ipotesi di estinzione del processo, rilevabile anche d'ufficio da parte del giudice nei casi in cui, pur essendo venuto meno l'interesse alla naturale definizione del giudizio, a causa della sopravvenienza di fatti che comportino l'eliminazione del contrasto tra le parti, il giudizio non possa essere definito per rinuncia agli atti o all'azione, la Corte ha rilevato che nella specie, non essendovi stata alcuna rinuncia da parte della società attrice, né alcuna dichiarazione della cancellazione da parte del suo procuratore, il Giudice di primo grado avrebbe dovuto ritenere sussistente l'interesse alla prosecuzione del giudizio. Precisato infatti che la cancellazione dal registro delle imprese, pur determinando l'estinzione della società, e privandola quindi della capacità di stare in giudizio, non comporta l'interruzione del processo, ove l'evento non venga dichiarato né notificato dal suo procuratore, operando in tal caso la regola dell'ultrattività del mandato alle liti, ha escluso la possibilità di dichiarare la cessazione della materia del contendere, ritenendo che la causa dovesse essere decisa nel merito. La Corte ha inoltre escluso che la cancellazione avesse comportato l'implicita rinuncia al credito azionato, osservando che a tal fine è necessaria la comunicazione da parte del creditore della volontà di rimettere il debito, anche attraverso un comportamento univoco assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto, e la mancata dichiarazione da parte del debitore di non volerne profittare. Ha aggiunto che, in mancanza di una norma che preveda, in caso di cancellazione intervenuta in corso di causa, la rinuncia al credito, i diritti vantati dalla società estinta, non riportati nel bilancio finale di liquidazione, transitano nella titolarità dei soci, ed ha concluso pertanto che nei diritti della CasDit era subentrato, per successione, il socio unico Ca.Gi. Precisato poi che il riconoscimento della legittimazione del socio unico comportava l'assorbimento delle censure proposte dai fideiussori in ordine al loro difetto di legittimazione, la Corte ha ritenuto fondata la domanda, rilevando che dagli estratti conto prodotti in giudizio emergevano sia l'esistenza di un'apertura di credito, sia i movimenti del conto, i tassi d'interesse, la capitalizzazione trimestrale, le commissioni di massimo scoperto, le valute e le spese applicati nel corso del rapporto, ed affermando che, in presenza dell'apertura di credito, alle rimesse effettuate sul conto doveva attribuirsi natura ripristinatoria, con la conseguenza che la decorrenza della prescrizione doveva essere ancorata alla data di estinzione del saldo di chiusura del conto. 3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, illustrati anche con memoria, l'INTRUM ITALY Spa, in qualità di procuratrice speciale dell'INTESA SANPAOLO Spa, succeduta al Banco di Napoli a seguito di fusione. Hanno resistito con controricorso Ca.Gi., in proprio ed in qualità di socio unico della CasDit, Ca.Ga., Bu.An. ed Bi.An., proponendo ricorso incidentale condizionato, affidato ad un solo motivo, anch'esso illustrato con memoria, cui l'INTRUM ITALY ha resistito a sua volta con controricorso. Con ordinanza interlocutoria del 13 giugno 2024, la Prima Sezione civile, investita della trattazione del ricorso, ha trasmesso gli atti alla Prima Presidente, che ne ha disposto l'assegnazione alle Sezioni Unite, ai fini della risoluzione di un contrasto di giurisprudenza determinatosi in ordine alla configurabilità di una tacita rinuncia ai crediti della società non compresi nel bilancio finale di liquidazione, come effetto automatico della cancellazione dal registro delle imprese, con conseguente estinzione della società, in pendenza del giudizio volto a farli accertare. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo d'impugnazione, la ricorrente INTRUM ITALY denuncia la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2033 e 2697 cod. civ. e degli articolo 112 e 101 cod. proc. civ., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la domanda, nonostante la mancata dimostrazione dell'avvenuta estinzione del conto corrente o del pagamento di tutte le poste illegittime. Premesso che la domanda proposta in primo grado aveva ad oggetto esclusivamente la restituzione delle somme indebitamente percepite dalla Banca, essendo stato prospettato soltanto in appello l'interesse dei fideiussori ad una sentenza di mero accertamento, sostiene che il diritto del cliente alla restituzione sorge soltanto a seguito del pagamento indebito, aggiungendo che, in quanto configurabili come condizioni di ammissibilità dell'azione, la chiusura del conto o il pagamento del saldo devono essere accertati in riferimento alla data di proposizione della domanda, con onere della prova a carico di chi agisce in restituzione. Afferma comunque che, ove la domanda fosse stata qualificabile come domanda di accertamento, la somma dovuta avrebbe dovuto essere determinata in riferimento alla data di chiusura del conto, anziché a quella di notifica della citazione, il pagamento del saldo avrebbe dovuto essere effettuato prima della sentenza di primo grado e il contraddittorio avrebbe dovuto instaurarsi in ordine alla pretesa effettivamente azionata. