Con la sentenza in commento la Suprema Corte sottolinea la necessità di dare priorità al principio del favor impugnationis così da evitare formalismi che possano pregiudicare il diritto di difesa in presenza di errori meramente formali nell’individuazione dell’indirizzo PEC.
La vicenda trae origine dal rigetto, da parte della Corte d'appello di Salerno, dell'istanza di restituzione nel termine per il deposito dell'atto di appello, ritenendo che il difensore avesse erroneamente inviato l'impugnazione a un indirizzo telematico non compreso nelle liste ministeriali, con successivo invio all'indirizzo corretto a termine scaduto. Il ricorrente ha dedotto di aver agito sulla base di indicazioni fuorvianti fornite dalla Cancelleria, sottolineando la necessità – secondo il principio del favor impugnationis – di un'interpretazione sostanzialistica dell'istituto di restituzione nel termine. La Suprema Corte, per dirimere la questione, richiama la normativa vigente: inizialmente l'articolo 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, convertito in l. n. 176/2020, che prevedeva l'inammissibilità in caso di invio a indirizzo PEC diverso da quello ministerialmente indicato, e poi l'articolo 87-bis d.lgs. n. 150/2022, che disciplina transitoriamente le comunicazioni tra parti private e uffici giudiziari, individuando gli indirizzi PEC abilitati tramite provvedimento DGSIA. Ciò posto, la Cassazione, in armonia con quanto statuito dalla Sez. 5, n. 24953/2021, e dalla Sez. 6, n. 4633/2023, ribadisce che non costituisce causa di inammissibilità l'invio dell'atto a un indirizzo PEC dell'ufficio giudiziario diverso da quello specificamente designato per la ricezione, purché l'indirizzo utilizzato sia comunque compreso nell'elenco degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, pubblicato dal DGSIA. L'inammissibilità quindi, sussiste solo se l'invio avviene a un indirizzo non riferibile all'ufficio secondo il provvedimento direttoriale. Nel caso di specie, gli indirizzi utilizzati erano effettivamente riferibili all'ufficio giudiziario ed elencati nel provvedimento DGSIA, pertanto la Corte ha annullato senza rinvio l'ordinanza impugnata, restituendo la parte nel termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Salerno. La decisione ribadisce così il principio di favor impugnationis e la necessità di evitare formalismi che pregiudichino il diritto di difesa in presenza di errori meramente formali nell'individuazione dell'indirizzo PEC.
Presidente Di Stefano - Relatore Giorgi Ritenuto in fatto 1. Con l'ordinanza in epigrafe la Corte d'appello di Salerno ha respinto l'istanza di restituzione nel termine per il deposito dell'atto di appello avverso la sentenza emessa in data 3 luglio 2024 dal Tribunale di Salerno, ritenendo che il difensore avesse errato nel primo deposito dell'impugnazione, inoltrando a un indirizzo telematico esistente ma estraneo all'elenco ministeriale e che il successivo invio al corretto indirizzo aveva raggiunto l'ufficio a termine quindicinale ormai scaduto. Riteneva non dirimenti le erronee indicazioni della Cancelleria, di cui il difensore si doleva senza fornire al riguardo adeguata dimostrazione. 2. Ricorre il Difensore sulla base di un unico articolato motivo, con cui deduce di avere depositato in data 18 luglio 2024 l'atto di appello avverso la sentenza del Tribunale tramite PEC inviata a depositoattipenali.tribunale.salerno@giustiziacert.it e penale. tribunale.salerno@giustiziacert.it. sulla base di indicazioni fuorviano fornite dalla Cancelleria; rappresenta di essere venuto a conoscenza solo in data 19 novembre 2024 che l'appello dovesse essere depositato presso diverso indirizzo del medesimo Tribunale (depositoattipenali1.tribunale.salerno@giustiziacert.it) e di avere immediatamente effettuato un nuovo deposito presso l'indirizzo PEC corretto nella stessa data, allegando le ricevute di spedizione e consegna dell'appello risalenti al 18 luglio 2024, data in cui spirava il termine per l'impugnazione. Sottolinea che per il principio del favor impugnationis occorre privilegiare una interpretazione sostanzialistica dell'istituto della restituzione nel termine che, al di là del formalismo, tenga conto della volontà effettiva manifestata dalla parte impugnante. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato, anche se per motivi non del tutto coincidenti con quelli dedotti nel ricorso, che, comunque, devolve alla Corte il tema della inammissibilità dell'impugnazione inviata via PEC a un indirizzo diverso da quello dell'Ufficio che ha emesso il provvedimento. Irrilevante è, infatti, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente a favore della tesi che, comunque, l'atto di impugnazione aveva raggiunto lo scopo, dal momento che detto principio vuole che, nei termini, l'atto di impugnazione sia comunque pervenuto al giudice cui era destinato. Non è così, invece, nel caso di specie, ove il primo e non corretto invio è stato effettuato il 18 luglio 2024, ultimo giorno utile per il deposito, mentre il successivo inoltro al corretto indirizzo è avvenuto solo il successivo 19 novembre, a termine ampiamente scaduto. 