L' interruzione dell’attività lavorativa dovuta alla rotazione interna nelle carceri costituisce una normale sospensione e non una cessazione del rapporto di lavoro, che resta equiparato a quello ordinario anche sotto il profilo dei diritti previdenziali. Solo una definitiva e non volontaria interruzione del rapporto, fondata su elementi concreti, può giustificare l’accesso all’indennità di disoccupazione.
Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di diritto all'indennità NASpI per i lavoratori detenuti, affrontando nello specifico la questione dell'accesso al trattamento in caso di interruzione dell'attività lavorativa dovuta ai meccanismi di rotazione interna negli istituti penitenziari. La controversia trae origine dal ricorso proposto dall'INPS, secondo cui la normale alternanza programmata tra i detenuti, nell'ambito dell'organizzazione lavorativa carceraria, non sarebbe idonea a integrare la perdita involontaria dell'occupazione richiesta dall'articolo 3 d.lgs. 22/2015 quale presupposto per il riconoscimento della prestazione NASpI. Secondo l'Istituto, infatti, i periodi di inattività conseguenti alla turnazione rappresenterebbero una mera sospensione del rapporto, e non una sua cessazione. La Cassazione, dopo un ampio excursus sulla natura giuridica del lavoro penitenziario e sull'evoluzione normativa e giurisprudenziale intervenuta dagli anni Settanta ad oggi, ribadisce l'ormai consolidato principio di equiparazione del rapporto di lavoro carcerario a quello ordinario, nonostante le peculiari modalità organizzative imposte dal contesto detentivo. Il lavoro intramurario, afferma la Suprema Corte, costituisce un rapporto di lavoro subordinato, connotato da una struttura sinallagmatica e dalla titolarità dei diritti previdenziali tipici del lavoratore libero. La “disoccupazione involontaria” nel contesto della rotazione lavorativa penitenziaria I Giudici, accogliendo il ricorso, precisano che l'avvicendamento tra i detenuti, in attuazione di criteri oggettivi e secondo programmazione delle commissioni interne, non determina la cessazione del rapporto di lavoro, bensì ne rappresenta una fisiologica sospensione, funzionale alla ripartizione equa delle risorse lavorative limitate. «Per contro» - continua la Suprema Corte - «la conclusione del rapporto di lavoro potrebbe discendere da altre cause, fra le quali, oltre alla cessazione della detenzione, potrebbero rilevare circostanza di carattere soggettivo (età, stato di salute, idoneità al lavoro), ma anche di carattere oggettivo (trasferimento della sede di detenzione, mutamento delle lavorazioni richieste dall'Amministrazione, termine finale delle rotazioni).» Infine, la Cassazione chiarisce che l'effettiva conclusione del rapporto – non riducibile alla mera attesa di una nuova chiamata – deve emergere da un accertamento puntuale delle circostanze concrete e non può essere presunta in assenza di elementi fattuali che attestino la volontarietà o la definitività dell'interruzione.
Presidente Esposito - Relatore Mancino Fatti di causa 1. Si controverte del diritto all'indennità NASpI in relazione al lavoro carcerario a rotazione nell'ambito del rapporto di lavoro tra il detenuto ricorrente e l'Amministrazione penitenziaria e alla conclusione del rapporto per intervenuta turnazione fra i detenuti. 2. La Corte di merito ha confermato la decisione di prime cure che, in accoglimento della domanda, aveva ritenuto l'attività lavorativa prestata all'interno del carcere equiparabile alle prestazioni lavorative svolte all'esterno dell'ambito carcerario. 3. Ha proposto ricorso l'INPS, affidato a un motivo, ulteriormente illustrato con memoria, sul presupposto che l'ordinario avvicendamento, ovvero l'alternanza ad intervalli prestabiliti, dei lavoratori detenuti nelle medesime mansioni lavorative comporterebbe necessariamente la sussistenza di periodi di inattività tra un turno di lavoro e l'altro nell'ambito di un unico rapporto di lavoro a favore dell'amministrazione penitenziaria. I periodi di non lavoro , sarebbero connaturali all'avvicendamento dei lavoratori detenuti con turni prestabiliti, non determinando, per definizione, la perdita o cessazione del rapporto di lavoro. Non ha resistito Lo.Ed. Ragioni della decisione 4. Il ricorso è fondato nei termini che si vanno ad enunciare. 