In materia di delibere assembleari condominiali, la Cassazione ribadisce la nullità delle decisioni che incidano su proprietà esclusive senza il consenso unanime dei condòmini.
Il caso trae origine dall'impugnazione di una delibera condominiale che prevedeva l'accesso al tetto del condominio passando attraverso l'appartamento di proprietà esclusiva di un condomino. Il condomino denuncia la violazione dell'articolo 843 c.c., sostenendo che, nel caso in cui il proprietario consenta l'accesso e il passaggio sul proprio fondo al fine di costruire e riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune, non si costituisce una servitù a favore del fondo finitimo, bensì un'obbligazione propter rem. Il motivo, tuttavia, è infondato. I Giudici, infatti, precisano che uno dei casi in cui la deliberazione dell'assemblea dei condòmini deve ritenersi viziata da nullità è quello della «impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (cd. decisum) della deliberazione». In particolare, l'impossibilità giuridica dell'oggetto va valutata in relazione alle “attribuzioni” proprie dell'assemblea: l'assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni. Perciò, l'assemblea «non può occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condòmini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi» (Cass. n. 16953/2022). Ne deriva che «in materia di condominio edilizio, l'assemblea condominiale non può occuparsi dei beni di proprietà esclusiva dei singoli condòmini o di terzi, sicché è nulla, perché non rientra nelle attribuzioni dell'assemblea (come, nella fattispecie in esame, ha correttamente affermato la sentenza impugnata), la deliberazione assembleare che disponga che, in caso di necessità, l'accesso al tetto dell'edificio condominiale (parte comune ex articolo 1117 n. 1 c.c.), in assenza del consenso unanime dei condòmini, avvenga passando sulla proprietà esclusiva del proprietario di una singola unità immobiliare dell'edificio».
Presidente Orilia – Relatore Guida Rilevato che: 1. F. I., in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) Srl, e G. I. hanno proposto appello contro la sentenza del Tribunale di Avellino n. 75 del 2012 che aveva rigettato la loro domanda di annullamento della delibera adottata, in data 10/11/2001, dal Condominio (OMISSIS), in (OMISSIS). Il Condominio ha chiesto il rigetto del gravame. La Corte d'appello di Napoli, in parziale accoglimento dell'impugnazione, ha dichiarato la nullità della delibera assembleare del 10/11/2001 limitatamente all'approvazione degli argomenti di cui ai punti 7 e 8 dell'ordine del giorno, ha confermato, nel resto, la decisione di primo grado, ed ha regolato le spese del gradi di merito. Questi, per quanto qui di rilievo in relazione ai motivi di ricorso, gli argomenti essenziali della decisione: (i) è fondata la censura secondo cui l'autorizzazione da parte dell'assemblea dell'apertura di fori nel muro di confine integra gli estremi della costituzione di una servitù di stillicidio, come tale possibile solo se approvata da tutti i condòmini. E questo perché, come indica la c.t.u. svolta in primo grado, la presenza di un manufatto con dei fori idonei a sversare acque sul fondo sottostante, anche solo in caso di consistenti piogge, (v. pag. 3 della sentenza) “è capace di consentire il passaggio delle acque percolate attraverso gli elementi di drenaggio posti immediatamente dietro i varchi in parola”; (ii) al contrario di quanto afferma il Tribunale, la delibera del Condominio va annullata anche nella parte riguardante la previsione che l'accesso alla copertura del fabbricato avvenga passando per la proprietà esclusiva di G. I. (proprietario dell'appartamento dell'ultimo piano) perché non rientra nelle attribuzioni dell'assemblea la possibilità di deliberare, in assenza del consenso espresso dei condòmini interessati, interventi od opere riguardanti beni o porzioni di proprietà individuale; 2. M. G. C., S. D. V., in proprio e nell'interesse del Condominio (OMISSIS), hanno proposto ricorso per cassazione, in due motivi, cui hanno resistito con controricorso C. L., E. I. e G. I., eredi di F. I., nonché G. I., in proprio e come legale rappresentante della (OMISSIS) Srl. In