Ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una volumetria e/o dell’utilizzabilità della stessa a i fini abitativi [...].
[...] In particolare, la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali delle costruzioni esistenti sul fondo confinante. Gli attori adivano il Tribunale territorialmente competente al fine di contestare la realizzazione da parte dei convenuti, loro vicini di casa, di alcuni manufatti asseritamente non regolari dal punto di vista urbanistico-edilizio e posti a distanza inferiore a quella minima prevista dalla legge dal confine di proprietà e, segnatamente, tra le altre cose, la regolarità di un porticato, realizzato insieme al fabbricato al ridosso del muro divisorio tra le due proprietà e successivamente tamponato con porta a vetri e creazione di volumetria e la regolarità di una veranda-giardino d'inverno, realizzata nel 2009 a chiusura di un terrazzo preesistente, asseritamente in violazione delle distanze. I predetti attori chiedevano, dunque, che il tribunale adito ordinasse l'eliminazione delle opere abusive e disponesse il risarcimento dei danni. Costituitisi in giudizio i due convenuti chiesero a loro volta il rigetto delle domande attoree, richiesta che trovò accoglimento da parte dell'adito Tribunale. Il giudizio di gravame instaurato dagli attori si concludeva nella resistenza degli appellati - i quali avevano proposto appello incidentale in ordine alle spese di lite - con una pronuncia di rigetto del ricorso proposto e di accoglimento di quello incidentale con condanna degli appellanti in solido tra loro alla refusione delle spese dei due gradi di giudizio. Nello specifico, il Collegio - nell'analizzare la dedotta violazione delle distanze con riguardo alla terrazza rialzata di oltre cm 120 rispetto al cortile attoreo, dotata di parapetti su due lati verso l'esterno e avente funzione anche di copertura del piano seminterrato - aveva ritenuto che la stessa porzione potesse considerarsi, per le sue caratteristiche, come struttura portante dell'edificio, siccome edificata come parte dello zoccolo sviluppantesi verticalmente da terra integrandosi la soletta su cui insisteva il terrazzo che fungeva da solaio al seminterrato, e rientrasse, dunque, nella definizione di sagoma dell'edificio, rimasta invariata, in conformità dell'articolo 8, punto 7F) delle N.T.A., con la conseguenza che la sua chiusura non potesse considerarsi ai fini delle distanze secondo il criterio del vuoto per pieno di cui al precedente arresto della Corte di legittimità. Quanto alla seconda irregolarità costituita dalla chiusura di un portico annesso alla cucina individuato da una superficie rettangolare chiusa su due lati contigui alla muratura perimetrale dell'edificio delimitato sull'angolo opposto da un pilastro che rendeva aperti i due lati restanti e definito in altezza dalla superficie piana del solaio del sottotetto, i giudici osservavano che questa struttura era conforme alle N.T.A. e alle leggi in materia, e una volta chiusi i due lati, era inserita all'interno della sagoma del preesistente porticato, ancorché costituente volume, con conseguente sua sottrazione alla disciplina delle distanze. Avverso la predetta decisione resa in grado di Appello i ricorrenti proponevano ricorso per cassazione affidato a cinque motivi mentre i convenuti resistevano con controricorso. I Giudici hanno ritenuto fondato il primo motivo di ricorso proposto dai ricorrenti con il quale, questi ultimi lamentavano la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 872, secondo comma, e 873 c.c., così come integrati dall'articolo 8, comma 8, lett. G, delle N.T.A. del Comune su cui insistevano le abitazioni, approvate con D.C. nn. 31 del 20 luglio 2009 e 27 del 4 luglio 2011 per avere i giudici di merito ritenuto che la chiusura della terrazza (veranda giardino d'inverno) non violasse la distanza di mt. 5 dal confine, in quanto frutto della chiusura di una sagoma preesistente ai sensi dell'articolo 7 delle stesse N.T.A. del competente Ente comunale che consentiva ampliamenti e sopraelevazioni in deroga alle distanze previste per le nuove costruzioni quando l'ampiamento si configurava come chiusura di spazi aperti esistenti all'interno della sagoma esistente. