Falsa incolpazione resa in sede di SIT: è calunnia

La Suprema Corte conferma che la falsa incolpazione resa in sede di sommarie informazioni integra il reato ex articolo 368 c.p.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, è tornata sul tema della configurabilità del reato di calunnia (articolo 368 c.p.) in relazione a dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni testimoniali, confermando la condanna nei confronti dell'imputata che, dopo aver modificato messaggi scambiati con un terzo per farli apparire concussivi, ne aveva convalidato il contenuto davanti ai Pubblici Ministeri. In particolare, la vicenda trae origine dalla denuncia per tentata concussione nei confronti di un sindaco, sostenuta da messaggi alterati ad arte dall'imputata e trasmessi a terzi, con successiva conferma della versione calunniosa in sede di indagini preliminari. I giudici di merito, e infine la Cassazione, hanno ritenuto che la condotta fosse idonea a integrare il delitto di calunnia, ribadendo che la conferma di una falsa accusa in sede di sommarie informazioni – anche se il procedimento era già stato avviato – mantiene rilevanza penale, in virtù dell'offensività concreta dell'incolpazione e della tutela dell'onore e della reputazione del soggetto falsamente accusato. La motivazione fornita dal collegio approfondisce il cosiddetto “requisito implicito” di fattispecie, ovvero la possibilità che la falsa incolpazione dia inizio a un procedimento penale, precisando che tale elemento, pur non previsto espressamente dall'articolo 368 c.p., rappresenta un test di offensività della condotta calunniosa, alla cui luce verificare la credibilità dell'incolpazione, in modo da circoscrivere l'ambito di rilevanza penale della fattispecie. La sentenza infatti, valorizza l'orientamento maggioritario secondo cui la calunnia sussiste anche quando l'incolpazione menzognera riguarda un reato già portato a conoscenza dell'autorità giudiziaria. In tal senso, ai fini della configurabilità del reato non è necessario l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato, ma è sufficiente che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, cosicché, «soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare, perché in contrasto con i più elementari principi di logica e del buon senso, la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, deve escludersi la materialità del delitto di calunnia».

Presidente Fidelbo - Relatore Di Giovine Ritenuto in fatto 1. Con la pronuncia in epigrafe, la Corte d'appello di Brescia riformava la sentenza che in primo grado aveva assolto E. N., e la dichiarava responsabile del delitto di calunnia (articolo 368 cod. pen.) perché, richiesta dal Pubblico ministero di fornire informazioni nell'ambito di un procedimento penale a carico di M. P. per tentata concussione (articolo 56,317 cod. pen.), affermava falsamente che P., che sapeva innocente, in qualità di Sindaco di Mantova, aveva tenuto nei suoi confronti un comportamento concussivo, richiedendole favori sessuali per non intralciare l'attività di un'associazione culturale di cui l'imputata era vice-presidente. In particolare, N.E. confermava il contenuto di messaggi scambiati con P., riportati in una denuncia sporta nei confronti del medesimo da altra persona, messaggi che N.E. stessa aveva inviato a terzi dicendo di averli ricevuti da P. ed in cui aveva inserito frasi che facevano apparire il suddetto comportamento come concussivo. 2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso N.E., per il tramite degli Avvocati Stefano Beltrami e Paolo Aldrovandi, deducendo i seguenti quattro motivi. 2.1. Errata applicazione dell'articolo 368 cod. pen. I fatti ascritti all'imputata sono atipici, mancando la possibilità che inizi un procedimento penale , elemento implicito di fattispecie, ritenuto necessario dalla giurisprudenza di legittimità, come d'altronde riconosciuto dalla stessa Corte d'appello la cui motivazione è, quindi, pure contraddittoria. La stessa Corte d'appello circoscrive infatti la materia oggetto del giudizio escludendo la rilevanza della modifica, ad opera di N.E., dei messaggi (OMISSIS) da cui era originato il procedimento penale a carico del Sindaco di Mantova, e motiva a partire dalla censura all'impostazione del Giudice di primo