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell'articolo 2495 cod. civ. e dell'articolo 110 cod. proc. civ., rilevando che, nell'escludere che la cancellazione della CasDit dal registro delle imprese avesse comportato la rinuncia alla pretesa azionata, la Corte territoriale ha richiamato un precedente di legittimità che si pone in contrasto con l'orientamento prevalente, il quale esclude il trasferimento ai soci delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi. Premesso che tali crediti difficilmente potrebbero essere inseriti nel bilancio di liquidazione, in quanto non individuabili e quantificabili, e non convenienti sotto il profilo fiscale, osserva che il bilancio di liquidazione della CasDit non riportava alcun credito in contenzioso, ed in sede di approvazione era stato assegnato a Ca.Gi. soltanto un credito vantato nei confronti della Cas.Dit. Group Srl a saldo del valore netto patrimoniale. 3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione degli articolo 2033,2697 e 2934 cod. civ. e degli articolo 112 e 132 cod. proc. civ., nonché l'omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la dichiarazione di cessazione della materia del contendere ha impedito, in primo grado, l'instaurazione di un effettivo contraddittorio in ordine al merito della controversia ed alle risultanze della c.t.u. espletata. Premesso che il c.t.u. aveva prospettato quattro diverse modalità di ricostruzione dell'andamento del conto, imperniate sul computo delle sole spese collegate alla tenuta del conto o anche di quelle legate ad altri rapporti che richiedevano specifica pattuizione e sulla considerazione o meno della prescrizione, rileva che la sentenza impugnata ha optato per la seconda soluzione, senza che in ordine agli altri rapporti si fosse instaurato il contraddittorio tra le parti, con conseguente violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Aggiunge che la Corte territoriale ha omesso d'indicare singolarmente i rapporti considerati, la cui allegazione e prova incombevano agli attori, in tal modo impedendo la proposizione di una specifica eccezione di prescrizione, mentre il c.t.u. ha azzerato le competenze dei conti tecnici, senza tenerne conto ai fini dell'individuazione delle rimesse solutorie. Sostiene infine che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare l'eccezione di prescrizione proposta in riferimento ad uno dei tre rapporti di conto corrente intercorsi tra le parti, non avendo tenuto conto della successione dei conti e della mancata produzione dei relativi contratti. 4. Con l'unico motivo del ricorso incidentale condizionato, i controricorrenti denunciano la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., rilevando che nel dispositivo della sentenza impugnata manca l'accoglimento della domanda di accertamento del saldo creditore del conto corrente. Premesso che la relativa decisione non è desumibile esclusivamente dalla motivazione, sostengono di aver interesse al predetto accertamento, che escluderebbe il loro debito nei confronti della Banca. 5. Il primo motivo del ricorso principale, avente ad oggetto l'ammissibilità della domanda di accertamento del saldo del conto, è infondato. È pur vero, infatti, che, in linea generale, ai fini dell'esercizio dell'azione di cui all'articolo 2033 cod. civ., occorre che sia stato effettuato un pagamento indebito, cioè che il solvens abbia eseguito una prestazione di dare in virtù di un titolo giuridico che risulti a posteriori invalido o inesistente, la quale abbia comportato uno spostamento patrimoniale in favore dell'accipiens (cfr. Cass., Sez. III, 2/04/1982, n. 2029): tale situazione, nel contratto di apertura di credito in conto corrente, non si verifica per effetto della mera annotazione in conto d'interessi o altre poste passive sulla base di una clausola illegittima, la quale non dà luogo ad un'immediata attribuzione in favore della banca, trovando applicazione l'articolo 1823, primo comma, cod. civ., ai sensi del quale i crediti derivanti dalle reciproche rimesse si considerano indisponibili ed inesigibili fino alla chiusura del conto. Uno spostamento patrimoniale suscettibile di ripetizione si verifica soltanto a seguito della cessazione del rapporto, in caso di estinzione del debito corrispondente al saldo di chiusura, nel cui calcolo siano stati computati gl'interessi non dovuti, oppure quando, in pendenza del rapporto, il correntista abbia effettuato rimesse solutorie, per tali dovendosi intendere quei versamenti che, in quanto avvenuti in presenza di un saldo passivo eccedente la misura dell'affidamento concesso dalla banca, non abbiano una funzione meramente ripristinatoria della provvista esistente sul conto (cfr. Cass., Sez. Un., 2/12/2010, n. 