A chiudere la delicata vicenda provvedono i Giudici della Cassazione, riconoscendo in via definitiva il diritto della madre d’intenzione ad adottare ufficialmente il figlio biologico avuto dall’ex partner a seguito del ricorso, deciso di comune accordo, alla procreazione medicalmente assistita all’estero.
Protagoniste della vicenda due donne, Paola e Sofia – nomi di fantasia –, prima legatissime dal punto di vista sentimentale, tanto da decidere di avere un figlio – partorito da Paola – grazie alla procreazione medicalmente assistita compiuta all’estero, e poi così lontane emotivamente, dopo la rottura del loro rapporto, da battagliare per l’adozione del bambino, adozione richiesta da Sofia come madre d’intenzione e contestata da Paola come madre biologica. Inevitabile lo strascico giudiziario, centrato soprattutto sul diniego di assenso del genitore naturale come limite insuperabile all’adozione del minorenne da parte del genitore “sociale”. Decisivo, secondo i giudici d’appello, è il riferimento all’intenso rapporto fra il minore e Sofia e alla continuità, da parte di Sofia, nella cura e nell’accudimento del figlio dell’ex compagna. Di conseguenza, viene dichiarata in secondo grado l’azione del bambino da parte di Sofia e viene disposta la posposizione del cognome di Sofia al cognome del minorenne. A trascinare la vicenda in Cassazione è Paola, che contesta la decisione emessa in appello, si oppone nuovamente all’adozione di suo figlio da parte dell’ex compagna e, in questa ottica, pone in rilievo la mancanza di effettività e stabilità del legame tra il minorenne e Sofia – considerato che «i contatti tra loro si sono interrotti per circa due anni» –, l’inidoneità genitoriale di Sofia, il compromesso stato psicologico del bambino e l’elevata conflittualità tra lei e l’ex compagna. Tutti questi elementi, però, non sono sufficienti, secondo i magistrati di Cassazione, per porre in dubbio il diritto di Sofia all’adozione del figlio biologico dell’ex compagna. In generale, «l’interesse superiore del minore può risultare anche fondativo di un vero e proprio rapporto di filiazione, ma deve basarsi su un corrispondente legame affettivo di tipo familiare, dotato dei caratteri dell’effettività e della stabilità», ricordano i giudici di terzo grado, i quali poi aggiungono che «il genitore biologico può legittimamente negare l’assenso all’adozione del figlio da parte del partner solo nel caso in cui quest’ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura con il minore, oppure abbia partecipato al progetto procreativo ma successivamente abbia abbandonato il partner e il bambino». In sostanza, il criterio ermeneutico fondamentale, cui deve necessariamente farsi riferimento nella ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, è rappresentato dal principio del superiore interesse del minore, principio che assume, nella materia dell’adozione in casi particolari, valenza assiologica e sistematica: in tale prospettiva, «i requisiti di effettività e stabilità del legame affettivo non possono essere intesi in senso meramente cronologico o quantitativo, ma devono essere interpretati alla luce della concreta qualità della relazione instaurata tra il minore e il genitore “sociale”, nonché della percezione soggettiva che il minore ha sviluppato nei confronti di tale figura». Perciò, la valutazione circa la sussistenza di tale rapporto genitoriale «deve fondarsi su elementi sostanziali di cura, dedizione e continuità affettiva, idonei a integrare quella specifica relazione di tipo familiare che si intende tutelare». Ampliando l’orizzonte, «non può, in alcun caso, ritenersi ostativa all’accertamento del rapporto genitoriale la mera interruzione del contatto tra il minore e il genitore “sociale”, qualora tale interruzione non sia riconducibile alla volontà dell’adulto, ma sia stata determinata o da condotte preclusive del genitore biologico o dalla elevata conflittualità fra i partner, e, comunque, sia stata condizionata dalla concreta ed insuperabile impossibilità del genitore “sociale” di proseguire la frequentazione e consolidare ulteriormente il rapporto. In tal caso, l’eventuale discontinuità della relazione non può essere valutata in senso sfavorevole rispetto alla posizione del genitore “sociale”, né può compromettere l’accertamento della sussistenza dei presupposti per l’adozione», soprattutto perché, come nella vicenda in esame, «nelle more del giudizio, la disponibilità materiale del minore è rimessa al genitore legale, il quale è in grado, anche unilateralmente, di incidere sull’effettività della relazione tra il minore e il genitore “sociale”, limitandone o impedendone la frequentazione». Per quanto concerne, poi, la situazione psicologica del figlio di Paola, «pur necessitando, il bambino, di