Riforma Cartabia: criteri motivazionali stringenti e personalizzazione delle valutazioni per la concessione delle pene sostitutive

In tema di pene sostitutive, la riforma Cartabia rafforza l’obbligo per il giudice di motivare in modo specifico, concreto e individualizzato la concessione o il diniego di misure alternative alla detenzione, imponendo un esame dettagliato dell’idoneità rieducativa, della prevenzione della recidiva e dell’affidabilità dell’imputato nell’adempimento delle prescrizioni, anche in presenza di precedenti penali, escludendo motivazioni generiche o stereotipate.

La Suprema Corte, con la sentenza in commento, si concentra sulla disciplina delle pene sostitutive introdotta dal d.lgs. 150/2022 (riforma Cartabia) e sull'onere motivazionale che grava sul giudice qualora voglia respingere le richieste di sostituzione della pena detentiva. Il Collegio, in armonia con la più recente giurisprudenza (Sez. 2, n. 8794/2024, Pesce; Sez. 5, n. 39162/2024, F.), sottolinea che non è più sufficiente richiamare genericamente i precedenti penali per giustificare il diniego della pena sostitutiva, ma occorre una motivazione puntuale e concreta che illustri l'effettiva incidenza ostativa di tali precedenti sui tre poli di valutazione previsti dall'articolo 58 l. 689/1981: idoneità rieducativa, prevenzione del pericolo di recidiva e affidabilità nell'adempimento delle prescrizioni. La riforma infatti, mira a favorire l'accesso a pene extra-carcerarie (lavoro di pubblica utilità, semilibertà, detenzione domiciliare, pena pecuniaria) anche per soggetti con precedenti, a meno che non sussistano concrete ragioni ostative, da motivare caso per caso. Il giudice deve esaminare tutti gli elementi emersi nel processo e, se necessario, acquisire ulteriori informazioni tramite l'udienza di sentencing ex articolo 545-bis c.p.p. La motivazione sul diniego non può essere assiomatica, pena la censurabilità in sede di legittimità. È richiesto infatti, di ricostruire il percorso logico-giuridico che ha condotto alla decisione, affinché le parti possano esercitare appieno il diritto di difesa e il controllo sulla decisione. Nel caso di specie, dunque la Corte ha annullato la sentenza impugnata per carenza motivazionale, rinviando ad altra sezione della Corte d'Appello per nuovo esame sul trattamento sanzionatorio, con l'obbligo di fornire adeguata motivazione giuridica.

Presidente Pezzullo - Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. La sentenza impugnata è stata deliberata l'8 ottobre 2024 dalla Corte di appello di Palermo, che ha confermato la decisione del Tribunale di Marsala, che - in sede di rito abbreviato - aveva condannato G.A. (in concorso con soggetto separatamente giudicato) per il reato furto in abitazione, aggravato dalla recidiva reiterata e infraquinquennale, previa concessione delle circostanze attenuanti di cui all'articolo 62 nn. 4) e 6) cod. pen. 2. La sentenza della Corte di appello di Palermo è stata impugnata dall'imputato con il ministero del proprio difensore di fiducia, che ha affidato le censure a tre motivi di ricorso. 2.1. Il primo motivo di ricorso lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione degli articolo 192,530, comma 2, 533 cod. proc. pen. in relazione agli articolo 110 e 624-bis cod. pen. Il ricorrente sostiene che la conferma del giudizio di responsabilità sarebbe derivata da una valutazione parziale delle emergenze processuali, interpretando in maniera illogica alcuni elementi di prova muniti del carattere della decisività. La Corte distrettuale - si legge ancora nel ricorso - avrebbe riprodotto le proposizioni della sentenza di primo grado, senza tenere conto delle doglianze sviluppate nell'atto di appello. In particolare, il ricorrente si riferisce al travisamento a proposito della data di avvistamento dell'imputato con abiti simili a quelli dell'autore del fatto da parte dei Carabinieri, avvistamento che era avvenuto non già il giorno del furto, ma quello successivo. La Corte distrettuale, inoltre, non avrebbe motivato circa la scarsa qualità delle immagini del sistema di videosorveglianza, le date dei filmati, la genericità delle caratteristiche dei capi di abbigliamento, il mancato ritrovamento della refurtiva, nonché il mancato riconoscimento da parte della convivente e della madre della persona offesa. 2.2. Il secondo motivo di ricorso deduce mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche e alla diminuzione della pena per le due attenuanti comuni riconosciute (effettuata nella misura unica di un terzo). 