La Corte d’Appello di Milano ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente che, violando le norme sulla privacy e le procedure aziendali, ha utilizzato dati personali ottenuti per motivi di servizio a fini privati. Tale condotta ha determinato una grave compromissione del rapporto fiduciario, configurando un inadempimento idoneo a giustificare il recesso.
Con la sentenza in commento, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente addetto all’amministrazione e contabilità, che aveva utilizzato il numero di telefono di una candidata reperito da un curriculum gestito nell’ambito delle sue mansioni, inviando messaggi WhatsApp a scopo personale. Il lavoratore, con anzianità ultraventennale, aveva impugnato il licenziamento sostenendo la sproporzione della sanzione rispetto al fatto e invocando una sanzione conservativa. La Corte, riprendendo i principi della Cassazione in tema di giusta causa e proporzionalità della sanzione, ha ritenuto che la condotta – avvenuta in violazione delle norme sulla privacy e delle istruzioni aziendali – abbia irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario, anche in ragione della specifica formazione ricevuta dal dipendente in materia di trattamento dei dati personali. Il Collegio ha sottolineato la gravità dell’abuso di posizione, evidenziando che, anche in assenza di diffusione a terzi, l’uso per fini personali di dati acquisiti per ragioni di servizio configura un inadempimento grave e idoneo a giustificare il recesso. Inoltre, la presenza di precedenti disciplinari a carico del lavoratore ha ulteriormente corroborato, secondo la Corte d’Appello, la valutazione di proporzionalità della sanzione espulsiva adottata. Alla luce di tali considerazioni, i giudici di secondo grado, confermando la decisione del tribunale, hanno respinto l’appello.
Presidente Ravazzoni In fatto e in diritto Con la sentenza n. 3245/2024 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Milano ha respinto, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, il ricorso con cui (omissis) ha convenuto in giudizio (omissis) contestando la legittimità del licenziamento intimatogli per giusta causa in data 07/11/23 e chiedendo l'annullamento dello stesso, con contestuale condanna della cooperativa alla sua reintegrazione nella posizione precedentemente occupata, oltre alla corresponsione di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di fatto percepita. Questi i fatti dedotti dal ricorrente: di essere stato assunto alle dipendenze della convenuta in data 23.1.1989, con contratto, da ultimo, a tempo indeterminato, inquadramento al IV livello del CCNL DMO e sede di lavoro presso la direzione amministrativa e contabilità di (omissis) in Vimodrone (MI); di essere stato addetto, nella sezione amministrativa della datrice, di gestione della posta interna, smistamento e selezione di corrispondenza destinata ai vari uffici e archiviazione di documenti; di avere notato in data 10.10.2023, durante lo svolgimento della prestazione lavorativa, il curriculum di una candidata (omissis), incuriosito dal nome che era riportato, aveva preso nota del numero di telefono cellulare, ripromettendosi di contattarla ; di avere effettivamente contattato la candidata in questione la sig.ra (omissis) di anni diciannove inviandole una serie di messaggi WhatsApp; di avere ricevuto in data 23.10.2023 contestazione disciplinare da parte della società del seguente tenore: Ai sensi e per tutti gli effetti dell'articolo 7 della Legge 20 maggio 1970 n. 300 e del CCNL vigente Le contestiamo i fatti qui di seguito riportati, recentemente emersi a seguito di una segnalazione ricevuta in data 14 ottobre 2003 dal Sig. (omissis), Area Manager, inerente un episodio riguardante la Sig.ra (omissis) della quale per giorni di privacy si riportano solo le iniziali), candidatasi tramite consegna del proprio Curriculum Vitae presso il nostro punto vendita di P.zza (omissis) Torino, e dei successivi accertamenti resisi necessaria a seguito di tale segnalazione. In particolare, all'esito di tali accertamenti è emerso che: In data 10 ottobre 2023, durante il Suo orario di lavoro dalle ore 8:17 alle ore 17:03 presso l'Ufficio Amministrazione e Contabilità, Lei intercettava il Curriculum Vitae della Sig.ra (omissis) tra la posta interna proveniente dal punto