Respinta definitivamente l’istanza risarcitoria avanzata da madre e padre e poi dal soggetto danneggiato, divenuto oramai maggiorenne. Catalogabile come caso fortuito il comportamento imprudente tenuto dal minore, che aveva all’epoca circa otto anni.
A dare origine al contenzioso è l’episodio verificatosi sedici anni fa nella provincia di Avellino. Tutto avviene in pochi minuti nel contesto di un campo sportivo: un bambino – otto anni, all’epoca – riesce ad entrare in un recinto in cui è custodito un cane – tenuto al guinzaglio –, si avvicina all’animale, inizia a stuzzicarlo con un bastone di legno, ma, alla fine, il quadrupede reagisce e con un balzo gli avvicina e lo morde con violenza. Immaginabili le ripercussioni fisiche e morali non solo per il bambino ma anche per i suoi genitori, mostratisi, a dirla tutta, poco attenti. Inevitabile lo strascico giudiziario: madre e padre citano in giudizio il padrone del cane, chiedendone la condanna a versare loro un adeguato ristoro economico a fronte dei danni riportati dal loro figlioletto a seguito dell’aggressione messa in atto nei suoi confronti dal cane. In primo grado l’istanza avanzata dai due genitori è legittima: il padrone dell’animale viene condannato a versare loro quasi 10mila euro. A sorpresa, però, questa decisione viene completamente ribaltata in appello. I giudici di secondo grado accolgono difatti la tesi proposta dal padrone del cane, tesi secondo cui, ricostruito in dettaglio l’episodio, «l’evento è da imputarsi a colpa esclusiva del soggetto danneggiato, in quanto il cane era legato al guinzaglio e custodito in un recinto chiuso da un cancello con catena attorcigliata, inopinatamente sfilata dal minore, che imprudentemente s’era così immesso nel recinto e si era avvicinato al cane. Per i giudici d’appello non ci sono dubbi: «il comportamento del minore, che si era introdotto nel recinto chiuso, infastidendo il cane con un bastoncino, costituisce fatto senz’altro idoneo ad integrare il caso fortuito, sicché nessuna responsabilità può ascriversi al proprietario dell’animale, in quanto il danno non è stato cagionato direttamente dalle forze fisiche ingenite della bestia» mentre è emerso che «il minore non era accompagnato da adulti, avendo agito solo e indisturbato», e quindi «la responsabilità dell’incidente grava sui genitori per omessa vigilanza». Così, in appello viene esclusa la responsabilità del padrone del cane e viene respinta l’ipotesi di un risarcimento in favore dei genitori del bambino. A portare il caso in Cassazione è il soggetto danneggiato, divenuto più che maggiorenne. A suo dire è illogica la decisione con cui i giudici d’appello hanno negato il risarcimento ai suoi genitori. Illogica perché, ricorda, «il cancello a protezione del recinto non era chiuso con lucchetto, ma solo con catena attorcigliata al montante, sicché in tali condizioni la condotta di chiunque, a maggior ragione di un minore, non può costituire caso fortuito, quale evento imprevedibile, inevitabile o assolutamente eccezionale». In seconda battuta, poi, l’uomo ritiene inaccettabile porre sotto accusa i genitori per «omessa vigilanza su un minore», soprattutto perché la responsabilità per l’incidente capitatogli è connessa al «mero rapporto di uso dell’animale». Queste obiezioni non convincono i Giudici di Cassazione, chiamati, in sostanza, a stabilire se la condotta di un bambino, di circa otto anni, che, sfilando la catena attorcigliata ad un cancello, entri in un recinto dando fastidio ad un cane ivi custodito, benché legato ad un guinzaglio, sia o meno imprevedibile, inevitabile ed eccezionale, nella prospettiva del proprietario del cane, tenuto, Codice Civile alla mano, a rispondere dei danni cagionati dall’animale. Per i magistrati di Cassazione bisogna partire da un punto fermo: «a fronte dei danni cagionati dall’animale, la responsabilità prevista a carico del proprietario trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell’intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità e dell’assoluta eccezionalità, con la conseguenza che alla parte lesa compete solo di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell’animale e