2.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione di legge quanto al diniego della sostituzione ex articolo 53 l. 689 del 1981, erroneamente motivato sulla scorta dei precedenti penali, mortificando così la direzione della riforma Cartabia verso la decarcerizzazione del sistema penale. In particolare - si legge nel ricorso - la sussistenza di precedenti condanne a carico del prevenuto non può essere ritenuto ex se elemento ostativo alla sostituzione della pena e non può esaurire la valutazione sul punto. Considerato in diritto Il ricorso è parzialmente fondato. 1. Non è fondato ma è, anzi, inammissibile il primo motivo di ricorso, che lamenta mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione e violazione degli articolo 192,530, comma 2, 533 cod. proc. pen. in relazione agli articolo 110 e 624-bis cod. pen. 1.1. Innanzitutto, il ricorso indulge su circostanze di fatto, in spregio agli insegnamenti di questa Corte secondo cui, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, Scibé, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260). 1.2. In secondo luogo, laddove il ricorrente denunzia un travisamento della prova nella sentenza di primo grado - per avere collocato l'avvistamento dell'imputato da parte dei Carabinieri il giorno stesso del furto - su cui la Corte distrettuale avrebbe taciuto, il Collegio osserva che la doglianza non è supportata dal necessario, attuale interesse, posto che, contrariamente a quanto genericamente lamenta la parte, il dedotto travisamento non è stato replicato nella sentenza impugnata. Quest'ultima, infatti, non ha indicato che l'avvistamento di G.A. e la successiva perquisizione fossero avvenuti il giorno stesso del furto, collocandoli al 28 febbraio, che è, appunto, il giorno successivo a quello del misfatto. D'altronde il dedotto travisamento non sarebbe neanche decisivo nell'economia della decisione perché, oltre che grazie al vestiario indossato da G.A. il 28 febbraio e poi ritrovato presso la sua abitazione, la sentenza impugnata scrive a chiare lettere che i Carabinieri avevano riconosciuto l'imputato sulla scorta della visione dei filmati del sistema di videosorveglianza collocato a casa della persona offesa, che ne aveva immortalato anche il viso. Tale deficit della doglianza la pregiudica irrimediabilmente, perché la decisività è un requisito ineludibile per l'ammissibilità della denunzia di travisamento della prova (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, Natale e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, Casucci, Rv. 246552). 1.3. Non è superfluo segnalare, infine, che anche la denunzia pei vizi così come formulata dal ricorrente è una spia della cattiva impostazione della ragione di ricorso. Come più volte osservato da questa Corte - e ribadito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, Filardo, Rv. 280027) - non è consentito il motivo di ricorso con cui si deduca la violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen. anche se in relazione agli articolo 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l'omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti, in quanto i limiti all'ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui all'articolo 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. ed in difetto di una espressa sanzione di inutilizzabilità, nullità, inammissibilità, decadenza. Aggiunge il Collegio che la teorizzazione di questo principio ben si attaglia anche alla denunzia della violazione delle altre norme processuali agitate nel ricorso, quelle, cioè, di cui agli articolo 530 e 533 cod. proc. pen. Quanto ai vizi della motivazione di cui all'articolo 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. indicati in maniera indifferenziata dal ricorrente, le stesse Sezioni Unite Filardo hanno puntualizzato che chi intenda denunciarli contestualmente, con riguardo al medesimo capo o punto della decisione impugnata, ha l'onere - sanzionato a pena di aspecificità del ricorso e nel caso di specie non assolto - di indicare su quale profilo la motivazione asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali sia manifestamente illogica, non potendo attribuirsi al giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio. 2. E', invece, parzialmente fondato il secondo motivo di ricorso. 