Tardivo reinserimento nelle liste elettorali: niente risarcimento per il cittadino

A fronte del tardivo reinserimento nelle liste elettorali, non è automatico il ristoro economico per il privato cittadino, il quale, a fronte della accertata inadempienza addebitabile al Comune, deve comunque dare prova del danno subito.

Nel caso in esame un uomo sottoposto, a partire da metà novembre del 2011, alla misura della sorveglianza speciale per trentasei mesi e, perciò, rimosso per lo stesso periodo dalle liste elettorali, viene reinserito nelle liste elettorali solo alla fine di aprile del 2016, pur essendo cessata il 1° dicembre 2014 la suddetta misura di prevenzione, e quindi non può prendere parte al referendum abrogativo –noto anche come “referendum trivelle” – tenutosi il 17 aprile 2016. Accertati i lentissimi, quasi elefantiaci, tempi di reazione del Comune, l’uomo ritiene sacrosanto il suo diritto ad un adeguato ristoro economico, quantificabile, a suo dire, in 10mila euro, a fronte del danno non patrimoniale subito e consistito nella impossibilità di esercitare il voto. I giudici di merito, tuttavia, respingono l’ipotesi di un risarcimento in favore del cittadino. Ciò perché «non vi è prova della circostanza da cui originava il danno» lamentato dall’uomo. Più in dettaglio, i giudici d’Appello precisano che le testimonianze assunte non consentono di dimostrare che l’uomo si sia concretamente recato a votare e che abbia contattato l’ufficio elettorale per dolersi dell’omissione, poiché, sia dalla deposizione della vicedirettrice del seggio sia da quelle rese dall’ufficiale comunale emerge che solamente il fratello dell’uomo, sottoposto anch’egli alla medesima misura di prevenzione cessata, si è recato al seggio e, dopo aver appreso dell’errore, si è messo in contatto col Comune per denunciare il fatto. In sostanza, secondo i giudici di secondo grado, nonostante l’errore commesso dal Comune nell’omettere di reinserire tempestivamente il nominativo del cittadino nelle liste elettorali, non vi è prova che un qualche danno sia, in concreto, derivato al ricorrente. Quest’ultimo propone, dunque, ricorso per cassazione: è lampante l’errore compiuto in Appello e consistito nel non considerare che «la lesione del diritto di voto è insita nell’errore, incontroverso, commesso dall’amministrazione comunale» e consistito «nell’omettere di provvedere tempestivamente al reinserimento del nominativo nelle liste degli elettori». Per la difesa vi è un dato di fatto indiscutibile: «il cittadino non è stato posto nelle condizioni di partecipare alle votazioni, tenutesi tra il 1° dicembre 2014, data della cessazione della misura a suo carico, e il 26 aprile 2016, giorno in cui il reinserimento nelle liste elettorali è effettivamente avvenuto» e tale circostanza «si è concretamente verificata in occasione del referendum del 17 aprile 2016». Di conseguenza, «il danno non patrimoniale subito» dall’uomo «si risolve automaticamente nell’impossibilità di partecipare alle votazioni, in conseguenza dell’inerzia del Comune nel provvedere a reinserirlo nelle liste degli elettori», e, perciò, «è irrilevante», secondo il legale, il mancato raggiungimento della prova in ordine al tentativo, da parte del ricorrente, di partecipare al referendum del 2016. Questo dettaglio «può rilevare al più sul profilo della quantificazione del danno risarcibile, non costituendo invece fondamento della pretesa risarcitoria», chiosa il legale. Per la Cassazione, però, le obiezioni sollevate dall’avvocato non sono sufficienti per ribaltare la decisione presa in Appello, poiché comunque non vi è prova di un qualche danno – anche per perdita di chance – derivato, in concreto, all’uomo dall’errore in questione commesso dal Comune. Secondo il legale, «essendo il diritto di voto garantito dalla Costituzione, il danno è concreto» in automatico, in quanto «collegato all’impossibilità per il cittadino di partecipare alla tornata referendaria del 17 aprile 2016». Tale situazione, ossia l’impossibilità di partecipare al referendum, rappresenta, secondo la difesa, «già di per sé un danno» per il cittadino, dovendosi, pertanto, provvedere