grado, che aveva letto l'imputazione come contestazione sia di una calunnia reale, in cui la simulazione delle tracce di reato sarebbe consistita nell'alterazione dei messaggi, sia come calunnia formale, resa mediante sommarie informazioni testimoniali. La Corte d'appello assume, invece, che l'imputazione riguardi la sola condotta dichiarativa dell'imputata la quale, il 23 novembre 2017 e poi il 18 dicembre 2017, forniva informazioni ai Pubblici ministeri, confermando il contenuto dei messaggi: per contro, non è contestato a N.E. l'aver simulato tracce di un reato a carico di P., condotta considerata nell'imputazione prodromica e presupposta alla consumazione del reato contestato. Di conseguenza, perdono rilevanza le deduzioni in appello sull'assenza di dolo al momento della modifica dei messaggi e del loro inoltro alla Presidente dell'associazione. La Corte di secondo grado opera poi un'ulteriore delimitazione dell'oggetto del proprio giudizio rispetto al contenuto dell'atto d'appello della Procura e delle note d'udienza della difesa. La Procura aveva infatti sostenuto la possibilità di ravvisare la calunnia anche in rapporto agli ulteriori elementi forniti da N.E. in sede di sommarie informazioni che, nella prospettiva accusatoria, avrebbero determinato un ampliamento dell'addebito originario e, quindi, assunto rilevanza autonoma ex articolo 368 cod. pen. La difesa, nelle citate note di udienza, aveva replicato negando tale ampliamento, poiché l'imputata si era limitata a confermare il contenuto dei messaggi, aggiungendo circostanze di mero contorno, e considerato, in ogni caso, che mai era stato svolto un accertamento sulla falsità o meno dei fatti dichiarati. Anche questo tema è stato però estromesso dal giudice di appello e perde, quindi, rilevanza nella prospettiva del ricorso. Non soltanto, infatti, la Corte d'appello non affronta il punto della veridicità o meno degli ulteriori elementi forniti da N.E. in sede di sommarie informazioni. Di più, dichiara espressamente di non attribuire alcun rilievo alla questione, sostenendo che la responsabilità dell'imputata va affermata indipendentemente dalla veridicità o meno delle propalazioni di contorno, che valorizza al solo scopo di confermare il dolo di calunnia in relazione al fatto contestato. La Corte d'appello opera, dunque, una semplificazione, incentrando la contestazione sulle sole dichiarazioni dell'imputata in sede di sommarie informazioni: dichiarazioni che non possono creare il pericolo che inizi un nuovo procedimento penale, essendo state rese nell'ambito di un procedimento penale già pendente. Di fatto, i Giudici di secondo grado finiscono, quindi, con l'estendere la portata della fattispecie applicandola a fatti invece riconducibili allo schema del delitto di false informazioni al pubblico ministero (articolo 371-bis cod. pen.) per il quale, d'altronde, la Procura aveva inizialmente iscritto l'imputata, salvo successiva archiviazione del procedimento, essendo stata integrata la causa di non punibilità della ritrattazione. 2.2. Vizio di motivazione. La Corte d'appello afferma che la possibilità che inizi un procedimento penale non può essere esclusa per il solo fatto che il procedimento stesso è già avviato, posto che per la configurazione della calunnia si richiede solo l'idoneità dell'incolpazione a dare inizio ad un procedimento penale, e non il suo avvio effettivo. Tale permessa non ha però valore dimostrativo della conclusione cui si vuole pervenire e, anzi, la smentisce, essendo evidente che, in linea generale, dichiarazioni rese con riferimento ad un procedimento già iniziato sono ontologicamente inidonee a darvi luogo. Tutt'al più, secondo la giurisprudenza di legittimità, possono rilevare dichiarazioni false suscettibili di generare un nuovo procedimento o almeno di estendere quello originario ad un apprezzabile novum rispetto all'accusa primigenia. Ma, nel caso di specie, la Corte d'appello non prende in alcuna considerazione i fatti di contorno né si preoccupa di accertarne la veridicità, il riferimento alle dichiarazioni relative a fatti ulteriori rispetto alla conferma dei messaggi (OMISSIS) valendo soltanto a confermare, come già rilevato, l'elemento soggettivo. 