2.1. Il ricorrente non coglie nel segno quando lamenta la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giacché la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, facendo riferimento agli indici di natura personale (i precedenti specifici) che hanno imposto di non accedere al trattamento di favore. Tale interpretazione è ispirata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice, quando nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244)., nella parte in cui che 2.2. Il ricorso è, al contrario, fondato quando lamenta omessa motivazione su una specifica censura contenuta nell'atto di appello (cfr. pag. 5), con la quale si lamentava che il Tribunale non avesse operato una doppia diminuzione per le circostanze attenuanti di cui ai nn. 4) e 6) dell'articolo 62 cod. pen. Effettivamente, a pag. 7 della sentenza di primo grado, si legge che la pena era diminuita di un terzo genericamente «per articolo 62», senza la specificazione del quantum di diminuzione per ciascuna attenuante e senza l'indicazione delle ragioni di questa scelta sanzionatoria. Né la mancata risposta al motivo di appello è irrilevante, perché la censura non era manifestamente infondata, dal momento che il Tribunale, pur con la facoltà di contenere l'escursione sanzionatoria al ribasso come effettivamente aveva fatto, avrebbe comunque dovuto dare conto della doppia diminuzione per l'applicazione delle due attenuanti, uniformandosi al disposto dell'articolo 63, comma 2, cod. pen. Tale disposizione, infatti, nel caso di riconoscimento di più attenuanti, impone di applicare la riduzione di pena per l'una dopo la diminuzione della pena per l'altra, con il solo limite, derivante dall'articolo 67, comma 2, cod. pen., che la diminuzione non porti la pena al di sotto del quarto del minimo edittale (in questo senso, Sez. 6, n. 17908 del 20/02/2003, Piludu, Rv. 224507 - 01, che richiama Sez. 6, n. 4923 del 20/4/2000, Dolcetti; Sez. 5, n. 7639 del 6/7/92, Maffei, 192212-01; Sez. 2, n. 3060 del 24/2/89, Fiore). 3. È altresì fondato il terzo motivo di ricorso, che concerne la risposta fornita dalla Corte di appello al motivo di gravame con cui si invocava l'applicazione di una sanzione (rectius, pena) sostitutiva, in particolare il lavoro di pubblica utilità o, in subordine, la semilibertà sostitutiva. 3.1. All'illustrazione delle ragioni della decisione odierna occorre premettere che, ai sensi dell'articolo 95, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, «le norme previste dal Capo III della legge 24 novembre 1981, n. 689, se più favorevoli, si applicano anche ai procedimenti penali pendenti in primo grado o in grado di appello al momento dell'entrata in vigore del presente decreto», con la conseguenza che, benché la sentenza di primo grado sia stata emessa prima dell'entrata in vigore della riforma, legittimamente l'appellante ha richiesto al Giudice di appello di valutare la sussistenza delle condizioni per l'applicazione delle pene sostitutive. 3.2. Venendo alle ragioni dell'accoglimento, in parte qua, del ricorso, è opinione del Collegio che la motivazione della Corte di appello sia del tutto inappagante, adducendo a giustificazione del diniego della sostituzione richiesta da G.A. la sola «capacità a delinquere desumibile dai suoi precedenti penali». A questa conclusione il Collegio è giunto confrontandosi con la disciplina di nuovo conio che si deve alla riforma Cartabia e con il dibattito giurisprudenziale che si è sviluppato sul punto, che vede consolidarsi un fronte esegetico che esige un puntuale scrutinio delle condizioni per la sostituzione e un correlato, specifico onere motivazionale allorché si respinga la richiesta di applicazione, in luogo della pena detentiva, delle pene sostitutive di cui agli articolo 53 e segg. l. 689 del 1981. 3.2.1. Un precedente da cui prendere le mosse è senz'altro Sez. 2, n. 8794 del 14/02/2024, Pesce, Rv. 286006, secondo cui il giudice di merito non può respingere la richiesta di applicazione della pena sostitutiva in ragione della sola sussistenza di precedenti condanne, in quanto il rinvio all'articolo 133 cod. pen. contenuto dall'articolo 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, come riformato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, deve essere letto in combinato disposto con l'articolo 59 della stessa legge, che prevede, quali condizioni ostative, solo circostanze relative al reato oggetto di giudizio, non comprensive dei precedenti penali. La pronunzia in esame ha innanzitutto inquadrato il nuovo sistema nell'ambito della novella della l. 150 del 2022, che ha inteso, in ossequio alla legge delega, anticipare al momento della cognizione l'applicazione, in luogo della pena