In materia di revoca del lavoro di pubblica utilità, il giudice deve scomputare dalla pena residua il periodo di lavoro già espletato secondo i criteri del d.lgs. n. 274/2000, articolo 58.
Il caso trae origine dalla vicenda di un condannato che, dopo aver iniziato a scontare la pena sostitutiva, ne interrompeva l'esecuzione. L'U.E.P.E. comunicava la sospensione arbitraria e il GIP disponeva la revoca della pena sostitutiva, ripristinando integralmente la pena originaria detentiva. Con ricorso per cassazione il difensore ha eccepito l'erronea modalità di calcolo utilizzata dal giudice per individuare la pena residua da espiare dopo la revoca, evidenziando la necessità di sottrarre dal quantum originario il periodo già espiato in lavori socialmente utili. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la revoca della sanzione sostitutiva comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata applicando i criteri di ragguaglio di cui all'articolo 58 d.lgs. 274/2000. In particolare: il lavoro di pubblica utilità espletato costituisce espiazione di pena detentiva e non può essere ignorato nel computo della pena residua; la revoca non ha efficacia retroattiva, il periodo di attività regolarmente svolta deve essere sempre scorporato dalla pena da espiare. Inoltre, la deroga introdotta dall'articolo 186, comma 9-bis, Codice della Strada, è limitata alla durata edittale del lavoro di pubblica utilità, ma non incide sul criterio generale di computo della pena sostitutiva. Così, il Collegio ha enunciato il seguente principio di diritto: «L'inosservanza degli obblighi inerenti al lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l'adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al d.lgs. n. 274 del 2000, articolo 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie». Il principio stabilisce appunto che, quando una persona condannata alla pena del lavoro di pubblica utilità viola gli obblighi connessi (ad esempio interrompendo la prestazione senza giustificato motivo), il giudice può revocare la misura sostitutiva e ripristinare la pena originaria (di norma quella detentiva). Tuttavia, il giudice non può ignorare il periodo di lavoro già svolto regolarmente: deve calcolare, applicando il criterio di ragguaglio previsto dall'articolo 58 d.lgs. 274/2000 (che stabilisce come convertire il lavoro di pubblica utilità in giorni di pena detentiva), la porzione di pena già “scontata” grazie al lavoro espletato. Solo la parte residua della pena (che corrisponde ai giorni di lavoro non svolti) potrà essere espiata in forma detentiva. In sostanza, la revoca non ha effetto retroattivo: il comportamento positivo (anche se parziale) del condannato deve essere valorizzato, e la risposta sanzionatoria non può essere duplicata né aggravata irragionevolmente, coerentemente con i principi di proporzionalità e finalità rieducativa della pena. Il provvedimento impugnato è stato dunque, annullato con rinvio, proprio per non essersi attenuto a tali criteri, ritenendo la Corte che il comportamento in parte conforme del condannato non possa essere sanzionato con la totale perdita del periodo già espiato, secondo una logica conforme alla finalità rieducativa della pena.
Presidente De Marzo - Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 7 luglio 2022 (irrevocabile il 17 ottobre 2022), il Tribunale di Novara, in esito a rito abbreviato, aveva condannato M. G. alla pena di quattro mesi di arresto e 2.000,00 euro di ammenda in relazione al reato di cui all'articolo 186, comma 7, cod. strada, sostituita ex articolo 186, comma 9-bis, dello stesso codice con lo svolgimento di 292 ore complessive di lavori di pubblica utilità presso il Comune di Novara. 2. Con nota del 25 luglio 2024, l'U.E.P.E. di quella città comunicava che il condannato, dopo aver prestato 181 ore lavorative, aveva interrotto l'esecuzione della pena sostitutiva adducendo motivi di lavoro e cessando, poi, di presentarsi presso l'ente destinatario delle sue prestazioni. 3. Con l'ordinanza in epigrafe, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Novara, in funzione di giudice dell'esecuzione, preso atto della comunicazione dell'U.E.P.E. territoriale, sulla richiesta del P.M., disponeva la revoca della pena sostitutiva, con rispristino della pena principale. 4. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato, per il tramite del difensore, deducendo l'illegittimità del provvedimento per aver ripristinato, nella sua integralità, la pena originaria senza tener conto delle ore di lavoro svolto. 5. Il Procuratore generale di questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio del provvedimento impugnato, alla luce del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la revoca della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, disposta per inosservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell'attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall'articolo 58 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. 2. Il Collegio intende dare continuità alla consolidata esegesi di legittimità, secondo cui la revoca del lavoro di pubblica utilità, disposta per mancata osservanza delle prescrizioni, comporta il ripristino della sola pena residua, calcolata sottraendo dalla pena complessivamente inflitta il periodo di positivo svolgimento dell'attività, mediante i criteri di ragguaglio dettati dall'articolo 58 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Sez. 1, n. 33391 del 12/04/2024, Fronterotta, non mass.; Sez. 4, n. 4176 del 28/01/2022, Guarino, Rv. 282579 - 01; Sez. 1, n. 32416 del 31/03/2016, Bergamini, Rv. 267456 - 01; Sez. 1, n. 42505 del 23/09/2014, Di Giannatale, Rv. 260131 - 01). Nelle menzionate decisioni si sono esplicitate le ragioni, che è utile ripercorrere, per le quali si è affermata la non retroattività della revoca. 2.1. Si è osservato, in primo luogo, che entrambi gli articolo 186 e 187 cod. strada operano il richiamo esplicito, in quanto compatibile, all'istituto del lavoro di pubblica utilità come disciplinato dal d. lgs. n. 274 del 2000, che regola il procedimento davanti al Giudice di pace e prevede il pannello di sanzioni irrogabili per i reati attribuiti alla sua competenza. In particolare, si è posto in rilievo il disposto dell'articolo 58, secondo il quale ad ogni effetto giuridico l'obbligo di permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità si considerano come pene detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria. Già di per sé, si è detto, la norma nel suo tenore testuale indirizza a ritenere che, se l'attività imposta sia stata svolta regolarmente nei termini prescritti per un lasso temporale apprezzabile, quel periodo debba considerarsi quale espiazione di pena equiparata alla detenzione e non possa essere posto nel nulla come mai avvenuto con la riviviscenza della sanzione originaria. 2.1.1. Si sono, poi, ricavate utili indicazioni esegetiche, al riguardo, nella sentenza n. 2 del 2008 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 157 cod. pen., quinto comma, come sostituito dall'articolo 6 della legge n. 251 del 2005, sollevate, in riferimento all'articolo 3 Cost., quanto al regime di prescrizione applicabile ai reati di competenza del Giudice di pace che siano puniti con la pena della detenzione domiciliare o del lavoro di pubblica utilità; si è rilevato trattarsi di sanzioni applicabili in alternativa ad arresto ed ammenda in base ad un meccanismo di conversione preventivamente ed astrattamente stabilito dal legislatore, il quale, in base alla testuale previsione dell'articolo 58, comma 1, d.lgs. n. 274 del 2000, ha sancito una equiparazione tra pena sostituita e pena sostitutiva che è destinata ad operare anche per istituti di carattere sostanziale che non riguardano la fase applicativa della sanzione, come nel caso che si debba stabilire se per un reato di competenza del giudice di pace sia ammesso o non il ricorso all'oblazione . Si è, dunque, affermato che la disposizione scrutinata, laddove stabilisce che, «per ogni effetto giuridico», le pene dell'obbligo di permanenza domiciliare e del lavoro socialmente utile si considerano detentive della specie corrispondente a quella della pena originaria, è norma di natura speciale, cioè appositamente dettata per i reati di competenza del Giudice di pace, sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in questione, quando siano per essi previste anche le pene «para-detentive», alla generalità dei reati puniti con pene detentive. Tale criterio di ragguaglio è posto senza distinzioni, per