Blogger: scatta la responsabilità civile per commenti diffamatori pubblicati da terzi

La Cassazione afferma importanti principi giuridici in materia di responsabilità civile dei gestori di blog, chiarendo le ipotesi in cui un blogger debba essere considerato responsabile per i commenti diffamatori pubblicati da terzi soggetti.

L'ordinanza evidenzia l'importanza della consapevolezza effettiva del contenuto illecito e l'obbligo di rimozione tempestiva dei contenuti diffamatori, pure quando non intervengano provvedimenti delle autorità competenti. La vicenda La controversia origina nel contesto di un blog telematico, a causa di commenti diffamatori pubblicati da soggetti terzi sul website gestito dal titolare, convenuto in giudizio. L'attore ha quindi agito per ottenere un risarcimento dei danni, sostenendo che il blogger era informato dei contenuti diffamatori e non li avesse rimossi in modo tempestivo. A seguito del rigetto della domanda in primo grado e la conferma della decisione da parte della Corte d'appello, la vicenda è approdata sui banchi di Piazza Cavour, innanzi alla Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione. Distinzione tra provider attivo e passivo L'hub decisionale ha riguardato il ruolo del gestore del blog in quanto “hosting provider”. La distinzione tra hosting provider attivo e passivo è risultata centrale nella lettura giuridica della vicenda. Il provider passivo è stato identificato in colui che si limita a memorizzare in modo automatico i dati forniti dai soggetti terzi, senza esercitare forma di controllo o selezione alcuna. In tale qualità, non può essere considerato responsabile del contenuto illecito memorizzato, a meno che non ne acquisisca consapevolezza. In modo contrario, il provider attivo, il quale svolge una sorta di attività di “filtro”, selezione o modifica dei contenuti, può rispondere dei contenuti illeciti, e ciò in quanto contribuisce in modo consapevole alla relativa diffusione. Nella vicenda in disamina, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondata l'affermazione che il blogger avesse esercitato un'attività di moderazione tale da renderlo un provider attivo. Onere della prova e principio di conoscenza Tra gli argomenti focus del pronunciamento figura quello dell'onere della prova. Per il collegio della Corte, spetta all'attore che si ritiene danneggiato dimostrare due aspetti: la natura attiva del ruolo del gestore del blog e la relativa consapevolezza del contenuto illecito. Detta cognizione deve essere “effettiva”, quindi fondata su fatti ovvero circostanze che rendano manifesto l'illecito. Una mera possibilità astratta di conoscenza, in assenza di riscontri concreti, non risulta sufficiente a configurare la responsabilità. In questa ipotesi la Corte ha rilevato che non sussistevano elementi probatori capaci di comprovare una condotta attiva del blogger, ovvero una sua consapevolezza anticipata, riguardo i commenti offensivi. Omessa rimozione La Suprema Corte condivide la doglianza espressa dal ricorrente nel terzo motivo di ricorso, incentrato sull'omessa rimozione dei contenuti, accogliendolo quindi. La sentenza impugnata è stata per l'effetto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione. In dettaglio, all'opposto rispetto a quanto sostenuto dalla Corte d'Appello, la Cassazione ha chiarito che l'obbligo di rimozione non origina esclusivamente a seguito di una comunicazione a opera delle autorità competenti, bensì può derivare anche da una conoscenza “di fatto”, ottenuta, ad esempio, tramite la segnalazione dell'interessato, ovvero da ulteriori elementi