soltanto alla relativa valutazione del quantum risarcitorio. Questa visione, però, si risolve nella rivendicazione del risarcimento di un danno in re ipsa. E ciò al fine di contrastare la decisione d’Appello che ha ritenuto non esservi prova che l’errore, pur commesso dal Comune, abbia cagionato al medesimo ricorrente un danno in concreto, «cioè un danno in conseguenza della asserita lesione del diritto al voto, garantito dall’articolo 48 della Costituzione». Per meglio inquadrare la questione, i Giudici ricordano che «in tema di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti della persona costituzionalmente tutelati – e tale è anche il diritto al voto nella sua duplice dimensione, individuale, quale esercizio di un diritto personale, libero e uguale, e sovraindividuale, costituendo il voto atto di partecipazione democratica alla vita pubblica e istituzionale del Paese, in attuazione dell’articolo 1 della Costituzione –, il risarcimento non è in re ipsa, poiché il danno risarcibile non si identifica con la lesione dell’interesse tutelato dall’ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto, in ogni caso, di allegazione e prova, sebbene anche attraverso presunzioni». Per fare chiarezza, poi, viene anche richiamato il principio secondo cui «gli elementi costitutivi della struttura dell’illecito civile consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest’ultimo dall’ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue». Di conseguenza, va ribadita «la non risarcibilità di un danno in re ipsa anche in riferimento alla lesione di diritti fondamentali», chiosano i Giudici. Ragionando in questa ottica, quindi, la visione proposta dal legale, mirata a predicare l’esistenza di un danno in re ipsa, in quanto sussistente sulla base della sola lesione del diritto al voto cagionata dalla mancata iscrizione dell’uomo nelle liste elettorali da parte del Comune non è tale da scalfire la decisione assunta in Appello, essendo essa «fondata sull’assenza di prova di un danno (conseguenza) in concreto patito dal cittadino».

Presidente Scrima - Relatore Vincenti Fatti di causa 1.- Con atto di citazione del 21 febbraio 2019, T.T. convenne in giudizio il Comune di (OMISSIS), per sentirlo condannare al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente al suo mancato tempestivo reinserimento nelle liste elettorali, che asserì gli avesse impedito di votare al referendum abrogativo tenutosi il 17 aprile 2016. L'attore allegò che in data 16 novembre 2011, con decreto del Tribunale di Pordenone, egli era stato sottoposto alla misura della sorveglianza speciale per tre anni e, per l'effetto, rimosso dalle liste elettorali per lo stesso periodo, in applicazione degli articolo 1 della legge del 16 gennaio 1992, n. 15, e 32 del d.P.R. del 20 marzo 1967, n. 233. Cessata la misura, in data 1° dicembre 2014, egli venne reinserito nelle liste elettorali solo il 26 aprile 2016, dunque successivamente allo svolgimento della tornata referendaria. 1.1.- Si costituì in giudizio il Comune di (OMISSIS) per chiedere il rigetto della domanda attorea o, in subordine, di limitare il risarcimento ai soli danni effettivamente subiti, ex articolo 1227, primo e secondo comma, c.c., deducendo che il fatto colposo del T.T. avesse concorso a cagionare il danno e, in ogni caso, i danni che avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza. 1.2.- L'adito Tribunale di Pordenone, istruita la causa con l'escussione di testimoni e l'acquisizione di documentazione, con sentenza del novembre 2020 rigettò la domanda attorea e condannò il T.T. al pagamento delle spese di lite in favore della parte convenuta. 2.- Avverso questa sentenza T.T. promuoveva appello, dolendosi che il Tribunale avesse fatto mal governo dell'esame delle prove testimoniali offerte (per aver escluso esservi prova della circostanza da cui originava il danno subito da parte attrice), nonché avesse erroneamente omesso di valutare l'impossibilità di esercitare il voto da parte di esso T.T., risultante per tabulas. L'appellante chiedeva, dunque, l'integrale riforma della sentenza di primo grado, con condanna del Comune di (OMISSIS) a risarcirgli il danno patito, da liquidarsi in euro 10.000,00 o nella somma ritenuta di giustizia. Per il rigetto dell'appello si costituiva il Comune di (OMISSIS). 