5. La tematica dell'applicabilità della disciplina del trattamento indennitario NASpI al lavoratore in stato di detenzione carceraria è stata più volte affrontata dalla Corte di cassazione, e merita un ulteriore approfondimento. 6. L'evoluzione dei diritti del lavoratore e l'attuazione del principio costituzionale della finalità rieducativa delle pene detentive costituiscono una prima chiave di lettura delle questioni in questa sede dibattute. 7. Il lavoro svolto all'interno degli istituti carcerari ed alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria era inizialmente configurato come parte integrante della pena (all'articolo 1 del R.D. n.787/1931 si affermava che in ogni stabilimento carcerario le pene si scontassero con l'obbligo del lavoro, ed agli articolo 114 e ss. ne veniva disciplinata l'organizzazione) e come strumento di ordine e disciplina del detenuto; peraltro, trattandosi di un obbligo legale non si configurava come lavoro subordinato di natura contrattuale. 8. La Legge n.354 del 1975 di riforma dell'ordinamento penitenziario ha superato tale impostazione e, nell'ottica della finalità rieducativa della pena ex articolo 27, terzo co., Cost., il lavoro ha perso il carattere di afflittività (lo esclude espressamente il secondo comma dell'articolo 20) per divenire uno strumento centrale del trattamento del detenuto, nell'ottica di una globale finalità rieducativa e di reinserimento nella collettività, per arginarne la desocializzazione conseguente allo stato di reclusione. 9. Sono stati, quindi, riconosciuti al lavoratore detenuto vari diritti soggettivi, intimamente connessi alla posizione del lavoratore nel testo originario dell'articolo 20 L. n.354/75, affidato agli istituti penitenziari il compito di favorire in ogni modo la destinazione al lavoro dei detenuti e degli internati ed esplicitamente affermato che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato , si prescriveva, al terzo comma, l'obbligatorietà del lavoro per i condannati dicitura non più riprodotta nel testo del novellato dall'articolo 2 del D.Lgs. n.124/2018, in cui è invece affermato che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera, al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale. 10. All'obbligo del lavoro, su cui si modulava l'oggettiva determinazione di criteri di assegnazione come introdotti dalla L. n.296/1993 di modifica del sesto comma dell'articolo 20 (fra i quali compare l'anzianità di disoccupazione durante lo stato di detenzione, oltre ai carichi familiari, la professionalità, e le precedenti e future attività con formazione di graduatorie) si è affiancato il riconoscimento di vari diritti soggettivi, fra i quali la durata delle prestazioni lavorative non superiore ai limiti stabiliti dalle leggi vigenti, il riposo festivo, a cui è stato aggiunto il diritto al riposo annuale retribuito, e al comma 13 la tutela assicurativa e previdenziale integrata dalla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali, garantita dall'articolo4 n.9 L. n.1124/65. 11. Gli interventi della Corte costituzionale (sent. n.1087/1988 e n.158/2001) hanno inoltre confermato il diritto alle ferie e la compatibilità della entità ridotta della mercede (trattamento minimo non inferiore ai due terzi del salario minimo previsto dai contratti collettivi) nel rispetto dei criteri di sufficienza ed adeguatezza della retribuzione ex articolo 36 Cost., per cui, stante la peculiarità del rapporto di lavoro intramurario, è ben possibile che la regolamentazione di tale rapporto conosca delle varianti o delle deroghe rispetto a quella del rapporto di lavoro in generale. Tuttavia, né tale specificità, né la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena, valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato ; d'altronde la Costituzione sancisce chiaramente (articolo 35) che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni '. 12. Quanto precede consente di superare agevolmente la prima questione circa la discussa equiparazione del lavoro in carcere con il lavoro del libero mercato; le peculiarità derivanti dalla connessione tra profili del rapporto di lavoro ed organizzativi, disciplinari e di sicurezza, propri dell'ambiente carcerario, non elidono la configurazione tipologica e strutturale del rapporto subordinato intramurario né scalfiscono il nucleo essenziale dei diritti del lavoratore nell'ambito delle tutele costituzionalmente garantite e disciplinate dall'ordinamento. 