definiti inequivocabili. Il collegio della Cassazione ha quindi operato un richiamo a precedenti giurisprudenziali, sia civili che penali, secondo i quali il gestore del blog che, venuto a conoscenza dell'illiceità dei contenuti, non provveda in modo tempestivo alla rimozione, diventa responsabile della loro ulteriore diffusione. Ad esempio, la stessa Sezione, nell'ordinanza n. 24818/2023, aveva affermato che in tema di scritti diffamatori pubblicati su un “blog”, il “blogger” è responsabile per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori. Detta omissione equivale a una consapevole condivisione del contenuto lesivo. In altre parole, la conoscenza dell'illiceità non richiede inevitabilmente una segnalazione da parte di un'autorità, ma può derivare da qualsivoglia circostanza oggettivamente idonea a rendere manifesta l'illiceità, come pure la segnalazione da parte dell'interessato. In tal caso, l'omessa rimozione equivale a consapevole condivisione del contenuto illecito, con conseguente responsabilità anche civile del provider. Impatto interpretativo Il collegio di legittimità nell'ordinanza depositata il 27 giugno 2025 ha esaminato la dizione normativa dell'articolo 16 (peraltro abrogato nel 2024) del d.lgs. n. 70/2003 (Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico), che aveva recepito la disciplina europea in tema di commercio elettronico. La Corte ha evidenziato come l'approccio ermeneutico restrittivo fatto proprio dalla Corte territoriale non abbia trovato riscontro né nella lettera della norma, né nella ratio legis. L'inciso “su comunicazione delle autorità competenti” non limita il campo d'azione dell'hosting provider, bensì rappresenta una forma “qualificata” di acquisizione della consapevolezza dell'illiceità. L'obiettivo del legislatore europeo, ribadito nella disciplina nazionale, è quello di rintracciare un equilibrio tra la libertà di informazione e la protezione dei diritti della personalità, facendo in modo che la dimensione digitale non rappresenti una zona franca di illeciti. Per l'effetto, colui che gestisce un blog e consente la pubblicazione di commenti da parte di terzi non risulta responsabile, di per sé, dei contenuti illeciti, a meno che svolga un ruolo attivo nella moderazione o selezione dei contenuti (e, in tale ipotesi, si spoglia della neutralità del provider “passivo”) oppure, una volta a conoscenza del contenuto diffamatorio, non provveda alla relativa tempestiva rimozione. Principio chiave per il futuro La decisione in disamina segna uno step importante nella definizione delle responsabilità collegate alla gestione di contenuti online, ribadendo che i gestori di blog e piattaforme digitali non possono trincerarsi dietro la passività se, di fatto, risultano a conoscenza della presenza di contenuti lesivi. Il principio affermato presenta portata preventiva e mira a responsabilizzare l'intermediario informatico, al contempo senza paralizzare la libera circolazione delle idee. In conclusione, il prestatore di servizi informatici che agisca da hosting provider non attivo è, di regola, esente da responsabilità per i contenuti illeciti pubblicati da terzi (come i commenti diffamatori), tuttavia, una volta acquisita la consapevolezza della loro manifesta illiceità, anche al di fuori di una comunicazione da parte delle autorità competenti, è tenuto a rimuoverli tempestivamente per continuare a beneficiare dell'esenzione dalla responsabilità contemplata dagli articoli da 14 a 17 d.lgs. n. 70/2003 (peraltro abrogati a opera del d.lgs. n. 50/2024, quindi operativi nella vicenda ratione temporis).