2.1.- La Corte d'Appello di Trieste, con sentenza resa pubblica il 18 gennaio 2023, rigettava l'appello e confermava integralmente la sentenza di primo grado. Il giudice di secondo grado osservava, infatti, che le testimonianze assunte non consentivano di dimostrare che T.T. si fosse concretamente recato a votare in occasione della consultazione referendaria del 17 aprile 2016 e/o che avesse contattato l'ufficio elettorale per dolersi dell'omissione, poiché, sia dalla deposizione della vice-direttrice del seggio, sia da quelle rese dall'ufficiale comunale, addetto presso l'ufficio elettorale, emergeva che solamente suo fratello C., che era stato sottoposto alla medesima misura di prevenzione cessata, si fosse recato al seggio e, dopo aver appreso dell'errore, si fosse messo in contatto col Comune per denunciarlo. La Corte territoriale, quindi, affermava che, nonostante risultasse incontroverso l'errore commesso dal Comune nell'omettere di reinserire tempestivamente il nominativo dell'appellante, non vi era “prova che un qualche danno sia, in concreto, derivato a T.T.”. 3.- Per la cassazione di tale sentenza ricorre T.T., affidando le sorti dell'impugnazione a quattro motivi. Resiste con controricorso il Comune di (OMISSIS). 4. – Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c. Ragioni della decisione 1.- Con il primo mezzo è dedotta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 c.c., 112 c.p.c. e 48 Cost., per aver la Corte territoriale trascurato che la lesione del diritto di voto fosse insita nell'errore, incontroverso, commesso dall'Amministrazione comunale nell'omettere di provvedere tempestivamente al reinserimento del nominativo di esso ricorrente nelle liste degli elettori. Egli, infatti, non sarebbe stato posto nelle condizioni di partecipare alle votazioni, che si fossero tenute tra il 1° dicembre 2014, data della cessazione della misura a suo carico, e il 26 aprile 2016, giorno in cui il reinserimento nelle liste elettorali è effettivamente avvenuto, circostanza che si era concretamente verificata in occasione del referendum del 17 aprile 2016. Parte ricorrente assume, quindi, che il danno non patrimoniale subito si risolva automaticamente nell'impossibilità di partecipare alle votazioni, in conseguenza dell'inerzia del Comune nel provvedere a reinserirlo nelle liste degli elettori. Sarebbe, quindi, irrilevante il mancato raggiungimento della prova in ordine al tentativo da parte di esso attore di partecipare alla tornata referendaria. Tale circostanza avrebbe potuto rilevare al più sul profilo della quantificazione del danno risarcibile, non costituendo invece fondamento della pretesa risarcitoria. 2.- Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articolo 75 Cost. e 2043 c.c., nonché della legge del 25 maggio 1970 n. 352, per aver la Corte territoriale omesso di considerare provata la lesione del diritto di voto anche in considerazione delle peculiarità che connotano il voto referendario, alla luce del fatto che, affinché il referendum abrogativo sia approvato, è necessario il superamento di un quorum strutturale. Il mancato raggiungimento del quorum partecipativo condurrebbe in questo caso allo stesso esito di una votazione maggioritaria in senso negativo all'abrogazione. Ciò farebbe sì che anche l'astensione debba essere considerata una forma di esercizio del diritto di voto, venendo spesso utilizzata dagli elettori come strumento per evitare il raggiungimento del quorum, dunque per evitare l'abrogazione senza passare per il voto negativo. Pertanto, secondo il ricorrente le specificità della votazione referendaria evidenziano, in maniera ancor più netta, l'incongruenza insita nel ragionamento in base al quale la Corte ha ritenuto necessaria la prova della manifestazione della volontà di votare. 3.