vendita di P.zza (omissis) Torino e destinata alla sede di Vimodrone Viale (omissis), acquisiva illegittimamente il numero di cellulare privato della Sig.ra (omissis) presente sul Curriculum Vitae ed inviava a quest'ultima una serie di messaggi WhatsApp (CFR allegato A). Tali messaggi da Lei inviati, oltre a violare il rispetto di norme, leggi regolamenti in materia di privacy, il CCNL applicabile e i regolamenti aziendali riguardanti il comportamento sul posto di lavoro, ledono fortemente l'immagine e la reputazione aziendale. La invitiamo per quanto sopra a voler presentare le Sue giustificazioni entro e non oltre 5 (cinque) giorni dalla data di ricevimento della presente. Stante la gravità dei fatti. Le confermiamo il provvedimento di sospensione cautelativa e non disciplinare dalla prestazione di lavoro a far data dal 16 ottobre 23, pur continuando a percepire la sua regolare retribuzione. Distinti Saluti; di essere stato licenziato per giusta causa con lettera datata 7.11.2023, a nulla essendo valse le giustificazioni rese. Ha adito pertanto il Tribunale lamentando che la condotta dallo stesso tenuta non aveva disvalore tale da giustificare il licenziamento, ma tuttalpiù una sanzione conservativa, ed evidenziando come, per i fatti contestati, le norme richiamate nella lettera di licenziamento (articolo 217, comma 1 e 2; articolo 226 CCNL; norme e regolamenti in materia di privacy e regolamenti aziendali riguardo il comportamento sui luoghi di lavoro) erano solo parzialmente applicabili alla fattispecie concreta. Si è costituita ritualmente in giudizio (omissis) (già (omissis) insistendo per il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e diritto, sostenendo che le condotte contestate al lavoratore risultavano lesive del vincolo fiduciario tra datore e dipendente. Il giudice di prime cure, esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, ha rigettato il ricorso rilevando che: la condotta tenuta dal lavoratore appare del tutto idonea a concretizzare una grave violazione degli obblighi di diligenza di cui all'articolo 217 CCNL. In particolare, il ricorrente che ha intercettato la corrispondenza contenente il curriculum della sig.ra (omissis) estraendone il numero di cellulare ha dimostrato una particolare noncuranza nei confronti dei propri doveri d'ufficio, esorbitando dalle proprie competenze di semplice smistamento della corrispondenza ed anteponendo alle prerogative aziendali un proprio personale desiderio di entrare comunque in contatto con la candidata. Tale condotta assume una rilevanza ancor più permeante, anche alla luce della normativa in materia di trattamento dei dati personali, di cui al GDPR.....Nella specie, non appare quindi discutibile che il sig. (omissis), facendo un uso dei dati personali della sig.ra (omissis) per finalità diverse da quelle aziendali, abbia violato anche le disposizioni datoriali contenute nella comunicazione del 7.9.2020, in base alle quali egli avrebbe dovuto avere accesso a quei dati la cui conoscenza fosse strettamente necessaria per adempiere ai compiti attribuitigli nell'ambito della funzione, ovverosia la gestione e lo smistamento della corrispondenza. Un siffatto uso dei dati personali della candidata, da parte di un soggetto adeguatamente formato in materia di privacy nonché consapevole del trattamento da riservare agli stessi, non può che avere una significativa valenza negativa, traducendosi in lesione irreparabile del vincolo fiduciario nella misura in cui esso incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione e fedeltà cui è tenuto il dipendente nei confronti della datrice. Tale contegno si rivela incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale il rapporto di lavoro stesso si fonda e dunque è tale da ben poter costituire giusta causa di licenziamento . Il sig. (omissis) con atto depositato in data 21/12/24 ha impugnato la sentenza insistendo per la sua riforma e svolgendo un unico motivo di appello: omessa valutazione della proporzionalità tra il fatto contestato e la sanzione irrogata. Con l'unico motivo di appello impugna la sentenza in quanto il primo giudice, pur avendo preso atto della contestazione dallo stesso sollevata, in relazione alla sproporzione tra fatto addebitato e provvedimento intimato, non aveva fornito nella propria motivazione alcun logico