2.3. Errata applicazione della legge penale in rapporto alla fattispecie di concussione. In sede di sommarie informazioni, l'imputata non ha peraltro incolpato P. di concussione. La medesima sentenza impugnata rappresenta come, nel corso dell'audizione, N.E. avesse ricondotto l'azione attribuita a P. ad un gioco delle parti, inserito in un quadro di ammiccamenti erotici, privo di una diretta valenza di concussione, escludendo qualunque forma di prevaricazione dell'uomo nei suoi confronti, anche se poi marginalizza il dato, affermando che la refrattarietà del soggetto passivo ad intimorirsi, la sua mancanza di soggezione e perfino la sua decisione di denunziare il tentativo subito all'autorità giudiziaria non escludono la sussistenza del reato. Ma, se la resistenza del privato non preclude la configurabilità della concussione, ciò non significa che il reato sia integrato anche quando le pressioni siano solo simulate perché inserite in un gioco consensuale. E, d'altra parte, dalla lettura delle sommarie informazioni emerge che l'imputata voleva escludere in radice la valenza concussoria dei messaggi che aveva in precedenza modificato. 2.4. Vizio di motivazione. Appare, dunque, contraddittoria la motivazione ove si dice che la conferma, da parte dell'imputata in sede di sommarie informazioni del 23 novembre 2017, del contenuto dei messaggi (OMISSIS) serve ad ascrivere al Sindaco una condotta rilevante a titolo di concussione, dal tenore degli stessi evincendosi, piuttosto, soltanto il richiamato gioco delle parti . Considerato in diritto 1. Per ragioni di chiarezza espositiva, è necessario sintetizzare la vicenda, quale emerge dalla lettura delle sentenze di merito. N.E., Vice-presidente di un'associazione culturale, aveva modificato ed inviato il contenuto di messaggi provenienti da P., Sindaco di Mantova, facendolo apparire concussorio (richiesta di rapporti sessuali in cambio di favori per l'associazione che rappresentava); quindi, aveva inoltrato i messaggi così alterati alla Presidente dell'associazione di cui era Vicepresidente, conoscendo la sua profonda inimicizia verso il Sindaco e sapendo della sua vicinanza con un avversario politico di P., consigliere comunale di minoranza, il quale presentava un esposto a carico del Sindaco, allegando copia dei messaggi. Chiamata, due volte (il 23 novembre e il 18 dicembre 2017), davanti al Pubblico Ministero per rendere sommarie informazioni nell'ambito del procedimento penale, instaurato a seguito dell'esposto, a carico del Sindaco, N.E., nella prima occasione, confermava le accuse; nella seconda, ritrattava parzialmente (ammettendo di aver alterato alcuni messaggi e che la Presidente dell'associazione non ne era conoscenza). In tale svolgimento fattuale, il Giudice dell'udienza preliminare ravvisava l'astratta configurabilità di due calunnie (materiale e formale), in continuazione, salvo pervenire ad una sentenza assolutoria. Quanto alla calunnia materiale, la simulazione di tracce di reato sarebbe consistita nella modifica dei messaggi telefonici di P. e, quindi, nell'invio dei messaggi così modificati alla Presidente della sua associazione, che sapeva essere in cattivi rapporti con il Sindaco. Quanto alla calunnia formale, essa si sarebbe sostanziata della conferma del contenuto dei messaggi alterati davanti ai Pubblici ministeri, nelle due occasioni in cui N.E. rese sommarie informazioni testimoniali, incolpando il Sindaco pur sapendolo innocente. Tuttavia, muovendo da tale ultimo fatto, il Tribunale escludeva che le dichiarazioni rese dall'imputata davanti ai Pubblici ministeri integrassero l'ipotesi di cui all'articolo 368 cod. pen., ritenendole inidonee a dare inizio a un procedimento nuovo, giuridicamente autonomo, dal momento che le stesse si erano inserite, al contrario, all'interno di un procedimento già avviato a seguito di denuncia di altro soggetto (con la conseguenza - precisava - che sussistevano, piuttosto, gli estremi delle false informazioni a Pubblico ministero, di cui all'articolo 371-bis cod. proc. pen.: procedimento avviato e però archiviato a seguito di ritrattazione dell'imputata). Negava, inoltre, la configurabilità della calunnia materiale, dovendosi la simulazione delle tracce di reato realizzare all'interno di un rapporto con l'autorità giudiziaria, condizione non sussistente nel caso di specie, in cui la simulazione era stata posta in essere nell'ambito di un rapporto privatistico, tra soggetti che non avevano obbligo di fare rapporto all'autorità giudiziaria. 