24418; Cass., Sez. I, 24/04/2024, n. 11056; 15/02/2024, n. 4214). Nella seconda ipotesi, l'accoglimento della domanda non può peraltro tradursi nella condanna della banca alla restituzione degl'importi illecitamente addebitati, ma solo nella determinazione di un saldo depurato delle annotazioni illegittime, giacché soltanto a seguito della chiusura del conto, venuta meno l'indisponibilità dei singoli crediti prevista dall'articolo 1823, primo comma, cod. civ., l'azione di ripetizione può determinare l'obbligo della banca di rimborsare le somme indebitamente incamerate (cfr. Cass., Sez. I, 16/05/2024, n. 13586). È stato tuttavia precisato che, anche in assenza di rimesse solutorie, non può escludersi l'interesse ad agire in giudizio, prima della chiusura del conto, per ottenere l'accertamento dell'invalidità delle clausole contrattuali che prevedano l'applicazione d'interessi ultralegali o usurari o la capitalizzazione degl'interessi o l'addebito di altre poste illegittime ed il ricalcolo dell'ammontare del saldo, avendo l'azione come obiettivo, in tal caso, il conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza una pronuncia del giudice, consistente nell'esclusione, per il futuro, di ulteriori annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell'affidamento accordato e nella riduzione dell'importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto (cfr. Cass., Sez. I, 5/09/ 2018, n. 21646). Tale interesse, da riconoscersi senz'altro al correntista, in qualità di titolare del rapporto contrattuale, tenuto al pagamento del saldo passivo in caso di cessazione dello stesso, non può essere negato neppure al fideiussore, il quale, mentre non può considerarsi legittimato all'esercizio dell'azione di ripetizione, a meno che non abbia provveduto egli stesso all'estinzione del saldo di chiusura, a seguito dell'escussione della garanzia da parte della banca (cfr. Cass., Sez. I, 28/04/2022, n. 13418), vanta un indubbio interesse al ricalcolo del saldo in pendenza del rapporto, al fine di ottenere l'espunzione dal conto delle poste illegittimamente addebitate e la conseguente riduzione del debito garantito, per l'eventualità che il debitore principale non provveda al pagamento al momento della cessazione del rapporto di conto corrente. Non merita pertanto censura la sentenza impugnata, per aver accolto la domanda proposta dalla società attrice, senza verificare preventivamente se il rapporto di conto corrente fosse già cessato ed il debito corrispondente al saldo di chiusura fosse già stato estinto. In quanto incidenti sulla configurabilità di un pagamento, e quindi sull'insorgenza stessa del diritto alla ripetizione dell'indebito, tali circostanze non erano d'altronde qualificabili come presupposti di ammissibilità della domanda, da accertarsi in riferimento alla data di instaurazione del giudizio, ma come condizioni dell'azione, la cui sussistenza doveva essere valutata in riferimento alla data della decisione. Nel corso del giudizio, peraltro, come riconosce la stessa difesa della ricorrente, gli attori hanno modificato la domanda originariamente proposta, sostituendo quella di condanna della Banca alla restituzione delle somme indebitamente trattenute con quella di rideterminazione del saldo del conto corrente, previa espunzione degl'importi illegittimamente addebitati a titolo d'interessi, capitalizzazione trimestrale e commissione di massimo scoperto: tale modificazione, pur avendo avuto luogo soltanto con l'atto di appello, non si pone in contrasto con l'articolo 345 cod. proc. civ., non avendo comportato l'introduzione di una domanda nuova, caratterizzata da un oggetto e da un titolo diversi da quelli originari, ma solo una riduzione del petitum, giacché, fermi restando i fatti allegati in primo grado, e segnatamente l'invalidità delle clausole che prevedevano i predetti addebiti, gli attori si sono limitati ad insistere sulla richiesta di accertamento del saldo effettivo del conto, da ritenersi già inclusa in quella di restituzione degl'importi indebitamente trattenuti dalla Banca. Com'è noto, infatti, si ha una mutatio libelli, inammissibile in appello, quando la modifica della domanda originaria si risolva nella formulazione di una pretesa sostanzialmente e formalmente diversa da quella fatta valere in primo grado, mentre si è in presenza di una mera e consentita emendatio allorché la modifica della domanda venga ad incidere soltanto sul petitum mediato, nel senso di adeguarlo in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale oggetto dell'originaria domanda (cfr. Cass., Sez. I, 10/11/2008, n. 26905; Cass., Sez. II, 21/02/2007, n. 4034; 4/11/ 2005, n. 21354). 