percorso psicoterapeutico al fine di essere supportato nell’affrancarsi dal conflitto di lealtà e dalla tendenza all’inversione di ruolo a cui la situazione familiare lo sta esponendo, è assolutamente rispondente all’interesse del minore la decisione di disporre l’adozione, anche in considerazione della capacità della genitrice d’intenzione di rispondere con empatia alle esigenze del minore, di comprenderne i disagi derivanti dalla complessità della situazione, di sapere offrire immutato affetto anche a seguito del periodo di lontananza trascorso». In questa ottica è irrilevante, secondo i Giudici, la forte conflittualità esistente tra Paola e Sofia. Ciò perché «non può escludersi sempre e comunque l’adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, motivando sull’intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente l’adozione e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest’ultimo. Sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia, comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l’interesse del minore». Ampliando l’orizzonte, i magistrati, anche alla luce della vicenda presa in esame, sono netti: «l’accertamento in concreto del superiore interesse del minore, cui è chiamato il giudice nel valutare la sussistenza dei presupposti per disporre l’adozione in casi particolari, richiede una verifica particolarmente rigorosa allorché, per le specifiche circostanze del caso, il nucleo familiare risulti disgregato ovvero caratterizzato da una significativa conflittualità tra i suoi componenti. Tuttavia, tale accertamento non può tradursi in una automatica presunzione di inidoneità genitoriale della parte richiedente l’adozione che si trovi in contrasto con l’altro genitore, dovendo invece il giudice valorizzare, secondo un criterio orientato alla ricerca del bene maggiore per il minore, la qualità del legame affettivo instaurato dal minore coi genitori e la capacità di questi ultimi di corrispondere in modo effettivo ai suoi bisogni evolutivi e relazionali. In tale prospettiva, l’interesse del minore non si identifica necessariamente con la permanenza all’interno di un nucleo familiare unito, ma nella possibilità di mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambe le figure genitoriali, da lui riconosciute come tali, anche in presenza di una situazione di conflitto tra loro», chiosano i magistrati di Cassazione.
Presidente Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione Con sentenza pubblicata il 27.12.2022, la Corte d'Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale per i Minorenni che, a definizione del procedimento instaurato ai sensi dell'articolo 44 co. 1, lett. d) della legge n. 184/1983 su ricorso della sig.ra C.S., odierna controricorrente, aveva respinto la domanda di farsi luogo all'adozione del minore E.P., nato a seguito di procreazione medicalmente assistita (PMA) compiuta all'estero dalla coppia costituita allora dalle sig.re C.S. e C.P.. A fondamento della decisione la Corte poneva la revoca dell'assenso all'adozione del minore da parte della genitrice biologica, in considerazione altresì della grande conflittualità delle parti che reciprocamente si attribuivano comportamenti in pregiudizio all'armonico sviluppo del minore. La Corte del merito affermava così che il diniego dell'assenso del genitore naturale, costituisse un limite insuperabile all'adozione del minore. Questa Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi dalla sig.ra C.S., in continuità con l'orientamento inaugurato dalla pronuncia delle Sezioni Unite 30 dicembre 2022, n. 38162, affermava con ordinanza del 29.8.2023 che il minore avesse il diritto fondamentale al riconoscimento del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con il genitore d'intenzione e che tale istanza di tutela trovasse accoglimento nell'istituto dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, strumento mediante il quale è possibile qualificare giuridicamente il legame di fatto fra il minore e il partner che ha condiviso il disegno procreativo e la progettualità genitoriale con il genitore biologico concorrendo alla cura del bambino sin dalla sua nascita. Questa Corte stabiliva, inoltre, che in tema di adozione in casi particolari, l'effetto ostativo derivante dalla manifestazione del dissenso da parte del genitore biologico deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all'interesse del minore. La Corte accoglieva il ricorso e per l'effetto cassava la decisione impugnata e rinviava alla Corte d'Appello di Roma perché si pronunciasse nuovamente nel merito. A seguito di riassunzione della controversia, il giudice del merito, valorizzando l'intenso rapporto fra il minore e l'appellante e la continuità nella cura e nell'accudimento da parte di quest'ultima, con