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte distrettuale aveva erroneamente applicato l'elaborazione giurisprudenziale del c.d. “vuoto per pieno” sussumendo il caso concreto nel concetto di sagoma preesistente, in quanto partendo dall'analisi della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 9679/2014), aveva ritenuto che il terrazzo costituisse struttura portante, ai sensi della citata pronuncia, in ragione della misura dello zoccolo del terrazzo innalzato rispetto al piano di campagna. Ad avviso sempre dei ricorrenti, i Giudici di merito non avevano considerato che potevano dirsi “strutture portanti”, ai fini voluti, soltanto quelle verticali e che lo zoccolo non era idoneo a esprimere una proiezione della sagoma e a delineare un solido verticale preesistente al di sopra di esso, essendo piuttosto idoneo ad esprimere una sagoma al di sotto del piano calpestio, ma alla parte soprastante, del tutto libera e priva di copertura e di strutture perimetrali. Il principio applicato dal giudice di primo grado, condiviso ed ulteriormente specificato dalla Corte d'Appello è quello affermato da Cass. n. 9679/2014 in virtù del quale in tema di distanze legali la veranda che chiude uno spazio aperto, ma resta allineata al profilo del fabbricato preesistente, pur determinando un ampliamento del volume delle superfici chiuse, non proietta in avanti l'edificio e, quindi, non ne riduce la distanza dal confine. Secondo il Collegio, tuttavia, tale principio non è applicabile al caso concreto, atteso che, mentre in caso di porticato sussiste una costruzione completa, dotata di pilastri e di copertura, ancorché priva di chiusura tra un sostegno e l'altro, situazione questa che giustifica, proprio per lo spazio occupato in orizzontale e verticale, l'applicazione della regola del “vuoto per pieno”, nella specie, esisteva invece, una veranda scoperta, priva di tettoia e di pilastri sporgenti dal suolo, posta in aggetto rispetto alla facciata dell'edificio e dunque, non rientrante nella sagoma, senza che rilevi, a tal fine, la qualificazione della stessa in termini di costruzione. In merito, proprio con riguardo alla copertura e chiusura di una terrazza, i giudici amministrativi hanno ritenuto che un siffatto intervento costituisca, infatti, nuova costruzione, la quale comportando l'irreversibile trasformazione del territorio, è soggetto all'obbligo di rispetto delle distanze minime tra edifici (cfr. ex multis T.A.R. Toscana, n. 738/2021). I Giudici concludono, affermando che alla stregua dei principi passati in rassegna deve concludersi per l'erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha sostenuto che la veranda scoperta costituisse essa stessa profilo del fabbricato, pur non essendone allineata, in quanto rientrante, per le sue caratteristiche di sporgenza dal suolo, nella nozione di “costruzione” con la conseguenza che l'innalzamento dei parapetti mediante vetrate e la realizzazione di una copertura non aveva immutato la preesistente distanza secondo il principio del “vuoto per pieno”. Tale argomentazione non considera, infatti, che le prescrizioni degli strumenti urbanistici possono solo dettare regole riguardanti la misura delle distanze senza incidere, però, sul concetto di costruzione rilevante a questi fini nei rapporti tra privati, oltre a confondere la nozione di costruzione con quella di sagoma dell'edificio la quale può compromettere l'applicazione del principio del c.d. “vuoto per pieno”, valevole, per esempio, per i porticati, soltanto quando preesista una struttura verticale e dotata di copertura e, dunque, tridimensionale, che quand'anche priva di chiusure tra un pilastro e un altro, mantenga nello spazio lo stesso ingombro e, dunque, la distanza dal confine e dalle altrui costruzioni, anche in caso di chiusura delle preesistenti aperture.
Presidente Mocci - Relatore Pirari Rilevato che 1. Con atto di citazione notificato il 18/12/2014, Gi.Gi.e Ro.An. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Cuneo, Bo.Ro. e Pe.Gu., contestando la realizzazione, da parte loro, di alcuni manufatti asseritamente non regolari dal punto di vista urbanistico-edilizio e posti a distanza inferiore a quella minima prevista dalla legge dal confine di proprietà e, segnatamente, la regolarità di una finestra prospiciente il proprio fabbricato in quanto posta a distanza inferiore a mt. 10, la regolarità di un porticato, realizzato insieme al fabbricato a ridosso del muro divisorio tra le due proprietà e successivamente tamponato con porta a vetri e creazione di volumetria e la regolarità di una veranda-giardino d'inverno, realizzata nel 2009 a chiusura di un terrazzo preesistente, asseritamente in violazione delle distanze. I predetti chiesero dunque che venisse ordinata l'eliminazione delle opere abusive e il risarcimento dei danni. Costituitisi in giudizio, Pe.Gu. e Bo.Ro. chiesero il rigetto delle domande. Il Tribunale di Cuneo respinse le domande attoree. Il giudizio di gravame, instaurato dai coniugi Gi.Gi. e Ro.An., si concluse, nella resistenza di Pe.Gu. e Bo.Ro., che proposero appello incidentale in ordine alle spese di lite, con la sentenza n. 1223/2020, pubblicata il 14/12/2020, con la quale la Corte d'Appello di Torino rigettò l'appello proposto e, in accoglimento di quello incidentale, condannò Gi.Gi. e Ro.An., in solido tra loro, alla rifusione delle spese dei due gradi del giudizio. Per quanto qui interessa, i giudici di merito, analizzando la dedotta violazione delle distanze con riguardo alla porzione immobiliare denominata con la sigla V3 , ossia alla