Presidente Scrima – Relatore Tatangelo Fatti di causa Fa.Ed. ha agito in giudizio nei confronti di As.Ra. per ottenere il risarcimento dei danni che assume avere subito in conseguenza di commenti ingiuriosi pubblicati da alcuni utenti sul blog telematico tenuto dal convenuto e non tempestivamente rimossi. La domanda è stata rigettata dal Tribunale di Siena. La Corte d'Appello di Firenze, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla richiesta dell'attore di rimozione dei commenti diffamatori pubblicati, ha confermato per il resto la decisione di primo grado. Ricorre il Fa.Ed., sulla base di tre motivi. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l'intimato. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 375 e 380-bis.1 c.p.c. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 380-bis.1 c.p.c. Il Collegio si è riservato il deposito dell'ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia Della responsabilità per la pubblicazione dei contenuti. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 co. 1 n. 3. Violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 C.C. . Con il secondo motivo si denunzia Della responsabilità per la pubblicazione. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 co. 1 n. 3. Violazione o falsa applicazione degli articolo 16 e 17 D.Lgs. n. 70/2003 che ha recepito la direttiva 2000/31/CE. Violazione o falsa applicazione dell'articolo 2697 C.C. . I primi due motivi del ricorso, che hanno ad oggetto la pretesa responsabilità dell'As.Ra. per l'avvenuta pubblicazione di alcuni commenti diffamatori nei confronti del Fa.Ed., da parte di terzi, in calce ad un articolo del suo blog, sono logicamente e giuridicamente connessi e, pertanto, possono essere esaminati congiuntamente. Essi sono infondati. 1.1 Il ricorrente deduce che la Corte d'Appello sarebbe incorsa in una violazione dell'articolo 2697 C.C. laddove pone a carico dell'attore/appellante l'onere di dimostrare che il Blog era dotato di filtri o, ancora più, di dimostrare che la pubblicazione dei commenti fosse stata frutto di una scelta fatta consapevolmente, dopo averli esaminati nel dettaglio, ed averne colto e/o finanche condiviso i toni . A suo avviso, tale onere probatorio sarebbe stato impossibile da soddisfare... e ... sarebbe spettato al convenuto dimostrare che la pubblicazione dei post avvenisse in automatico e che la struttura organizzativa del blog - contrariamente a quanto era emerso documentalmente - non prevedesse alcun controllo, o filtro . Sostiene, inoltre, che la Corte di Appello stabilisce un onere probatorio impossibile secondo il quale sarebbe stato onere dimostrare che il blogger era effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione era illecita, sebbene risultasse documentalmente che il blog (Omissis) , non era aperto ai commenti dei lettori, in quanto la pubblicazione dei commenti avveniva solo ed esclusivamente su scelta, ad opera e per volontà del blogger Raffaele As.Ra. . A suo avviso, infatti, era stato adeguatamente allegato e provato che l'As.Ra. svolgeva una attività di c.d. moderazione ... prodromica alla materiale pubblicazione degli interventi e, di conseguenza, i commenti offensivi in danno del Fa.Ed. non fossero stati moderati per una chiara scelta dell'As.Ra. . 1.2 Va, in primo luogo, esclusa la dedotta violazione dell'articolo 2697 c.c. La Corte d'Appello ha accertato, in fatto, sulla base della valutazione delle prove, che il ruolo dell'As.Ra., quale blogger, non era quello di un hosting provider attivo nella selezione e nel controllo dei messaggi di commento dei terzi agli articoli da lui pubblicati sul suo blog. È da ritenere corretta l'attribuzione dell'onere di provare il ruolo di hosting provider attivo del prestatore di servizi nell'ambito della società dell'informazione all'attore che si assuma danneggiato dalla condotta di questi, con riguardo all'attività di filtro e selezione nella memorizzazione delle informazioni fornite dai terzi destinatari del servizio e, quindi, nella specie, per la pubblicazione dei commenti dei terzi in calce all'articolo del blog. In tale ambito, la regola generale è, infatti, quella dettata dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 70 del 2003, per cui il soggetto prestatore di servizi (nella specie: hosting provider) che ospita commenti di terzi nell'ambito dello spazio che gestisce (che, cioè, trasmette e memorizza informazioni dei destinatari del servizio da lui prestato nell'ambito della società dell'informazione) non è tenuto a selezionarli e a controllarne il conte-nuto e, quindi, di regola non risponde della loro