13. La previsione dell'articolo 20, co.3, inerente alla circostanza che l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera sottende ad una immagine replicata dell'organizzazione del lavoro e dei suoi metodi di svolgimento nella relazione fra soggetti liberi, ed il fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale non costituisce lo scopo ex se dell'enunciato riflesso organizzativo ma l'obiettivo a cui tale speculare organizzazione deve tendere, ossia preparare il detenuto alla sua introduzione negli ambiti lavorativi esterni, di cui abbia già avuto esperienza nella (riflessa) organizzazione carceraria. 14. È evidente che l'evoluzione normativa e giurisprudenziale abbia eroso nel tempo il carattere di specialità del lavoro carcerario riconoscendo in favore del lavoratore detenuto i diritti spettanti a tutti i lavoratori in genere e le azioni esperibili innanzi al giudice del lavoro, conservando il rapporto la sua causa tipica, la sua funzione economico sociale inerente allo scambio sinallagmatico tra prestazione lavorativa e compenso remunerativo. 15. Il fine di rieducazione e reinserimento sociale non influisce, dunque, sui contenuti della prestazione e sulla modalità di svolgimento del rapporto, ed anzi, l'obiettivo di eguaglianza del rapporto di lavoro carcerario a quello svolto in regime di libertà rientra nella predetta finalità rieducativa. 16. Il rapporto di lavoro del detenuto alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria va dunque considerato come un ordinario rapporto di lavoro, nonostante la sua particolare regolamentazione normativa, assimilazione già affermata in altre pronunce di legittimità (cfr. Cass. sent. n. 5605/1999 in tema di giurisdizione sulle controversie per differenze retributive, sent. n.9969/2007 in tema di decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore, ed anche ord. n.21573/07 e n.3062/15 su voci retributive e trattenute datoriali, ord. 27340/19 e 8055/1991 in tema di responsabilità datoriale ed obblighi di sicurezza articolo 2087 c.c., ord. n.12205/19 e 20055/09 in tema di competenza territoriale). 17. Non si sottrae all'evidenziata equiparazione la tutela previdenziale spettante ai lavoratori detenuti, esplicitamente affermata dall'articolo 20 comma 13 (già ultimo comma del testo originario) della L. n.354 del 1975. 18. Si noti che alcune specifiche prestazioni sono riconosciute espressamente dalle disposizioni normative (articolo 23 in tema di assegni familiari, articolo 19 L.n.56/87 su indennità di disoccupazione, articolo 17 D.P.R. n.230/2000 in tema di assistenza sanitaria); e lo stesso articolo 20, co.5, lett. a) della L.n.354/75 prevede che nella formazione degli elenchi per l'assegnazione dei detenuti al lavoro carcerario la Commissione istituita ai sensi del comma 4 debba tener conto, oltre ai carichi familiari ed alle abilità lavorative possedute, dell'anzianità di disoccupazione maturata durante lo stato di detenzione , a dimostrazione della compatibilità di tale status con il regime privativo della libertà personale, ed a sostegno, dunque, del favor occupazionale del detenuto. 19. Può quindi rilevarsi che il lavoro intramurario sia del tutto equiparabile al lavoro ordinario anche per quanto concerne gli aspetti applicativi del regime previdenziale stante la finalità ineludibile dell'articolo 38, comma 2, Cost. 20. Le peculiarità del rapporto di lavoro, dunque, non rilevano ai fini della questione sulla spettanza o meno della tutela previdenziale, ferme restando natura e funzione della tutela medesima; ciò vale anche per la prestazione in oggetto. 21. Recentemente questa Corte (sent. n.396/2024) ha già avuto modo di affrontare tutte le medesime questioni sostenendo la compatibilità della prestazione NASpI al detenuto che versi in stato di disoccupazione involontaria. 