2. La Corte d'appello, accogliendo l'appello del Pubblico Ministero, ribalta tale esito. Muove dal presupposto che il capo di imputazione riguardi la sola calunnia formale - nega che l'impostazione del primo Giudice si raccordasse con l'accusa - e condanna N.E. per calunnia per le sole prime sommarie informazioni (quelle rese a novembre 2017), escludendo la rilevanza delle successive (del dicembre dello stesso anno), meri post facta, la ritrattazione non essendo d'altronde prevista in relazione al delitto di cui all'articolo 368 cod. pen. 3. Tanto premesso, ritiene questa Corte che il ricorso di N.E. sia infondato e che la sentenza di secondo grado vada confermata. 4. In particolare, infondati appaiono i primi due motivi di ricorso, dove lamentano la mancata integrazione della tipicità della calunnia e un conseguente vizio motivazionale della sentenza, per l'asserita non configurabilità, nel caso di specie, del requisito implicito di fattispecie rappresentato dalla possibilità che abbia inizio un procedimento penale . 4.1. Sul punto, va precisato che tale requisito compare nel tipo della finitima, e per larga parte sovrapponibile, simulazione di reato (articolo 367 cod. pen.), ma non è espressamente previsto nell'articolo 368 cod. pen., e che tale omissione non è giocoforza ascrivibile a dimenticanza legislativa. Ciò emerge ove si acceda alla tesi, ancora dominante nella dottrina e sostenuta da una giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 10535 del 21/02/2007, Caprio, Rv. 235929; Sez. 6, n. 21789 del 28/04/2010, Pascarella, Rv. 247116; Sez. 6, n. 49740 del 25/07/2017, Gaggioli, Rv. 271506), del carattere pluri-offensivo della calunnia: come delitto che mette in pericolo l'amministrazione della giustizia - la cui macchina viene attivata in modo fuorviante dal calunniatore -, ma che pure lede l'onore e/o reputazione della persona da lui falsamente incolpata di aver commesso un reato (laddove, l'articolo 367 cod. pen. offende il solo interesse pubblicistico). Seguendo tale linea interpretativa, ci si potrebbe spingere a ritenere la calunnia astrattamente configurabile per il solo fatto della falsa incolpazione, che sicuramente reca un nocumento all'onore e/o la reputazione dell'incolpato: a prescindere cioè, dalla possibilità di arrecare offesa anche alla macchina della giustizia. 4.2. Nel caso di specie, la calunnia risulta però integrata anche aderendo al diverso e più garantista - come tale, senz'altro preferibile - orientamento giurisprudenziale che, individuato, in linea con la collocazione topografica codicistica della fattispecie, il bene tutelato nel solo interesse pubblicistico, coerentemente, erge la possibilità che inizi un autonomo procedimento penale a requisito implicito ma costitutivo - e pertanto irrinunciabile - della fattispecie (Sez. 6, n. 29579 del 20/07/2011, Nania, Rv. 250746; Sez. 6, n 3533 del 24/01/1983, dep. 1984, Pedrotti, Rv. 163749), costruendo quest'ultima, dunque, in chiave di pericolo (concreto). 4.3. Sul punto si impone, tuttavia, un chiarimento. L'elemento (di matrice giurisprudenziale) rappresentato dalla possibilità che inizi un procedimento penale ha la funzione di indiziare l'offensività del fatto. Rappresenta, cioè, un test alla cui luce verificare la credibilità dell'incolpazione, in modo da circoscrivere l'ambito di rilevanza penale della fattispecie. In tal senso - seppur con riferimento a situazioni non sovrapponibili a quella in oggetto -, è stato chiarito che: per un verso, ai fini della configurabilità del reato non è necessario l'inizio di un procedimento penale a carico del calunniato (ipotesi che qui non rileva); per altro verso, è sufficiente che la falsa incolpazione contenga in sé gli elementi necessari e sufficienti per l'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona univocamente e agevolmente individuabile, cosicché, soltanto nel caso di addebito che non rivesta i caratteri della serietà, ma si compendi in circostanze assurde, inverosimili o grottesche, tali da non poter ragionevolmente adombrare, perché in contrasto con i più elementari principi della logica e del buon senso, la concreta ipotizzabilità del reato