6. Il secondo motivo ha ad oggetto la questione in ordine alla quale la Prima Sezione civile ha rilevato l'avvenuta formazione del contrasto di giurisprudenza che ha determinato l'assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite. In proposito, l'ordinanza interlocutoria richiama innanzitutto le due pronunce delle Sezioni Unite con cui, in riferimento alla disciplina introdotta dalla riforma del diritto societario di cui al D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, fu enunciato il principio di diritto secondo cui, ove all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale, mentre le obbligazioni della società non si estinguono, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), giacché il mancato espletamento di tale attività da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo (cfr. Cass., Sez. Un., 12/03/2013, nn. 6070 e 6071). A tali pronunce ne seguirono altre conformi, le quali ribadirono che l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, ove intervenuta in pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina il trasferimento della corrispondente azione in capo ai soci, atteso che il fenomeno di tipo successorio derivante dalla suddetta vicenda, riguardante esclusivamente gli eventuali rapporti giuridici (afferenti le obbligazioni ancora inadempiute, oppure i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione) non venuti meno a causa di quest'ultima, non si estende alle mere pretese, benché azionate in giudizio, né ai diritti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell'accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato con conseguente cessazione della materia del contendere (cfr. Cass., Sez. I, 24/12/2015, n. 25974; nel medesimo senso, v. Cass., Sez. I, 15/11/2016, n. 23269). Tanto premesso, la Prima Sezione civile rileva che, nell'ambito di tale indirizzo, alcune pronunce hanno ravvisato nell'inerzia del liquidatore un elemento idoneo a fondare una presunzione qualificata di rinuncia alle predette pretese, ancorché relative a crediti incerti ed illiquidi: è stato infatti affermato che in caso di cancellazione volontaria di una società dal registro delle imprese, intervenuta in pendenza di un giudizio risarcitorio introdotto dalla società medesima, il comportamento del liquidatore, che non si sia attivato per l'accertamento del credito, preferendo concludere il procedimento estintivo della società, consente di presumere che quest'ultima abbia tacitamente rinunciato alla propria pretesa, con la conseguenza che non si determina alcun fenomeno successorio nella pretesa sub judice, ed i soci della società estinta non sono legittimati ad impugnare la sentenza d'appello che abbia rigettato questa pretesa (cfr. Cass., Sez. III, 29/07/2016, n. 15782). Tale assunto non è stato integralmente condiviso dalla giurisprudenza successiva, la quale ha affermato, in tema di cancellazione volontaria, che l'estinzione della società, ove intervenuta in pendenza di un giudizio dalla stessa originariamente intrapreso, non determina anche l'estinzione della pretesa azionata, salvo che il creditore abbia manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare (cfr. Cass., Sez. I, 22/05/2020, n. 9464); e, in tema di cancellazione di ufficio, ai sensi dell'articolo 2490, ultimo comma, cod. civ., che l'estinzione della società dal registro delle imprese non consente di ritenere automaticamente rinunciato il credito controverso (nella specie derivante da un'azione promossa ai sensi dell'articolo 2476 cod. civ.), poiché la regola è la successione in favore dei soci dei residui attivi, salvo la remissione del debito ai sensi dell'articolo 1236 cod. civ., che deve essere allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere, dimostrando tutti i presupposti della fattispecie, ossia la inequivoca volontà remissoria e la destinazione della dichiarazione ad uno specifico creditore (cfr. Cass., Sez. VI, 31/12/2020, n. 30075). Ciò nonostante, alcune pronunce più recenti hanno ribadito la tesi secondo cui l'estinzione di una società conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese determina un fenomeno di tipo successorio in virtù del quale sono trasferiti ai soci esclusivamente le obbligazioni ancora inadempiute ed i beni o i diritti non compresi nel bilancio finale di liquidazione, con esclusione, invece, delle mere pretese, ancorché azionabili in giudizio e dei crediti ancora incerti o illiquidi necessitanti dell'accertamento giudiziale non concluso, il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente, quindi, di ritenere che la società vi abbia implicitamente rinunciato, con la conseguenza che gli ex-soci non sono legittimati a farli valere in giudizio (cfr. Cass., Sez. II, 9/08/2023, n. 24246; Cass., Sez. III, 29/04/2024, n. 11411). Si è quindi ritenuto che il soggetto che agisce a tutela della pretesa creditoria di una società cancellata dal registro delle imprese abbia l'onere di allegare espressamente e, poi, di dimostrare la propria qualità di avente causa della società, come assegnatario del credito in base al bilancio finale di liquidazione oppure come successore nella titolarità di un credito non inserito nel bilancio e non oggetto di tacita rinuncia, senza che assuma alcun rilievo la dichiarata qualità di ex-socio o di liquidatore, non necessariamente implicante