- Con il terzo mezzo è denunciata, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c., per non aver la Corte distrettuale valutato la mancata intenzione di andare a votare ai fini dell'eccezione, proposta in subordine dal Comune. Il ricorrente evidenzia che il Comune convenuto aveva dedotto che, qualora fosse stato riconosciuto all'attore il risarcimento di un danno, la relativa liquidazione avrebbe dovuto risentire della circostanza che egli avesse rinunciato ad esercitare il voto, poiché il non essersi recato a votare avrebbe integrato gli estremi di un comportamento del creditore, censurabile ai sensi dell'articolo 1227, primo e secondo comma, c.c. Si sostiene, pertanto, che, trattandosi di un'eccezione, la mancata partecipazione avrebbe dovuto essere provata dal convenuto e non certo da parte attrice. In definitiva, la doglianza si incentra sul fatto che, tanto la sentenza di primo grado, quanto quella d'appello, si siano limitate a ritenere non provata la circostanza che il T.T. si fosse recato al seggio il 17 aprile 2016, senza però dichiarare il fatto opposto, ossia che il medesimo non si fosse recato a votare. 4.- Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell'articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c., la violazione degli articolo 91 e 92 c.p.c., per non aver la Corte d'Appello di Trieste regolato le spese dei giudizi di primo e secondo grado sulla base della soccombenza reciproca, da ravvisarsi in considerazione del positivo accertamento dell'errore dell'amministrazione, che ha determinato il danno, ancorché questo danno non sia liquidato. 5. – Il primo motivo è infondato. Con esso è denunciata la ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. a p. 8) che ha escluso esservi prova che “un qualche danno sia, in concreto, derivato a T.T. dall'errore commesso dal Comune di (OMISSIS)” (anche per perdita di chance). Il ricorrente critica siffatta statuizione muovendo dalla considerazione che il diritto di voto è garantito dalla Costituzione (articolo 48 Cost.) e assumendo, quindi, che il danno era comunque sussistente in quanto «dichiaratamente collegato all'“impossibilità di partecipare alla tornata referendaria del 17 aprile 2016”»; sicché, era proprio tale situazione (impossibilità di partecipare al referendum) ad integrare “già di per sé un danno”, dovendosi, pertanto, provvedere, da parte del giudice adito, soltanto alla relativa valutazione “nella somma maggiore o minore ritenuta di giustizia”. La censura, così veicolata, si risolve, però, nella rivendicazione del risarcimento di un “danno in re ipsa”. E ciò al fine di contrastare la decisione della Corte territoriale che, come detto, ha ritenuto non esservi prova che l'errore pur commesso dal Comune di (OMISSIS) (essendo circostanza pacifica che detta Amministrazione non aveva reinserito tempestivamente il T.T. nelle liste elettorali alla scadenza della misura di prevenzione speciale) abbia cagionato al medesimo attore “un danno … in concreto”; dunque, un danno in conseguenza della asserita lesione del “diritto al voto”, garantito dall'articolo 48 Cost. A tal riguardo, giova evidenziare, in punto di diritto, che in tema di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti della persona costituzionalmente tutelati (e tale è anche il diritto al voto nella sua duplice dimensione, individuale – quale esercizio di un diritto personale, libero e uguale - e sovraindividuale, costituendo il voto atto di partecipazione democratica alla vita pubblica e istituzionale del Paese, in attuazione dell'articolo 1 Cost.) il risarcimento non è in re ipsa, poiché il danno risarcibile - nella sua attuale ontologia giuridica, segnata dalla norma vivente dell'articolo 2043 c.c., cui è da ricondurre la struttura stessa dell'illecito aquiliano (Cass. n. 16133/2014) - non si identifica con la lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento, ma con le conseguenze di tale lesione, sicché la sussistenza di siffatto danno non patrimoniale deve essere oggetto, in ogni caso, di allegazione e prova, sebbene anche attraverso presunzioni (tra le molte: Cass. n. 24474/2014; Cass. n. 25420/2017; Cass. n. 17383/2020; Cass. n. 8861/2021; Cass. n. 33276/2023; Cass. n. 15352/2024; Cass. n. 20269/2024; Cass. n. 29920/2024; Cass., S.U., n. 