convincimento circa il rispetto del criterio di proporzionalità invocato. Torna a ribadire che nessuna violazione era stata dallo stesso commesso, dal momento che non aveva divulgato il dato a terzi ma si era limitato a brevi messaggi telefonici immediatamente sospesi allorché la destinataria aveva intimato l'immediata cessazione della molestia. Infatti, rammenta parte appellante, la sanzione per la violazione (trattamento illecito di dati personali) è riferibile al soggetto che, venuto in possesso dei dati personali, li diffonda senza il consenso dell'interessato. L'appellante dichiara che, in quasi 34 anni di servizio, aveva operato diligentemente e cooperato alla prosperità dell'azienda e pertanto il criterio di proporzionalità avrebbe dovuto essere attentamente esaminato al fine di verificare se il fatto contestato potesse essere qualificato come una palese violazione delle norme e se pur di fronte ad una concreta violazione, una sanzione alternativa avrebbe avuto il medesimo risultato, non avendo lo stesso cercato di nascondere il proprio operato, ma avendo immediatamente riconosciuto l'errore assicurando per l'avvenire il puntuale rispetto dei propri doveri. Con memoria depositata in data 28/02/25 si è costituita in giudizio (omissis) insistendo per il rigetto del ricorso e la contestuale conferma della sentenza di prime cure, risultando la stessa, sul punto, logica, congruamente motivata e perfettamente coerente con i principi giurisprudenziali di riferimento , essendo la condotta posta in essere dal (omissis) del tutto idonea a concretizzare una grave violazione degli obblighi di diligenza di cui all'articolo 217 CCNL , oltre ad avere violato gli obblighi della normativa in materia di trattamento dei dati personali, di cui al GDPR e le istruzioni aziendali in materia di applicazione della normativa privacy. La società rammenta che il sig. (omissis), nella sua qualità di persona autorizzata al trattamento dei Dati Personali, avrebbe dovuto assicurare la corretta gestione del documento intercettato, provvedendo al suo smistamento al collega dell'ufficio del personale autorizzato, conformemente alle disposizioni ricevute con la comunicazione del 7.9.2020. Come puntualmente rilevato dal Tribunale, l'odierno appellante, avendo utilizzato in modo improprio il numero di telefono della giovane candidata per finalità estranee a quelle strettamente aziendali, aveva consapevolmente violato la normativa vigente in materia di trattamento dei dati personali, integrando altresì con tale condotta una violazione degli obblighi contrattuali e collettivi discendenti dal rapporto di lavoro, compromettendo in modo significativo il vincolo fiduciario alla base dello stesso. Conclude sostenendo che deve ritenersi del tutto irrilevante anche l'eccezione, sollevata dall'Appellante, di avere impiegato il numero di telefono della candidata esclusivamente per fini personali, senza procedere alla sua divulgazione a soggetti terzi e, quindi, senza violare la normativa privacy, dal momento che la violazione si era infatti perfezionata nel momento stesso in cui l'utilizzo del dato personale era risultato privo di correlazione con esigenze aziendali, evidenziando, peraltro, la scarsa affidabilità del lavoratore, il quale aveva abusato della posizione professionale rivestita, compromettendo irrimediabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Da ultimo, la società appellata, al fine di ristabilire la verità riguardante il curriculum disciplinare del lavoratore, contrariamente a quanto sostenuto dal (omissis), rammenta che lo stesso non aveva un passato lavorativo irreprensibile. Infatti, era stato già destinatario di provvedimenti disciplinari nel 1999 (sospensione di 10 giorni) e nel 2014 (sospensioni di 3 giorni), a conferma di una condotta non in linea con i valoro aziendali (docc. 3 e 4 fascicolo di primo grado). All'udienza del 2.04.2025, preso atto dell'esito negativo del tentativo di conciliazione, all'esito della discussione dei difensori, la Corte ha deciso la causa come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza. L'appello è infondato e deve essere respinto sulla base delle osservazioni che seguono. Ritiene il Collegio che debba essere condivisa la conclusione cui è pervenuto il Tribunale circa la sussistenza nella fattispecie della giusta causa