la successione nella posizione giuridica (cfr. Cass., Sez. III, 25/03/2021, n. 8521; 18/07/2023, n. 21071). Nel segnalare il contrasto in tal modo determinatosi, l'ordinanza interlocutoria rileva anche le criticità dell'orientamento inaugurato dalle citate pronunce delle Sezioni Unite, evidenziando a) l'inconciliabilità dell'individuazione dell'elemento distintivo nell'idoneità della posta creditoria a essere iscritta nel bilancio finale con il principio contabile generale per cui ogni credito, ancorché illiquido o incerto, va iscritto (e quindi può essere iscritto) in bilancio al valore presumibile di realizzo (articolo 2426 cod. civ.), b) l'irrazionalità dell'automatica riconduzione della formalità pubblicitaria (la cancellazione dal registro delle imprese) alla fattispecie della rinuncia, pur in presenza di circostanze logicamente non compatibili, come la coltivazione del giudizio per l'accertamento del credito da parte del liquidatore, e c) l'oggettiva difficolta di sostenere l'assunto sul piano degli effetti pratici, giacché mantenendosi l'automatismo ne deriverebbe una perdita potenziale in pregiudizio degli stessi creditori, in ragione dell'impossibilità di far conto della posta attiva in esito a una scelta abdicativa a loro estranea. Ad avviso del Collegio rimettente, sono state proprio le perplessità suscitate dal predetto automatismo ad indurre a ricercare un diverso punto di equilibrio, individuato dalle citate pronunce della Prima e della Sesta Sezione civile nell'operatività di una presunzione inversa, cioè di una presunzione di sopravvivenza del credito controverso, in virtù della quale la cancellazione della società non comporta automaticamente la rinuncia allo stesso, poiché la remissione del debito presuppone una volontà univoca in tal senso, che dev'essere specificamente allegata e provata. Diversamente, le ordinanze della Terza Sezione civile tendono a riproporre la tesi dell'efficacia estintiva automatica della cancellazione, temperandone il rigore sotto il profilo della ripartizione dell'onere della prova, attraverso la precisazione che la volontà abdicativa si presume fintanto che non sia dimostrato che il credito, originariamente azionato dalla società e per definizione illiquido, non è stato implicitamente rinunciato. 6.1. Ai fini della risoluzione del contrasto, non occorre riesaminare le ragioni che hanno indotto questa Corte a ravvisare nella vicenda conseguente alla cancellazione della società un fenomeno successorio, trattandosi di una qualificazione che, oltre ad aver costituito oggetto di approfondita disamina nelle citate pronunce delle Sezioni Unite, è alla base di entrambi gli orientamenti segnalati dall'ordinanza interlocutoria, essendo stata costantemente ribadita in epoca successiva, al punto da rappresentare, come correttamente rilevato in dottrina, un dato ormai acquisito nella giurisprudenza di legittimità. Tale qualificazione ha trovato d'altronde conferma in due recenti pronunce di queste Sezioni Unite, le quali hanno espressamente ribadito l'efficacia estintiva della cancellazione dal registro delle imprese e la trasmissione ai soci dei rapporti obbligatori già facenti capo alla società, affermando tuttavia per un verso che, ove prima della cancellazione la stessa abbia conferito a un avvocato procura speciale per la proposizione di un ricorso per cassazione, la perdita della capacità processuale conseguente all'estinzione non comporta la inammissibilità dell'impugnazione notificata alla controparte in epoca successiva, trovando applicazione il principio di ultrattività del mandato (cfr. Cass., Sez. Un., 19/11/2024, n. 29812), e per altro verso che, ai fini della configurabilità della responsabilità dei soci per un debito tributario della società estinta, l'avvenuta riscossione di somme da parte degli stessi in base al bilancio finale di liquidazione integra una condizione dell'azione attinente non già alla legittimazione dei soci, ma all'interesse ad agire del fisco, che l'Amministrazione finanziaria è tenuta a dedurre con apposito avviso di accertamento emesso nei confronti dei soci, ai sensi dell'articolo 36, comma quinto del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 e dell'articolo 60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e del quale ha l'onere di fornire la prova in giudizio (cfr. Cass., Sez. Un., 12/02/2025, n. 3625). 