Furto in un centro commerciale: precedenti e valore del bene escludono la non punibilità

Impossibile ridimensionare il furto compiuto ai danni di un centro commerciale se il bene sottratto ha un valore economico rilevante – 159 euro, per la precisione – e se l’autrice dell’azione criminosa ha già precedenti reati contro il patrimonio. Irrilevante, secondo i Giudici, anche la pronta restituzione del bene.

Scenario della vicenda è un centro commerciale in provincia di Treviso ove una donna riesce a rubare una scopa elettrica ricaricabile. La sua fuga dura, però, pochissimo: viene subito scoperta e restituisce intatto il bene che aveva provato a portare a casa. Inevitabile lo strascico giudiziario, con la donna che si ritrova condannata, sia in primo che in secondo grado, per furto commesso su cose esposte per necessità e consuetudine alla pubblica fede. In Appello, in particolare, viene respinta la richiesta difensiva mirata all'ottenimento della non punibilità per tenuità del fatto. Decisivo, secondo i giudici, il richiamo alle tre sentenze di condanna pronunciate nei confronti della donna per reati contro il patrimonio (di cui due proprio per il reato di furto), come risultanti dal certificato del casellario giudiziale: impossibile ipotizzare l'assenza di abitualità del comportamento illecito. Allo stesso tempo, viene respinta la tesi difensiva mirata a vedere riconosciuto il valore di modesta entità del bene oggetto di furto, ossia una scopa elettrica ricaricabile messa in vendita a 159 euro. A fronte del pronunciamento d'Appello, però, la difesa ribadisce in Cassazione la richiesta di riconoscimento della causa di non punibilità, e in questa ottica mette sul tavolo l'insussistenza del danno subito dalla parte offesa (alla quale la merce sottratta è stata immediatamente restituita integra) e il peso specifico dell'unico precedente penale per furto a carico della donna, inidoneo, in quanto tale, a ritenere l'abitualità nel reato. Per concludere la difesa ribadisce anche il modesto valore della merce sottratta nel centro commerciale. Per i Giudici, tuttavia, il ricorso è inammissibile. In primo luogo, viene richiamato il casellario giudiziale della donna: da esso si evince «l'esistenza a carico della donna di tre condanne per reati contro il patrimonio, di cui due per il reato di furto, comminate nell'arco di tre anni». Ebbene, «tale dato integra un elemento oggettivamente ostativo per il riconoscimento della causa di non punibilità, perché dimostra l'abitualità della condotta criminosa in contestazione, e ciò non consente di escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto, a prescindere da ogni valutazione sulla consistenza dell'offesa arrecata dal reato», precisa la Suprema Corte. Logico il richiamo al principio secondo cui «in tema di non punibilità per particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente, per tali intendendosi quelli che, anche se incriminati da norme diverse, presentino caratteri fondamentali comuni per le circostanze oggettive e le condizioni ambientali nelle quali le azioni sono  state compiute, o per i motivi che li hanno determinati, ovvero quelli integrati da plurime violazioni della stessa disposizione o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio puniendi». In sostanza, con riferimento ai precedenti penali, questi «ostano al riconoscimento della causa di non punibilità, solo ove l'imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole», come nella vicenda oggetto del processo, avendo la donna «riportato due condanne per furto». Per quanto concerne il valore economico del danno arrecato alla parte offesa, i Giudici ricordano che «in materia di furto, la circostanza della speciale tenuità del danno non si fonda sul solo apprezzamento del valore economico della res – nel caso in esame, una scopa ricaricabile del valore di 159 euro – ma su una valutazione globale delle ripercussioni che l'atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della parte offesa». Allo stesso tempo, però, «l'attenuante del danno di speciale tenuità presuppone un giudizio complesso che prenda in considerazione tutti gli elementi della fattispecie concreta necessari per accertare non il solo danno patrimoniale, ma il danno criminale nella sua globalità, cosicché, ai fini della sua configurabilità nel reato di furto, non possono essere ritenuti determinanti i soli parametri dell'entità lievissima del pregiudizio causato alla persona offesa e il valore irrisorio del bene sottratto. D'altro canto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità in tema di furto, occorre che il valore intrinseco ed economico del bene sottratto sia pressoché irrilevante, e tale, in tutta evidenza, non può considerarsi», osserva la Cassazione, «un bene venduto al prezzo di 159 euro, circostanza di fatto la cui sussistenza può essere dimostrata con qualunque prova, anche testimoniale, non essendo necessari documenti o valutazioni peritali». Secondo la difesa, nessun danno si è verificato nel caso concreto, considerata l'immediata restituzione del bene ai responsabili del centro commerciale, ma questa prospettiva è erronea poiché «in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l'entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato, costituendo la restituzione della refurtiva solo un post factum non valutabile a tale fine». Legittimo, quindi, nella vicenda in esame, individuare nel valore commerciale del bene sottratto l'ostacolo al riconoscimento della circostanza attenuante prevista in caso di modesta entità del bene oggetto di furto e non riconoscere rilevanza alla subitanea restituzione dello stesso bene.

