Riconoscimento fotografico: la Cassazione ne riafferma il valore come prova dichiarativa

Il riconoscimento fotografico, pur costituendo una modalità atipica di identificazione, può assumere pieno valore probatorio se sostenuto dall'attendibilità del dichiarante, anche in assenza di riscontri esterni: solo elementi oggettivi di inattendibilità possono comprometterne l'efficacia ai fini identificativi.

La sentenza in esame torna a pronunciarsi sulla portata probatoria del riconoscimento fotografico nell'ambito processuale penale. Il caso trae origine da una contestazione difensiva circa la capacità dimostrativa di una individuazione fotografica ritenuta solo “all'80%” certa e priva di adeguati riscontri esterni. La Suprema Corte ribadisce che la ricognizione fotografica rappresenta una modalità atipica di identificazione, non assimilabile né alla ricognizione formale ex articolo 213 c.p.p., né all'individuazione di persona, ma soggetta alle regole della prova dichiarativa. Si tratta, infatti, di una modalità ricognitiva fondata sulla valorizzazione della percezione visiva delle caratteristiche somatiche dell'accusato, che si esprime attraverso una dichiarazione. Proprio in quanto dichiarazione, la forza probatoria dell'individuazione fotografica non deriva dalle modalità formali previste per la ricognizione, bensì dall'attendibilità del dichiarante, analogamente a quanto avviene per la deposizione testimoniale. Pertanto, in assenza di elementi che compromettano l'attendibilità del soggetto che effettua il riconoscimento, l'individuazione fotografica costituisce un elemento di prova sufficiente a sostenere l'identificazione anche a fini cautelari, come già stabilito dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 50954/2013; Cass. n. 1867/2013; Cass.n. 5043/2004). La Corte precisa che solo la presenza di profili di inattendibilità, desumibili dalla relazione tra riconoscente e accusato o dalla genericità e scarsa accuratezza dell'individuazione, può minarne il valore probatorio. Nel caso di specie, il riconoscimento fotografico – pur effettuato “in termini di quasi certezza” – ha trovato valido riscontro sia nei precedenti analoghi dell'imputato sia nelle circostanze fattuali relative al controllo su veicolo utilizzato per la rapina, circostanze che hanno corroborato la solidità dell'identificazione. La pronuncia si pone, dunque, in continuità con l'orientamento consolidato in tema di riconoscimento fotografico, riaffermandone la piena idoneità probatoria se sorretto da un adeguato vaglio critico e in assenza di elementi oggettivi di inattendibilità.