denunciato, deve escludersi la materialità del delitto di calunnia (Sez. 6, n. 20064 del 03/04/2024, Baiardo, Rv. 286509; Sez. 6, n. 10282 del 22/01/2014, Romeo, Rv. 259268). Ebbene, che l'incolpazione ad opera di N.E. fosse fantasiosa o stravagante non può certamente dirsi. Nella vicenda che qui interessa, la ricorrente, infatti, confermò, davanti ai Pubblici Ministeri, il contenuto concussorio di messaggi da lei stessa artefatti (vi inserì le minacce legate allo svolgimento dell'attività dell'associazione culturale che rappresentava), aggiungendo, oltretutto, informazioni e particolari che (veri o falsi che fossero) tendevano a rendere vieppiù verosimile un'accusa la quale, per il tramite di un terzo venutone a conoscenza, aveva già dato l'avvio a un procedimento a carico del falsamente incolpato. E, a tale ultimo proposito - si viene così specificamente alle deduzioni difensive - è opportuno precisare che il suddetto elemento implicito di fattispecie non può essere invocato per escludere, al contrario, proprio in siffatti casi più gravi, la configurabilità della fattispecie. La tesi proposta dalla ricorrente e sposata dalla sentenza di primo grado invererebbe infatti il paradosso di mandare impunito chi - nelle ipotesi di c.d. calunnia mediata, pure ritenute configurabili dalla giurisprudenza di legittimità (v. infra) - abbia dato egli stesso la stura, seppure per interposta persona , ad un procedimento penale (quando, ad esempio, della calunnia materiale, difetti la prova del dolo, sicché tale reato non risulti integrato) successivamente confermando le accuse artatamente create davanti al pubblico ministero (nel senso che la calunnia in tali ipotesi sussista, v., peraltro, Sez. 6, n. 51688 del 06/10/2017, Natalizio, Rv. 271733). D'altra parte, proprio valorizzando l'interpretazione, qui ribadita, del requisito implicito di fattispecie come test sull'offensività della condotta incolpante, una recente pronuncia di questa Corte (Sez. 1, n. 13512 del 23/01/2025, K, Rv. 287830) ha specificato l'ambito operativo del citato requisito implicito di fattispecie, delimitandolo rispetto alla lettura proposta dalla ricorrente. Tale sentenza ha, infatti, chiarito che la calunnia si configura anche nel caso in cui l'incolpazione menzognera riguardi un reato già portato a conoscenza dell'autorità. Ed ha puntualizzato che l'integrazione del tipo è preclusa soltanto ove sia già stata elevata l'imputazione e si sia instaurato il processo: perché, allora - e, deve intendersi, soltanto allora - il bene dell'amministrazione della giustizia è già stato irrimediabilmente leso, sicché l'accusa calunniosa si limita ad aggravare un'offesa già esistente e/o perfeziona gli estremi di altro reato, cessando di essere rimproverabile. Con parole diverse, può affermarsi che, se l'idoneità dell'accusa rappresenta il limite di offensività al di sotto del quale l'incolpazione nemmeno assurge a reato e va valutata, nella normalità dei casi, sulla base di una prognosi postuma, d'altro canto, più di rado, possono anche darsi calunnie impossibili (articolo 49, comma 2, cod. pen.), in cui l'accusa appare verosimile ex ante e, tuttavia, al momento in cui interviene, sulla base di una valutazione ex post, l'offesa ha già raggiunto il livello del danno. Tali situazioni, in cui l'intervento del presidio penale non avrebbe più senso, si inverano, secondo Sez. 1, n. 13512 del 23/01/2025, K. cit., soltanto ove l'impulso impresso dalla condotta calunniosa abbia effettivamente condotto all'esercizio dell'azione penale. Sicché, quest'ultimo - e cioè l'esercizio dell'azione penale - finisce con il rappresentare, - in base a tale lettura, il discrimen della rilevanza penale dell'accusa calunniatoria pur astrattamente credibile. Dalla specificazione compiuta nel citato arresto giurisprudenziale si desume, dunque, a contrario, che il semplice avvio di indagini preliminari a carico del calunniato - come nel caso che qui interessa - non basta ad escludere l'integrazione del reato: ben potendo segnalare, semmai ed esattamente al contrario, la credibilità/verosimiglianza dell'incolpazione. E comunque andrebbe approfondito - ma non è questa la sede per farlo - se, anche nei casi in cui già si versi propriamente nella fase del giudizio, la calunnia sia configurabile là dove l'agente intervenga a confermare ipotesi accusatorie cui egli stesso abbia dato adito quando, per qualunque ragione, la prima condotta non sia perseguibile. 