alla base dell'intimato licenziamento e che la misura espulsiva sia proporzionata ai fatti. Va preliminarmente osservato che il sig. (omissis) non ha contestato nella sua materialità il fatto addebitatogli nella lettera del l 23 ottobre 2023 (doc. 7 fasc. I grado di parte ricorrente), che è quindi consistito nell'avere il lavoratore in data 10 ottobre 2023, durante il suo orario di lavoro dalle ore 8:17 alle ore 17:03 presso l'Ufficio Amministrazione e Contabilità, intercettato il Curriculum Vitae della Sig.ra (omissis) tra la posta interna proveniente dal punto vendita di P.zza (omissis) Torino e destinata alla sede di Vimodrone Viale (omissis), e acquisito illegittimamente il numero di cellulare privato della Sig.ra (omissis) presente sul Curriculum Vitae ed inviato a quest'ultima una serie di messaggi WhatsApp. (omissis) si lamenta esclusivamente della sproporzione tra la massima sanzione espulsiva adottata dalla datrice di lavoro e la modesta gravità del fatto e deduce che la condotta da lui posta in essere era solo in parte riconducibile alle norme contrattuali indicate dalla società nella lettera di licenziamento. La censura non può essere accolta. Va premesso che, come costantemente affermato dalla Corte di Cassazione, Per stabilire, poi, se sussiste la giusta causa di licenziamento e se è stata rispettata la regola codicistica della proporzionalità della sanzione, occorre accertare in concreto se in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d'opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comportavala specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti e all'intensità dell'elemento psicologico dell'agente, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente (cfr. Cass. 23.4.2002 n. 5943; Cass. n. 8568/2000) (cfr. Cass. sez L. n.12798 del 23/05/2019 Oggetto di valutazione deve essere quindi la condotta del lavoratore nel suo complesso. Nella fattispecie, in applicazione di tale principio, va evidenziato che profili di particolare gravità si desumono dai seguenti aspetti: in considerazione delle mansioni svolte da (omissis), e non contestate, che consistevano nella gestione della posta interna, smistamento e selezione di corrispondenza destinata ai vari uffici e archiviazione di documenti e comportavano l'accesso a informazioni personali come ad esempio: dati anagrafici, indirizzi postali, telefonici, telematici, codice identificativi ecc.; delle plurime violazioni degli obblighi della normativa in materia di trattamento dei dati personali, di cui al GDPR ed anche delle istruzioni aziendali in materia di applicazione della normativa privacy, indicate nella designazione del 7.9.2020, trasmessa al ricorrente, della specifica formazione che (omissis) aveva assegnato al dipendente, tramite la partecipazione a periodici corsi di aggiornamento in materia di privacy e applicazione delle disposizioni contenute nel GDPR; della conseguente consapevolezza che (omissis) dove avere della illiceità della condotta posta in essere. Il Collegio, alla luce dei riportati rilievi, condivide pertanto le argomentazioni del giudice di prime cure, che ha rilevato Nella specie, non appare quindi discutibile che il sig. (omissis), facendo un uso dei dati personali della sig.ra (omissis) per finalità diverse da quelle aziendali, abbia violato anche le disposizioni datoriali contenute nella comunicazione del 7.9.2020, in base alle quali egli avrebbe dovuto avere accesso a quei dati la cui conoscenza fosse strettamente necessaria per adempiere ai compiti attribuitigli nell'ambito della funzione, ovverosia la gestione e lo smistamento della corrispondenza. Un siffatto uso dei dati personali della candidata, da parte di un soggetto adeguatamente formato in materia di privacy nonché consapevole del trattamento da riservare agli stessi, non può che avere una significativa valenza negativa, traducendosi in lesione irreparabile del vincolo fiduciario nella misura in cui esso incide intrinsecamente sugli obblighi di collaborazione e fedeltà cui è tenuto il dipendente nei confronti della datrice. Tale contegno si rivela incompatibile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale il rapporto di lavoro stesso si fonda e dunque è tale da ben poter costituire giusta causa di licenziamento . La specificità della mansione e la durata ultraventennale