l’evento lesivo, mentre il padrone dell’animale, per liberarsi» da ogni responsabilità, «deve provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell’animale». Passando dal quadro generale alla specifica vicenda, ora, è possibile, secondo i magistrati di Cassazione, condividere la valutazione compiuta dai giudici d’appello: «il comportamento della parte lesa (che all’epoca dei fatti aveva circa 8 anni)» va valutato come caso fortuito, tale da liberare da ogni responsabilità il padrone dell’animale, poiché «è intuitivo anche per un bambino di quella età come sia opportuno non accedere ad un recinto chiuso da un cancello, i cui due battenti siano circondati da una catena, sebbene non chiusa con lucchetto, ed ancor più evitare di avvicinarsi scientemente ad un animale che si trovi all’interno della zona recintata, assicurato dal proprietario con una catena, per di più andandolo a molestare con un bastoncino». Tirando le somme, la condotta tenuta, anche a cagione dell’omessa vigilanza dei genitori, dal minore morso dal cane va ritenuta, chiosano i magistrati di Cassazione, «assolutamente imprevedibile e del tutto eccezionale, tale da interrompere il nesso di causalità tra l’aggressione dell’animale e il danno subito dall’allora bambino».
Pesidente Rubino – Relatore Saija Fatti di causa A.D.G. e F.C., quali genitori esercenti la potestà sul minore D.G.G. (odierno ricorrente, ora maggiorenne), con atto del 22.12.2011 convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avellino, C.F., per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni per le lesioni che il minore aveva riportato a seguito dell'aggressione di un cane di proprietà del convenuto, fatto avvenuto il (OMISSIS) presso il campo sportivo di (OMISSIS). Istruita la causa, nella resistenza del convenuto, con sentenza dell'11.11.2014 il Tribunale irpino accolse la domanda, condannando il C.F. al pagamento in favore degli attori n.q. della somma di € 9.620,49, oltre spese di lite. Il C.F. propose gravame, non contestando l'accadimento dei fatti, ma sostenendo che l'evento fosse da imputarsi a colpa esclusiva del danneggiato, in quanto il cane era legato al guinzaglio e custodito in un recinto chiuso da un cancello con catena attorcigliata sullo stesso, inopinatamente sfilata dal minore, che imprudentemente s'era così immesso nel recinto e si era avvicinato al cane. Costituitisi i genitori del minore n.q., la Corte d'appello di Napoli accolse l'appello con sentenza dell'11.5.2021 e, in riforma della decisione di primo grado, rigettò la domanda risarcitoria. Osservò la Corte partenopea che il comportamento del minore, che s'era introdotto nel recinto chiuso, infastidendo il cane con un bastoncino, costituiva fatto senz'altro idoneo ad integrare il caso fortuito ex articolo 2052 c.c., sicché nessuna responsabilità poteva ascriversi al proprietario del cane, in quanto “il danno non è stato cagionato direttamente dalle forze fisiche ingenite dell'animale”; al contrario, essendo emerso che, nell'occorso, il minore non era accompagnato da adulti, avendo agito solo e indisturbato, la responsabilità del sinistro gravava sui genitori attori, ex articolo 2048 c.c., per omessa vigilanza. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione D.G.G., ora maggiorenne, sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso C.F.. Il ricorrente ha depositato memoria. Il Collegio ha riservato il deposito della motivazione dell'ordinanza entro sessanta giorni. Ragioni della decisione 1.1 - Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2052 c.c. e dell'articolo 2043 c.c. in relazione all'articolo 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d'appello ritenuto che l'evento fosse stato cagionato dalla condotta imprudente del danneggiato, così violando l'articolo 2052 c.c.. La Corte, infatti, non ha tenuto conto del fatto che il cancello a protezione del recinto non era chiuso con lucchetto, ma solo con catena attorcigliata al montante, sicché in tali condizioni la condotta di chiunque, a maggior ragione di un minore, non può costituire caso fortuito, quale evento imprevedibile, inevitabile o assolutamente eccezionale. 