6.2. In questa sede, è necessario quindi muovere dall'individuazione delle ragioni addotte a sostegno della riconsiderazione dell'indirizzo in questione, sotto il profilo della ripartizione dell'onere della prova, e della conseguente esclusione della configurabilità di una presunzione di rinuncia tacita al credito, per effetto della mancata inclusione dello stesso nel bilancio di liquidazione, con l'imposizione a carico di chi intende far valere la rinuncia dell'onere di allegare e provare l'avvenuta manifestazione della relativa volontà da parte del creditore e della comunicazione della stessa al debitore. Al riguardo, premesso che, se la regola fissata dal diritto vivente è quella della successione dei soci nella titolarità dei residui attivi, ogni eccezione alla stessa ed al conseguente passaggio in titolarità dei soci delle situazioni attive già facenti capo alla società - sia quanto alle c.d. sopravvivenze attive, sia quanto alle c.d. sopravvenienze attive - dev'essere adeguatamente allegata e dimostrata da chi intenda farla valere , si è osservato che la rinuncia costituisce un atto negoziale abdicativo unilaterale recettizio , ai fini del quale si richiede la volontarietà dell'atto e dei suoi effetti, una modalità espressiva idonea a trasmetterne il contenuto e la comunicazione a un destinatario determinato. Precisato che nel rapporto obbligatorio la rinuncia assume tipicamente il nome di remissione del debito, regolata dall'articolo 1236 cod. civ., si è affermato che pur non potendosi presumere, la remissione del debito non è soggetta a particolari requisiti di forma , e quindi può ricavarsi anche da una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito . Rilevato inoltre che la dichiarazione a parte creditoris si presume accettata dal debitore, e diventa pertanto operativa dei suoi tipici effetti estintivi, dal momento in cui la comunicazione perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata (articolo 1334 c.c.), a meno che questa, avuto conoscenza della manifesta volontà remissiva, non dichiari entro un congruo termine di ricusarla e, quindi, di non volerne profittare , si è concluso che sarebbe (...) errato presumere sempre juris et de jure, in presenza di una cancellazione richiesta dal liquidatore della società ed operata in corso di causa, una rinuncia della stessa al diritto azionato . Si è quindi affermato che l'esistenza della rinuncia, da ricondurre alla remissione del debito di cui all'articolo 1236 cod. civ., va allegata e provata con rigore da chi intenda farla valere in tutti i presupposti della fattispecie, ossia la volontà remissoria, la manifestazione inequivoca di tale volontà e la destinazione della dichiarazione allo specifico creditore (cfr. Cass., Sez. I, 22/05/2020, n. 9464, cit.), e tale principio è stato ritenuto applicabile, a fortiori, anche quando la cancellazione abbia avuto luogo d'ufficio, ai sensi dell'articolo 2490, ultimo comma, cod. civ., per il mancato deposito dei bilanci, osservandosi che in tal caso mancano già in astratto i presupposti della rinuncia (cfr. Cass., Sez. VI, 31/12/2020, n. 30075, cit.). La tesi dell'efficacia presuntiva della mancata inclusione nel bilancio di liquidazione, ai fini della prova dell'estinzione del credito, non risulta invece sorretta da un corredo argomentativo altrettanto diffuso, imperniandosi sostanzialmente sul richiamo alle considerazioni svolte dalle Sezioni Unite nelle sentenze nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013, accompagnato talvolta dalla precisazione che, ove la controversia pendente abbia ad oggetto mere pretese o diritti di credito ancora incerti o illiquidi, la cancellazione della società dal registro delle imprese fa presumere la rinuncia alla pretesa creditoria, impedendo quindi che si determini il fenomeno successorio (cfr. Cass., Sez. III, 29/07/2016, n. 15782), talaltra dalla constatazione della mancata allegazione da parte degli ex-soci della qualità di aventi causa della società, ritenuta dirimente ai fini dell'esclusione della loro legittimazione a proseguire il giudizio in luogo della stessa (cfr. Cass., Sez. III, 25/03/2021, n. 8521). Altre pronunce non appaiono infine direttamente pertinenti alla questione in esame, avendo ad oggetto fattispecie nelle quali si discuteva della legittimazione degli ex-soci non già ad azionare crediti della società cancellata o a proseguire giudizi da quest'ultima iniziati per far valere propri crediti, ma a resistere a pretese creditorie di terzi, quindi relative a debiti della società (cfr. Cass., Sez. II, 9/08/2023, n. 24246; Cass., Sez. III, 29/04/2024, n. 11411), in riferimento ai quali si esclude per lo più che la cancellazione possa determinare l'estinzione del diritto, poiché ciò consentirebbe alla società di disporre unilateralmente dei diritti altrui, imponendo un ingiustificato sacrificio ai creditori, ai quali l'articolo 2492 cod. civ. non attribuisce neppure la legittimazione a proporre reclamo avverso il bilancio di liquidazione. Come si evince dalla ricostruzione che precede, ciò che accomuna le due tesi affermatesi nella giurisprudenza di legittimità è il rifiuto dell'automatismo insito nel meccanismo teorizzato dalle Sezioni Unite, in virtù del quale, per le mere pretese e per i crediti incerti o illiquidi, il mancato inserimento nel bilancio di liquidazione risulterebbe di per sé sufficiente ad escluderne la trasmissione ai soci, implicando una rinuncia al diritto, che comporterebbe una presunzione juris et de jure di estinzione, anche nel caso in cui sia pendente un giudizio promosso dalla società per il suo accertamento. La differenza tra