Presidente Verga - Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Firenze, decidendo con le forme del giudizio abbreviato, confermava la condanna di M.G. per i reati di rapina impropria aggravata dalla presenza di più persone e di lesioni aggravate. 2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore che deduceva: 2.1. violazione di legge (articolo 628, 582 cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine alla capacità dimostrativa del riconoscimento fotografico effettuato non in termini di certezza, ma solo all'80%; si deduceva in particolare che gli elementi “esterni” al dichiarato non sarebbero idonei a confermare l'attendibilità del riconoscimento; 2.2. violazione di legge (articolo 628, comma 3 n. 1) cod. pen.) e vizio di motivazione in ordine al riconoscimento dell'aggravante delle più persone riunite ed al mancato riconoscimento dell'attenuante prevista dall'articolo 114 cod. pen.: il ricorrente sarebbe rimasto nel furgone mentre il correo si impossessava del portafoglio della persona a offesa sicché non avrebbe contribuito ad aggravare l'azione criminosa; il mancato riconoscimento dell'aggravante avrebbe consentito di valutare la marginalità della condotta del ricorrente e di concedere l'attenuante prevista dall'articolo 114 cod. pen.; 2.3. violazione di legge (articolo 157 cod. pen.): i reati contestati sarebbero estinti per decorso del termine di prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello. Considerato in diritto 1.Il primo motivo non supera la soglia di ammissibilità in quanto manifestamente infondato. 1.1. Il collegio riafferma che la ricognizione fotografica è una modalità di identificazione atipica, non riconducibile alle prova tipica funzionale al riconoscimento dell'accusato, ovvero la ricognizione né al suo archetipo investigativo ovvero l'individuazione di persona: si tratta di una modalità ricognitiva fondata sulla valorizzazione della percezione visiva delle caratteristiche somatiche dell'accusato che si esprime attraverso una “dichiarazione” e che, non essendo riconducibile alla prova tipica, ovvero la “ricognizione”, non ne assorbe il relativo statuto, restando sottoposta alle regole che disciplinano la prova dichiarativa. Può dunque affermarsi che in assenza di elementi idonei ad inficiare l'attendibilità del dichiarante che effettua l'individuazione fotografica, questa è elemento di prova adeguato a sostenere l'identificazione a fini cautelari. L'individuazione di un soggetto è infatti una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, una specie del più generale concetto di dichiarazione; pertanto la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensì dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale (Sez 2, n. 50954 del 03/12/2013, Corcione, Rv. 257985; Sez 4, n. 1867 del 21/02/2013, Jonovic, Rv. 258173). In assenza di profili di inattendibilità ricavabili dalla relazione del riconoscente con l'accusato o dalla genericità e non accuratezza del riconoscimento deve dunque ribadirsi che poiché i gravi indizi di colpevolezza sono quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, idonei a fondare il convincimento di qualificata probabilità di colpevolezza, l'individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria, indipendentemente dall'accertamento delle modalità e quindi della rispondenza alla metodologia prevista per la formale ricognizione a norma dell'articolo 213 cod. proc. pen., ben può essere posta a fondamento di una misura cautelare, perché lascia fondatamente ritenere che sbocchi in un atto di riconoscimento, formale o informale, o in una testimonianza che tale riconoscimento confermi (Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, Acanfora, Rv. 227511). 1.2. Nel caso in esame dal compendio motivazionale integrato composto dalle due sentenze conformi di merito emerge che il riconoscimento fotografico - effettuato in termini di quasi certezza - trovava conferma nel fatto che il ricorrente era stato controllato sul veicolo usato per la rapina, in compagnia del correo, l'8 maggio 2015 e che lo stesso aveva diversi precedenti per fatti analoghi; infine, il M. era stato fermato una settimana dopo la consumazione del reato contesto in relazione ad una condotta analoga (pag. 5 della sentenza del Tribunale e pag. 8 della sentenza di appello). 1.3. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Il Collegio in via preliminare riafferma che nel reato di rapina, la circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza, nota alla vittima, di non meno di due persone nel luogo e al momento di realizzazione della violenza o della minaccia, in modo da potersi affermare che queste siano state poste in essere da parte di ciascuno degli agenti, ovvero che la mera presenza di uno dei complici all'esercizio della violenza o della minaccia possa essere interpretata alla stregua di un rafforzamento delle medesime (Sez. 2, n. 40860 del 20/09/2022, Conton, Rv. 284041 – 01; Sez. U, n. 21837 del 29/03/2012, Alberti, Rv. 252518 - 01). Con specifico riguardo al tema devoluto si ribadisce invece che la disposizione del secondo comma dell'articolo 114 cod. pen., secondo cui l'attenuante della minima partecipazione al fatto pluripersonale non si applica quando ricorra una delle circostanze aggravanti delineate all'articolo 112 stesso codice, e, dunque, quando il numero dei concorrenti sia pari o superiore a cinque, si riferisce anche ai casi nei quali il numero delle persone concorrenti nel reato sia posto a base di un aggravamento della pena in forza di disposizioni specificamente riguardanti il reato stesso. In applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che l'attenuante possa essere riconosciuta nel caso di estorsione aggravata ai sensi del secondo comma dell'articolo 629 cod. pen., che richiama, tra l'altro, l'ultima parte della previsione posta al n. 1) del comma terzo dell'articolo 628, secondo cui la pena è aumentata quando il fatto sia commesso da più persone riunite (Sez. 2, n. 18540 del 19/04/2016, Vincenti, Rv. 266852 – 01; Sez. 6, n. 6250 del 17/10/2002, dep. 2003, Emmanuello, Rv. 225925 - 01). Nel caso in esame, il legittimo riconoscimento dell'aggravante delle “più persone riunite” ostava alla concessione dell'attenuante prevista dall'articolo 114 cod. pen. 1.4. Il motivo di ricorso che deduce il decorso del termine di prescrizione del reato di lesioni prima della pronuncia della sentenza di secondo grado è fondato. Tale termine risulta infatti decorso il 1 gennaio 2023, mentre la sentenza di appello è stata pronunciata l'8 luglio 2024. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di lesioni di cui al capo b) e la relativa pena di mesi due di reclusione ed euro sessantasette di multa deve essere eliminata. Nel resto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di lesione di cui al capo b) per essere estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena pari a mesi 2 di reclusione ed euro 67,00 di multa. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.