22. La funzione del trattamento è quella di fornire una tutela di sostegno al reddito di lavoratori con rapporto di lavoro subordinato che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione, tale intendendosi la condizione in cui la perdita del lavoro si colleghi alla sfera di iniziativa o di influenza del datore, o alle sue prerogative imprenditoriali; tanto si ravvisa anche nel caso in cui il lavoratore si sia dimesso per giusta causa (insita in un difetto del rapporto di lavoro subordinato così grave da impedirne perfino la provvisoria prosecuzione) o abbia risolto consensualmente il proprio rapporto di lavoro (laddove, pur in presenza di una manifestazione di volontà del lavoratore, la risoluzione sia in concreto ascrivibile ad un comportamento del datore e non vada ricondotta ad una libera scelta del lavoratore). 23. L'involontarietà ricorre anche nel caso di scadenza della pena e conseguente liberazione del condannato con estinzione del rapporto intramurario, trattandosi di evento non determinato dalla volontà del lavoratore né da questi prevedibile a seguito di provvedimenti di modifica/revoca cautelare o di espiazione anticipata in sede esecutiva che, ancorché adottati su istanza di parte, salvo i casi di estinzione ex lege, sono concessi previa valutazione giudiziale dei presupposti di legge. 24. Di recente (ord. 4741/2025) è stato affrontato anche il caso di assegnazione del detenuto ad uno specifico progetto di assunzione a tempo determinato, per il quale, al di là della condizione di obbligatorietà del rapporto previgente alla modifica normativa del 2018, non assume rilievo la scelta deterministica del detenuto né in fase genetica del rapporto (su tipologia e condizioni contrattuali, su modalità e durata delle prestazioni) né in fase conclusiva (si tratta di una scadenza già prevista in contratto); l'involontarietà della perdita di occupazione, dipesa dalla prerogativa datoriale, ha in tal caso integrato il presupposto giustificativo del trattamento NASpI ricorrendo il requisito dell'articolo 3 co.1 lett. a) L. n.22/2015. 25. Le due vicende innanzi esaminate riguardano ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro estranea alla sfera di disponibilità del lavoratore, sì da averne involontariamente cagionato la perdita, per estinzione dello status detentivo o per scadenza del progetto a termine; nel primo il lavoratore, transitando nel regime di libertà, e non potendosene opporre, perde la relazione lavorativa con l'ente penitenziario che ne aveva gestito il rapporto inframurario, nel secondo il detenuto non è più lavoratore essendo cessate le esigenze insite nel progetto datoriale ma non può aderire a proposte lavorative dall'esterno. 26. L'involontarietà della disoccupazione ex articolo 1 D.Lgs. 22/2015 è dunque compatibile con lo stato di detenzione se la causa di cessazione del rapporto di lavoro intramurario sia estranea alla sfera di disponibilità del lavoratore. 27. Occorre ora verificare se la temporanea inattività lavorativa susseguente al meccanismo di rotazione avviato fra i detenuti all'interno del sistema carcerario costituisca un'ipotesi di cessazione ed integri uno stato di disoccupazione involontaria. 28. L'articolo 20 L. n. 354/75, al comma 4 prevede l'istituzione, presso ogni istituto penitenziario, di una commissione che provvede a formare due elenchi, uno generico e l'altro per qualifica, per l'assegnazione al lavoro dei detenuti e degli internati, ad individuare le attività lavorative o i posti di lavoro, a stabilire i criteri per l'avvicendamento nei posti di lavoro alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria nel rispetto delle direttive emanate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria; e, nella formazione degli elenchi, come innanzi appena rammentato, la commissione tiene conto esclusivamente della anzianità di disoccupazione maturata durante lo stato di detenzione e di internamento, dei carichi familiari e delle abilità lavorative possedute, e privilegiando, a parità di condizioni, i condannati . 29. Se da un lato viene meno l'obbligatorietà, nel senso di afflittività, della prestazione lavorativa all'interno dell'istituto carcerario, dall'altro si valorizzano condizioni personali, familiari e capacità dei detenuti inseriti in elenco, individuando posti di lavoro e criteri di avvicendamento, sì da combinare interessi e abilità specifiche dei detenuti con esigenze e risorse disponibili dell'istituto, mantenendo fermo l'obiettivo di valorizzare un percorso di rieducazione. 