1.2 - Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, nonché la violazione e falsa applicazione degli articolo 2043 c.c. e 2048 c.c. in relazione all'articolo 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. La Corte d'appello ha accolto l'eccezione di carenza del nesso tra la custodia dell'animale e l'evento, ritenendo applicabile l'articolo 2048 c.c. con responsabilità dei genitori per omessa vigilanza sul minore, omettendo di considerare che la responsabilità di cui all'articolo 2052 c.c. si fonda sul mero rapporto di uso dell'animale. 2.1 – I motivi di ricorso possono scrutinarsi congiuntamente, perché connessi; essi sono inammissibili, perché implicanti valutazioni fattuali, riservate alla ponderazione del giudice del merito e non denunciabili in questa sede di legittimità se adeguatamente motivate, come è nella specie: infatti, si tratta di stabilire se la condotta di un bambino di circa otto anni che, sfilando la catena attorcigliata ad un cancello, entri in un recinto dando fastidio ad un cane ivi custodito, benché legato ad un guinzaglio, sia o meno imprevedibile, inevitabile ed eccezionale, nella prospettiva del proprietario del cane, tenuto a rispondere dei danni cagionati dall'animale ai sensi dell'articolo 2052 c.c. Sul punto specifico (in fattispecie consimile), questa Corte ha già affermato che “La responsabilità di cui all'articolo 2052 cod. civ., prevista a carico del proprietario di animale per i danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità e dell'assoluta eccezionalità, con la conseguenza che all'attore compete solo di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale. (Nella specie, la S.C. ha giudicato erroneo il ragionamento del giudice di merito il quale aveva ritenuto che integrasse l'ipotesi di caso fortuito la condotta della danneggiata, minorenne di anni tre, rimasta ferita per l'aggressione da parte di un cane che si trovava all'interno di un giardino il cui ingresso era costituito da un cancello non assicurato da idonea chiusura, tanto da potere essere facilmente aperto dalla bambina stessa)” (così, Cass. n. 15895/2011). Ora, con valutazione fattuale ad essa riservata, la Corte partenopea ha ritenuto che il comportamento dell'odierno ricorrente (che all'epoca dei fatti aveva circa otto anni) abbia costituito comportamento dotato dei suddetti caratteri, evidentemente ritenendo essere intuitivo anche per un bambino di quella età come sia opportuno non accedere ad un recinto chiuso da un cancello i cui due battenti siano circondati da una catena, sebbene non chiusa con lucchetto, ed ancor più evitare di avvicinarsi scientemente ad un animale che si trovi all'interno della zona recintata, assicurato dal proprietario con una catena, per di più andandolo a molestare con un bastoncino; la Corte ha pure stigmatizzato l'omessa vigilanza sul minore da parte dei genitori. In proposito, a parte l'improprio riferimento all'articolo 2048 c.c. (norma applicabile nell'ipotesi di danni cagionati dal minore a terzi, non anche a sé stesso), nel ritenere che il descritto comportamento del minore sia idoneo ad integrare il caso fortuito, il giudice d'appello ha evidentemente effettuato delle considerazioni meritali ad esso riservate, sicché i mezzi in esame – sotto il velo di pretese violazioni di norme di diritto – mirano in realtà a rimettere in discussione detti apprezzamenti, ma appunto inammissibilmente: un consimile comportamento del danneggiato, quindi, anche a cagione dell'omessa vigilanza da parte dei genitori, è stato motivatamente ritenuto assolutamente imprevedibile e del tutto eccezionale, tale da interrompere il nesso di causalità tra l'aggressione dell'animale e il danno subito dal D.G.G.. Nessun “fatto”, principale o secondario, il cui esame sarebbe stato omesso, è stato poi indicato dal ricorrente a sostegno del mezzo proposto ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c., donde l'inammissibilità della censura, anche sotto tale profilo. 3.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell'applicabilità dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, che liquida in € 2.000,00 per compensi ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.