2. Va premesso che l'originaria disciplina per il deposito telematico degli atti d'impugnazione era contenuta nell'articolo 24 comma 6-sexies del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge 18 dicembre 2020, n. 176, che prevedeva, alla lett. e), l'inammissibilità dell'impugnazione «quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato per l'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato dal provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4». Già nella vigenza di tale disposizione, la giurisprudenza di legittimità aveva ritenuto che non costituisse causa di inammissibilità dell'impugnazione la sua trasmissione ad un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) dell'ufficio giudiziario diverso da quello indicato come abilitato dal provvedimento organizzativo del Presidente del Tribunale, ma compreso nell'elenco allegato al provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, contenente l'individuazione degli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari dei depositi di cui all'articolo 24, comma 4, d.l. n. 137 del 2020, in quanto tale sanzione processuale è prevista dall'articolo 24, comma 6-sexies, lett. e), d.l. cit. esclusivamente in caso di utilizzo di indirizzi PEC di destinazione non ricompresi neppure nell'allegato del citato provvedimento direttoriale (Sez. 5, n. 24953 del 10/05/2021, Garcia, Rv. 281414). In attesa del pieno funzionamento del portale le comunicazioni tra parti private e uffici giudiziari sono state regolate, in via transitoria, dall'articolo 87-bis d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150 del 2022, inserito in sede di conversione con modificazioni dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, per cui, sino all'entrata a regime del processo penale telematico, è consentito il deposito con valore legale effettuato presso gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari destinatari, «indicati in apposito provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati, pubblicato nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia». Ai commi 3, 4 e 6, si prevede che l'atto di impugnazione - che non sia una richiesta di riesame o l'appello contro ordinanze in materia di misure cautelari personali o reali - debba essere trasmesso secondo le modalità indicate dal citato provvedimento del DGSIA di cui comma 1, all'indirizzo PEC” dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, del pari «individuato ai sensi del comma 1». La norma transitoria prevede anche specifiche ipotesi di inammissibilità. In particolare, stabilisce che l'impugnazione è inammissibile: «b) quando l'atto è trasmesso da un indirizzo di posta elettronica certificata che non è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui al comma 1; c) quando l'atto è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o, nel caso di richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari, personali o reali, a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui al comma 1, all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello». È dunque fondamentale il richiamo della norma all'indirizzo PEC «non riferibile» all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato. Ne deriva che non si verifica inammissibilità se l'atto d'impugnazione sia inviato non all'indirizzo specificamente designato per la ricezione, ma ad altro indirizzo PEC dello stesso ufficio, sempre che indicato nel provvedimento del Direttore Generale per i sistemi informativi automatizzati (Sez. 6, n. 4633 del 09/11/2023, dep. 2024, Cutrignelli, Rv. 286056). Nel caso di specie, l'atto d'impugnazione è stato inviato agli indirizzi depositoattipenali1.tribunale.salerno@giustiziacert.it e penale. tribunale.salerno@giustiziacert.it, anziché all'indirizzo depositoattipenali1. tribunale.salerno@giustiziacert.it. Si tratta di indirizzi PEC riferibili allo stesso ufficio ed elencati nel provvedimento direttoriale, come è verificabile sul Portale del Ministero della Giustizia. 3. Ne deriva che deve ritenersi erroneamente dichiarata l'inammissibilità del gravame e l'ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio, restituendo L.N. nel termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Salerno del 3 luglio 2024. Detto termine decorrerà dalla comunicazione del presente provvedimento. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e restituisce N.L. nel termine per impugnare la sentenza del Tribunale di Salerno del 3/7/2024. Termine decorrente dalla comunicazione del presente provvedimento.