pubblicazione (questa la formulazione letterale della disposizione: 1. Nella prestazione dei servizi di cui agli articoli 14, 15 e 16, il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indi-chino la presenza di attività illecite ) e, almeno finché non ab-bia sicura conoscenza del manifesto contenuto illecito di essi, neanche è responsabile della loro omessa rimozione (cfr., in proposito, l'articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, sul quale, peraltro, più diffusamente si tornerà, in riferimento al terzo motivo del ricorso). Né sussiste alcun obbligo, per l'hosting provider, di effettuare una siffatta attività di controllo e di filtro, ben potendo egli limitarsi alla semplice automatica memorizzazione delle informazioni fornite dai terzi, senza verificarne e selezionarne sistematicamente il contenuto. Esclusivamente laddove l'attività svolta dall'hosting provider, per spontanea iniziativa di quest'ultimo in ordine all'assetto attribuito alla natura ed all'organizzazione del servizio prestato, assuma tale carattere, allora egli, proprio perché in tal caso svolge un ruolo attivo nella selezione e nella memorizzazione delle informazioni diffuse, si assume la responsabilità del relativo contenuto e non potrà godere delle limitazioni di responsabilità di cui agli articolo 14,15,16 e 17 del decreto legislativo n. 70 del 2003, riservate al provider che si limiti ad un ruolo meramente passivo (cfr., in tal senso, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7708 del 19/03/2019, Rv. 653569-02: l' hosting provider attivo è il prestatore dei servizi della società dell'informazione il quale svolge un'attività che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e pone in essere una condotta attiva, concorrendo con altri nella commissione dell'il-lecito, onde resta sottratto al regime generale di esenzione di cui all'articolo 16 del D.Lgs. n. 70 del 2003, dovendo la sua responsabilità civile atteggiarsi secondo le regole comuni ). Tanto premesso, nella specie spettava senz'altro, quindi, ai sensi dell'articolo 2697 c.c., all'attore danneggiato dimostrare che il blogger As.Ra. fornisse un servizio che prevedeva l'effettua-zione di una attività di filtro, valutazione e selezione attiva, in relazione ai commenti dei terzi, trattandosi, evidentemente, di un fatto costitutivo della dedotta responsabilità dello stesso. 1.3 Non vi è dubbio, d'altra parte, che anche l'eventuale effettiva conoscenza del carattere illecito dei commenti pubblicati dai terzi destinatari del servizio del blogger, da parte di quest'ultimo, trattandosi, anche in tal caso, di un fatto costitutivo della sua dedotta responsabilità per la loro pubblicazione, avrebbe dovuto essere provata dall'attore danneggiato, atteso che, come già chiarito, di regola tale responsabilità non sussi-ste, ai sensi degli articolo 16 e 17 del decreto legislativo n. 70 del 2003, fatto salvo il caso in cui il prestatore sia effettivamente a conoscenza dell'illiceità dell'attività o dell'informazione. In particolare, l'articolo 16 del decreto richiamato, nel prevedere la responsabilità dell'hosting provider nell'attività di memorizza-zione di informazioni dispone che lo stesso non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio , a condizione che non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita : come è stato evidenziato (anche in dottrina), nell'analisi della fattispecie, la disposizione, per quanto letteralmente formulata in base ad una doppia negazione, è certamente attributiva di una responsabilità al ricorrere delle circostanze individuate dal precetto normativo, onde il fatto costitutivo della responsabilità del prestatore è certamente la sua conoscenza del carattere (manifestamente) illecito dell'informazione memorizzata, conoscenza che, di conseguenza, è onere dell'attore che si assume danneggiato allegare e dimostrare in giudizio, ai sensi dell'articolo 2697 c.c. 1.4 Infine, avendo la Corte d'Appello accertato, in fatto, che non vi era un ruolo attivo di filtro dei commenti da parte del blogger e che questi non aveva avuto (e non avrebbe potuto avere), al momento della loro pubblicazione, una effettiva conoscenza del carattere illecito degli specifici commenti di cui l'attore si duole, le censure - con le quali si afferma il contrario - si risolvono nella contestazione di accertamenti di fatto sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non sindacabile nella presente sede. 2. Con il terzo motivo si denunzia Della omessa rimozione dei contenuti. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 360 co. 1 n. 3. Violazione o falsa applicazione degli articolo 16 e 17 D.Lgs. n. 70/2003 che ha recepito la direttiva 2000/31/CE . Secondo il ricorrente in palese contraddizione con la disposizione normativa ex articolo 16 D.Lgs. 70/2003 la Corte di Appello afferma che l'obbligo di rimozione non derivi tanto dalla conoscenza dell'illiceità dei commenti, ma derivi esclusivamente dalla comunicazione delle autorità competenti . Il motivo di ricorso in esame ha ad oggetto la questione dell'omessa rimozione dei commenti diffamatori, anche dopo l'assunta conoscenza del loro carattere illecito da parte del blogger As.Ra. Esso è fondato. 2.1 La Corte d'Appello ha affermato che l'obbligo di rimozione dei commenti illeciti (nella specie, diffamatori), per il prestatore di servizi (nella specie: hosting provider), ai sensi dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, sussisterebbe solo a seguito di una comunicazione da parte delle autorità competenti in ordine al carattere illecito dei medesimi, cioè in base ad una conoscenza qualificata di tale illiceità, e non potrebbe farsi derivare da una mera conoscenza di fatto di essa, acquisita in altro modo (in particolare, l'obbligo di rimozione non potrebbe mai conseguire alla conoscenza del carattere illecito del commento acquisita in base alla segnalazione della parte lesa, specie se, come nella specie, la segnalazione stessa non contenga una espressa richiesta di rimozione). Tale affermazione viene effettuata dalla Corte d'Appello in consapevole contrasto con quanto, invece, affermato dalla giurisprudenza di legittimità in sede penale in casi analoghi (cfr. Cass. pen., Sez. 5, Sentenza n. 12546 dell'8/11/2018 Ud. - dep. 20/03/2019, Rv. 275995-01, secondo cui in tema di diffamazione, il blogger risponde del delitto nella forma aggravata, ai sensi del comma 3 dell'articolo 595 c.p., sotto il profilo dell'offesa arrecata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità , per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori - fattispecie in cui l'imputato aveva consapevolmente mantenuto nel suo blog contenuti offensivi, propri e di terzi, a commento di una lettera della persona offesa dal medesimo pubblicata, fino all'oscuramento intimato dall'autorità giudiziaria ed eseguito dal provider ) . Secondo la Corte d'Appello, nonostante la direttiva europea di cui il decreto legislativo n. 70 del 2003 costituisce recepimento ( Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'8 giugno 2000 relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno - Direttiva sul commercio elettronico ) prevedesse effettivamente una responsabilità del prestatore di servizi per l'omessa rimozione delle informazioni memorizzate di carattere illecito, in base alla mera conoscenza, comunque acquisita, del carattere illecito di esse, la norma in-terna di recepimento (articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003) avrebbe un contenuto più limitato, richiedendo che tale conoscenza derivi da una comunicazione delle autorità competenti (cd. conoscenza qualificata ). Il principio di diritto espresso nella decisione della Corte di Cassazione, in sede penale, nel 2019 non sarebbe, pertanto, condivisibile, ad avviso della Corte territoriale. 2.2 Va precisato che le affermazioni di diritto contenute nella decisione impugnata risultano in contrasto non solo con la giurisprudenza penale, ma anche con quanto affermato nella giurisprudenza civile di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7708 del 19/03/2019, Rv. 653569-02, in una fattispecie in tema di violazione del diritto d'autore: nell'ambito dei servizi della società dell'informazione, la responsabilità dello hosting provider , prevista dall'articolo 16 del D.Lgs. n. 70 del 2003, sussi-ste in capo al prestatore dei servizi che non abbia provveduto alla immediata rimozione dei contenuti illeciti, oppure abbia continuato a pubblicarli, quando ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni: a) sia a conoscenza legale dell'illecito perpetrato dal destinatario del servizio, per averne avuto notizia dal titolare del diritto leso oppure aliunde ; b) sia ragionevolmente constatabile l'illiceità dell'altrui condotta, onde lo hosting provider sia in colpa grave per non averla positivamente riscontrata, alla stregua del grado di diligenza che è ragionevole attendersi da un operatore professionale della rete in un determinato momento storico; c) abbia la possibilità di attivarsi utilmente, in quanto reso edotto in modo sufficientemente specifico dei contenuti illecitamente immessi da rimuovere ; nella motivazione di tale decisione si afferma espressamente che non può condividersi la tesi secondo cui l'obbligo di attivazione non sussisterebbe, pur in presenza dell'inequivoco di-svelamento dell'illecito altrui, sino a quando non sia stata una pubblica autorità, amministrativa o giurisdizionale, ad ordinare con un proprio provvedimento tale comportamento o almeno a notiziare di esso il prestatore intermediario ) e, in particolare, nella giurisprudenza di questa stessa Sezione (cfr. Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 24818 del 18/08/2023, Rv. 668654-01, la quale, in dichiarata adesione ai principi enunciati da Cass. pen. n. 12546 del 2019, afferma che in tema di scritti diffamatori pubblicati su un blog , il blogger è responsabile per gli scritti di carattere denigratorio pubblicati sul proprio sito da terzi quando, venutone a conoscenza, non provveda tempestivamente alla loro rimozione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto lesivo dell'altrui reputazione e consente l'ulteriore diffusione dei commenti diffamatori - la S.C. ha applicato detti principi con riferimento a frasi diffamatorie pubblicate, da un soggetto terzo, sul blog del ri-corrente nel dicembre del 2006, conosciute dal danneggiato nel 2011 e rimosse dal titolare del detto blog solo nel novembre del 2012) ). A tali principi va dato seguito, a giudizio del Collegio. 2.3 L'articolo 16 del decreto legislativo 9 aprile 2003 n. 70 prevede quanto segue: 1. Nella prestazione di un servizio della società dell'informazione, consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente a conoscenza del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione; b) non appena a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, agisca immediatamente per rimuovere le in-formazioni o per disabilitarne l'accesso . Secondo l'interpretazione fatta propria dalla Corte d'Appello, la lettera a) della disposizione avrebbe ad oggetto l'attività di originaria pubblicazione dell'informazione illecita e la lettera b) quella di successiva rimozione di essa. Tale interpretazione troverebbe conferma nel rilievo che il decreto legislativo n. 70 del 2003 riproduce quasi integralmente il testo della Direttiva 2000/31/CE (di cui costituisce recepimento nel diritto interno), ma, nella fattispecie di cui alla lettera b), vi aggiunge l'inciso su comunicazione delle autorità competenti , inciso che nella Direttiva non compare (il testo dell'articolo 14 della direttiva è il seguente: Articolo 14 Hosting - 1. Gli Stati membri provvedono affinché, nella prestazione di un servizio della società dell'informazione consistente nella memorizzazione di informazioni fornite da un destinatario del servizio, il prestatore non sia responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che detto prestatore: a) non sia effettivamente al corrente del fatto che l'attività o l'informazione è illecita e, per quanto attiene ad azioni risarcitorie, non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illegalità dell'attività o dell'informazione, o b) non appena al corrente di tali fatti, agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso... 3. Il presente articolo lascia impregiudicata la possibilità, per un organo giurisdizionale o un'autorità amministrativa, in conformità agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, di esigere che il prestatore ponga fine ad una violazione o la impedisca nonché la possibilità, per gli Stati membri, di definire procedure per la rimozione delle informazioni o la disabilitazione dell'accesso alle medesime ). La Corte d'Appello, inoltre, fonda le sue conclusioni sulla considerazione della natura istantanea dell'illecito penale, che non consentirebbe di affermare la sussistenza di una responsabilità di un soggetto diverso da quello che lo commette, in virtù di fatti successivi al perfezionamento della relativa fattispecie. 2.4 Orbene, va osservato, in primo luogo, che le considerazioni della Corte territoriale fondate sulla natura istantanea dell'illecito penale non tengono adeguatamente conto del fatto che l'articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, alla lettera a), prevede un particolare regime della responsabilità (risarcitoria, quindi meramente civile) del prestatore di servizi per le informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, della cui illiceità abbia consapevolezza, con riguardo alle azioni risarcitorie : si tratta, quindi, di una fattispecie di imputazione della responsabilità civile che parrebbe prescindere dal con-corso nella responsabilità penale del terzo. 