30. L'articolo 25-bis, poi, prevede che i posti di lavoro a disposizione della popolazione penitenziaria sono quantitativamente e qualitativamente dimensionati alle effettive esigenze di ogni singolo istituto, e sono fissati in una tabella predisposta dalla direzione dell'istituto distinguendo i posti relativi a lavorazioni interne industriali, agricole e di servizio; annualmente la direzione dell'istituto elabora ed indica il piano di lavoro in relazione al numero dei detenuti, all'organico del personale civile e di polizia penitenziaria disponibile e alle strutture produttive; la tabelle ed il piano di lavoro sono infine approvati dal provveditore regionale dell'amministrazione penitenziaria, sentita la commissione regionale per il lavoro penitenziario. 31. Il lavoro carcerario è dunque programmato, pianificato, ponderato, ed il punto di incontro dell'interesse di entrambe le parti del rapporto di lavoro (amministrazione penitenziaria e popolazione carceraria) è la finalità rieducativa del detenuto, in vista del suo reinserimento sociale. 32. L'avvicendamento, quale modalità organizzativa del lavoro dei detenuti, mira non solo ad un'equiparazione di opportunità nel pur limitato ambito di risorse disponibili offerte dall'amministrazione penitenziaria, ma anche ad un soddisfacimento di bisogni rieducativi, economici, e di sviluppo della personalità del detenuto a cui ognuno è interessato, in vista del dignitoso recupero rieducativo e di agevolazione al proprio reinserimento sociale. 33. La rotazione, in tal modo, favorisce un equilibrato coinvolgimento dei detenuti, a parità di condizioni, come è previsto nella adozione dei criteri formativi degli elenchi di coloro che sono assegnati al lavoro; la rotazione, allora, non va guardata nell'ottica di una limitata opportunità lavorativa del singolo, ma come metodo di equa ripartizione dell'offerta lavorativa in unico contesto, organizzato nel peculiare ambito restrittivo della libertà personale. 34. In tal senso, l'avvicendamento con rotazione dei lavoratori detenuti sottende ad un necessario coinvolgimento di risorse disponibili -umane, strutturali, produttive-, che, con le limitazioni proprie degli istituti carcerari, non può essere esaminato nella vicenda singola del lavoratore ma trova la sua causale giustificativa, sotto il profilo oggettivo e temporale, nel complesso rapporto tra amministrazione datrice e platea di fruitori (ai quali per legge è assicurato il lavoro , ex articolo 15, co.2, L.354/75). 35. Altro aspetto rilevante è l'obbligatorietà del lavoro perduta ogni connotazione di afflittività e di componente della sanzione penale, l'espletamento di un'attività lavorativa inframuraria è dunque il mezzo per raggiungere il fine rieducativo; come evidenziato da Corte cost. n. 158/2001, il lavoro dei detenuti, che nella concezione giuridica posta alla base del regolamento carcerario del 1931 si poneva come un fattore di aggravata afflizione, cui dovevano sottostare quanti erano stati privati della libertà, è oggi divenuto, a séguito delle innovazioni dell'ordinamento penitenziario ispirate all'evoluzione della sensibilità politico-sociale, un elemento del trattamento rieducativo . 36. Anche l'obbligatorietà, secondo il Giudice delle leggi, si pone come uno dei mezzi al fine del recupero della persona, valore centrale per il nostro sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo. 37. La legge prevede, perciò, che al condannato sia assicurato un lavoro, nella forma consentita più idonea, ivi comprese quella dell'esercizio in proprio di attività intellettuali, artigianali ed artistiche (articolo 49 del D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431) o quella del tirocinio retribuito (quattordicesimo e quindicesimo comma dell'articolo 20 in esame) (...). Ove ne sussistano le caratteristiche, alla soggezione derivante dallo stato di detenzione si affianca, distinguendosene, uno specifico rapporto di lavoro subordinato, con il suo contenuto di diritti (tra cui quelli previsti dall'articolo 2109 del codice civile) e di obblighi . 