Presidente Vessichelli - Relatore Guardiano In fatto e in diritto 1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Venezia riformava in favore dell'imputata, limitatamente alla determinazione dell'entità del trattamento sanzionatorio, previa esclusione della circostanza aggravante della destrezza, la sentenza con cui il tribunale di Treviso, in data 9 dicembre 2021, aveva condannato B. L. alla pena ritenuta di giustizia, in relazione al reato di furto aggravato, commesso su cose esposte per necessità e consuetudine alla pubblica fede. La corte territoriale disattendeva le doglianze dell'appellante, sia in punto di richiesta di applicazione della causa di non punibilità per tenuità del fatto di cui all'articolo 131 bis c.p., sul presupposto che le tre sentenze di condanna pronunciate nei confronti della B. per reati contro il patrimonio (di cui due proprio per il reato di furto), come risultanti dal certificato del casellario giudiziale, non consentono di ritenere integrata l'assenza di abitualità del comportamento illecito, richiesta dall'articolo 131 bis, co. 1, cod. pen., sia in punto di mancato riconoscimento della circostanza attenuante del valore di modesta entità del bene oggetto di furto. 2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l'annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione l'imputato, lamentando: 1) vizio di motivazione, con riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all'articolo 131 bis, c.p., di cui sussistono, a suo avviso, i presupporti, in ragione dell'insussistenza del danno subito dalla persona offesa (alla quale la merce sottratta veniva immediatamente restituita integra) e dell'unico precedente penale per furto a carico della ricorrente, inidoneo, in quanto tale, a ritenere l'abitualità nel reato; 2) mancanza di motivazione sul diniego del riconoscimento della circostanza attenuante del modesto valore della merce sottratta di cui all'articolo 62, co. 1, n. 4 c.p. 3. Con requisitoria scritta del 20.2.2025, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, nella persona dell'avvocato generale, dott. Gabriele Mazzotta, chiede che il ricorso venga dichiarato inammissibile. Con conclusioni scritte del 27.2.2025, il difensore di fiducia dell'imputato, avv. Andrea Zambon, nel replicare alla indicata requisitoria del pubblico ministero, insiste per l'accoglimento del ricorso, riportandosi ai motivi di impugnazione. 3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni. 4. Inammissibili, in particolare, appaiono entrambi i motivi di ricorso, risolvendosi nella semplice reiterazione delle censure già dedotte in appello, puntualmente disattese dalla corte di merito, con la cui motivazione sul punto il ricorrente in realtà non si confronta, dovendosi, pertanto, le stesse considerare non specifiche ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr., ex plurimis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710). In tema di ricorso per cassazione, invero, sono inammissibili i motivi che riproducono pedissequamente le censure dedotte in appello, al più con l'aggiunta di espressioni che contestino, in termini meramente assertivi ed apodittici, la correttezza della sentenza impugnata, laddove difettino di una critica puntuale al provvedimento e non prendano in considerazione, per confutarle in fatto e/o in diritto, le argomentazioni in virtù delle quali i motivi di appello non sono stati accolti (cfr. Sez. 6, n. 23014 del 29/04/2021, Rv. 281521). 5. Si tratta, peraltro, anche di motivi manifestamente infondati. 5.1. Con particolare riferimento al primo motivo di ricorso, va rilevato che, come correttamente rilevato dalla corte territoriale, dall'esame del casellario giudiziale dell'imputata, in atti allegato, si evince l'esistenza a suo carico di tre condanne per reati contro il patrimonio, di cui due per il reato di furto, comminate nell'arco di tre anni. Tale dato integra un elemento oggettivamente ostativo per il riconoscimento della causa di punibilità, di cui all'articolo 131 bis, c.p., perché dimostra l'abitualità della condotta criminosa in contestazione, che non consente di escludere la punibilità per particolare tenuità del fatto, a prescindere da ogni valutazione sulla consistenza dell'offesa arrecata dal reato. In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole, nel rilevare che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto può essere si riconosciuta dal giudice all'esito di una valutazione complessiva della fattispecie concreta, da condurre alla luce di una serie di indicatori rappresentati, in particolare, dalla natura e dalla gravità degli illeciti in continuazione, dalla tipologia dei beni giuridici protetti, dall'entità delle disposizioni di legge violate, dalle finalità e dalle modalità esecutive delle condotte, dalle loro motivazioni e dalle conseguenze che ne sono derivate, dal periodo di tempo e dal contesto in cui le diverse violazioni si collocano, dall'intensità del dolo e dalla rilevanza attribuibile ai comportamenti successivi ai fatti, fatte salve, tuttavia, le condizioni ostative tassativamente previste dall'articolo 131-bis cod. pen. per escludere la particolare tenuità dell'offesa o per qualificare il comportamento come abituale, che, ove sussistenti, rendono