2.5 Va, in ogni caso, considerato (come del resto correttamente viene chiarito nella motivazione della pronuncia di questa Corte n. 7709 del 2019, già richiamata) che la stessa lettera a) della disposizione di diritto interno (articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003) esclude la responsabilità risarcitoria per le informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio , ma solo laddove il prestatore del servizio non sia al corrente di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione . Tenuto conto che la regola generale è quella per cui l'internet provider (il prestatore di ser-vizi) non è tenuto ad effettuare un controllo preventivo sulla liceità delle informazioni e sulle attività svolte dai terzi destinatari del servizio e che la sua responsabilità (risarcitoria) è correlata genericamente alla memorizzazione delle informazioni rese dai suddetti terzi (non al concorso nel reato istantaneo di diffamazione commesso dagli stessi), risulta più che ragionevole la conclusione per cui tale previsione sia destinata ad operare anche nell'ipotesi in cui i fatti o le circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'attività o dell'informazione divengano noti al prestatore del servizio solo dopo l'avvenuta memorizzazione dell'informazione resa dal terzo. E, in tal caso, non potendo essere più impedita la pubblicazione, non resta al prestatore che operarne la rimozione, anche a prescindere dalla comunicazione delle autorità, per evitare la pro-pria responsabilità (quanto meno sul piano risarcitorio). Dunque, l'obbligo di rimozione delle informazioni illecite memorizzate sorge per l'hosting provider nel momento stesso in cui egli, in qualunque modo, acquisisca la conoscenza di fatti o circostanze che rendano tale illiceità manifesta; in quest'ottica, la comunicazione delle autorità competenti rappresenta solo una fonte qualificata di acquisizione della predetta conoscenza (che, verosimilmente, semplifica anche la valutazione per il prestatore del carattere manifesto dell'illiceità dell'informazione e l'eventuale giudizio sulla sua effettiva consapevolezza della stessa). 2.6 L'indicata interpretazione, oltre ad essere fondata sul tenore letterale dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003, d'altra parte, è la più coerente con la sua stessa ratio, di recepimento della previsione della Direttiva 2000/31/CE nel diritto interno, dal momento che la diversa interpretazione accolta dalla Corte d'Appello le attribuisce un significato difforme rispetto alla suddetta direttiva. Inoltre, l'interpretazione dell'articolo 16 del decreto legislativo n. 70 del 2003 fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, appare certamente la più ragionevole, anche nel risultato finale, che garantisce un equilibrato contempera-mento tra la tutela della posizione del prestatore di servizi (non attivo) nella società dell'informazione, la cui responsabilità si è ritenuto opportuno limitare sul piano normativo, per favorire lo sviluppo e la trasmissione dei servizi e delle idee in tale ambito, e la tutela dei soggetti che possono esserne potenzialmente lesi. Il punto di equilibrio che emerge dalla normativa euro-unitaria ed interna è, in definitiva, dato dai seguenti principi di diritto: il prestatore di servizi informatici che assuma il ruolo di hosting provider non attivo va, di regola, esente dalla responsabilità per la pubblicazione delle eventuali informazioni illecite che provengano dai terzi - e, più specificamente, in relazione alla problematica oggetto della presente controversia - per tutti gli eventuali commenti diffamatori inviati dai terzi, ma, una volta che egli acquisisca la consapevolezza della manifesta illiceità degli stessi (in qualunque modo, anche non necessariamente a seguito di una comunicazione delle autorità competenti, sebbene, in tale ultimo caso, possa essere più agevole percepire il carattere manifesto dell'illiceità), è tenuto ad attivarsi per rimuoverli tempestivamente, per continuare a godere dell'esenzione dalla indicata responsabilità . 2.7 La decisione impugnata certamente non è conforme a tale principio di diritto. Essa va, di conseguenza, cassata, affinché l'eventuale responsabilità del convenuto per l'omessa tempestiva rimozione dei commenti diffamatori pubblicati sul suo blog sia rivalutata, in sede di rinvio, alla luce dei principi di diritto sopra esposti. 3. È accolto il terzo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto. La sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composi-zione, anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte: - accoglie il terzo motivo del ricorso, che è rigettato per il resto, e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.