del rapporto di lavoro alle dipendenze dalla società rendono ancor più intollerabile la condotta posta in essere dal dipendente. A nulla rileva, quindi, ai fini della valutazione della proporzione della sanzione irrogata, l'avere il lavoratore ammesso il fatto e l'avere impiegato il numero di telefono della candidata per soli fini personali senza divulgarlo a terzi. Trattasi di circostanze prive del carattere di decisività, rilevando invece la condotta contraria alla buona fede nei confronti del datore di lavoro, che ha sopportato comunque una lesione dell'affidamento da lui riposto nel medesimo. La violazione degli obblighi del lavoratore si è infatti realizzata nel momento in cui (omissis) ha utilizzato il numero di telefono per finalità diverse da quelle per le quali era stato comunicato dalla candidata e assolutamente estranee alle esigenze aziendali. La datrice di lavoro ha reputato la gravità della condotta sia in considerazione del peculiare elemento soggettivo, rapportato alla funzione e al grado di fiducia attribuito al dipendente con la nomina a persona autorizzata al trattamento dei dati personali, sia in relazione al danno all'immagine e alla reputazione della società. Con riferimento alla tesi di parte appellante secondo cui la condotta contestata sarebbe solo in parte riconducibile alle previsioni del CCNL per le ipotesi di licenziamento disciplinare, va anche ricordato che: L'elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha, al contrario che per le sanzioni disciplinari con effetto conservativo, valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un'autonoma valutazione del giudice di merito in ordine all'idoneità di un grave inadempimento, o di un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore (Cass. 12/02/2016, n. 2830, conforme: Cass. 19/01/2022, n. 1665, cit. supra). In sostanza, in materia disciplinare, l'apprezzamento della giusta causa di recesso rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice che è tenuto a valorizzare elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, coerenti con la scala valoriale del contratto collettivo, oltre che con i principi radicati nella coscienza sociale, idonei a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario (cfr., tra le altre, Cass.7/11/2018 n. 28492, n. 9396; Cass. civ., sez. lav., 26/10//2018, n. 27238). Nella fattispecie, come detto, le violazioni compiute dal lavoratore sono molteplici e gravi e tali da integrare giusta causa di recesso. Da ultimo, va considerato che il fatto che la datrice di lavoro non abbia contestato la 'recidiva' non preclude a questo Collegio di considerare nella valutazione della proporzionalità della sanzione i precedenti disciplinari (nel 1999 sospensione di 10 giorni e nel 2014 sospensioni di 3 giorni, a conferma di una condotta non in linea con i valoro aziendali (docc. 3 e 4 fascicolo UNES di primo grado), atteso che – per costante giurisprudenza nel licenziamento disciplinare, la preventiva contestazione della recidiva non è necessaria allorquando i precedenti disciplinari vengono in rilievo non quali elementi costitutivi del complessivo addebito formulato, ma quale criterio di verifica della proporzionalità della sanzione espulsiva, destinato ad orientare la parte datoriale in ordine a futuri possibili inadempimenti del dipendente' (vedi, ex plurimis, Cass., 26-11-2018, n. 30564). Alla luce delle considerazioni tutte sopra svolte l'appello va respinto e la sentenza confermata. Tenuto conto della peculiarità della fattispecie e corretto comportamento processuale dell'appellante, si ravvisano i presupposti per compensare integralmente tra le parti le spese di lite del grado ex articolo 92, comma 2, c.p.c. Si dà atto che sussistono le condizioni di legge per il versamento a carico dell'appellante dell'ulteriore contributo ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del D.P.R 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall'articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012. P.Q.M. Conferma la sentenza n 3245/2024 del Tribunale di Milano sezione lavoro Compensa le spese di lite del grado. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2012 n. 115, introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico dell'appellante dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.