del tutto superflua ogni valutazione della fattispecie concreta (cfr. Sez. U, n. 18891 del 27/01/2022, Rv. 283064). Collocandosi in questa prospettiva, la giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato il principio, secondo cui, in tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il presupposto ostativo del comportamento abituale ricorre quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, abbia commesso almeno altri due reati della stessa indole, incidentalmente accertabili da parte del giudice procedente, per tali intendendosi quelli che, anche se incriminati da norme diverse, presentino caratteri fondamentali comuni per le circostanze oggettive e le condizioni ambientali nelle quali le azioni sono state compiute, o per i motivi che li hanno determinati ovvero quelli integrati da plurime violazioni della stessa o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio punendi ), (cfr. Sez. 4, n. 14073 del 05/03/2024, Rv. 286175; Sez. 1, n. 9858 del 24/01/2024, Rv. 286154; Sez. 3, n. 776 del 04/04/2017, Rv. 271863). Principi ribaditi anche con particolare riferimento ai precedenti penali, che, come è stato sottolineato, ostano al riconoscimento della causa di non punibilità di cui di discute, solo ove l'imputato risulti essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, oppure abbia commesso più reati della stessa indole (cfr. Sez. 6, n. 605 del 03/12/2019, Rv. 278095), come nel caso che ci occupa, avendo la B. riportato due condanne per furto. 5.2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Vero è che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, in materia di furto, la circostanza della speciale tenuità del danno non si fonda sul solo apprezzamento del valore economico della res (nel caso in esame una scopa ricaricabile del valore di euro 159,00 ), ma su una valutazione globale delle ripercussioni che l'atto lesivo ha avuto nella sfera soggettiva della persona offesa (cfr. Sez. 5, n. 11554 del 10/02/2022, Rv. 282876). Tuttavia, è altrettanto vero che l'attenuante del danno di speciale tenuità presuppone un giudizio complesso che prenda in considerazione tutti gli elementi della fattispecie concreta necessari per accertare non il solo danno patrimoniale, ma il danno criminale nella sua globalità, cosicché, ai fini della sua configurabilità nel reato di furto, non possono essere ritenuti determinanti i soli parametri dell'entità lievissima del pregiudizio causato alla persona offesa e il valore irrisorio del bene sottratto (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 344 del 26/11/2021, Rv. 282402). D'altro canto non appare revocabile in dubbio che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità in tema di furto, occorre che il valore intrinseco ed economico del bene sottratto, sia pressoché irrilevante, e tale, in tutta evidenza, non può considerarsi un bene venduto al prezzo di 159,00 euro, circostanza di fatto la cui sussistenza può essere dimostrata con qualunque prova, anche testimoniale, non essendo necessari documenti o valutazioni peritali. Orbene, su questi specifici ed essenziali profili la ricorrente tace, non avendo quest'ultima adempiuto all'onere, gravante sull'imputato tutte le volte in cui si discute del mancato riconoscimento di una circostanza attenuante (cfr., in tema di provocazione, ex plurimis, Cass., sez. I, 3.12.2010, n. 2663, rv. 249548), di dimostrare la sussistenza di elementi di fatto, trascurati dal giudice procedente, idonei a giustificare l'affermazione della configurabilità della circostanza attenuante di cui invoca il riconoscimento alla luce dei parametri indicati dalla giurisprudenza di legittimità. Per il vero la ricorrente, nel denunciare l'indicato vizio di motivazione, ha sostenuto che nessun danno si era verificato nel caso concreto, considerata l'immediata restituzione del bene ai responsabili del centro commerciale in cui si era consumato il furto. Si tratta, tuttavia, di un argomento in tutta evidenza fallace, posto che, come rilevato in un condivisibile arresto di questa Corte, in tema di furto, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante del danno di particolare tenuità, l'entità del danno cagionato alla persona offesa deve essere verificata al momento della consumazione del reato costituendo la restituzione della refurtiva solo un post factum non valutabile a tale fine. (Fattispecie in cui il bene oggetto di furto era stato sottratto per breve tempo poiché recuperato, subito dopo la commissione del reato, dalle forze dell'ordine: cfr. Sez. 5, n. 19728 del 11/04/2019, Rv. 275922) La corte territoriale, pertanto, nell'individuare nel valore commerciale del bene sottratto l'ostacolo al riconoscimento della circostanza attenuante in parola e nel non riconoscere rilevanza alla subitanea restituzione dello stesso bene, ha reso una motivazione in linea con i richiamati principi. 6. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente, ai sensi dell'articolo 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro 3000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che l'evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest'ultima immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000). P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.