38. Questa Corte, con sentenza n.17484/24, ha evidenziato che in tale contesto lavorativo permane una duplice componente di doverosità del lavoro carcerario, per la struttura penitenziaria che deve assicurare il lavoro compatibilmente con le condizioni dell'istituto e del rapporto numero/lavoro dei detenuti, configurando in capo a ciascuno di essi un'aspettativa ad un lavoro adeguato alle proprie attitudini, e per il singolo detenuto un dovere di dimostrare, anche attraverso un costante impegno nel lavoro, una regolare condotta di partecipazione al programma trattamentale e l'adeguamento all'organizzazione istituzionale; l'obbligatorietà resta nel sistema , considerato che all'articolo 15 il lavoro è assicurato al detenuto salvo casi di impossibilità, e tenuto conto che il volontario inadempimento di obblighi lavorativi continua a costituire infrazione disciplinare . 39. In tale contesto di privazione della libertà personale, prosegue la citata pronuncia, rileva il 'metus' datoriale al quale è soggetto il detenuto nei periodi in cui non risulta svolta attività lavorativa, in ragione dei posti di lavoro messi a disposizione, dell'organizzazione delle lavorazioni in base a provvedimenti regionali, della impossibilità di prevedere se sia possibile, in concreto, svolgere attività lavorativa e se sia ipotizzabile l'assegnazione a mansioni diverse. 40. Ed è stato ritenuto, quindi, in una controversia relativa alla pretesa di adeguamento retributivo corrisposto al detenuto per l'attività lavorativa svolta, che il termine di prescrizione del credito retributivo non decorra in costanza di rapporto di lavoro tra il detenuto lavoratore e l'amministrazione carceraria, ma soltanto dalla cessazione del rapporto di lavoro stesso; e poiché i lavoratori carcerari si trovano in una situazione di attesa della chiamata al lavoro, rispetto alla quale non hanno alcun potere di controllo o di scelta, lo stato di soggezione in cui versano riverbera i suoi effetti sul percorso di rieducazione sul quale il proficuo svolgimento di attività lavorativa ha certamente una significativa valenza. 41. In questo quadro, non rilevano, ai fini della prescrizione le cessazioni intermedie che, a ben guardare, neppure sono realmente tali configurandosi piuttosto come sospensioni del rapporto di lavoro, se si considera che vi sono una chiamata ed un prefissato periodo di lavoro secondo turni e per un tempo limitato, cui conseguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione . 42. Orbene, mentre con la fine dello stato di detenzione v'è cessazione del rapporto di lavoro che non dipende dalla volontà del recluso, nel caso di rapporto di lavoro concluso prima della fine dello stato di detenzione, la decorrenza della prescrizione va collegata al momento del venir meno del rapporto di lavoro (da ritenersi unico, non essendo configurabili cessazioni intermedie) . 43. Sul tema della prescrizione, non decorrente in costanza di rapporto di lavoro tra il detenuto e l'amministrazione carceraria ma soltanto dalla cessazione del rapporto, si è pronunciata la Corte (cfr. Cass. 9/4/2015, n.7147; Cass. 26/2/2015, n.3925; Cass. 11/2/2015, n.2696; Cass. 16/2/2015, n. 3062; si veda anche Cass. 15/10/2007, n. 21573 e Cass. 24/10/2019, n. 27340 che tali precedenti richiama) ritenendo non condivisibile la tesi di un'ipotizzata estensione della sospensione del termine prescrizionale all'intero periodo di detenzione e dunque della permanenza una volta che si protragga invece il rapporto detentivo, ancorché il rapporto di lavoro sia cessato. 44. Si è detto che tale tesi non trova fondamento in disposizioni normative mentre il principio affermato nelle citate pronunce di questa Corte è chiaramente da intendersi nel limitato senso della sospensione con riferimento al rapporto di lavoro a nulla rilevando la condizione di detenuto, restando quest'ultimo gravato degli oneri probatori afferenti qualsivoglia credito e pretesa. 45. Nella sentenza n. 19007/24 questa Corte ha osservato che il lavoro svolto dalle persone detenute è sostanzialmente allineato a quello svolto dai cittadini liberi, non è formalmente obbligatorio (ancorché con le precisazioni di cui sopra), in ragione del principio di libera adesione al trattamento, non è afflittivo, ha una funzione risocializzante coerente con il dettato degli articolo 1, primo comma e 27, terzo comma della Costituzione e deve favorire l'acquisizione di una formazione professionale adeguata al mercato e tuttavia, per quanto sopra evidenziato, vi è una condizione del detenuto lavoratore di soggezione alle determinazioni dell'istituto penitenziario ed ai disposti avvicendamenti per periodi limitati sul medesimo posto di lavoro con modalità necessarie a conciliare l'impegno sancito a carico dell'Amministrazione di assicurare ai detenuti il lavoro (articolo 15, comma 2, ord. pen. cit.) con la richiamata scarsità quantitativa dell'offerta di lavoro in carcere . 