detentiva, di pene sostitutive che, grazie all'introduzione dell'articolo 20- bis cod. pen., sono state inserite nell'impianto codicistico. Oggi, quindi, le sanzioni extra carcerarie - la semilibertà sostitutiva, la detenzione domiciliare sostitutiva, il lavoro di pubblica utilità sostitutivo e la pena pecuniaria sostitutiva - appartengono a pieno titolo al novero di sanzioni tra le quali il Giudice, in caso di condanna a pena detentiva breve, deve scegliere, aggiungendosi così un tassello al classico percorso che, dopo l'affermazione di penale responsabilità, passa attraverso l'individuazione e la commisurazione della sanzione; il Giudice, quindi, una volta individuata una pena detentiva che sia al di sotto del limite dei quattro anni, deve valutare se non vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, che contribuiscano in modo più adeguato alla rieducazione del condannato, purché assicurino, anche attraverso opportune prescrizioni, la prevenzione del pericolo che il condannato commetta altri reati. Come si legge nella sentenza Pesce che, sul punto, richiama la posizione della dottrina, «l'idea sottesa a tale scelta è chiaramente quella di dare effettività e concretezza al finalismo rieducativo della pena, che, come si deduce dal tenore dell'articolo 27 comma 3 Cost. (che non a caso declina al plurale il principio codificato), oltre a non essere prerogativa esclusiva del carcere, mal si concilia con l'esecuzione di pene contenute, come appunto quelle punite con reclusione inferiore a quattro anni». L'innovazione legislativa ha segnato il distinguo - aggiunge la sentenza in esame - «tra una penalità a bassa intensità, nella quale è possibile un'espiazione integralmente extra-carceraria, e una penalità ad alta intensità, nella quale l'ingresso in carcere - salvo fattori eccezionali esterni (età, figli minori, percorsi terapeutici, salute) - rimane obbligatorio». In questa direzione si pone anche Sez. 5, n. 39162 del 04/10/2024, F., Rv. 287062 - 01 (in motivazione), che ha esaltato l'idoneità della sanzione sostitutiva «ad escludere (o limitare) l'effetto antisociale e a volte criminogeno della detenzione negli istituti di pena». 3.2.2. Ebbene, il tema di precipuo interesse in relazione all'odierna regiudicanda è proprio quello del vaglio del Giudice di merito sulla sostituzione e quello connesso della motivazione che egli deve offrire per giustificare la propria scelta di negare la sostituzione anzidetta. Lo snodo cruciale è, in altri termini, quello di comprendere cosa il Giudice debba valutare, come debba effettuare questa delibazione e come debba restituirla in sentenza, aspetto, soprattutto quest'ultimo, che chiama in causa l'ambito dello scrutinio di questa Corte sul punto della decisione concernente, appunto, la sostituzione. La norma di riferimento è l'articolo 58 della l. 689 del 1981, che individua tre poli intorno ai quali deve muoversi lo scrutinio del Giudice di merito, ossia la valutazione circa la maggiore idoneità rieducativa della pena sostitutiva rispetto a quella classica, l'idoneità della pena sostitutiva a prevenire il pericolo di commissione di altri reati e l'insussistenza di fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato. Circa gli strumenti attraverso i quali il giudicante deve svolgere il proprio compito delibativo sulla sostituzione, l'articolo 58 cit. non detta regole specifiche ma si limita a fare riferimento ai «criteri indicati nell'articolo 133 del codice penale». E'' utile anche ricordare che l'articolo 59 l. 689 cit. detta testualmente le condizioni soggettive per la sostituzione della pena detentiva, escludendo la possibilità di applicarla per chi: ha commesso il reato per cui si procede entro tre anni dalla revoca della sanzione sostitutiva o durante l'esecuzione della stessa; nei cinque anni precedenti, è stato condannato a pena pecuniaria, anche sostitutiva, e non l'ha pagata; deve essere sottoposto a misura di sicurezza personale; risulta condannato per uno dei reati di cui all'articolo 4-bis ordinamento penitenziario. Ebbene, l'interrogativo cruciale che ha polarizzato l'attenzione della giurisprudenza di legittimità è quello, come anticipato, di comprendere da dove il Giudice debba e possa evincere i dati per svolgere il proprio compito al fine di valutare la funzione rieducativa della pena sostitutiva e la sua idoneità specialpreventiva e di compiere la necessaria prognosi circa l'adeguamento del condannato alle prescrizioni, tenuto conto - e questo va sottolineato - che le pene sostitutive