5992/2025). Il superamento della teorica del c.d. “danno evento”, elaborata compiutamente dalla sentenza n. 184 del 1986 della Corte costituzionale in tema di danno biologico, è frutto di successive elaborazioni giurisprudenziali, tributarie del revirement operato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 372 del 1994, i cui esiti possono compendiarsi nelle parole della sentenza n. 26972/2008 delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “gli elementi costitutivi della struttura dell'illecito civile, che si ricavano dall'articolo 2043 c.c. (e da altre norme, quali quelle che prevedono ipotesi di responsabilità oggettiva)... consistono nella condotta, nel nesso causale tra condotta ed evento di danno, connotato quest'ultimo dall'ingiustizia, determinata dalla lesione, non giustificata, di interessi meritevoli di tutela, e nel danno che ne consegue (danno-conseguenza, secondo opinione ormai consolidata...)”. Ed è questo il piano della distinzione fra causalità materiale e causalità giuridica (quest'ultima da riferirsi agli articolo 1223 e 2056 c.c.), che sostanzia lo statuto dell'obbligazione risarcitoria (come più di recente ribadito da Cass., S.U., n. 33645/2022, segnatamente al § 4.6.), rispetto al quale la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte afferma, come detto, la non risarcibilità di un danno in re ipsa anche in riferimento alla lesione di diritti fondamentali. Ne deriva, pertanto, che la censura di parte ricorrente – nel predicare l'esistenza di un danno in re ipsa, in quanto sussistente sulla base della sola lesione del “diritto al voto” (articolo 48 Cost.) ad esso cagionata dalla mancata iscrizione nelle liste elettorali da parte del Comune di (OMISSIS), sebbene dovuta - non è tale da scalfire la decisione assunta dal giudice di appello, essendo questa fondata sull'assenza di prova di un danno (conseguenza) in concreto patito dallo stesso T.T.. 6. – Il rigetto del primo motivo è tale da rendere inammissibili le doglianze svolte con il secondo e il terzo motivo di ricorso, i quali non censurano la ratio decidendi dell'assenza di prova di un “danno … in concreto” patito dal T.T. (essendo calibrati a denunciare profili diversi: quello della asserita assimilazione dell'astensione all'esercizio del diritto di voto e quello della prova, spettante al Comune eccipiente, che il “T.T. quel giorno non si fosse recato a votare”), così da non poter comunque comportare, se pur in ipotesi fondati, la cassazione della sentenza impugnata, giacché consolidatasi in giudicato la statuizione sulla insussistenza di un danno risarcibile. 7. – Il quarto motivo è infondato. Varrà, anzitutto, considerare che la reciproca soccombenza è configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un'unica domanda articolata in più capi (Cass., S.U., n. 32061/2022). Nella specie, l'accertamento dell'illegittimità del ritardato reinserimento del nominativo del ricorrente nelle liste elettorali non vale a fondare una soccombenza reciproca tra le parti in causa, giacché il T.T. ha proposto un'unica e unitaria domanda di risarcimento danni, chiedendo, sul presupposto dell'illegittima condotta del Comune convenuto, che quest'ultimo fosse condannato a “risarcire il danno da lui patito, da liquidarsi in euro 10.000,00 o somma nella maggiore o minore ritenuta di giustizia” (cfr. p. 5 del ricorso). Né è pertinente il richiamo del ricorrente alla sentenza di questa Corte n. 8878/2014, giacché in quel caso l'azione proposta non era un'azione di risarcimento danni, ma un'azione meramente dichiarativa sull'impossibilità di esercitare in modo libero e diretto il diritto di voto in elezioni politiche in ragione di una certa conformazione della legge elettorale: azione che venne accolta (all'esito di un giudizio costituzionale di invalidazione di detta legge elettorale), con conseguente favore delle spese, per l'appunto, a beneficio delle parti vittoriose, in applicazione dell'articolo 91 c.p.c. 8. – Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.600,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'articolo 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.