46. Anche in questa pronuncia viene in rilievo la speciale situazione dei lavoratori carcerari che si trovano in una situazione di attesa della chiamata al lavoro rispetto alla quale non hanno alcun potere di controllo o di scelta. Lo stato di soggezione quanto a tale chiamata al lavoro ed il connesso metus riverbera, poi, i suoi effetti sul percorso di rieducazione sul quale il proficuo svolgimento di attività lavorativa ha certamente una significativa valenza . 47. In questo quadro, come ribadito in ord. n.5510 del 2025, non rilevano le cessazioni intermedie, configurabili piuttosto come sospensioni del rapporto di lavoro, considerato che ad una chiamata ed un prefissato periodo di lavoro secondo turni e per un tempo limitato, seguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione. Certamente, una cessazione del rapporto di lavoro vi è con la fine dello stato di detenzione che non dipende dalla volontà del recluso o internato il quale non può rifiutarla, al fine di mantenere il rapporto di lavoro . 48. Peraltro, prima di questo momento, le peculiari caratteristiche dell'attività lavorativa e la sua funzione rieducativa e di reinserimento sociale che, per tali motivi, prevede la predisposizione di meri elenchi per l'ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione ed avvicendamento, escludono la configurabilità di periodi di lavoro, come quelli dei contratti a termine, volontariamente concordati in un sistema legislativamente disciplinato quanto a causali, oggetto e durata. 49. Orbene, la natura e le caratteristiche di tale rapporto di lavoro, segnato da modalità legislativamente regolamentate sulla predisposizione di forme organizzative compositive dei diversificati interessi ed esigenze e sulla limitata partecipazione della componente rappresentativa della forza lavoro (oltre al direttore penitenziario, ai responsabili dell'area sicurezza e giuridico-pedagogica, al dirigente sanitario della struttura penitenziaria, al funzionario dell'ufficio per l'esecuzione penale sterna, al direttore del centro per l'impiego, partecipano alla commissione di cui all'articolo 20 co.4 anche un rappresentante sindacale e, senza potere deliberativo, un rappresentante dei detenuti, come previsto dal successivo co.6), consentono di affermare sia l'unitarietà del rapporto il cui principale connotato oggettivo e temporale è l'avvicendamento nelle lavorazioni programmate, sia l'aspettativa del detenuto ad essere chiamato al lavoro. 50. Va quindi condiviso l'argomento svolto nelle citate pronunce di questa sezione rese in tema di decorrenza del termine di prescrizione del credito retributivo, circa l'affermata unitarietà del rapporto di lavoro inframurario connotato da tali modalità di avvicendamento dei detenuti, in rotazione ed in attesa di chiamata secondo il programma dell'istituto penitenziario; il termine inizia a decorrere non già dalla cessazione dello stato detentivo, bensì dalla fine del rapporto di lavoro, il quale va considerato un unico rapporto, non essendo configurabili interruzioni intermedie, volontariamente concordate, nei periodi in cui la persona privata della libertà è in attesa della chiamata al lavoro, rispetto alla quale il detenuto non ha alcun potere di controllo o di scelta e versa in una condizione di soggezione e di metus . 51. Un ultimo argomento, evidenziato nelle memorie illustrative di INPS, merita d'essere esaminato, e riguarda l'eccepita incompatibilità dello stato detentivo con l'offerta di immediata disponibilità all'impiego ed alle iniziative di politica attiva del lavoro. 