Con l’ordinanza in commento, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vallo della Lucania ricostruisce il complesso rapporto tra il Piano territoriale paesaggistico (PTP) del Cilento Costiero, approvato in via sostitutiva dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali con decreto del 4 ottobre 1997, e il Piano del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, approvato dal Consiglio Regionale della Campania il 24 dicembre 2009.
La vicenda riguardava il sequestro preventivo di una struttura in cemento armato di supporto per un impianto di comunicazioni elettroniche, che, secondo la prospettiva dell'organo requirente, avrebbe integrato la fattispecie di cui all'articolo 181 d.lgs. n. 181/2004, poiché realizzata in violazione delle norme tecniche di attuazione del PTP, segnatamente quelle secondo cui, nella zona di riferimento, sono ammessi solo interventi di conservazione e di riqualificazione, con espresso divieto di realizzare elettrodotti o altre infrastrutture aeree. Tale assunto, corroborato dalle valutazioni espresse dalla Soprintendenza, è stato sottoposto a penetrante vaglio critico da parte del giudice, che ha analizzato gli effetti scaturenti, sulla configurabilità della contravvenzione contestata, dall'approvazione del Piano del Parco, sopravvenuta al Piano territoriale. L'ordinanza in commento rileva come le norme tecniche del Piano del Parco, a differenza di quelle del PTP, consentirebbero, nella zona di riferimento, la realizzazione di attività e servizi utili allo sviluppo economico e sociale delle comunità locali, ivi comprese le attività commerciali e industriali con le attrezzature e infrastrutture ad esse afferenti. La questione della assentibilità dell'opera contestata alla stregua delle prescrizioni del Piano del Parco - di rilievo dirimente ai fini della configurabilità della fattispecie contestata - risultava, in tale prospettiva, priva di approfondimento in fase investigativa e, di conseguenza, sostanzialmente estranea all'imputazione provvisoria. Richiamando un orientamento della giurisprudenza di legittimità, l'ordinanza in commento rimarca, in particolare, la valenza paesistica, territoriale e urbanistica rivestita dal piano del parco, idoneo a spiegare una vera e propria efficacia “sostitutiva” rispetto ai «piani paesistici e dei piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello» (cfr. Cass. pen., sez. III, sez. III, 13 dicembre 2006, n. 14183, in Cass. pen., 2008, p. 1169; Id., sez. III, 14 gennaio 1004, n. 5863, ivi, 2006, p. 207). Da ciò, la insussistenza del fumus del reato di cui all'articolo 181 d.lgs. n. 42/2004 ed il conseguente rigetto, sul punto, della richiesta cautelare avanzata dal pubblico ministero, anche se, nel caso di specie, il vincolo reale è stato comunque imposto, in ragione della ritenuta configurabilità dell'ulteriore ipotesi di reato ex articolo 734 c.p. Va rilevato che, secondo altro, contrapposto arresto della Corte di Cassazione, peraltro in linea con la giurisprudenza amministrativa, le opere realizzate in violazione dei vincoli previsti dal Piano paesaggistico sono, senz'altro, idonee ad integrare la fattispecie di cui all'articolo 181 d.lgs. n. 42/2004, in quanto, nell'ordine di prevalenza che la normativa statale detta tra gli strumenti di pianificazione paesaggistica, il Piano territoriale paesaggistico è gerarchicamente superiore a tutti, prevalendo quindi sul Piano del Parco, le cui previsioni devono conformarsi al primo (Cass. pen., sez. VII, 13 gennaio 2023, n. 20488, in Cass. pen., 2023, p. 3331, in cui viene richiamata Cons. Stato, sez. IV, n. 4636/2016). Il contrasto giurisprudenziale rispecchia la eterogeneità degli interessi giuridici sottesi alle previsioni di natura paesaggistica, ambientale e naturalistica e, di riflesso, alle fattispecie incriminatrici volte a rafforzarne, rispettivamente, la tutela. Si richiede, in definitiva, uno sforzo all'interprete, chiamato ad una puntuale ricostruzione della natura e dell'estensione dei vincoli insistenti sul territorio, compito reso ancor più arduo dalla non particolare nitidezza delle linee di confine tra le plurime contravvenzioni previste in materia.
