L'autonomia del giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione

«Il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che sono stati esclusi dal giudice della cognizione».

Nel caso di specie, la Corte d'appello di Bari aveva rigettato la domanda di riparazione avanzata da soggetto assolto nei due gradi di merito dal reato di cui agli articolo 74 e 73 d.P.R. 309/1990. La Corte territoriale, nonostante l'assoluzione, riteneva che l'uomo avesse intrattenuto frequentazioni ambigue come emerso dalle intercettazioni telefoniche nel corso delle indagini preliminari. La Suprema Corte ha però, sottolineato che, pur essendo i due giudizi (penale e riparatorio) formalmente e sostanzialmente autonomi, il giudice della riparazione non può ritenere provati fatti che siano stati esclusi con sentenza definitiva dal giudice penale, soprattutto laddove la fonte probatoria sia identica e sia stata già oggetto di valutazione nel giudizio di merito. In particolare, la Corte richiama il principio secondo cui la presenza di colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione deve emergere da elementi indiziari diversi o ulteriori rispetto a quelli già valutati nel giudizio di assoluzione, ovvero da captazioni diverse o non sconfessate nella loro valenza dimostrativa dalle sentenze penali. In attuazione di tali principi, la Cassazione ha annullato l'ordinanza della Corte d'appello di Bari, rimettendo per nuovo esame la valutazione delle condotte contestate all'istante e invitando a verificare se la colpa grave possa essere fondata su elementi diversi da quelli già esclusi in sede penale. Il giudizio riparatorio deve infatti, essere autonomo, ma non può sovrapporsi o contraddire le valutazioni già cristallizzate in sentenza passata in giudicato. Inoltre, la prova della colpa grave, ostativa al risarcimento, deve basarsi su elementi che non siano già stati esclusi in modo esplicito dal giudice della cognizione. È quindi, necessario un attento esame degli atti, al fine di individuare eventuali ulteriori elementi indiziari che possano fornire autonoma dimostrazione della condotta colposa.

Presidente Vignale - Relatore Serrao Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Bari, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la domanda di riparazione per ingiusta detenzione proposta nell'interesse di D.L.M. in relazione alla privazione della libertà personale subita, nella forma della custodia cautelare in carcere, dal 3 agosto 2012 all'11 giugno 2013 e, nella forma degli arresti domiciliari, sino al 3 dicembre 2013 in relazione a un procedimento nel quale era indiziato dei delitti di cui agli articolo 74 e 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. 2. La Corte territoriale ha rigettato l'istanza ritenendo che, nonostante il D.L.M. fosse stato assolto dalle imputazioni, egli avesse intrattenuto frequentazioni ambigue, emerse grazie alle intercettazioni telefoniche nel corso delle indagini preliminari, dalle quali risultava che svolgesse le mansioni di autista di F.G., coinvolto in traffici illeciti, coadiuvandolo anche nella gestione del traffico di droga, in quanto manteneva i contatti con i fornitori delle sostanze stupefacenti e con gli altri associati. 3. D.L.M. propone ricorso per cassazione censurando l'ordinanza con unico, articolato motivo sia per inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 314 cod. proc. pen., sia per vizio di motivazione. Secondo la difesa, i vizi dell'ordinanza si sostanziano nell'avere la Corte di appello individuato la condotta ostativa sulla base del contenuto di intercettazioni telefoniche, che costituirebbero l'unica fonte indiziaria, senza considerare che le presunte frequentazioni ambigue e il presunto coinvolgimento del D.L.M. nel sodalizio sono stati categoricamente esclusi dalle sentenze di assoluzione nei due gradi di merito in quanto i giudici hanno ritenuto dubbio che il colloquiante soprannominato con l'appellativo “(OMISSIS)“ fosse identificabile nell'imputato D.L.M., tenuto conto del fatto che, nel corso dell'istruttoria, l'ispettore L. aveva fatto presente che il D.L.M. era stato riconosciuto quale presunto interlocutore telefonico in base al soprannome “(OMISSIS)“, sottolineando come il medesimo fosse chiamato anche “(OMISSIS)“. 4. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio. 5. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondatamente proposto. Nell'ordinanza impugnata la Corte territoriale richiama alcune condotte gravemente colpose ascrivibili all'istante, come la contiguità con i sodali, lo svolgimento di mansioni di autista del coimputato F.G., il mantenimento di contatti con i fornitori delle sostanze stupefacenti e con gli altri associati, indicando, tuttavia, come fonte esclusiva di prova le intercettazioni telefoniche. Nessun confronto è rinvenibile nel provvedimento con la sentenza pronunciata nel giudizio di cognizione che, secondo quanto si legge a pag. 2 del provvedimento impugnato, laddove riporta il punto 8 delle allegazioni difensive, ha assolto il D.L.M. ritenendo sussistere un errore nell'identificazione dello stesso quale effettivo soggetto colloquiante nelle captazioni telefoniche poste a base del procedimento. 2. L'ordinanza deve, per tale contraddittorietà intrinseca, essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Bari affinché riesamini gli atti e valuti se le condotte concretanti colpa grave ostativa al diritto alla riparazione siano emerse nel corso delle indagini preliminari da captazioni diverse da quelle che il giudice dell'assoluzione ha ritenuto non riconducibili al D.L.M., ovvero da altri elementi indiziari non sconfessati nella loro valenza dimostrativa dei fatti dalla sentenza assolutoria, nel rispetto del seguente principio: «Il giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione è del tutto autonomo rispetto al giudizio penale di cognizione, impegnando piani di indagine diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti sulla base dello stesso materiale probatorio acquisito agli atti, il che, tuttavia, non consente al giudice della riparazione di ritenere provati fatti che sono stati esclusi dal giudice della cognizione». P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di appello di Bari, cui demanda altresi' la regolamentazione delle spese tra le parti del presente giudizio di legittimita'.