Licenziamento: WhatsApp ed e-mail valgono come comunicazione scritta?

Il Tribunale di Catania ha riconosciuto la validità del licenziamento comunicato via WhatsApp ed e-mail, purché tali mezzi garantiscano la certezza e la conoscibilità della volontà datoriale. La decisione conferma che la forma scritta può essere soddisfatta anche attraverso strumenti digitali, se adeguatamente provati.

Il Tribunale di Catania, con la recente sentenza in commento, ha affrontato la delicata e attuale questione della validità del licenziamento comunicato attraverso strumenti digitali, in particolare WhatsApp ed e-mail. La controversia vedeva protagonista un lavoratore che aveva impugnato il licenziamento sostenendo la nullità dell'atto per difetto di forma scritta. Secondo il ricorrente, infatti, egli avrebbe appreso dell'interruzione del rapporto solo in via informale, dal momento che il suo nominativo era stato escluso dal programma dei turni di maggio. La società, dal canto suo, ha dimostrato che il lavoratore era già stato informato nel marzo precedente durante una riunione, quando gli era stato comunicato l'intenzione di procedere al licenziamento e la possibilità di prestare servizio durante il periodo di preavviso nel mese di aprile. Particolarmente rilevanti, però, sono risultate le comunicazioni digitali: già il 16 aprile 2024, tramite messaggio WhatsApp, il lavoratore era stato invitato a firmare il preavviso di licenziamento, a cui aveva risposto confermando di aver compreso il senso della comunicazione. A ciò si aggiunge una successiva e-mail del 15 maggio 2024, con allegato il modello UNILAV che attestava la cessazione del rapporto per «giustificato motivo oggettivo». Il Tribunale ha respinto la tesi del licenziamento orale, riconoscendo che i mezzi digitali utilizzati – WhatsApp ed e-mail – costituiscono supporti idonei a esprimere per iscritto, in modo chiaro e inequivocabile, la volontà datoriale di recedere dal rapporto, purché la comunicazione garantisca la certezza e la conoscibilità della decisione al lavoratore. Non è, dunque, il supporto materiale – cartaceo o digitale – a fare la differenza, ma la capacità dell'atto di documentare in modo certo la volontà del datore di lavoro e di renderla conoscibile al destinatario. In conclusione, la sentenza ribadisce che la forma scritta del licenziamento, richiesta dalla legge per garantirne la certezza, può essere validamente soddisfatta anche tramite strumenti digitali, purché la comunicazione sia provata e ricevuta dal lavoratore. L'efficacia dell'atto, inoltre, decorre dal momento in cui il lavoratore ne viene a conoscenza, a prescindere dalla sua accettazione. Anche per il Tribunale di Catania, dunque, WhatsApp ed e-mail sono mezzi legittimi per formalizzare un licenziamento, purché garantiscano chiarezza e certezza della volontà datoriale.