i due orientamenti consiste nel fatto che, mentre per il primo la regola è che il diritto si trasmette ai soci, nonostante la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione, mentre l'estinzione costituisce un'eccezione, che dev'essere rigorosamente allegata e provata da chi intenda farla valere, e quindi dalla controparte dell'ex-socio, per il secondo la mancata inclusione nel bilancio di liquidazione rende applicabile, almeno per le mere pretese ed i crediti incerti o illiquidi, una presunzione (semplice) di estinzione, che pone a carico dell'ex-socio che intenda azionare un diritto della società o proseguire un giudizio dalla stessa iniziato l'onere di allegare e provare di essere subentrato nella titolarità del diritto fatto valere. 6.3. Le obiezioni che si possono muovere a quest'ultimo orientamento sono in gran parte le stesse che sono state sollevate dalla dottrina avverso la tesi dell'automatica estinzione dei crediti non inclusi nel bilancio di liquidazione. Sono state evidenziate in primo luogo le incertezze applicative connesse all'individuazione dei diritti suscettibili di estinzione, in ragione dell'indeterminatezza della distinzione tra i diritti veri e propri e le varie categorie emergenti dalla terminologia di volta in volta adottata, quali le mere pretese, ancorché azionate ed azionabili in giudizio , i diritti litigiosi o illiquidi , i diritti ancora illiquidi ed incerti e le ragioni di credito . A ciò si aggiunge la difficoltà d'individuare le modalità d'iscrizione in bilancio delle mere pretese , al fine di evitarne l'estinzione e di garantirne la trasmissione ai soci: ove si ritenga che le stesse consistono in richieste economiche che non si concretizzano (o non si sono ancora concretizzate) in una attività giudiziale o stragiudiziale, l'iscrizione troverebbe infatti ostacolo nei principi contabili che richiedono, ai fini dell'inclusione dei crediti in bilancio, la rilevazione in corrispondenza dei correlativi ricavi, se derivano da operazioni di vendita di beni e prestazioni, o l'indicazione del relativo titolo (non necessariamente giudiziario), se derivano da ragioni diverse dallo scambio di beni e servizi (OIC n. 15), nonché una valutazione prudenziale (articolo 2423-bis, n. 1 cod. civ.), fondata sul criterio del costo ammortizzato, che tenga conto del fattore temporale e del valore di presumibile realizzo (articolo 2426, primo comma, n. 8 cod. civ.). Trattandosi di attività potenziali , cioè di attività connesse a situazioni già presenti alla data di bilancio, la cui esistenza è destinata ad essere confermata soltanto all'avverarsi o meno di uno o più eventi futuri incerti che non ricadono nell'ambito del controllo della società (OIC n. 31, par. 11), le stesse non possono essere rilevate in bilancio, in ossequio al principio della prudenza, in quanto, anche se probabili, possono comportare il riconoscimento di utili che non verranno mai realizzati (OIC n. 31, par. 48). Si è posta inoltre in risalto la difficoltà di ricondurre alla disciplina civilistica della rinuncia al credito o della remissione del debito, che richiede una manifestazione di volontà (o, a tutto voler concedere, un comportamento univocamente rivolto a tale effetto) specificamente portata a conoscenza del singolo creditore, un comportamento meramente omissivo quale la mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione, non rivolto ad un destinatario determinato. La remissione del debito, costituendo un atto abdicativo di natura negoziale, postula infatti che il diritto di credito si estingua conformemente alla volontà remissoria e nei limiti da questa fissati, ossia che l'estinzione si verifichi solo se ed in quanto voluta dal creditore, con la conseguenza che la volontà di rimettere il debito presuppone in primo luogo la consapevolezza della sua esistenza da parte del creditore (cfr. Cass., Sez. III, 14/07/ 2006, n. 16125): tale presupposto esclude che possano considerarsi oggetto di rinuncia diritti dei quali i liquidatori o i soci, al momento della formazione e dell'approvazione del bilancio di liquidazione, non conoscevano neppure l'esistenza, o che, pur essendo conosciuti, non presentavano i requisiti necessari per l'iscrizione in bilancio. Quanto alla forma, la remissione, non richiedendo una forma solenne, in difetto di un'espressa previsione normativa, può essere desunta anche da una manifestazione tacita di volontà o da un comportamento concludente, a condizione però che gli stessi siano tali da esprimere in modo univoco la volontà abdicativa del creditore, in quanto risultanti da circostanze logicamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito (cfr. Cass., Sez. I, 13/02/2020, n. 3657; 18/05/2006, n. 11749; Cass., Sez. II, 14/06/2019, n. 16061), con la conseguenza che non può considerarsi sufficiente il mero silenzio o l'inerzia del creditore. Trattandosi poi di un negozio unilaterale recettizio, la dichiarazione a parte creditoris si presume accettata dal debitore, e diviene pertanto