Nullità della notifica del rinvio a giudizio: effetti della sanatoria e liquidazione spese della parte civile

La sentenza in esame riafferma la centralità della regolarità delle notifiche, ma ne riconosce la sanabilità in caso di conoscenza effettiva e partecipazione al processo, con conseguente rigetto delle doglianze fondate sulla nullità della notifica. Parallelamente, ribadisce il principio della liquidazione analitica delle spese in favore della parte civile, garantendo la trasparenza del procedimento e la tutela della parte vittoriosa.

Il tema della nullità derivante da omessa o irregolare notifica del decreto di rinvio a giudizio è da sempre centrale nella giurisprudenza di legittimità, specie alla luce delle frequenti contestazioni in sede di impugnazione circa la regolarità del contraddittorio. Secondo il costante orientamento della Corte di Cassazione, la nullità della notificazione del decreto di rinvio a giudizio – ai sensi dell'articolo 179 c.p.p. – non assume i caratteri della nullità assoluta, ma è soggetta a regime intermedio o addirittura relativa, a seconda delle circostanze concrete. In particolare, si ritiene sanata qualora l'imputato, nonostante la notifica sia avvenuta a un indirizzo non corrispondente alla residenza effettiva, abbia comunque ricevuto altri atti presso il medesimo luogo o si sia personalmente presentato all'udienza, manifestando così la piena conoscenza del procedimento e la possibilità di esercitare il diritto di difesa. Tale principio trova conferma in numerose pronunce. In modo analogo, anche la disciplina processualpenalistica ammette la sanatoria delle nullità non assolute per raggiungimento dello scopo, escludendo la rilevabilità d'ufficio di tali vizi in presenza di comparizione dell'imputato o della parte interessata. Sotto il profilo pratico, la ratio di tale indirizzo è quella di evitare che la nullità della notifica, in assenza di un concreto pregiudizio per il diritto di difesa, possa paralizzare la prosecuzione del processo. La Cassazione, anche nella sentenza in oggetto, ha evidenziato come la sanatoria opera con efficacia retroattiva, neutralizzando ogni effetto negativo della nullità, qualora dall'atto emerga la conoscenza effettiva del procedimento da parte dell'imputato: «La nullità è sanata con effetto retroattivo - e dunque non comporta effetti negativi sul notificante - se l'atto raggiunge il suo scopo: ad esempio, in caso di nullità della notifica di un atto processuale (come l'appello), la costituzione in giudizio dell'appellato è sufficiente perché il vizio di notifica debba ritenersi sanato e l'appello regolarmente proposto. È anche sanata dalla rinnovazione della notifica cui la parte istante provveda spontaneamente o in esecuzione dell'ordine impartito dal giudice (Cass. 3 luglio 2013 n. 16684)». Il secondo profilo affrontato dalla sentenza riguarda la liquidazione delle spese alla parte civile in caso di rigetto del ricorso per nullità della sentenza di primo e secondo grado per vizi di notifica. In base all'articolo 541 c.p.p., la condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte civile deriva dal principio della soccombenza, che trova applicazione anche nei giudizi di impugnazione. La Corte sottolinea che la liquidazione deve avvenire distinguendo tra onorari del difensore e altre spese necessarie, ivi compresi contributo unificato, spese generali, esborsi, contributo previdenziale e Iva, se dovuti: «La Corte liquida le spese della fase di giudizio distinguendo gli onorari del difensore e le altre spese necessarie alla partecipazione al processo della parte vittoriosa, ivi compreso il contributo unificato, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre il contributo previdenziale e l'imposta sul valore aggiunto, se dovuti. A tal fine, il difensore deposita la nota spese per consentirne alla Corte la liquidazione che vi deve comunque provvedere anche in assenza. Le spese liquidate non devono essere manifestamente sproporzionate rispetto al diritto sostanziale dedotto in giudizio (Cass. 31 luglio 2009 n. 17868)». La pronuncia, dunque, richiama un principio di trasparenza e congruità nella liquidazione delle spese, ribadendo che la mera indicazione dell'importo complessivo senza la specificazione delle singole poste viola i criteri di controllo sulla correttezza della liquidazione.