4.4. Nessuna lacuna o illogicità essendo ravvisabile nella motivazione del provvedimento impugnato, i motivi 1 e 2 del ricorso devono essere rigettati. 5. Anche il secondo ed il terzo motivo sono infondati, peraltro in misura quasi manifesta. 5.1. Dalle sentenze emerge che - come accertato a livello peritale - N.E. modificò i messaggi di P., dal tenore ammiccante/erotico, aggiungendo frasi intimidatorie perché chiaramente evocative di un abuso di posizione. Non trova, dunque, riscontro la tesi, rappresentata dalla ricorrente in sede di legittimità, per cui la ricorrente avrebbe dichiarato che anche le pressioni erano una componente - sembra di capire - del gioco consensuale tra le parti. Come più volte precisato nella sentenza impugnata, l'imputata - sino a quando fu messa di fronte alle evidenze della perizia informatica, che dimostrava l'alterazione materiale dei messaggi -, continuò infatti a confermare davanti al Pubblico Ministero la genuinità e la veridicità degli stessi, ed oltretutto aggiunse che l'uomo aveva fatto analoghe pressioni anche negli incontri di persone e a voce. Tanto è più che sufficiente ad integrare, sul piano oggettivo, l'elemento normativo («reato») della calunnia. I Giudici di secondo grado, invero, conformandosi ad una invero risalente giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6, n. 4158 del 18/10/2012, dep. 2013, Cerreto Rv. 254491), hanno cura di specificare che la refrattarietà del soggetto passivo, la mancanza di soggezione e persino la decisione di denunciare il fatto all'autorità giudiziaria non precludono la configurabilità della concussione, ma la precisazione appare comunque svolta ad abundantiam, considerata la varietà di nomina iuris suscettibili di riempire l'evocato elemento normativo «reato» di cui all'articolo 368 cod. pen.: per cui la calunnia sarebbe sopravvissuta anche ad altra qualificazione gius-penalistica dei fatti ascritti all'incolpato. 5.2. Passando, infine, al piano soggettivo, è irrilevante che N.E. dubitasse della portata calunniatoria delle proprie dichiarazioni. Sul piano squisitamente giuridico, perché la fattispecie sia integrata, occorre che l'agente sappia l'incolpato innocente . Se, dunque, quanto a tale elemento di fattispecie, il dolo della calunnia è per forza di cose diretto, per il resto, esso tollera ogni forma, compresa quella eventuale: sicché, la responsabilità non verrebbe meno in caso di incertezza soggettiva sull'idoneità del proprio comportamento a dare l'abbrivio a un procedimento penale. In tale stato di incertezza, d'altronde, N.E. non poteva versare, come osserva la Corte d'appello, stante il contesto dell'audizione (svoltasi all'interno degli uffici della Procura della Repubblica, davanti al pubblico ministero titolare delle indagini), che non lasciava dubbi sulla seria gravità indiziaria emergente dai messaggi il cui contenuto in quella sede l'imputata confermò. Nemmeno, d'altronde, e passando al piano fattuale, è ipotizzabile che la ricorrente si sia trovata invischiata , per superficialità, in una menzogna cui lei stessa aveva dato origine per vanteria con la sua amica e Presidente dell'associazione, e che la abbia protratta, sempre per superficialità, in sede di sommarie informazioni al pubblico ministero. Già guardando all'antefatto, se l'intenzione fosse stata soltanto quella di esibire una relazione affettiva con P., non si comprende per quale ragione N.E. avrebbe modificato i messaggi scambiati con la controparte, assegnando ad essi un accento intimidatorio che non possedevano. Ciò, di riflesso, getta luce sulle motivazioni che condussero la ricorrente a confermare, in sede di sommarie informazioni, di aver subito pressioni e, quindi, sulla consapevolezza che, pure in quel momento, dovette nutrire in ordine al fatto che stava ascrivendo a P. un'ipotesi di reato. 5.3. Anche sotto i profili dedotti, la motivazione della sentenza impugnata si conferma, dunque, completa ed esente da criticità di ordine logico, il che conduce al rigetto dei motivi 3 e 4. 6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ex articolo 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.