prossimità dell'udienza, i ricorrenti hanno depositato una memoria. Considerato che: I. Sono infondate le eccezioni di inammissibilità del ricorso svolte dai controricorrenti. In primo luogo, il termine breve per notificare il ricorso per cassazione, che scadeva il 07/10/2019, è stato rispettato: infatti, la notifica è stata tempestivamente eseguita, mediante posta elettronica certificata, proprio quel giorno poco dopo le ore 21. La questione dell'orario della notifica a mezzo PEC è stata oggetto di intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 75 del 2019, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16-septies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall'articolo 45-bis, comma 2, lettera b), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. In secondo luogo, non è stato violato l'articolo 83 comma 3 c.p.c.: la procura alle liti esiste ed è stata depositata in formato cartaceo al momento dell'iscrizione della causa al ruolo; inoltre, come è attestato dalla relazione di notifica allegata alla PEC mediante la quale è stato notificato il ricorso, vi è espressa attestazione di conformità della procura scansionata all'originale depositato in formato cartaceo. In terzo luogo, i condòmini M. G. C. e S. D. V. sono legittimati a proporre ricorso per cassazione alla luce dell'orientamento di questa Corte per il quale, nelle controversie condominiali che (come nella presente vicenda processuale) investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale - concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell'amministratore - di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” (Cass. Sez. U., n. 10934/2019; in termini, tra le altre, Sez. 2, n. 16934/2023, n. 29251/2024, n. 4193/2025). E, quarto, è priva di fondamento l'eccezione di inammissibilità del ricorso ai sensi dell'articolo 360 bis n. 1 c.p.c., sia perché il connesso scrutinio va svolto relativamente ad ogni singolo motivo, sia perché le censure non si limitano a contrastare una soluzione di questioni di diritto conforme alla giurisprudenza di questa Corte. Sotto un ultimo profilo, non è fondata nemmeno l'eccezione ex articolo 366 comma 1 n. 4 c.p.c. di inammissibilità del ricorso e dei singoli motivi, per difetto di specificità: come immediatamente risulterà dallo sviluppo argomentativo della decisione, ciascuna doglianza è sufficientemente specifica e completa ed è senz'altro riferibile alle rationes decidendi della sentenza impugnata; 1. il primo motivo denuncia la violazione degli articolo 843 e 1135 c.c.: sulla premessa che la questione concerne l'approvazione del punto 7 dell'o.d.g., secondo cui gli accessi alla copertura del fabbricato condominiale, qualora occorrenti per effettuarvi interventi di manutenzione ordinaria, devono “essere consentiti dai proprietari i cui appartamenti siano ubicati all'ultimo piano: Ing. Giancarlo I. per quanto concerne gli eventuali interventi alla scala n. 48”. I ricorrenti rimarcano, nell'ordine, che, in base all'articolo 843 c.c., il proprietario deve permettere l'accesso e il passaggio sul proprio fondo al fine di costruire e riparare il muro o altra opera propria del vicino o comune; che, verificandosi tale evenienza, non si costituisce una servitù a favore del fondo finitimo, trattandosi piuttosto di un'obbligazione propter rem; che i condòmini I., in primo grado, non avevano prospettato un'ipotesi alternativa di accesso al tetto dell'edificio condominiale, ipotesi che tuttavia il Tribunale aveva valutato e implicitamente esclusa; 1.1. il motivo è infondato; come precisato in Cass. Sez. Unite, 14 aprile 2021, n. 9839 - con riferimento alla disciplina del condominio successiva all'entrata in vigore della legge n. 220 del 2012 (ma il principio ha una portata generale e trova applicazione anche per le delibere adottate, come nella specie, in epoca anteriore alla riforma del 2012) – uno dei casi in cui la deliberazione dell'assemblea dei condòmini deve ritenersi viziata da nullità è quello della “impossibilità dell'oggetto, in senso materiale o in senso giuridico, da intendersi riferito al contenuto (cosiddetto decisum) della deliberazione”. L'impossibilità giuridica dell'oggetto, in particolare, va valutata