produttiva dei suoi tipici effetti estintivi, dal momento in cui la comunicazione perviene a conoscenza della persona alla quale è destinata, a meno che la stessa, avuto conoscenza della manifestata volontà remissiva, non dichiari entro un congruo termine di ricusarla, e quindi di non volerne profittare (cfr. Cass., Sez. lav., 19/02/1995, n. 2021; Cass., Sez. I, 18/10/1976, n. 3559): tale conoscenza non può quindi essere desunta dal mero deposito del bilancio di liquidazione presso l'ufficio del registro delle imprese o dall'iscrizione nel medesimo registro della cancellazione della società, trattandosi di forme di pubblicità rivolte non già ad uno specifico creditore, ma ad una platea indeterminata di soggetti. Si è infine rimarcato che ricollegare più o meno automaticamente alla mancata iscrizione in bilancio l'estinzione del credito significa esporre a pregiudizio i creditori sociali, i quali, pur vedendo ridotto il valore patrimoniale complessivamente destinato alla soddisfazione dei loro crediti, in misura pari al valore della pretesa o del credito incerto o illiquido, non hanno alcun mezzo di tutela a fronte della cancellazione della società, non potendo proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione, né domanda di revoca dell'iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese, e non disponendo di strumenti di conoscenza in ordine all'esistenza ed all'incasso da parte degli ex-soci di crediti originariamente spettanti alla società, che consentano loro di coltivare le sopravvenienze attive nei confronti dei terzi ed ottenere da questi ultimi o dagli ex-soci i relativi pagamenti. Tali rilievi non appaiono agevolmente superabili neppure attraverso la distinzione tra le mere pretese , cioè le richieste economiche che non si concretizzano (o non si sono ancora concretizzate) in un'attività giudiziale o stragiudiziale idonea a condurre alla loro definizione, ed i diritti ancora incerti o illiquidi , cioè contestati nell'an o nel quantum, sul piano giudiziale o stragiudiziale, che però abbiano la loro fonte in un titolo ben individuato, tale da consentirne l'appostazione in bilancio e una valutazione prudenziale: se è vero, infatti, che solo per le prime può ritenersi giustificata la presunzione che, attraverso la mancata inclusione nel bilancio, i liquidatori e i soci abbiano inteso rinunciarvi, pur in assenza dei presupposti per la remissione del debito, in considerazione dell'evanescenza della pretesa e della conseguente impossibilità di contabilizzarla in conformità dei criteri vigenti, è anche vero, però, che, nonostante tale precisazione, restano valide tutte le altre critiche mosse alla tesi in esame. Preferibile risulta quindi l'orientamento contrario, che, escludendo l'operatività di una presunzione di estinzione in conseguenza della mancata inclusione del credito nel bilancio di liquidazione, pone a carico del soggetto convenuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e dimostrare la mancata successione della controparte nella titolarità del credito originariamente spettante alla società: poiché infatti, in tema di cancellazione della società, la regola è costituita dalla sopravvivenza dei crediti della stessa, nei quali sono destinati a succedere i soci, salvo la remissione del debito ai sensi dell'articolo 1236 cod. civ., è la parte che resiste alla pretesa a dover far valere l'avvenuta estinzione del credito azionato nei suoi confronti, allegando e provando la sussistenza di un'inequivoca manifestazione di volontà remissoria, avente lei stessa come specifica destinataria. 6.4. In conclusione, la questione sollevata dalla Prima Sezione civile con l'ordinanza interlocutoria dev'essere risolta mediante l'enunciazione del seguente principio di diritto: L'estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non comporta anche l'estinzione dei crediti della stessa, i quali costituiscono oggetto di trasferimento in favore dei soci, salvo che il creditore abbia inequivocamente manifestato, anche attraverso un comportamento concludente, la volontà di rimettere il debito, comunicandola al debitore, e sempre che quest'ultimo non abbia dichiarato, in un congruo termine, di non volerne profittare: a tal fine, non risulta tuttavia sufficiente la mancata iscrizione del credito nel bilancio di liquidazione, la quale non giustifica di per sé la presunzione dell'avvenuta rinunzia allo stesso, incombendo al debitore convenuto in giudizio dall'ex-socio, o nei confronti del quale quest'ultimo intenda proseguire un giudizio promosso dalla società, l'onere di allegare e provare la sussistenza dei presupposti necessari per l'estinzione del credito . 7. I primi due motivi del ricorso principale vanno pertanto rigettati, con il conseguente rinvio della causa alla Prima Sezione civile, ai fini dell'esame del terzo motivo e del ricorso incidentale. P.Q.M. rigetta i primi due motivi del ricorso principale, e rimette l'esame del terzo motivo e del ricorso incidentale alla Prima Sezione civile.