contano sulla capacità del destinatario di autocontenersi, di osservare i limiti e gli obblighi che gli sono imposti e di :partecipare concretamente e fattivamente al programma sanzionatorio/rieducativo. E' opinione del Collegio che questa scelta non possa che fondare, riguardando la norma di riferimento di cui all'articolo 133 cod. pen., su tutti i dati evincibili dal processo che possano orientare la decisione, proprio in ossequio alla logica della riforma che ha inteso anticipare la delibazione alla fase della cognizione, quale sede privilegiata di conoscenza del fatto commesso dall'imputato e delle caratteristiche comportamentali e personali di quest'ultimo. Tra i dati valorizzabili nello scrutinio ex articolo 58 cit, dunque, possono essere valutate le caratteristiche del fatto sub iudice, la spinta che l'ha determinato e l'animus che ha caratterizzato l'azione, nonché la condotta antecedente e susseguente e, non da ultimi, i precedenti penali da cui l'imputato è eventualmente gravato. Dati che, se il Giudice ritiene che il processo non abbia offerto elementi sufficienti, possono essere eventualmente raccolti anche nell'udienza di sentencing di cui all'articolo 545 -bis, comma 2, cod. proc. pen., che pure costituisce una novità della riforma, nella quale il giudicante, anche al fine di «decidere sulla sostituzione della pena detentiva», oltre che ai fini della conformazione della sanzione, può acquisire tramite l'UEPE ovvero la polizia giudiziaria «tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell'imputato», anche vagliando eventuale documentazione prodotta dall'interessato. Si tratta - lo si ribadisce in questa sede - di un passaggio non obbligato per addivenire alla scelta sull'an della sostituzione, laddove il processo abbia offerto dati sufficienti e il Giudice fondatamente ritenga di avere elementi per escludere o riconoscere la sostituibilità della pena detentiva (cfr. Sez. 4, n. 42847 del 11/10/2023, Palumbo, Rv. 285381; Sez. 6, n. 43263 del 13/09/2023, Lo Monaco, Rv. 285358). In definitiva, quella del Giudice investito della scelta sulla sostituzione è una valutazione composita e necessariamente legata al caso concreto e alla personalità dell'imputato in cui - a lume della disposizione di riferimento, che resta il parametro della discrezionalità vincolata che è in capo al giudicante - non esiste una gerarchia in termini di significato dell'uno o dell'altro indicatore e nella quale ciascuno di essi, in rapporto alla pregnanza dimostrativa circa l'inidoneità rieducativa, la non sterilizzazione del rischio di ricaduta e: l'incapacità dell'imputato di osservare gli obblighi ed i limiti connessi alle sanzioni, può avere nel concreto un peso preponderante rispetto agli altri e una portata dirimente per la valutazione da compiere. In questo senso, dunque, si ritiene di poter offrire uno spunto di riflessione ulteriore rispetto all'esegesi fatta propria dalla sentenza Pesce, nella misura in cui non si reputa che vada esclusa la possibilità di negare la sostituzione sulla base del vaglio dei soli precedenti penali del prevenuto (in questa direzione anche Sez. 6, Lo Monaco, cit., in motivazione), laddove essi conducano ad un giudizio irrimediabilmente negativo nei termini di cui all'articolo 58 cit. Una delibazione di questo tipo, tuttavia, può reggere agli urti della censura che vi si appunti all'ineludibile condizione che sia oggetto di specifica e puntuale motivazione da parte del Giudice; motivazione che illustri le ragioni concrete per cui il parametro di riferimento abbia valore tranciante, ragionando sulla specificità dei precedenti e sulla loro eloquenza circa la propensione dell'imputato all'autolimitazione come sulla loro idoneità predittiva rispetto alla potenzialità rieducativa e  specialpreventiva di una misura non carceraria e, nel concreto, di quella possibile o richiesta (sulla necessità che lo scrutinio su ll'an sia svolto anche con riferimento alla pena sostitutiva che venga in rilievo nel caso specifico, cfr. Sez. 6, n. 40433 del 19/09/2023, Diagne, Rv. 285295 - 01). D'altra parte si tratta di un'impostazione ermeneutica non sconosciuta al tema delle sanzioni sostitutive nel regime ante Cartabia, laddove si era sostenuto che il vaglio sulla sostituzione non deve necessariamente riguardare tutti i parametri di cui all'articolo 133 cod. pen. (Sez. 7, Ordinanza n. 32381 del 28/10/2020, Cascio, Rv. 279876 - 01; Sez. 5, n. 10941 del 26/01/2011, Orabona, Rv. 249717 - 01). Una soluzione di tal fatta non è estranea neanche alla giurisprudenza concernente altri settori del trattamento sanzionatorio: si pensi all'esegesi richiamata supra al § 2.1. a proposito della possibilità, per il Giudice che nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, di fare riferimento solo agli elementi ritenuti decisivi o comunque rilevanti in senso ostativo, senza la necessità di esaminare tutti gli indicatori. Questa conclusione va, tuttavia, puntualizzata, nel senso che, come pure affermato da questa Corte (oltre alla sentenza Pesce, cfr. Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 - 01), una valutazione negativa sulla sostituzione che fondi solo sull'esistenza di precedenti, non già per il loro rilievo intrinseco ma sulla scorta di un preteso automatismo tra l'essere pregiudicato e il vedersi negato l'accesso alle sanzioni sostitutive, tradirebbe la lettera e lo spirito della riforma che, sostituendo il vecchio testo dell'articolo 59 e le condizioni soggettive ivi previste, ha mostrato un cambio di passo ed un'accentuata spinta verso l'applicazione delle pene sostitutive anche a coloro che registrano precedenti penali. Spinta concretizzatasi nella riforma anche fornendo al Giudice lo strumento inedito dell'udienza ex articolo 545-bis cod. proc. pen. quale momento di eventuale ed ulteriore raccolta di elementi sull'an della sostituzione 3.2.3. Tanto precisato, ciò che deve essere nuovamente ed energicamente sottolineato - e che è sfuggito alla Corte di appello di Palermo nel caso di specie - è che una scelta nel senso del concreto rilievo ostativo dei pregiudizi dell'imputato va fatta oggetto di specifica e adeguata motivazione, che ne valorizzi la pregnanza rispetto ai tre poli della valutazione come delineati dall'articolo 58 l. 689 cit. e che chiarisca le ragioni per cui quei pregiudizi impediscano la sostituzione. Un esempio concreto di questa possibile esegesi della disposizione si deve a Sez. 2, n. 45859 del 22/10/2024, Peluso, Rv. 287348 - 01, che ha operato una rilettura della sentenza Pesce e che ha reputato incensurabile il vaglio, illustrato con specifica motivazione della Corte di merito, circa la eloquenza ostativa dei precedenti dell'imputato perché «Il giudizio espresso nella sentenza, dunque, non fa riferimento solo alla presenza di numerosi precedenti penali ma anche alla loro natura, sintomatica della personalità del ricorrente e rilevante ai fini di una prognosi negativa circa il rispetto delle prescrizioni». Nell'ottica della necessità di effettuare una valutazione composita, di riempire di contenuti la motivazione e di rifuggire da automatismi e da giustificazioni assiomatiche fondate solo sui precedenti si pone anche Sez. 3, n. 9708 del 16/02/2024, Tornese, Rv. 286031 - 01, che ha altresì richiamato il parametro normativo di riferimento dell'articolo 133 cod. pen. quale misura della necessità, trascurata nel caso allora sub iudice, di vagliare anche gli elementi pro reo forniti dalla difesa dell'imputato. Occorre altresì precisare che, dal punto di vista argomentativo, appare poi necessario, come sottolineato nella sentenza Pesce, anche tenere indenne il tessuto argomentativo da profili di possibile contraddittorietà, che si annidano in motivazioni che commisurino la pena detentiva in termini particolarmente miti e, poi, in fase di vaglio sulla sostituzione, trascurino quegli stessi indicatori positivi che avevano guidato la dosimetria sanzionatoria (in questo senso anche Sez. 5. n. 15744 del 12/3/2025, n.m.). 3.2.4. Calati i principi appena evocati ed affermati nel concreto della decisione odierna, deve ribadirsi che la motivazione della Corte di appello di Palermo è deficitaria nella misura in cui ha fatto riferimento alla sola esistenza dei precedenti del G.A., senza alcuna illustrazione specifica che evidenziasse l'incidenza negativa delle pregresse condotte illecite rispetto alle prospettive della sostituzione. 4. La fondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso impone l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, che dovrà riesaminare la doglianze dell'imputato in tema di trattamento sanzionatorio, con pieni poteri di cognizione sul punto ma evitando di incorrere nuovamente nei vizi rilevati e fornendo in sentenza adeguata motivazione in ordine all'iter logico-giuridico seguito (Sez. 5, n. 33847 del 19/04/2018, Cesarano e altri, Rv. 273628; Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, Gambino, Rv. 248413). P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo; dichiara inammissibile nel resto il ricorso.