in relazione alle “attribuzioni” proprie dell'assemblea: l'assemblea, quale organo deliberativo della collettività condominiale, può occuparsi solo della gestione dei beni e dei servizi comuni. Perciò, l'assemblea non può “occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condòmini o a terzi, giacché qualsiasi decisione che non attenga alle parti comuni dell'edificio non può essere adottata seguendo il metodo decisionale dell'assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi” (in termini, Cass. n. 16953 del 2022). Deve enunciarsi il principio che, in materia di condominio edilizio, l'assemblea condominiale non può occuparsi dei beni di proprietà esclusiva dei singoli condòmini o di terzi, sicché è nulla, perché non rientra nelle attribuzioni dell'assemblea (come, nella fattispecie in esame, ha correttamente affermato la sentenza impugnata), la deliberazione assembleare che disponga che, in caso di necessità, l'accesso al tetto dell'edificio condominiale (parte comune ex articolo 1117 n. 1 c.c.), in assenza del consenso unanime dei condòmini, avvenga passando sulla proprietà esclusiva del proprietario di una singola unità immobiliare dell'edificio; 2. il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 1108,1094 e segg. c.c., degli articolo 1120 e segg. c.c., e dell'articolo 913 c.c. Si lamenta che, nel ritenere illegittima la deliberazione assembleare (di cui al punto 8 dell'o.d.g.) che autorizzava la riapertura dei fori praticati nel muro di contenimento della soprastante proprietà di C. P. (fori che erano stati chiusi da sconosciuti), la Corte d'appello non avrebbe bene interpretato le risultanze probatorie, cioè, nel dettaglio, la c.t.u., che attestava che i fori erano stati predisposti non per immutare il regime delle acque, ma per impedire il crollo del muro, e la deposizione del teste P. (progettista e direttore dei lavori di costruzione dell'edificio condominiale), secondo cui il teste aveva fatto “realizzare una caditoia a valle della rampa, di superficie e volume adeguati esclusivamente per le esigenze della rampa, insufficienti a raccogliere eventuali altre acque”. Ad avviso dei ricorrenti, posto che il confine tra la proprietà del Condominio e la proprietà di C. P. è segnato da un dislivello di tre metri, lungo il quale il fronte di terreno è sostenuto e contenuto da un muro di sostegno in c.a., non sarebbe corretto il riferimento, in sentenza, alla servitù, vertendosi più propriamente in tema di limitazione legale della proprietà, come affermato dalla giurisprudenza formatasi nella materia di cui all'articolo 913 c.c. (“Scolo delle acque”); 2.1. il motivo è inammissibile; la censura mira a un nuovo esame del merito della causa e offre una diversa interpretazione delle prove assunte nel giudizio di primo grado (e, in particolare, della c.t.u. e di una testimonianza) che, nell'ottica dei ricorrenti, dimostrerebbero che con la deliberazione assembleare non è stata costituito una servitù di stillicidio a carico del Condominio. È indubbio che alla Corte di legittimità non può essere chiesta una nuova attività istruttoria ed è principio altrettanto pacifico in giurisprudenza che, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento di fatto compiuto dai giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che lo scrutinio dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell'àmbito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione che ne ha fatto il giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 7/04/2017, n. 9097; Cass. 07/03/2018, n. 5355; Cass. 13/06/2023, n. 16781). In altri termini, non è censurabile come error in iudicando consistente in violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex articolo 360 comma 1 n. 3, c.p.c., la valutazione probatoria compiuta dal giudice di merito in ordine agli aspetti fattuali della controversia; 3. il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo; 4. ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13, se dovuto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali, e agli accessori di legge, con distrazione a favore del difensore antistatario. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato articolo 13, se dovuto.