52. Per contro, sulla indisponibile dichiarazione di incollocabilità al lavoro è stato già osservato da questa Corte (sent. 22993/24) che l'articolo 19 co.2 L.56/87 prevede la facoltà delle persone detenute di iscriversi alle liste di collocamento e la dispensa, finché dura lo stato di detenzione, dalla conferma dello stato di disoccupazione, con previsione di segnalazione periodica a cura della direzione dell'istituto penitenziario, su richiesta del detenuto, dello stato di detenzione (in tal senso, anche ord. 4741/25); ed ancora, l'adempimento dichiarativo di immediata disponibilità non si rivela irragionevolmente gravoso o impraticabile nel regime di detenzione e di internamento , tenuto conto che all'effettività dello stato di disoccupazione si deve affiancare la disponibilità a svolgere un'attività lavorativa, a prescindere dalla praticabilità delle offerte proposte, nel frattempo, dai centri per l'impiego . 53. Non può escludersi, infatti, che il lavoratore riacquisti la libertà prima della proposta di un'attività lavorativa o che gli organi competenti autorizzino offerte di lavoro compatibili con lo stato detentivo. 54. All'esito della compiuta disamina delle questioni sollevate dalle parti, consegue, traendo spunto dalle argomentazioni fin qui espresse, che l'unicità del rapporto di lavoro perdura anche durante le fasi di sospensione nelle quali l'Amministrazione garantisce la rotazione fra detenuti, non qualificabili come cessazione del rapporto, il cui frazionamento, invece, richiederebbe una rinnovata programmazione di esigenze lavorative, di riformulazione di elenchi, di rivalutazione degli aspetti logistici, di sicurezza, di comparazione fra numero di lavoratori e prestazioni richieste. 55. Si può allora affermare che, finché permane la struttura organizzata del lavoro sotto forma di rotazione, il rapporto di lavoro continua, non v'è cessazione tra una chiamata e l'altra nell'ambito di un unico programma. 56. Per contro, la conclusione del rapporto di lavoro potrebbe discendere da altre cause, fra le quali, oltre alla cessazione della detenzione, potrebbero rilevare circostanze di carattere soggettivo (età, stato di salute, idoneità al lavoro), ma anche di carattere oggettivo (trasferimento della sede di detenzione, mutamento delle lavorazioni richieste dall'Amministrazione, termine finale delle rotazioni). 57. Trattasi di circostanze che involgono un accertamento di merito, che non risultano essere state esaminate e di cui l'impugnata sentenza non dà atto. 58. E pertanto, resta da chiarire, in punto di fatto, se le prestazioni svolte dal detenuto nel periodo indicato nella sentenza impugnata rientrino in una programmazione approvata dalla Commissione tecnico-amministrativa-sindacale, e se sia stata predisposta, dopo tale periodo, una turnazione che nuovamente abbia visto coinvolto il medesimo detenuto, il quale, anche nella pausa di rotazione, era in attesa d'essere chiamato al lavoro; e d'altro canto, manca la verifica della ricorrenza di circostanze illustrative della cessazione effettiva del rapporto di lavoro, non riducibili alla mera sospensione di un programmato avvicendamento, circostanze che non possono essere esaminate in questa sede in dettaglio, non venendo in evidenza nel caso di specie. 59. Pertanto, ai limitati fini della presente controversia, reputa il Collegio sufficiente osservare come l'indagine imposta dalla fattispecie giuridica non sia stata adeguatamente condotta dalla Corte del merito e, in questi termini, deve ritenersi integrato il denunciato vizio di sussunzione. 60. In altre parole, difetta, nella sentenza impugnata, qualsivoglia accertamento in ordine alle concrete modalità di svolgimento della turnazione, se si versasse in ipotesi di pausa dalla turnazione ovvero di cessazione del rapporto lavorativo non riconducibile a mera sospensione per programmato avvicendamento. 61. Per essere necessario ulteriore accertamento in fatto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, che procederà a nuovo esame della fondatezza dell'invocato trattamento indennitario sussistendo le condizioni di disoccupazione involontaria in costanza di regime carcerario. 62. Alla Corte del rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità. 63. Ai sensi dell'articolo 52, co.2, del D.Lgs. n. 196/2003, in presenza di dati sensibili a tutela della dignità dell'interessato, si dispone, in caso di riproduzione in qualsiasi forma della presente sentenza, l'omissione delle generalità e di ogni altro dato identificativo della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione.