Minaccia malefici contro la cliente per ottenere denaro: mago condannato per estorsione

Catalogabile come estorsione in piena regola la condotta del sedicente mago che chiede e ottiene soldi dalla cliente minacciando di compiere malefici contro di lei e contro suo figlio. Impossibile ridimensionare i fatti e classificarli come una meno grave truffa vessatoria, dal momento che il tratto che caratterizza il delitto di estorsione è l’esistenza di una minaccia, a prescindere dal carattere reale o immaginario del male prospettato.

Scenario della vicenda è l’Emilia-Romagna ove un sedicente mago inganna una cliente grazie alla cartomanzia, prova a tenerla legata a sé e ad obbligarla a versargli altro denaro – oltre a quello già sborsato dalla donna per alcuni presunti servizi di magia – minacciando di colpire lei e il figlio con alcuni malefici. A quel punto, seppur inverosimile per una persona di buonsenso, la donna riapre i cordoni della borsa, come testimoniato da alcuni bonifici effettuati sul conto corrente intestato alla moglie del mago. Questo circolo vizioso viene, per fortuna, interrotto: la donna non dipende più psicologicamente dal mago e, quindi, smette definitivamente di sborsare denaro per garantire sicurezza  a sé stessa e al figlio. Inevitabile lo strascico giudiziario, col sedicente mago che finisce sotto processo per il reato di estorsione. E per i giudici d’Appello non vi sono dubbi sulla colpevolezza del mago, il quale «ha costretto la cliente a versare la somma di 3mila euro, ingenerando nella donna la paura di eventuali malefici per sé stessa e per il figlio». Col ricorso in Cassazione, però, la difesa punta ad un ridimensionamento delle condotte tenute dal mago: viene richiamata la differenza fra il delitto di estorsione e quello di truffa cosiddetta vessatoria : nel primo caso «il danno viene minacciato come una possibilità concreta, dipendente in maniera diretta o indiretta dal soggetto», mentre nel secondo caso «il male rappresentato rimane del tutto estraneo al soggetto». Ragionando in questa ottica, il legale osserva che alla donna «è stato prospettato un pericolo immaginario, correlato a forze occulte immaginarie, per l’appunto», e, quindi, «il fatto deve essere riqualificato nel reato di truffa e deve essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, essendo stato commesso nel corso degli ultimi mesi del 2016». Per la Cassazione, però, è priva di fondamento la tesi proposta dalla difesa soprattutto per una ragione: «il tratto che caratterizza il delitto di estorsione è l’esistenza di una minaccia, a prescindere dal carattere reale o immaginario del male prospettato» alla vittima. Ampliando l’orizzonte, comunque, la Suprema Corte ribadisce il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cosiddetta vessatoria, ossia «il diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dal soggetto, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà ma si determina all’azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, al soggetto ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dal soggetto» autore della minaccia «o di incorrere nel danno minacciato». Applicando questa prospettiva alla vicenda presa in esame, i Giudici fanno ulteriore chiarezza: «integra il reato di estorsione la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l’effetto coercitivo esercitato» sulla vittima, «tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà del soggetto, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota». In definitiva, «a prescindere dal carattere reale o immaginario del male prospettato, tratto caratterizzante il delitto di estorsione è l’esistenza di una minaccia», che è emersa, anche secondo i Giudici, nella vicenda in esame, «avuto riguardo alla prospettazione da parte del sedicente mago di un male in danno della vittima e del di lei figlio che Io stesso mago avrebbe potuto indirizzare nei loro confronti». Inequivocabile quanto dichiarato dalla persona offesa: «minacce del tipo che, se non continuavo a fare i versamenti, le sorti mie e di mio figlio sarebbero diventate fatali a causa di malefici che il mago, attraverso i suoi presunti poteri, avrebbe scagliato contro di noi». E per “pesare” il carattere minaccioso della prospettiva delineata dal mago alla cliente è necessario, chiosa la Corte, tenere presente che «essa era stata offerta alla donna nel corso di un rapporto esistente da tempo fra lei e il mago, rapporto in seno al quale la donna era in posizione di evidente soggezione».

Presidente Petruzzellis - Relatore Calvisi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza resa in data 19 luglio 2024 la Corte d'Appello di Bologna, in riforma della sentenza emessa il 29 marzo 2023 dal Tribunale di Rimini, dichiarava S.F. colpevole del reato di estorsione in concorso contemplato al capo d) dell'imputazione, contestatogli per avere costretto S.F. a versare la somma di euro 3.000,00 ingenerando in quest'ultima la paura di eventuali malefici per sé stessa e per il figlio. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del proprio difensore, chiedendone l'annullamento e articolando tre motivi di doglianza. 3. Con il primo motivo deduceva manifesta illogicità e lacunosità della motivazione, dolendosi del fatto che il giudice di appello aveva omesso di rinnovare l'istruttoria dibattimentale. Osservava che nel caso di reformatio in peius il giudice di appello, ai sensi dell'articolo 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., aveva l'obbligo di disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel caso di diverso apprezzamento di una prova dichiarativa ritenuta decisiva. Assumeva che nel caso di specie la Corte d'Appello aveva fondato la propria statuizione di condanna sulle dichiarazioni della parte offesa, ritenuta credibile, laddove il giudice di primo grado ne aveva apertamente contestato i contenuti, e nondimeno nel corso del giudizio di secondo grado la medesima parte offesa non era stata riesaminata. Deduceva, sotto altro profilo, che quest'ultima aveva reso una versione dei fatti caratterizzata da gravi contraddizioni, in particolare indicando la coimputata V.E. moglie del ricorrente, come una donna di sessant'anni circa, laddove la stessa in realtà era trentenne, e affermando dapprima che aveva corrisposto somme di denaro a quest'ultima a titolo di amicizia, per poi, in maniera contraddittoria, dichiarare che tali somme erano il corrispettivo per un consulto con il Mago (OMISSIS) in relazione a una malattia del proprio figlio, e ancora che il Mago (OMISSIS) aveva un forte accento toscano laddove in realtà il ricorrente era originario di Piacenza; assumeva che in relazione a tali contraddizioni la Corte territoriale non aveva reso alcuna motivazione. 4. Con il secondo motivo lamentava la omessa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in relazione alle dichiarazioni rese dall'imputato, il quale aveva affermato di avere avuto dei contatti con parte offesa, considerato che tale affermazione era stata utilizzata dal giudice di appello in relazione alla assunta statuizione di condanna. 5. Con il terzo motivo deduceva carenza di motivazione e violazione dell'articolo 192 cod. proc. pen. con particolare riguardo alla omessa valutazione delle allegazioni difensive concernenti l'attendibilità della parte offesa, assumendo che erroneamente la Corte d'Appello aveva ritenuto che il giudice di primo grado avesse valutato come attendibili le dichiarazioni della medesima nel loro complesso, quando in realtà tali dichiarazioni avevano trovato un riscontro documentale nella sola parte concernente l'effettuazione di bonifici sul conto corrente intestato a V.E. dichiarazioni che, per il resto, non erano caratterizzate dei canoni della precisione, della coerenza logica, della costanza, della spontaneità, della genuinità e del disinteresse. 6. Con motivi nuovi depositati il 28 marzo la difesa ha richiamato la differenza fra il delitto di estorsione e quello di truffa cosiddetta vessatoria , rassegnando che nel primo il danno viene minacciato come una possibilità concreta dipendente in maniera diretta o indiretta dallo stesso agente, laddove nel secondo il male rappresentato rimane del tutto estraneo all'agente, e osservando che nel caso di specie era stato prospettato allo S.F. un pericolo immaginario, correlato a forze occulte per l'appunto immaginarie; concludeva sul punto affermando che il fatto doveva essere riqualificato nel reato di truffa, il quale doveva essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione, essendo stato commesso nel corso degli ultimi mesi dell'anno 2016. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è manifestamente infondato e pertanto inammissibile. La lettura delle sentenze di merito consente di apprezzare che, ad onta di quanto sostenuto dal ricorrente, sia il giudice di primo grado che la Corte d'Appello hanno ritenuto credibili le dichiarazioni della parte offesa S. F.. In particolare, il Tribunale ha dato credito alla versione dei fatti fornita dalla parte offesa, ma ha assolto l'odierno ricorrente ritenendo non pienamente provato che costui fosse il soggetto, denominato Mago (OMISSIS) . che aveva avuto contatti con la S. e che aveva avanzato nei confronti della stessa pretese economiche, considerato che la parte offesa aveva espressamente dichiarato di aver avuto con il Mago (OMISSIS) esclusivamente contatti telefonici. La Corte d'Appello, apprezzando allo stesso modo le dichiarazioni della S.F.. ha invece ritenuto che fosse stata adeguatamente dimostrata la circostanza che il Mago (OMISSIS) e il ricorrente fossero la stessa persona, considerato che quest'ultimo aveva ammesso di avere avuto contatti con la parte offesa e aveva dichiarato di occuparsi di cartomanzia, e che il profitto del reato era confluito su un conto corrente utilizzato in prevalenza proprio da S.F. e intestato alla di lui moglie. Come si vede, le dichiarazioni della parte offesa non sono state apprezzate diversamente dal Tribunale e dalla Corte d'Appello, così che viene a mancare il presupposto dell'obbligo di procedere a una nuova audizione della testimone, ai sensi dell'articolo 603, comma 3-bis cod. proc. pen. 2. Anche il secondo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Ed invero, anche la dichiarazione dell'imputato, che aveva affermato di avere avuto dei contatti con la parte offesa e di essere un cartomante che operava con il nome di Mago (OMISSIS) , non risulta essere stata oggetto, da parte del giudice di appello, di un apprezzamento diverso da quello risultante dalla motivazione della sentenza di primo grado. Peraltro, il ricorrente non chiarisce sotto quali profili le dichiarazioni dello S.F. sarebbero state oggetto di apprezzamenti diversi da parte dei due giudici di merito, rimanendo la deduzione connotata da genericità. Pertanto, anche sotto tale profilo difetta il presupposto dell'obbligo di procedere a una nuova audizione della testimone, ai sensi dell'articolo 603, comma 3-bis cod. proc. pen. 3. È manifestamente infondato, e pertanto inammissibile, anche il terzo motivo. Si deve, invero, ritenere la Corte territoriale abbia reso una motivazione immune da vizi in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa, avendo dato congruamente atto che le stesse erano state ritenute attendibili anche dal Tribunale ed evidenziando inoltre idonei riscontri che ne avevano confermato l'attendibilità, individuati nelle sopra ricordate dichiarazioni dell'imputato e, soprattutto, nel fatto che il profitto del reato era stato accreditato su un conto corrente intestato alla moglie di S.F. e movimentato da quest'ultimo e dal di lui genitore. 4. Sono infine, manifestamente infondati anche i motivi aggiunti, considerato che l'inammissibilità dei motivi originari travolge anche quelli aggiunti (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 8439 del 24/01/2020, Filippi, Rv. 278387 -01, secondo cui l'inammissibilità di un motivo del ricorso principale cui si colleghi un motivo aggiunto, idoneo, in astratto, a colmarne i difetti, travolge quest'ultimo, non potendo essere tardivamente sanato il vizio radicale dell'impugnazione originaria; e ciò vale anche nel caso in cui il ricorso non sia integralmente inammissibile perché contenente altri motivi immuni da vizi). E tuttavia mette conto di evidenziare che, secondo la consolidata opinione del Giudice di legittimità, condivisa da questo Collegio, il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cd. vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata ai sensi dell'articolo 640, comma secondo, n.2, cod. pen. quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall'agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all'azione od omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l'esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, all'agente ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell'alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto dall'agente o di incorrere nel danno minacciato (v., ex multis, Sez. 2, n. 24624 del 17/07/2020, Bevilacqua, Rv. 279492 - 01). In tema la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che integra il reato di estorsione, e non di truffa aggravata, la minaccia di un male, indifferentemente reale o immaginario, dal momento che identico è l'effetto coercitivo esercitato sul soggetto passivo, tanto che la sua concretizzazione dipenda effettivamente dalla volontà dell'agente, quanto che questa rappresentazione sia percepita come seria ed effettiva dalla persona offesa, ancorché in contrasto con la realtà, a lei ignota (Sez. 2, n. 21974 del 18/04/2017, Cianci, Rv. 270072 - 01; nello stesso senso Sez. 6, n. 27996 del 28/05/2014, Stasi e altri, Rv. 261479 - 01). Dunque, a prescindere dal carattere reale o immaginario del male prospettato, tratto caratterizzante del delitto di estorsione è l'esistenza di una minaccia, che nel caso di specie la Corte di merito ha correttamente ritenuto sussistente, avuto riguardo alla prospettazione da parte dello S.F. di un male in danno della vittima e del di lei figlio che lo stesso imputato avrebbe potuto indirizzare nei loro confronti (la persona offesa ha dichiarato quanto segue: Minacce del tipo che se non continuavo a fare i versamenti le sorti mie e di mio figlio sarebbero diventate fatali a causa di malefici che il signor (OMISSIS) attraverso i suoi presunti poteri avrebbe scagliato contro di noi ; v. pag. 3 della sentenza impugnata), dovendosi anche considerare, nell'apprezzamento del carattere minaccioso di tale prospettazione, che la stessa era stata offerta alla vittima nel corso di un rapporto esistente da tempo fra quest'ultima e l'imputato, rapporto in seno al quale la prima era in posizione di evidente soggezione rispetto al secondo. 5. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile. Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.