terrazza rialzata di oltre cm. 120 rispetto al cortile attoreo, dotata di parapetti su due lati verso l'esterno e avente funzione anche di copertura del piano seminterrato, ritennero che la stessa potesse considerarsi, per le sue caratteristiche, come struttura portante dell'edificio, siccome edificata come parte dello zoccolo sviluppantesi verticalmente da terra integrando la soletta su cui insisteva il terrazzo che fungeva da solaio al seminterrato, e rientrasse, dunque, nella definizione di sagoma dell'edificio, rimasta invariata, in conformità all'articolo 8, punto 7F) delle N.T.A., con la conseguenza che la sua chiusura non potesse considerarsi ai fini delle distanze secondo il criterio del vuoto per pieno di cui ad un precedente arresto di questa Corte. Quanto alla sezione c.d. V2 , costituita dalla chiusura di un portico, annesso alla cucina, individuato da una superficie rettangolare chiusa su due lati contigui alla muratura perimetrale dell'edificio, delimitato, sull'angolo opposto, da un pilastro che rendeva aperti i due lati restanti e definito in altezza dalla superficie piana del solaio del sottotetto, i giudici osservarono che questa struttura era conforme alle N.T.A. e alle leggi in materia e, una volta chiusi i due lati, era inserita all'interno della sagoma del preesistente porticato, ancorché costituente volume, con conseguente sua sottrazione alla disciplina delle distanze. Infine, i giudici, esaminando l'appello incidentale, ritennero che l'elevato tecnicismo delle questioni prospettate e la necessità del ricorso al c.t.u. non integrassero quei gravi ed eccezionali motivi idonei a compensare le spese del giudizio, con conseguente applicabilità del criterio della soccombenza e condanna degli attori al pagamento delle spese anche del giudizio di primo grado. 2. Contro la predetta sentenza, Gi.Gi. e Ro.An. propongono ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati anche con memoria. Pe.Gu. e Bo.Ro. si difendono con controricorso, illustrato anche con memoria. Considerato che 1.1 Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 872, secondo comma, e 873 cod. civ., così come integrati dall'articolo 8, comma 8, lett. G, delle N.T.A. del Comune di Borgo San Dalmazzo, approvate con D.C. nn. 31 del 20 luglio 2009 e 27 del 4 luglio 2011, con riferimento al concetto di sagoma preesistente applicato al volume V3 della veranda-giardino d'inverno e violazione dell'atto di intesa 20 ottobre 2016, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che la chiusura della terrazza (veranda giardino d'inverno) non violasse la distanza di mt. 5 dal confine, in quanto frutto della chiusura di una sagoma preesistente ai sensi dell'articolo 7 delle stesse N.T.A. del Comune di Borgo San Dalmazzo, che consentiva ampliamenti e sopraelevazioni in deroga alle distanze previste per le nuove costruzioni quando l'ampliamento si configurava come chiusura di spazi aperti esistenti all'interno della sagoma esistente. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d'Appello aveva erroneamente applicato l'elaborazione giurisprudenziale del c.d. vuoto per pieno , sussumendo il caso concreto nel concetto di sagoma preesistente, in quanto, partendo dall'analisi di questa Corte (Cass. n. 9679/2014), aveva ritenuto che il terrazzo costituisse struttura portante, ai sensi della citata pronuncia e dell'atto di intesa del 20/10/2016, in ragione della misura dello zoccolo del terrazzo innalzato rispetto al piano di campagna. Ad avviso dei ricorrenti, i giudici di merito non avevano considerato che potevano dirsi strutture portanti , ai fini voluti, soltanto quelle verticali e che lo zoccolo non era idoneo a esprimere una proiezione della sagoma e a delineare un solido verticale preesistente al di sopra di esso, essendo piuttosto idoneo a esprimere una sagoma al di sotto del piano di calpestio, ma non alla parte soprastante, del tutto libera e priva di copertura e di strutture perimetrali. L'atto di intesa era, inoltre, chiaro nell'affermare che costituiva sagoma il perimetro considerato in senso verticale e orizzontale, con la conseguenza che il terrazzo scoperto, privo di strutture perimetrali verticali, non poteva considerarsi inserito nella sagoma dell'edificio e non era, dunque, idoneo a esprimere, neanche figurativamente, alcun volume solido al di sopra di esso, come chiarito dallo stesso c.t.u. che lo aveva, infatti, considerato soggetto alle norme delle distanze. In sostanza, secondo i ricorrenti la Corte d'Appello aveva stravolto il concetto di sagoma , allorché l'aveva applicato anche alla chiusura di volumi preesistenti individuati da una struttura portante soltanto orizzontale e non anche verticale, benché nessuna rilevanza potesse assumere a tali fini il fatto che lo zoccolo (o spiccato) avesse altezza di cm. 120 o coprisse un seminterrato una volta che, al di sopra di esso, non fosse possibile identificare alcuna preesistente sagoma, tant'è che si era contraddetta allorché aveva descritto le zone V1 (porticato fronte strada a protezione dell'ingresso della casa) e V2 (porticato all'angolo sud del piano terreno) come costituenti chiusura di spazi fisicamente già compresi nella sagoma del fabbricato preesistente. Derivava da quanto detto, ad avviso dei ricorrenti, l'applicabilità, alla specie, della norma che imponeva il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine, mentre la costruzione in questione distava soltanto mt. 4.125 e mt. 4.25. 1.2 Il primo motivo è fondato. Come ricordato da Cass., Sez. 2, 17/12/2012, n. 23189, la prevalente giurisprudenza di questa Corte distingue il caso in cui il regolamento edilizio locale si limiti a fissare solo la distanza minima tra le costruzioni, da quello in cui la norma regolamentare stabilisca anche (o solo) la distanza minima delle costruzioni dal confine, nel quale ultimo caso deve ritenersi derogato il principio di prevenzione ex articolo 875 cod. civ., perché l'obbligo di arretrare la costruzione è assoluto, come lo è il corrispondente divieto di costruire sul confine, a meno che lo stesso regolamento edilizio non consenta espressamente anche tale facoltà. Le norme degli strumenti urbanistici integrano, infatti, la disciplina dettata dal codice civile nelle materie regolate dagli articolo 873 e ss. cod. civ., ove tendano ad armonizzare l'interesse pubblico ad un ordinato assetto urbanistico del territorio con l'interesse privato relativo ai rapporti intersoggettivi di vicinato, sicché vanno incluse in tale novero le disposizioni del piano regolatore generale dell'ente territoriale che stabiliscano la distanza minima delle costruzioni dal confine del fondo e non tra contrapposti edifici (Cass., Sez. U, 24/09/2014 , n. 20107; Cass., Sez. 2, 30/08/2004, n. 17390). Nel caso di specie, l'articolo 8, lett. G, delle N.T.A. del Comune di Borgo San Dalmazzo stabilisce per le nuove costruzioni, ossia per i nuovi edifici realizzati su aree inedificate, l'obbligo di rispettare, oltre ai parametri prescritti per ogni singolo ambito normativo, anche le distanze dai confini, le quali devono essere 'pari alla metà dell'altezza del fabbricato previsto con un minimo di mt. 5, riducibile previo accordo scritto tra le parti […]', precisando che Le norme di cui ai capoversi precedenti si applicano per le nuove costruzioni in tutte le aree normativa del P.R.G., escluse le aree R1 e R2, ove si applicano le norme del vigente codice civile, fatti salvi gli allineamenti esistenti . In caso di ampliamento o sopraelevazioni, tali essendo, secondo il precedente articolo 7, lett. F, gli interventi volti ad aumentare il volume di edifici esistenti mediante estensione in senso orizzontale del fabbricato , quest'ultima disposizione richiama, quanto ai distacchi, il ridetto articolo 8, precisando che Valgono in ogni caso i distacchi esistenti, quando l'ampliamento si configuri come chiusura di spazi aperti esistente all'interno della sagoma esistente . Il medesimo articolo 7, stabilisce, al comma 10, che Nel calcolo (del volume) devono essere compresi gli sporti continui o comunque abitabili ed esclusi i porticati, i pilotis, le logge aperte, le sovrastrutture tecniche , mentre al successivo comma 14, rubricato Distanza , precisa che la distanza di un edificio da altri edifici, da confini, da sedimi viari e in ogni caso in cui il P.R.G. vi faccia riferimento, è misurata nei confronti del perimetro esterno delle murature e di ogni altro elemento appoggiato al suolo, compresi i cornicioni, logge e balconi se aggettanti più di metri 1,60. Nella misura non si considerano i predetti aggetti nei casi di fasce di rispetto o di arretramento previste superiori a metri 5,00. Anche in caso di arretramenti superiori a metri 5,00 con aggetti superiori a metri 1,60, dovrà essere garantita una distanza minima di metri 5,00. Determinano in ogni caso, distanza bovindi o altri volumi chiusi aggettanti . In definitiva, le norme sopra indicate prescrivono, per le nuove costruzioni, ivi compresi gli interventi di aumento volumetrico di edifici esistenti mediante estensione in senso orizzontale del fabbricato, il rispetto della distanza dal confine di mt. 5,00, da calcolarsi partendo dal perimetro esterno delle murature e di ogni altro elemento appoggiato al suolo, compresi i cornicioni, logge e balconi se aggettanti più di metri 1,60, consentendo di mantenere i distacchi esistenti quando l'ampliamento consista nella chiusura di spazi aperti all'interno della sagoma esistente. In altre parole, la regola generale, che impone il rispetto della distanza di mt. 5 dal confine, valevole anche in caso di ampliamento in orizzontale del manufatto preesistente, è derogata nel caso in cui l'ampliamento consista nella chiusura di uno spazio aperto all'interno della sagoma esistente, per il quale vale la regola del distacco esistente. 1.3 Orbene, come si legge nella sentenza impugnata, i giudici di merito hanno rigettato l'appello proposto dai ricorrenti con riguardo alla veranda-giardino (c.d. V3), discostandosi da quanto affermato dal c.t.u., che aveva escluso che il nuovo manufatto edificato sull'originaria terrazza - dotata di parapetti murari destinati a proteggere dalle cadute e priva di copertura -, fosse sottratto alle norme sulle distanze dai confini in quanto costituito da una definizione volumetrica dotata di pareti, seppur vetrate in estensione ai parapetti preesistenti, e soprattutto di nuova copertura, e avallando, invece, le argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado, che aveva affermato la legittimità della costruzione in quanto rientrante nella sagoma dell'edificio secondo la regola del vuoto per pieno sancita da questa Corte con la sentenza n. 9679 del 2014, dovendo la terrazza, delimitata da parapetti in muratura e priva di pilastri, essere qualificata in termini di sporto e non di mera sporgenza. Partendo da tali considerazioni, la Corte d'Appello ha, altresì, aggiunto che il principio del vuoto per pieno andava applicato quando il corpo di fabbrica fosse stato delineato dalla presenza di un porticato ovvero da una struttura portante più avanzata del manufatto medesimo e che il terrazzo sovrastante il solaio di copertura del piano seminterrato, dotato di parapetti in muratura sui due lati verso l'esterno e di dimensioni lorde di mt. 3,3 X 2,00, potesse considerarsi struttura portante dell'edificio di proprietà dei convenuti, come tale rientrante nella definizione di sagoma sottratta al rispetto delle distanze, in ragione dell'altezza di cm. 120 dello spiccato rispetto al cortile attoreo, corrispondente alla quota rappresentata dai gradini di accesso all'edificio, sviluppato verticalmente da terra e integrante la soletta su cui insiste il terrazzo che funge da copertura del vano seminterrato. In sostanza, la porzione V3, in quanto allineata al perimetro esterno del terrazzo-struttura portante del seminterrato dell'edificio, doveva considerarsi legittima, essendo state le distanze confermate nel rispetto della sagoma attuale e non variate, in conformità all'articolo 8, punto 7F, delle N.T.A. 1.3 Il principio applicato dal giudice di primo grado, condiviso e ulteriormente specificato dalla Corte d'Appello, è quello affermato da Cass., Sez. 2, 6/5/2014, n. 9679, in virtù del quale, in tema di distanze legali, la veranda che chiude uno spazio aperto, ma resta allineata al profilo del fabbricato preesistente, pur determinando un ampliamento del volume delle superfici chiuse, non proietta in avanti l'edificio e, quindi, non ne riduce la distanza dal confine. La suddetta pronuncia rammenta, al riguardo, che, secondo i principi affermati in materia dalla giurisprudenza, in relazione alle prescrizioni di cui all'articolo 873 cod. civ., costituisce costruzione anche un manufatto che, seppure privo di pareti, realizzi una determinata volumetria, sicché - al fine di verificare l'osservanza o meno delle distanze legali - la misura deve essere effettuata assumendo come punto di riferimento la linea esterna della parete ideale posta a chiusura dello spazio esistente tra le strutture portanti più avanzate del manufatto stesso (Cass. 21/12/1999, n. 14379; Cass. 14/3/2011, n. 5934). In particolare, è stato precisato che, al fine di verificare il rispetto della distanza legale nelle costruzioni, qualora una di esse sia provvista di porticato aperto, con pilastri allineati al muro di facciata, deve tenersi conto anche del porticato, secondo la regola del vuoto per pieno , in quanto, anche nel caso in cui tra i pilastri del porticato non siano realizzate pareti esterne di collegamento, la fabbrica possiede i requisiti di consistenza, solidità, stabilità e immobilizzazione al suolo che ne fanno una costruzione, soggetta alla disciplina sulle distanze (Cass. 26-7-2013 n. 18119); con la conseguenza che la distanza, al pari del volume e della superficie del fabbricato, resta immutata qualora il porticato venga successivamente chiuso con pareti esterne allineate alla facciata (Cass. 13/12/2005, n. 27418). E invero, come è stato evidenziato nella pronuncia da ultimo citata, nell'ipotesi considerata la distanza, prima della tamponatura del portico, doveva essere misurata dalla faccia esterna dei pilastri ovvero assumendo come punto di riferimento la proiezione ideale al suolo delle pareti; proiezione che viene a coincidere con le pareti successivamente edificate e poste a chiusura dello spazio racchiuso nel porticato. Siffatta opera, dunque, non colloca la linea esterna della facciata ricavata dalla chiusura ad una distanza minore rispetto al portico preesistente su di essa, ma realizza soltanto un aumento del volume delle superfici chiuse, non reprimibile a favore dei terzi interessati con la riduzione in pristino, esigibile nei soli casi in cui ricorrano le fattispecie di cui agli articolo 873 cod. civ. e segg. Per analoghe ragioni, deve ritenersi che, nell'ipotesi in cui uno spazio aperto venga chiuso mediante una veranda, non debordante dal suo perimetro, ma perfettamente allineata al profilo del fabbricato preesistente, pur determinandosi un ampliamento del volume delle superfici chiuse, non si verifichi una proiezione in avanti dell'edificio e una conseguente riduzione della precedente distanza di tale immobile . L'argomentazione sopra descritta trae spunto dai principi affermati da questa Corte in materia di porticati con pilastri allineati al muro di facciata, per i quali si è detto che, al fine di verificare il rispetto della distanza legale nelle costruzioni, deve tenersi conto anche del porticato, secondo la regola del vuoto per pieno, con l'effetto che la distanza, al pari del volume e della superficie del fabbricato, resta immutata qualora il porticato venga successivamente chiuso con pareti esterne allineate alla facciata (Cass., Sez. 2, 13/12/2005, n. 27418; Cass., Sez. 2, 26/07/2013 , n. 18119). Tali principi non sono però applicabili alla specie, atteso che, mentre in caso di porticato sussiste una costruzione completa, dotata di pilastri e di copertura, ancorché priva di chiusure tra un sostegno e l'altro, situazione questa che giustifica, proprio per lo spazio occupato in orizzontale e verticale, l'applicazione della regola del vuoto per pieno , nella specie esisteva, invece, una veranda scoperta, priva di tettoia e di pilastri sporgenti dal suolo, posta in aggetto rispetto alla facciata dell'edificio e dunque non rientrante nella sagoma, senza che rilevi, a tal fine, la qualificazione della stessa in termini di costruzione. La regola del vuoto per pieno , in sostanza, non può ancorarsi alla semplice nozione di costruzione, la quale, come noto, non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità e immobilizzazione rispetto al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell'opera stessa, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata, la quale, dunque, deve essere computata per la misura di detta distanza (Cass., Sez. 2, 05/01/2024, n. 345; Cass., Sez. 2, 02/10/2018, n. 23856; Cass., Sez. 2, 20/07/2011, n. 15972), ma attiene alle situazioni in cui lo spazio occupato dal manufatto e, dunque, il suo volume, comprenda le pareti esterne, il pavimento e la copertura, sicché il concetto di sagoma cui essa si riferisce non può che valere per le sole strutture verticali, che occupino uno spazio per così dire tridimensionale, a nulla rilevando l'esistenza di una struttura quasi del tutto interrata, ancorché sporgente dal piano di calpestio. Proprio con riguardo alla copertura e chiusura di una terrazza, i giudici amministrativi hanno ritenuto che un siffatto intervento costituisca, infatti, nuova costruzione, la quale, comportando l'irreversibile trasformazione del territorio, è soggetta all'obbligo di rispetto delle distanze minime tra edifici (vedi T.A.R. Toscana, Sez. 3, 19/5/2021, n. 738; T.A.R. Toscana, Sez. 3, 7/2/2020, n. 175; T.A.R. Lombardia, Sez. 2, 2/7/2018, n. 646; T.A.R. Campania, Sez. 7, 7/2/2018, n. 793). In particolare, ai fini dell'applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato, ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l'aumento della sagoma d'ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una maggiore volumetria e/o dall'utilizzabilità della stessa a fini abitativi; in particolare la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante (cfr. Cons. Stato, Sez. 2, 25/10/2019, n. 7289; Id., Sez. 4, 28/11/2018, n. 6738). 1.4 Alla stregua dei principi sopra ricordati, deve allora affermarsi l'erroneità della sentenza, nella parte in cui ha sostenuto che la veranda scoperta costituisse essa stessa profilo del fabbricato, pur non essendone allineata, in quanto rientrante, per le sue caratteristiche di sporgenza dal suolo, nella nozione di costruzione , con la conseguenza che l'innalzamento dei parapetti mediante vetrate e la realizzazione di una copertura non aveva immutato la preesistente distanza secondo il principio del vuoto per pieno. Tale argomentazione non considera, infatti, che le prescrizioni degli strumenti urbanistici possono solo dettare regole riguardanti la misura delle distanze, senza incidere però sul concetto di costruzione rilevante a questi fini nei rapporti tra privati, oltre a confondere la nozione di costruzione con quella di sagoma dell'edificio, la quale può comportare l'applicazione del principio del c.d. vuoto per pieno , valevole, ad esempio, per i porticati, soltanto quando preesista una struttura verticale e dotata di copertura e, dunque, tridimensionale, che, quand'anche priva di chiusure tra un pilastro e un altro, mantenga nello spazio lo stesso ingombro e, dunque, la distanza dal confine e dalle altrui costruzioni, anche in caso di chiusura delle preesistenti aperture. Consegue da quanto detto la fondatezza della censura. 2.1 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta il travisamento assoluto della prova con riferimento alla tettoia di cui alla mediazione n. 16-13 dell'11/12/2013, non oggetto di giudizio, la quale coprirebbe quella di causa, mentre il c.t.u., a pagina 39 dell'elaborato peritale del 14/1/2017 in primo grado, riferisce l'esatto contrario , in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che, a lato dell'ampliamento e davanti al portico, era presente un terrazzo angolare conforme alla C.E. n. 81/1998, poi coperto come definito con mediazione giudiziale n. 16/13 dell'11/12/2013 e abilitato con P.d.C. n. 19/2014, struttura – non oggetto di causa – che rappresentava un corpo interposto tra confine e veranda, la quale risultava planimetricamente coperta . Questo passaggio motivazionale, ancorché non fondante la decisione, era frutto di un travisamento della prova, posto che la relazione peritale del 14/1/2017 confutava quanto affermato, escludendo che la tettoia non coprisse affatto il manufatto oggetto di causa. 2.2 Il secondo motivo è inammissibile. Infatti, nell'ipotesi di c.d. doppia conforme , prevista dall'articolo 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell'articolo 54, comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d'appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione - per evitare l'inammissibilità del motivo di cui all'articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall'articolo 54, comma 3, del D.L. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) - deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell'appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (per tutte, Cass., Sez. 5, 18/12/2014, n. 26860; Cass., Sez. 5, 11/05/2018, n. 11439; Cass., sez. 1, 22/12/2016, n. 26774; Cass., sez. L., 06/08/2019, n. 20994), incombenza questa rimasta nella specie inadempiuta. 3.1 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio e cioè quanto pattuito dalle parti nel verbale di mediazione n. 16-13 dell'11/12/2013 e quanto accertato dal c.t.u. a pagina 39 dell'elaborato peritale 14/1/2017 in primo grado, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che, a lato dell'ampliamento e davanti al portico, era presente un terrazzo angolare conforme alla C.E. n. 81/1998, poi coperto come definito con mediazione giudiziale n. 16/13 dell'11/12/2013 e abilitato con P.d.C. n. 19/2014, struttura – non oggetto di causa – che rappresentava un corpo interposto tra confine e veranda, la quale risultava planimetricamente coperta . Ad avviso dei ricorrenti, l'assenso dato in data 11/12/2013 in sede di mediazione giudiziale non poteva consentire di ritenere pattiziamente costituita una servitù sulle distanze, sia in quanto la tettoia era successiva all'edificazione della veranda-giardino d'inverno come da permesso di costruire del 2014, sia in quanto le parti avevano escluso, in mediazione, la rilevanza di tale manufatto ai fini del rispetto delle distanze dai confini, non trattandosi di costruzione vera e propria, ma di mera copertura che non avrebbe potuto essere chiusa in modo da non costituire costruzione. I ricorrenti hanno anche escluso che questa argomentazione costituisse una doppia conforme, atteso che la sentenza di primo grado non aveva fondato il proprio convincimento sulla tettoia , ma sul concetto giuridico di sagoma. 3.2 Il terzo motivo è altrettanto inammissibile. I motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata devono, infatti, avere i caratteri non solo della specificità e della completezza, ma anche della riferibilità alla decisione stessa (Cass., Sez. 3, 2/8/2002, n. 11530), aspetti questi disattesi nella specie. La censura non attinge, infatti, la ratio decidendi risultante dalla motivazione della sentenza impugnata, nella quale la questione descritta nella stessa (ossia il richiamo al terrazzo angolare conforme alla C.E. n. 81/1998) è solo contenuta in un elenco di documenti esaminati al fine di decidere la controversia, ma poi non utilizzata per motivare sulla decisione di rigetto. 4.1 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta la violazione o falsa applicazione degli articolo 872, secondo comma, e 873 cod. civ., come integrati dall'articolo 8, comma 8, lett. G, delle N.T.A. del Comune di Borgo San Dalmazzo, articolo 7, commi 10 e 14, delle medesime N.T.A. del Comune di Borgo San Dalmazzo (DC n. 31 del 20 luglio 2009 e DC n. 27 del 4 luglio 2011), con riferimento al concetto di sagoma applicato al volume V2 della veranda-giardino d'inverno, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che il porticato antistante la cucina (c.d. V2 ), già facente parte della costruzione originaria, ne costituisse la sagoma e che il suo limite esterno valesse a indicarne il profilo dal quale considerare la sussistenza dell'allineamento