Giudice Tringali Rilevato che: che il pubblico ministero ha richiesto la convalida della misura cautelare, disposta d'urgenza in data 30.4-2025; che risultano rispettati i termini previsti dall'articolo 321 co. 3 bis c.p.p.; che il pubblico ministero fonda la domanda sugli esiti dell'informativa prot. 16/5-7/2025 del Nucleo Carabinieri Parco di (omissis) e relativi allegati, nonché la relazione preliminare a firma del CTU (omissis) depositate in data 29.4.2025; premesso che a giustificare l'adozione della misura cautelare richiesta è sufficiente il fumus della sussistenza degli estremi del reato ipotizzato, mentre la verifica dell'antigiuridicità penale del fatto va compiuta su un piano di astrattezza, nel senso che essa non può investire la sussistenza in concreto dell'ipotesi criminosa, ma deve essere limitata alla configurabilità del fatto come reato (cfr., ex plurimis, Cass. pen. sez. V, del 9.4.1992, dep. 23.5.1992, n. 1064; Cass. pen. sez. VI, del26.6.2008, dep. 24-9.2008, n. 36710); Osserva che: 1. a giudizio dell'organo inquirente emerge dagli atti d'indagine che il basamento di cemento armato realizzato per il successivo montaggio del palo metallico flangiato, di altezza complessiva di 18,00 metri, costituente struttura di supporto per l'impianto di comunicazioni elettroniche (installazione di stazione radio base) sarebbe stato autorizzato in violazione di legge e, quindi, in assenza di un valido atto autorizzativo, donde la condotta integrerebbe (capo A) il reato di cui all'articolo 181 del d.lgs. ../2004. In particolare, il titolo autorizzativo, costituito dal (omissis) rilasciato dal SUAP (omissis) all'esito di conferenza di servizi indetta in modalità semplificata e con pareri favorevoli formatisi per silentium ai sensi dell'articolo 14-bis L. 241/1990 del Comune di (omissis) e della Soprintendenza BAP (omissis) sarebbe stato emesso in violazione della disciplina contenuta nelle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico “Cilento Costiero”, con riferimento, in primo luogo, all'articolo 9 delle NTA, secondo cui nella fascia di 300 metri dalla linea di costa sono ammessi (solo) interventi di conservazione del manto vegetale e naturale esistente, sia di costa sabbiosa che rocciosa e di quella retrostante, lungo le fasce di spiaggia e retrospiaggia, di riqualificazione e ricostituzione della vegetazione costiera con specie autoctone secondo requisiti fitosociologici che rispettino i processi dinamico-evolutivi e di potenzialità della vegetazione dell'area; nonché di riqualificazione delle aree e degli edifici esistenti da realizzare secondo progetti esecutivi, finalizzati all'eliminazione degli elementi e delle zone di degrado. Inoltre, esso sarebbe in contrasto anche con l'articolo 14 delle NTA applicabili alle zone R.U.A., ove insiste l'opera in contestazione, il quale vieta la realizzazione di elettrodotti o altre infrastrutture aeree, categorie alle quali è riconducibile l'impianto per le comunicazioni elettroniche di tipo SRB, che, al pari degli elettrodotti, si connotano per la presenza di tralicci e torri sui quali vengono installati i ripetitori che consentono la trasmissione dei segnali radio. Tali conclusioni sono sostenute (oltre che dal c.t. del P.M.) anche dalla Soprintendenza, con una comunicazione inviata alla Procura della Repubblica successivamente all'inizio delle indagini e successivamente al decreto con cui il TAR Campania di Salerno ha disposto la sospensione dell'efficacia del provvedimento autorizzativo, in via cautelare, a seguito del ricorso da parte di soggetti privati per l'annullamento del medesimo provvedimento e di tutti gli atti presupposti. Con tale comunicazione la Soprintendenza, sia pure ravvedendosi tardivamente (e in maniera atipica) rispetto al proprio silenzio assenso (l'istituto del silenzio assenso “orizzontale” - e cioè quello che opera fra pubbliche amministrazioni - è applicabile anche alle Soprintendenze che non rilasciano entro il termine il parere richiesto e ciò vale sia quando sono chiamate a rilasciarlo nell'ambito di una conferenza di servizi, sia se interpellate direttamente da un'altra amministrazione, sia all'interno del procedimento di rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, di guisa che l'eventuale parere reso oltre il termine è come se non esistesse: Consiglio di Stato, Sez. IV, Sentenza n. 8610 del 2 ottobre 2023), ha precisato che l'intervento proposto ricade in un ambito che caratterizza il territorio comunale sia dal punto di vista posizionale che percettivo nonché ambientale per la presenza di ricca vegetazione, prossimo ad un nucleo residenziale, e che contrasta, per la sua visibilità, da ogni punto di vista, con gli aspetti paesaggistici e ambientali tutelati; la progettazione dell'intervento risulta estremamente invasiva, non ha tenuto conto in nessun modo i valori paesaggistici dei luoghi. Si fa presente ancora che la Zona in oggetto del PTP articolo 14 RUA - zona di recupero urbanistico, edilizio, e di restauro paesistico-ambientale - comprende prevalentemente aree urbanizzate di elevatissimo valore ambientale e paesaggistico. La stazione radio progettata è del tutto avulsa dal contesto paesaggistico di riferimento, l'intervento risulta incompatibile con il contesto paesaggistico di riferimento e non conforme alla disciplina paesaggistica vigente nell'area in oggetto. Come specificato nelle NTA articolo 9 del PTP del Cilento costiero, l'obiettivo principale dell'ambito di paesaggio è la salvaguardia dei caratteri paesaggistici -ambientali nelle sue diverse componenti ma, al contrario, il caso in esame incide negativamente sul paesaggio circostante, sia per caratteristiche dimensionali (altezza eccessiva, imponente sezione del palo, presenza di elementi estranei e di disturbo quali parabole ed antenne, nel contesto naturale in cui si inseriscono) sia per materiali, quali l'uso del cemento, sia per la presenza di opere connesse comportanti scavo e recinzioni. 1.1. In punto di diritto, tuttavia, le conclusioni appena riepilogate, cui giungono la pubblica accusa (per il tramite della relazione tecnica del suo consulente) e la Soprintendenza, non appaiono convincenti. È opportuna, al riguardo, una breve ricostruzione della normativa afferente al vincolo paesaggistico che, nel caso di specie, si assume violato. Il vincolo paesaggistico gravante sull'area di intervento rinviene le sue origini nel nei D.M. emessi ai sensi della legge n.1497 del 29 giugno 19.., del 23 ottobre 1956, relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico del Comune di Fascia costiera - zona di (omissis) e del 2 novembre 1968 relativo alla dichiarazione di notevole interesse pubblico del Comune di (omissis) comprendente la zona del DM 23/10/56. L'articolo 5 della legge n.1497 del 29 giugno 1939 dava la facoltà (al Ministro per l'educazione nazionale) di predisporre un piano territoriale paesistico, da redigersi secondo le norme dettate dal regolamento di attuazione alla legge medesima. Detto piano era da approvarsi e pubblicarsi insieme con l'elenco di individuazione delle bellezze panoramiche, al fine di impedire che siano utilizzate in modo pregiudizievole: - le aree individuate come i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale; - le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze. La legge n. 431 dell'8 agosto 1985, entrata in vigore il 7 settembre 1985 (“legge Galasso”) estendeva la tutela di cui alla legge n. 1497/39 alle aree aventi determinate caratteristiche e rilevanza ambientale e demandava alle Regioni il compito d'individuare quelle aree che, per le loro particolari connotazioni, dovessero rimanere inedificabili fino all'approvazione dei piani paesistici. Il termine per la predisposizione dei piani era fissato al 31 dicembre 1986, scaduto il quale il Ministero per i beni culturali sarebbe potuto intervenire in via sostitutiva. L'articolo 1 -bis della legge n.431/85 prevedeva la