tutti i casi in cui l'applicabilità di una norma o di un istituto dipende dalla durata e dalla specie della pena . Si è ritenuto, nelle decisioni di legittimità richiamate, che tali riflessioni rafforzino l'opinione secondo la quale la limitazione della libertà personale subita da chi abbia espletato attività lavorativa nell'interesse della collettività costituisce per l'ordinamento sanzione detentiva espiata e non misura alternativa alla carcerazione secondo la disciplina dettata per gli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario. 2.1.2. Si è posta, inoltre, in rilievo, sul piano sistematico, la disposizione dell'articolo 66 della legge di depenalizzazione n. 689 del 1981, la quale, secondo il testo poi sostituito dall'articolo 71, comma 1, lett. p), d.lgs. n. 150 del 2022, stabiliva, in caso di violazione di solo una delle prescrizioni inerenti alla semidetenzione e alla libertà controllata, che «la restante parte della pena si converte nella pena detentiva sostituita», formula, quest'ultima, nella sostanza mantenuta anche nel testo novellato, seppure quale conseguenza di una «violazione grave o reiterata degli obblighi e delle prescrizioni» (si stabilisce, infatti, che, in conseguenza della revoca, «la parte residua si converte nella pena detentiva sostituita ovvero in altra pena sostitutiva più grave»); trattandosi di limitazioni della libertà personale, applicate in sostituzione di pene detentive brevi, la previsione della loro conversione per il futuro e quindi con effetti ex numc nella sanzione originaria sostituita autorizza a ritenere che, anche nel caso delle pene para-detentive , come il lavoro di pubblica utilità, quando la loro attuazione sia avvenuta in concreto almeno per un periodo successivo all'applicazione, il ripristino non operi retroattivamente. La condivisa caratteristica di sanzione applicata in sostituzione di altra e la previsione della conversione nella sanzione sostituita, si è chiarito, depongono per un'identità di effetti, almeno nel caso in cui il condannato si sia sottoposto allo svolgimento del lavoro per parte delle ore prescritte. Del resto, anche la previsione dell'articolo 72 della legge n. 689 del 1981, nel testo come sostituito dall'articolo 71, comma 1, lett. v), d. Igs. n. 150 del 2022, che riecheggia il testo precedente riguardo agli effetti da prodursi per il futuro, stabilisce, al quarto comma, che la «condanna a pena detentiva per un delitto non colposo commesso dopo l'applicazione ovvero durante l'esecuzione di una pena sostitutiva, diversa dalla pena pecuniaria, ne determina la revoca e la conversione per la parte residua nella pena detentiva sostituita, quando la condotta tenuta appare incompatibile con la prosecuzione della pena sostitutiva, tenuto conto dei criteri di cui all'articolo 58». 2.1.3. A tali considerazioni deve accompagnarsi quella ulteriore, secondo la quale lo stesso testo legislativo appronta delle conseguenze sanzionatorie in caso di violazione degli obblighi relativi al lavoro di pubblica utilità, in quanto all'articolo 56 d.lgs. n. 274 del 2000, richiamato dall'articolo 72, secondo comma, l. n. 689 del 1981 nel testo vigente, si dispone che «il condannato che senza giusto motivo si allontana dai luoghi in cui è obbligato a rimanere o che non si reca nel luogo in cui deve svolgere il lavoro di pubblica utilità, o che lo abbandona, è punito con la reclusione fino ad un anno», incriminando come delitto la mancata prestazione o l'abbandono del luogo di svolgimento dell'attività. Siffatte previsioni, si è notato, e la natura giuridica dell'istituto del lavoro di pubblica utilità quale pena, avente un contenuto afflittivo perché limitativo della libertà personale, imponendo la prestazione di attività lavorativa gratuita in condizioni e con obblighi prestabiliti da rispettare, inducono ad una lettura coordinata dell'articolo 56 citato col disposto degli articolo 186 e 187 cod. strada, dal momento che l'irrogazione di sanzione detentiva per l'infrazione all'obbligo di prestare il lavoro che intervenga dopo un periodo di regolare esecuzione e la revoca ex tunc dell'ammissione al lavoro di pubblica utilità con l'applicazione della pena in precedenza sostituita danno luogo ad una gravosa duplicazione punitiva. In altri termini, il