o meno della veranda-giardino, cosicché la stessa, pur determinando un aumento della volumetria, si inseriva nella sagoma plano-volumetrica preesistente, in conformità alle N.T.A. e alle altre disposizioni di legge in materia, senza considerare, però, che tale porzione, in ragione delle sue dimensioni, non potesse essere considerata come sagoma. Infatti, le norme del PRGC escludevano dal computo della sagoma gli sporti e i terrazzi di profondità inferiori a mt. 1,6 e 1,5, mentre il terrazzo preesistente possedeva una profondità di mt. 1,4 ed era definito in altezza dalla superficie piano del solaio di sottotetto, aspetti questi che, pur evidenziati negli scritti difensivi, non erano stati esaminati dai giudici di merito, non essendovene menzione nella motivazione. 4.2 Il quarto motivo è infondato. Si legge nella sentenza impugnata che il portico antistante la cucina, denominato V2 , e latistante a quello costituente copertura dell'ingresso (c.d. V1 ) individuava una superficie rettangolare chiusa su due lati contigui dalla muratura perimetrale dell'edificio e delimitato sull'angolo opposto da un pilastro a sezione circolare che rendeva aperti i restanti due lati e che detta porzione occupava uno spazio fisicamente già compreso nella sagoma del fabbricato preesistente, in quanto costruito al riparo del porticato esistente nell'angolo sud del piano terreno. Proprio in considerazione dello stato dei luoghi deve ritenersi che trovi applicazione, nella specie, il principio già descritto nel precedente punto 1.3 e affermato da Cass., Sez. 2, 6/5/2014, n. 9679, in virtù del quale, in tema di distanze legali, la veranda che chiude uno spazio aperto, ma resta allineata al profilo del fabbricato preesistente, pur determinando un ampliamento del volume delle superfici chiuse, non proietta in avanti l'edificio e, quindi, non ne riduce la distanza dal confine. Non rileva, invece, la questione della minore profondità del portico rispetto a quella necessaria, alla stregua del PRGC, per il computo di sporti e terrazzi nella sagoma. Come già evidenziato al precedente punto 1.2, infatti, l'articolo 7, comma 14, rubricato Distanza , precisa che la distanza di un edificio da altri edifici, da confini, da sedimi viari e in ogni caso in cui il P.R.G. vi faccia riferimento, è misurata nei confronti del perimetro esterno delle murature e di ogni altro elemento appoggiato al suolo, compresi i cornicioni, logge e balconi se aggettanti più di metri 1,60 […] . Tale prescrizione non ha nulla a che vedere, infatti, con il concetto di sagoma dell'edificio, ma si limita a chiarire quali aggetti debbano essere computati nel calcolo delle distanze dal confine, fornendo all'uopo un'indicazione per così dire quantitativa, sostanzialmente in conformità al principio secondo cui rientrano nella categoria tecnico-giuridica degli sporti le mensole, le lesene, i risalti verticali delle pareti con funzione decorativa, gli elementi in aggetto di ridotte dimensioni con funzioni di sostegno, le canalizzazioni di gronda ed i loro sostegni e simili; mentre attingono le caratteristiche del corpo di fabbrica , costituente per sua natura parte integrante dell'edificio, e dal quale vanno misurate le distanze, le sporgenze di particolari proporzioni, destinate ad estendere ed ampliare per l'intero fronte dell'edificio la superficie abitativa, e quindi ad incidere sulla consistenza volumetrica del fabbricato (Cass., Sez. 2, 29/12/1987, n. 9646; Cass., Sez. 2, 2/10/2018, n. 23845). 5.1 Con il quinto motivo, si lamenta, infine, la violazione di legge con riferimento all'articolo 92, secondo comma, cod. proc. civ., e alla condanna alla rifusione delle spese di lite contenuta nella pronuncia di secondo grado nonostante l'assoluta novità e/o incertezza della questione che avrebbe dovuto condurre ad una compensazione integrale delle spese, in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte d'Appello applicato il criterio della soccombenza, anziché procedere alla compensazione delle spese del giudizio, nonostante la novità e l'assoluta incertezza delle questioni affrontate (c.t.u. che aveva dato ragione ai ricorrenti; giudice d'appello che aveva sostenuto l'insufficienza della motivazione di primo grado; Comune che aveva ritenuto violate le norme sulle distanze, ordinando la demolizione del manufatto; controparte che non aveva impugnato l'ordinanza di demolizione; una questione che, se decisa in senso difforme da quanto prospettato nel ricorso, sarebbe caratterizzata da novità). 5.2 Il quinto motivo, siccome riguardante le spese, resta assorbito dall'accoglimento del primo. 6. In conclusione, dichiarata la fondatezza del primo motivo, l'inammissibilità del secondo e del terzo, l'infondatezza del quarto e l'assorbimento del quinto, il ricorso deve essere accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il primo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.