redazione dei piani paesistici o di piani urbanistico territoriali con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali in relazione ai beni e alle aree indicati dall'articolo 1 della stessa legge n.431/85, ossia a quei luoghi che, per le loro caratteristiche, sono subordinati in modo oggettivo ed automatico al vincolo di tutela di cui alla legge n.1497/39 come richiamato dall'articolo 1, comma 3, legge n.431/85. Per la Campania la vicenda dei piani paesistici è più che nota e l'ultimo atto è stata la sostituzione dei poteri in merito alla redazione ed adozione di tali piani da parte del Ministro dei Beni Culturali ed Ambientali. In seguito all'esercizio dei poteri sostitutivi il Ministero per i Beni e le Attività Culturali redigeva ed approvava i piani paesistici per gli ambiti individuati dai Decreti Ministeriali del 28 marzo 1985, tra cui quello del (omissis) con efficacia dal 23 gennaio 1996. Medio tempore, con la legge quadro sulle aree protette (Legge 6 dicembre 1991, n. 394), è stato istituito, tra gli altri, il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Tale legge detta principi fondamentali per la istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale costituito dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche, o gruppi di esse, che hanno rilevante valore naturalistico ed ambientale (v. articolo 1). L'articolo 2 della stessa legge classifica le aree naturali protette in Parchi nazionali e regionali ed in riserve naturali, precisando che queste ultime possono essere statali o regionali, in base alla rilevanza degli interessi in esse rappresentati. La legge in questione attribuisce la gestione dei parchi nazionali agli Enti Parco ai quali, in base all'articolo 13, è affidata l'emissione del nulla osta preventivo al rilascio di concessioni e autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del Parco. L'Ente Parco Cilento è stato istituito con il d.p.r. 2 giugno 1995. L'articolo 12 della legge dispone che la tutela dei valori naturali ed ambientali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del piano per il parco, che suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo: a) riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità; b) riserve generali orientate, c) aree di protezione d) aree di promozione economica e sociale. Il comma 7 dell'articolo 12, infine, stabilisce che il piano ha effetto di dichiarazione di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 67 del 12-21/3/'97, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 20 co. 2 L. Reg. Toscana 16/3/'94, n. 24 (relativa all'istituzione degli Enti parco per la gestione dei Parchi regionali della Maremma e di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli), nella parte in cui prevede che il rilascio del nulla-osta dell'Ente Parco tenga luogo delle autorizzazioni previste dalla normativa statale per gli interventi in zone sottoposte a vincoli paesaggistici, ha statuito che nel vigente ordinamento sono state delegate alle Regioni le funzioni per la protezione delle bellezze naturali e che, per le aree naturali protette regionali, le Regioni sono competenti ad istituire Parchi e Riserve naturali, a stabilirne le misure di salvaguardia e ad indicare tutti gli elementi del piano il quale ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici ed i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello (articolo 25 stesso D.P.R.). La Suprema Corte, in aderenza a tale orientamento, ha più volte precisato che piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione menzionati nel citato articolo 12 co. 7, restano in vigore per tutte le finalità cui è delegato il piano del parco fino al momento della loro sostituzione per la predisposizione di quest'ultimo. Ciò è pure previsto dal successivo articolo 25 per il piano dei parchi naturali regionali, che ha valore anche di piano paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani paesistici e i piani territoriali o urbanistici di qualsiasi livello (cfr. Cass. Pen. Sez. 3, Sentenza n. 5863 