comportamento del condannato inadempiente che non si sia del tutto sottratto all'esecuzione dell'attività impostagli a titolo di sanzione para-detentiva, ma ne abbia violato gli obblighi dopo una prima fase esecutiva caratterizzata da svolgimento regolare, susciterebbe una duplice reazione dell'ordinamento, costituita, da un lato, dalla sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell'articolo 56 d.lgs. n. 274 del 2000 e, dall'altro, dal prolungamento della durata della pena originaria sostituita per effetto della revoca. Per evitare tale irragionevole inasprimento punitivo, che pone nel nulla il pur corretto comportamento esecutivo tenuto, seppur temporalmente limitato, e che finirebbe per contrastare con la finalità rieducativa dell'imputato, cui anche il lavoro di pubblica utilità tende, deve, quindi, ribadirsi il seguente condiviso principio di diritto: «L'inosservanza degli obblighi inerenti al lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l'adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui ai d.lgs. n. 274 del 2000, articolo 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie». 3. Quanto ai criteri di computo della pena sostitutiva, deve rilevarsi, per completezza, che la previsione dell'articolo 186, comma 9-bis, cod. strada, secondo cui il lavoro di pubblica utilità deve avere una durata corrispondente a quella della pena detentiva irrogata e della pena pecuniaria convertita, ragguagliando l'importo di 250,00 euro a un giorno di lavoro di pubblica utilità, introduce una deroga all'articolo 54, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui afferma: «In deroga a quanto previsto dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena pecuniaria ragguagliando 250 euro ad un giorno di lavoro di pubblica utilità». 3.1. Tale deroga, però, riguarda la sola parte relativa alla previsione della durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità, compresa da un minimo di dieci giorni a un massimo di sei mesi. La disposizione dell'articolo 186, comma 9-bis, cod. strada, invece, non introduce alcuna deroga al criterio di computo della pena sostitutiva stabilito dall'articolo 54, comma 5, del d.gs. n. 274 del 2000, secondo cui un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro; criterio che deve ritenersi ugualmente valevole nell'ipotesi di applicazione della pena del lavoro di pubblica utilità a seguito di condanna per il reato previsto dall'articolo 186 cod. strada. 3.2. In questi termini, il sistema derogatorio previsto dall'articolo 186, comma 9-bis, cod. strada, ai fini della sostituzione della pena detentiva e pecuniaria, rispetto al combinato disposto degli articolo 54,55 e 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, non coinvolge il criterio generale di computo prescritto dal quinto comma dell'articolo 54 dello stesso decreto, rilevando esclusivamente in relazione alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità. Va, pertanto, ribadito il seguente ulteriore principio di diritto già affermato dalla Corte di legittimità, a tenore del quale: «In tema di reato di guida in stato di ebbrezza, l'articolo 186, comma 9-bis, cod. strada introduce una deroga alla durata edittale della pena del lavoro di pubblica utilità indicata dall'articolo 54, comma 2, d.lgs. n. 274 del 2000, ma non anche al criterio di computo della pena stessa sostitutiva stabilito dal comma quinto dello stesso articolo» (cfr. Sez. 1, n. 22167 del 13/05/2015, Corsanti, Rv. 263789 - 01; Sez. 1, n. 64 del 17/10/2013, dep. 2014, P.M. in proc. Piccone, Rv. 258391 - 01). 4. Il provvedimento in verifica non si è attenuto agli illustrati criteri interpretativi, poiché ha disposto la revoca retroattiva della pena sostitutiva senza tener conto del periodo di lavoro espletato dal ricorrente sino al momento della commessa trasgressione, con ciò incorrendo in violazione di legge. 5. Per le esposte considerazioni, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla determinazione della pena residua da espiare, con rinvio per nuovo esame sul punto al G.I.P. del Tribunale di Novara, che si atterrà ai principi di diritto enunciati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena residua da espiare, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Novara - Ufficio G.I.P.