Presidente Criscuolo - Relatore Di Geronimo Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, confermava la condanna dell'imputato in ordine al reato di peculato. 2. Nell'interesse del ricorrente è stato formulato un unico motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza di primo grado e di quella di appello, stante l'omessa notifica del decreto che disponeva il giudizio. La difesa evidenzia che: - la richiesta di rinvio a giudizio veniva ritualmente notificata, l'imputato non partecipava all'udienza preliminare, venendo dichiarato assente; - il decreto di rinvio a giudizio veniva notificato al difensore d'ufficio, dopo che era stata vanamente tentata la notifica all'imputato all'indirizzo di Via (OMISSIS); - la notifica all'imputato era stata eseguita ad un indirizzo errato, essendo il predetto residente in Via (OMISSIS); - il difensore deduceva la nullità dinanzi al Tribunale di Tivoli all'udienza del 18 giugno 2021; - la questione veniva riproposta dinanzi alla Corte di appello che, tuttavia, la riteneva infondata, sul presupposto che l'imputato fosse comparso personalmente (in primo grado) all'udienza del 24 gennaio 2023. 2.1. Il ricorrente contesta la soluzione recepita in appello, evidenziando che la notifica del decreto è avvenuta presso un luogo del tutto diverso da quello di residenza dell'imputato, sicché non si verterebbe nell'ipotesi di nullità della notifica, bensì di omissione della vocatio in iudicium che, ai sensi dell'articolo 179, comma 1, cod. proc. pen., integra una nullità assoluta e insanabile. Ciò posto, sarebbe del tutto irrilevante che l'imputato sia comparso nelle more della celebrazione del giudizio di primo grado, posto che tale condotta processuale risulterebbe inidonea a sanare la nullità ex articolo 184 cod. proc. pen.; del resto, la sopravvenuta presenza dell'imputato avrebbe impedito la piena attuazione del diritto di difesa, essendo preclusione quelle attività preliminari, quali il deposito della lista testi, funzionali all'effettività del contraddittorio. 3. Il ricorso è stato trattato in forma cartolare Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Occorre dar atto che, nella sentenza di primo grado, si dà atto che l'imputato - dopo la celebrazione di cinque udienze nel corso delle quali il processo non veniva trattato - compariva all'udienza del 24.1.2023 e, stante il mutamento della composizione del collegio, si procedeva alla rinnovazione dell'apertura del dibattimento e le parti concordavano l'acquisizione delle prove già assunte. La Corte di appello ha ritenuto che la comparizione dell'imputato abbia determinato la sanatoria della nullità derivante dal vizio di notifica, implicitamente qualificando la stessa come a regime intermedio. Si tratta di una soluzione condivisibile, nella misura in cui nel caso di specie non si verte nell'ipotesi dell'omessa notifica ma, al più, della notifica irregolare. Deve premettersi, infatti, che il decreto di rinvio a giudizio risulta notificato allo stesso indirizzo ove l'imputato aveva ricevuto, a mani proprie, l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, né il ricorrente indica l'atto dal quale dovrebbe emergere la diversa residenza e la sua comunicazione in corso di giudizio. A diverse conclusioni non conduce il fatto, pur dedotto dal ricorrente, secondo cui il decreto di sequestro è stato notificato in epoca precedente in un diverso indirizzo, trattandosi di atto che precede la notifica - andata a buon fine con consegna a mani proprie - dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare. 3. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. Non deve disporsi, invece, la rifusione delle spese in favore della parte civile. In base alla più recente giurisprudenza in materia, infatti, non è sufficiente a far maturare il diritto alla liquidazione la mera presentazione di conclusioni scritte, senza che ciò si sia tradotto in un concreto ed effettivo apporto alla definizione del giudizio. Deve ribadirsi, infatti, che la disposizione di cui all'articolo 541, comma 1, cod. proc. pen. presuppone che il giudice valuti la qualità della partecipazione al processo della parte civile, avendo quest'ultima l'onere di coltivare le proprie pretese fornendo un fattivo contributo alla dialettica del contraddittorio, sicché non può esservi condanna dell'imputato alla rifusione delle spese in favore della parte civile quando il difensore non abbia svolto alcuna attività e si sia limitato a depositare telematicamente conclusioni scritte e nota spese (Sez.5, n. 1144 del 7/11/2023, dep.2024, Rv.285598, relativa ad un giudizio trattato in forma cartolare). Ad ulteriore conferma di tale orientamento, va richiamato anche il risalente principio affermato da Sez. U, n. 5466 del 28/01/2004, Gallo, Rv. 226716-01, secondo cui, nel procedimento che si svolge dinanzi alla Corte di cassazione in camera di consiglio nelle forme previste dagli articolo 610 e 611 cod. proc. pen., ovvero con rito camerale c.d. non partecipato , quando il ricorso dell'imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, ne va disposta la condanna al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile, purché, in sede di legittimità, la stessa parte civile abbia effettivamente esplicato, nei modi e nei limiti consentiti, un'attività diretta a contrastare la pretesa dell'imputato per la tutela dei propri interessi. Sempre in applicazione del suddetto principio, anche di recente le Sezioni unite hanno ritenuto che la liquidazione delle spese, processali riferibili alla fase di legittimità in favore della parte civile non è dovuta, se essa non ha fornito alcun contributo, essendosi limitata a richiedere la dichiarazione d'inammissibilità del ricorso, od il suo rigetto, con vittoria di spese, senza contrastare specificamente i motivi di impugnazione proposti (Sez.U, n. 877 del 14/7/2022, dep.2023, Sacchettino, in motivazione). Alla luce di tali precedenti, pertanto, è condivisibile il richiamato principio secondo cui la liquidazione delle spese in favore della parte civile presupponga in ogni caso la valutazione del positivo apporto fornito alla definizione del giudizio, sicché non deve procedersi alla liquidazione nel caso in cui la parte civile si limiti a chiedere la conferma della sentenza e la condanna alla rifusione delle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Nulla per le spese richieste dalla parte civile.