del 2004; Sez. 3, Sentenza n. 14183 del 2007). Se è vero, allora, che i piani paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di pianificazione menzionati nel citato articolo 12 co. 7, restano in vigore per tutte le finalità cui è delegato il piano del parco fino al momento della loro sostituzione per la predisposizione di quest'ultimo, consegue che, nell'analisi del caso di specie, non può prescindersi, dalla circostanza che in data 24 dicembre 2009 il Consiglio Regionale della Campania ha approvato il Piano del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. In altri termini, non vi è chi non veda che la contestazione dell'addebito penale in termini di violazione di norme (gli articolo 9 e 14 delle norme di attuazione del PTP) ormai superate, quanto meno cronologicamente, dall'approvazione del Piano del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, appare discutibile, laddove sia compiuta senza neppure sottoporre dette norme ad una prova di resistenza rispetto alla sopravvenienza normativa potenzialmente abrogatrice. Al riguardo va rilevato, infatti, che, secondo quanto emerge dagli atti acquisiti nel corso delle indagini, la zona oggetto di intervento, che in precedenza era catalogata zona R.U.A. e in cui l'attività edilizia era disciplinata dall'articolo 14 delle Norme di Attuazione, a seguito dell'approvazione del Piano del Parco è stata invece inserita in zona D (cfr. certificato di destinazione urbanistica del Comune di Centola, allegato n. 4 alla consulenza del P.M.) , ossia “aree di promozione economica e sociale”. Ai sensi dell'articolo 8 comma 9 delle NTA del Piano del Parco, le zone D, di promozione economica e sociale, si riferiscono ad ambiti profondamente modificati dai processi di antropizzazione, destinati ad ospitare attività e servizi utili alla fruizione e alla valorizzazione del Parco e allo sviluppo economico e sociale delle comunità locali, ivi comprese le attività residenziali, artigianali, commerciali, industriali, ricettive, turistiche e agrituristiche, ricreative e sportive, con le attrezzature e infrastrutture ad esse afferenti, come previste dagli strumenti urbanistici dei Comuni. La disciplina degli usi, delle attività e degli interventi nelle zone D è stabilita dagli strumenti urbanistici locali, sulla base di una serie di indirizzi (con le ulteriori specificazioni del comma 11) e compatibilmente con i criteri di difesa del suolo e gli altri vincoli o limitazioni del titolo III, indirizzi tra i quali (lett. a) favorire lo sviluppo e la qualificazione dell'assetto urbanistico in modo che esso, oltre a rispondere ai bisogni e alle attese delle popolazioni locali, migliori la qualità dei servizi e arricchisca le opportunità di fruizione del Parco. Alla luce di tali argomenti, quindi, la ricostruzione offerta dal c.t. del p.m. e recepita nella provvisoria imputazione risulta del tutto carente del necessario approfondimento circa il rapporto tra le due normative di riferimento. Con riguardo alla zona in cui si trova l'intervento edilizio oggetto di sequestro (zona D del Piano del Parco) non risultano divieti assoluti di edificazione né, tanto meno, i divieti previsti per la zona R.U.A. dal PTP, oggetto di provvisoria imputazione, e, anzi, deve osservarsi che si tratta della zona con il grado di protezione meno intenso rispetto a tutte le altre zonizzazioni. Da ciò consegue che, sotto il profilo del fumus, la supposta illegittimità del permesso di costruire (e quindi la materialità del reato contestato al capo A), appare fortemente dubbia; 2. la Pubblica accusa, inoltre, pone a base del provvedimento di sequestro preventivo anche la contravvenzione di cui all'articolo 734 c.p., affermando che i lavori fin qui eseguiti, invero, in disparte la gravità del danno che sarebbe causato qualora l'opera dovesse essere effettivamente completata, hanno comportato - a poco più di cento metri dal mare - la realizzazione di uno sbancamento di 64 mq e l'asportazione di circa 100 me di terra e vegetazione in un luogo, come affermato nel