Fatto e diritto Con l'odierno ricorso parte ricorrente, assunta a tempo indeterminato con decorrenza dal 1.6.2023 (a seguito della trasformazione del pregresso rapporto a tempo determinato), agisce avverso il licenziamento irrogato dal datore di lavoro, con decorrenza dal 30.4.2024, deducendo, nella sostanza, un unico ed assorbente motivo: la mancanza di forma scritta dell'atto di recesso, e dunque la sua nullità. La controparte si è costituita, contestando le ragioni dedotte e formulando domanda riconvenzionale. Tutti gli atti di causa possono ritenersi richiamati per relationem, apparendone sovrabbondante la loro riproposizione nella presente sede, ancorché in forma sintetica, anche in considerazione del carattere della controversia ed atteso quanto prevede l'articolo 132 c.p.c., come modificato dalla l. 18 giugno 2009 n. 69. Nel merito, va evidenziato quanto segue. Dall'istruttoria non è emersa prova del tentativo di consegna della lettera di licenziamento, e dunque del rifiuto a riceverla da parte del lavoratore. È però emersa la prova - non rilevante ai fini della dimostrazione del rispetto degli oneri formali richiesti per il licenziamento, ma del contegno assunto dal ricorrente - di una riunione tenutasi nel mese di marzo 2024, ove egli veniva previamente informato che sarebbe stato licenziato e che avrebbe potuto lavorare nel mese di preavviso, corrente nel mese di aprile 2024. È emersa anche la circostanza che i toni erano così distesi tra le parti che ...si concordò di sottoscrivere i documenti sul licenziamento in momento successivo (teste (omissis) (omissis)), circostanza che poi non si verificava perché, nonostante più volte chiamato, il ricorrente non si recava sul posto di lavoro per sottoscrivere i documenti del caso. Dalla corrispondenza intercorsa con i responsabili aziendali ed il ricorrente, si trae prova che già in data 16 aprile 2024 - dunque nel periodo di preavviso - il ricorrente veniva invitato a firmare il preavviso (doc. 4, fasc. convenuta), dunque l'atto di licenziamento, ben comprendendo lo stesso ricorrente cosa volesse significare tale sollecito, rispondendo ad esso non c 'è più lavoro per me? (doc 4, cit.). Che il ricorrente non sapesse nulla del licenziamento, fino alla riferita visione dell'omesso inserimento del suo nominativo nel programma di lavoro del mese di maggio, appare pertanto confutato dalle prove emerse, e dimostrazione di un comportamento strumentale dello stesso ricorrente o comunque dell'erronea rappresentazione dei fatti offerta in ricorso. Ciò posto, va evidenziato che la tesi del licenziamento orale prospettata dallo stesso ricorrente non è neppure corretta sul piano fattuale e va respinta con le precisazioni che seguono. Innanzitutto, viene in rilievo il messaggio wathsapp proveniente dall'organizzazione aziendale il 16 aprile (doc. 5), con il quale si invitava lo stesso a sottoscrivere il preavviso , e dunque lo si notiziava per iscritto, per mezzo di un documento informatico, del recesso. In secondo luogo, risulta quanto riferito dallo stesso ricorrente, e cioè che ...in data 15 maggio 2024, sempre in seguito ad ulteriori richieste telefoniche, gli veniva comunicato, con una e mail inviata dalla segretaria della ditta (omissis) di essere stato licenziato in data 30 aprile 2024 e che Appreso del licenziamento e dovendo avanzare domanda per l'assegno sociale per l'impiego, sempre in data 15 maggio 2024 richiedeva ed otteneva dalla (omissis) del modello UNILAV inviato dal datore di lavoro al Centro per l'impiego e contenente la comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro. 7) Da tale documento emerge che il rapporto di lavoro si sarebbe risolto in data 30 aprile 2024 a seguito di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (così il ricorso ai punti 5, 6, 7). Si può pertanto ritenere che, con le comunicazioni del 16 aprile e (ove non ritenuta sufficiente) del 15 maggio successivo, il datore di lavoro abbia comunicato anche per iscritto il licenziamento, non costituendo oggetto del presente giudizio la legittimità di tali forme di comunicazione che non sono state espressamente impugnate (né, su di esse, sono stati dedotti specifici motivi), che comunque escludono la tesi del licenziamento orale puro e semplice, quale quella prospettata in ricorso, potendosi porre semmai un problema di decorrenza dell'efficacia del licenziamento, relativamente alla comunicazione mail del 15 maggio, sempre ove non si ritenesse idonea quella del 16 aprile precedente, ovvero del periodo di preavviso. Neppure risulta contestata la sussistenza del giustificato motivo oggettivo, motivazione desumibile dal modello unilav inoltrato al lavoratore dall'azienda il 15 maggio 2024. Ciò posto, non appare possibile riconoscere il diritto alla reintegra nel posto di lavoro, non potendo in verità, la presente fattispecie, inquadrarsi nella figura del licenziamento orale, ferma restando l'inefficacia di ogni comunicazione orale di licenziamento - e dunque la persistenza del rapporto - fino alla comunicazione scritta. Va poi soggiunto che il lavoratore, per sua stessa allegazione, offriva le energie lavorative solo in data 18 giugno 2024, dopo più di un mese dalla comunicazione scritta del licenziamento sicché, sotto il profilo squisitamente risarcitorio, l'atto di messa in mora non appare rilevante ed utile. Le domande oggetto di ricorso vanno pertanto rigettate, fermi restando eventuali crediti in favore del lavoratore, da accertarsi in separata sede, in quanto non rientranti nell'oggetto del giudizio e non oggetto della presente statuizione. Per quanto concerne le domande riconvenzionali proposte, visto l'articolo 441 bis, c.p.c., occorre procedere alla loro separazione, come da separato provvedimento. Le spese del presente giudizio, per quanto non oggetto di separazione, possono essere compensate, tenuto conto della particolarità del caso. P.Q.M. Il Tribunale di Catania, in funzione di Giudice del Lavoro, disattesa ogni ulteriore domanda, eccezione e difesa, nel procedimento in epigrafe indicato, così statuisce: DISPONE la separazione dal presente procedimento delle domande riconvenzionali proposte da parte convenuta, come da separata ordinanza; RIGETTA il ricorso.