Legittima la censura applicata da un dirigente scolastico al docente per aver offeso uno studente, come previsto dal Codice disciplinare in caso di violazione dei doveri inerenti alla funzione di docente.
Scenario dell’episodio è un istituto tecnico in Emilia-Romagna. A finire sotto processo è un docente – peraltro con contratto a tempo determinato – a seguito del racconto di un suo studente, il quale lamentava di essere stato da questo definito cretino . A confermare il fatto, peraltro, è lo stesso docente. Per la scuola è sufficiente quanto dichiarato dall’allievo: consequenziale, quindi, la sanzione nei confronti del professore, consistente nella censura. Concordi anche i giudici di merito, i quali, in particolare in appello, osservano che «la censura» è di solito «correlata a mancanze non gravi riguardanti i doveri inerenti alla funzione docente» e, ragionando sullo specifico caso, sanciscono «la proporzionalità della censura rispetto all’infrazione» compiuta dal docente. Irrilevante, poi, secondo i giudici d’appello «l’avvenuta archiviazione della denuncia-querela in una diversa sede disciplinare». Con ricorso per cassazione, però, la difesa prova a ridimensionare la gravità dell’episodio addebitato al docente e punta a vedere ridotta la sanzione disciplinare, passando dalla censura al semplice avvertimento scritto. Questa richiesta è però impossibile da accoglie a causa dell’addebito mosso al docente, ossia «l’espressione “cretino” adoperata all’indirizzo di un alunno», addebito certificato dalle dichiarazioni della parte offesa e del docente e sicuramente sanzionabile con la censura, come previsto dal Codice disciplinare’ in caso di violazione dei doveri inerenti alla funzione docente.
Presidente Tria - Relatore Casciaro Considerato che: 1. quantunque il Ministero sia stato invalidamente evocato nel giudizio di cassazione, in quanto il ricorso è stato notificato a Bologna presso l'Avvocatura distrettuale e non all'Avvocatura Generale in Roma, non vi è luogo a disporre la rinnovazione; vale infatti il principio per cui «la Corte di cassazione, ove sussistano cause che impongono di disattendere il ricorso, è esentata, in applicazione del principio della ragione più liquida , dall'esaminare le questioni processuali concernenti la regolarità del contraddittorio o quelle che riguardano l'esercizio di attività defensionali delle parti poiché, se anche i relativi adempimenti fossero necessari, la loro effettuazione sarebbe ininfluente e lesiva del principio della ragionevole durata del processo» (Cass. 18 aprile 2019, n. 10839; v. anche Cass. 11 marzo 2020, n. 6924). 2. nell'unico motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'articolo 360, n. 5, cod. proc. civ.; assume il ricorrente che la Corte d'appello «non ha considerato che il giudice di prime cure ha confermato la sanzione della censura sulla base dell'erronea convinzione che il docente avesse proferito due differenti insulti, di cui uno ad un solo alunno (parola “cretino” ammessa) ma l'altro (mai avvenuto) all'intera compagine degli studenti “maiali” o “animali”: il giudice ha confuso i termini; la Corte d'appello, nel parlare solo della parola “cretino” rileva che la sanzione era proporzionata, come già valutato dal primo giudice, il quale però aveva considerato più epiteti e non uno solo; qualora la Corte d'appello si fosse avveduta che il giudice di prime cure aveva comminato la sanzione della censura considerando l'esistenza di due distinti insulti (e non uno solo) avrebbe certamente diminuito, a sua volta, la sanzione in ragione del fatto che la stessa Corte felsinea aveva rilevato, in altro passaggio della sentenza, che esisteva la sanzione più tenue dell'avvertimento scritto; 2.1 il motivo è inammissibile perché non si confronta col decisum che è soltanto la sentenza di secondo grado e non anche quella del Tribunale; la sentenza di appello, sia essa confermativa o di riforma, si sostituisce integralmente a quella di primo grado (cfr. fra le più recenti Cass. n. 352/2017 e Cass. n. 1323/2018, Cass. n. 30326/2021), sicché nel giudizio di cassazione, nel quale rileva solo la correttezza o meno della soluzione adottata dal giudice d'appello, il ricorrente non ha alcun interesse a operare il raffronto tra quest'ultima e la decisione del Tribunale, perché ciò che conta è accertare se siano conformi a diritto le conclusioni alle quali il giudice dell'impugnazione è pervenuto rispetto alla questione controversa (Cass. 27.10.2021, n. 30326; Cass. 10.10.2022, n. 30817) nella specie, nella sentenza d'appello, che è l'unica oggetto di impugnazione in sede di legittimità, si circoscrive l'addebito alla sola espressione “cretino” adoperata all'indirizzo di un alunno; se ne assume il pieno riscontro istruttorio e la sussumibilità nell'ambito della sanzione della censura prevista dal codice disciplinare per la “violazione dei doveri inerenti alla funzione docente” e, infine, la congruità e proporzionalità rispetto all'addebito («a nulla rilevando che il 3° co. dell'articolo 492 d.lgs. n. 497/1994 sia a prevederne una ancora più lieve», v. p. 3 sentenza); orbene, la motivazione della sentenza, opportunamente concisa, è congrua e adeguata, sicché la censura, sotto l'apparente formulazione di un vizio di legittimità della pronuncia ex articolo 360 n. 5 c.p.c., mira in realtà a conseguire inammissibilmente un riesame del vaglio di proporzionalità formulato dal giudizio del merito non più sindacabile in questa sede (Cass. 17 ottobre 2018, n. 26010; Cass. 22 giugno 2023, n. 17912); 3. in conclusione, il ricorso è inammissibile; nulla per le spese di legittimità, essendo l'amministrazione rimasta intimata. P.Q.M. La Corte: dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese di legittimità. Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.