provvedimento in data 21.03.2025 della Soprintendenza di Salerno, di “elevatissimo valore ambientale e paesaggistico . Ritiene questo giudice che, allo stato degli atti e salva ogni diversa valutazione in relazione alla progressione processuale del procedimento, sussista l'astratta configurabilità del reato ipotizzato al capo B) della provvisoria imputazione. Il reato di distruzione o deturpamento di bellezze naturali tutela l'interesse della comunità alla conservazione e al godimento dell'inestimabile patrimonio estetico costituito dall'armonica fusione di forme e colori assunta dalla natura in particolari località, con la conseguenza che per integrare il fatto tipico dell'alterazione delle bellezze naturali è sufficiente la modificazione delle visioni panoramiche ed estetiche offerte dalla natura (Sez. 6, n. 1436 del 31/10/1968, Castelbarco, Rv. 109872 - 01), in maniera da turbare sensibilmente quella sensazione di godimento estetico che le bellezze naturali offrivano all'uomo prima dell'atto lesivo della loro naturale integrità (Sez. 3, n. 1230 del 20/07/1968, Busin, Rv. 109104 - 01). In quest'ottica, la norma penale appresta protezione ai beni paesaggistici e ambientali, inserendosi in un sistema normativo costituito dal codice dei beni culturali e del paesaggio nel cui ambito applicativo rientra di certo la zona in esame, come già evidenziato. Si tratta di un ben definito complesso di norme finalizzato alla tutela di interessi di rango costituzionale (articolo 9 della Costituzione in forza del quale La Repubblica [...] tutela il paesaggio [...] della Nazione ) e, quindi, alla conservazione della ricchezza estetica naturale del territorio nazionale, in un'ottica di protezione del patrimonio culturale , quale più ampio genere nel quale sono ricondotti, ex positivo iure, i beni culturali ed i beni paesaggistici (argumenta ex articolo 2, comma 1, d.lgs. n. 42 del 2004), recependosi, in tal modo, i concetti di paesaggio come precisati nella Convenzione Europea del Paesaggio del 20 ottobre 2000, firmata a Firenze, secondo cui l'identità e la riconoscibilità paesaggistica rappresentano elementi fondamentali della qualità dei luoghi in cui l'uomo è insediato e sono direttamente correlati con la qualità della vita delle popolazioni, con la conseguenza che la perdita di qualità degli ambienti costituisce perdita di identità dei luoghi stessi e del senso di appartenenza ad essi della popolazione. Da qui la centralità del meccanismo di tutela presidiato con la leva penale, azionabile a fronte di una condotta che produca l'alterazione, mediante immutazione rilevante e apprezzabile, delle caratteristiche della costa, in una zona particolarmente pregiata come quella di cui si discute. il reato di cui all'articolo 734 del codice penale è a forma libera (Sez. 3, n. 48004 del 17/09/2014, Liotta, Rv. 261154 - 01), potendo la condotta consistere anche nell'alterazione delle bellezze naturali che può avvenire in qualsiasi altro modo , e che, ai sensi della norma penale de qua, l'alterazione deve essere considerata non soltanto in senso naturalistico, cioè come sostituzione arbitraria e modificazione di una situazione preesistente ma anche in senso giuridico, per l'arbitraria o, anche solo, colposa trasformazione, parimenti nella specie realizzata, di un interesse, che attiene alla comunità sociale destinataria del bene tutelato (Sez. 3, n. 1700 del 05/12/1968, dep. 1969, Bucci, Rv. 110154 - 01). Non è poi necessario che l'alterazione del luogo protetto sia irreparabile, sussistendo la lesione anche quando la bellezza possa essere successivamente ripristinata (in tal senso, Sez. 3, n. 2685 del 10/12/1991, dep. 1992, Lezzi, Rv. 190738 - 01). Inoltre, secondo l'autorevole insegnamento di Sez. U, n. 248 del 21/10/1992, Molinari, (successivamente ribadito da Cass. sez. 3 n. 44012 del 2015), la contravvenzione di cui all'articolo 734, cod. peri, si configura come un reato di danno e non di pericolo (o di danno presunto), richiedendo per la sua punibilità che si verifichi in concreto la distruzione o l'alterazione delle bellezze protette. Pertanto, non è sufficiente per integrare gli estremi del reato nè l'esecuzione di un'opera nè la semplice alterazione dello stato naturale delle cose sottoposte a vincolo, ma occorre che tale alterazione abbia effettivamente determinato la distruzione o il deturpamento delle bellezze naturali. In questa opera di ricostruzione del fatto il giudice penale deve prescindere da ogni valutazione della pubblica amministrazione, della quale - se intervenuta - dovrà - con adeguata motivazione - tenere conto. Sicché l'eventuale autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato, spettando unicamente al giudice penale l'accertamento del verificarsi dell'evento concretante la contravvenzione. Consegue che, ai fini della sussistenza del reato di cui all'articolo 734, cod. pen., non conta che i lavori siano allo stato iniziale, contano gli effetti della condotta quale concretamente e storicamente realizzati. Sulla scorta di tali consolidati principi, va quindi osservato che, se, per un verso, l'astratta configurabilità del reato va apprezzata in relazione a quanto già effettivamente realizzato (e non, quindi, a quanto previsto in progetto, ossia alla collocazione dell'antenna), d'altra parte, non esclude la configurabilità del reato ipotizzato che tale attività sia ancora allo stato iniziale perché prodromica alle successive fasi lavorative, né che sia stata posta in essere sulla base di un parere “favorevole” della Soprintendenza (formatosi, peraltro, in forma di silenzio assenso e, quindi, privo di qualsivoglia indicazione sulle concrete modalità di realizzazione dell'opera); conta, come già detto, che tale condotta sia configurabile di per sé come fonte di alterazione della bellezza naturale protetta, secondo un giudizio riservato al motivato apprezzamento del giudice di merito che, nel caso di specie, sconta la natura cautelare del provvedimento impugnato e, dunque, la astratta sussumibilità del fatto accertato nel reato ipotizzato. Ebbene, sulla base della documentazione fotografica in atti, anche il solo sbancamento di 64 mq e l'asportazione di circa 100 me di terra, con la rimozione di alberi e vegetazione di macchia mediterranea e la realizzazione, in uno spazio altimetricamente sopraelevato rispetto alla linea di costa, di un uno scavo per la collocazione del plinto di cemento armato, a circa 150 metri da una delle spiagge più belle e rinomate del Cilento, costituente vero e proprio monumento naturale marittimo, deve essere ritenuta (nei limiti di cognizione di questa fase cautelare) di per sé fonte di alterazione della bellezza naturale protetta, tenuto conto anche che (come evidenziato dalla Soprintendenza) sia per materiali, quali l'uso del cemento, sia per la presenza di opere connesse comportanti scavo e recinzioni, l'alterazione assume carattere permanente ed irreversibile; considerato che sussiste, con ogni evidenza, anche il periculum in mora, in quanto, al netto dell'ordine di sospensione dei lavori impartito dal SUAP a fronte del decreto presidenziale emesso dal TAR Campania e della già avviata convocazione della conferenza di servizi per una eventuale revisione del provvedimento in sede di autotutela, la prosecuzione delle opere, secondo quanto indicato in progetto, anche una volta verificata la regolarità amministrativa del permesso, potrebbe aggravare e/o condurre a ulteriori conseguenze gli effetti del reato di cui al capo B); P.Q.M. convalida il sequestro preventivo di urgenza operato dal Pubblico Ministero e, per l'effetto, ordina il sequestro preventivo dell'area in questione compiutamente descritta nel capo A) dell'imputazione. Manda la cancelleria per la trasmissione del presente provvedimento al P.M. richiedente, competente per l'esecuzione. Si restituiscano gli atti al pubblico ministero. Dà avviso agli indagati che avverso il decreto di sequestro preventivo possono proporre richiesta di riesame, anche nel merito, presentandola, nelle forme di legge, nella cancelleria del Tribunale di Salerno.