sentenza n. 4587/2024 accoglieva l'appello della Sig.ra C.S. e, riformando la decisione del tribunale per i Minorenni di Roma, dichiarava l'adozione del minore ai sensi dell'articolo 44, comma 1, lett. d) della l. 184/1993 da parte dell'appellante e disponeva la posposizione del cognome dell'appellante al cognome del minore. Avverso la sentenza n. 4587/2024 propone ricorso la sig.ra C.P.. All'impugnazione ha resistito la Sig.ra C.S. con controricorso ex articolo 370 c.p.c., instando per il rigetto del ricorso, e domandando la condanna della ricorrente al pagamento di una somma in suo favore equitativamente determinata ai sensi dell'articolo 96, co. 3, c.p.c. oltre al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende ex articolo 96, ult. co., c.p.c. Entrambi le parti depositavano memoria illustrativa ai sensi dell'articolo 378 c.p.c. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, ha depositato memoria scritta, e all'esito della discussione orale ha concluso per il rigetto del ricorso. Con il primo motivo di ricorso, la parte denuncia la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c., con riferimento agli articolo 44 e 46 della legge n. 184 del 1983, agli articolo 2,3 e 30, comma 3 Cost., nonché agli articolo 383 e 384 c.p.c., in materia di giudizio di rinvio. In particolare, si contesta la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui il giudice di merito afferma: “L'intensità dell'attaccamento di E.P. alla signora C.S. si è rivelata appieno quando il bambino ha potuto di nuovo incontrarla a seguito del pronunciamento adottato dallo stesso Tribunale dei minorenni nel distinto e parallelo procedimento attivato dal pubblico ministero al fine di verificare la corretta gestione della responsabilità genitoriale da parte della signora C.P., in data 23/05/2023” (p. 7 della sentenza impugnata). Ad avviso della ricorrente, la decisione sull'adozione del minore sarebbe stata assunta in assenza di una verifica rigorosa dei requisiti di effettività e stabilità del legame tra il minore e la madre sociale, considerato che i contatti fra il minore e la sig.ra C.S. si sono interrotti per circa due anni. Il motivo è infondato. L'orientamento della giurisprudenza di legittimità, richiamato dalla stessa ricorrente, afferma che: “L'interesse superiore del minore può risultare anche fondativo di un vero e proprio rapporto di filiazione, ma deve basarsi su un corrispondente legame affettivo di tipo familiare, dotato dei caratteri dell'effettività e della stabilità” (Cass. civ., sez. un., n. 38162 del 30 dicembre 2022, par. 22). Tale principio, tuttavia, va interpretato alla luce dell'ulteriore affermazione contenuta nella medesima pronuncia, secondo cui: “Il genitore biologico può legittimamente negare l'assenso all'adozione del partner solo nel caso in cui quest'ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura con il minore, oppure abbia partecipato al progetto procreativo ma successivamente abbia abbandonato il partner e il bambino”. Ne risulta che il criterio ermeneutico fondamentale, cui deve necessariamente farsi riferimento nella ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, è rappresentato dal principio del superiore interesse del minore, il quale assume, nella materia dell'adozione in casi particolari, valenza assiologica e sistematica: in tale prospettiva, i requisiti di effettività e stabilità del legame affettivo non possono essere intesi in senso meramente cronologico o quantitativo, ma devono essere interpretati alla luce della concreta qualità della relazione instaurata tra il minore e il genitore sociale, nonché della percezione soggettiva che il minore ha sviluppato nei confronti di tale figura. La valutazione circa la sussistenza di un rapporto genitoriale deve dunque fondarsi su elementi sostanziali di cura, dedizione e continuità affettiva, idonei a integrare quella specifica relazione di tipo familiare che la richiamata normativa e la giurisprudenza intendono tutelare. Non può, in alcun caso, ritenersi ostativa all'accertamento del rapporto genitoriale la mera interruzione del contatto tra il minore e il genitore sociale, qualora tale interruzione non sia riconducibile alla volontà di quest'ultimo, ma sia stata determinata o da condotte preclusive del genitore biologico o dalla elevata conflittualità fra i partner, e, comunque, sia stata condizionata dalla concreta ed insuperabile impossibilità del genitore sociale di proseguire la frequentazione e consolidare ulteriormente il rapporto. In tal caso, l'eventuale discontinuità della relazione non può essere valutata in senso sfavorevole rispetto alla posizione del genitore sociale, né può compromettere l'accertamento della sussistenza dei presupposti per l'adozione, atteso che, nelle more di questo giudizio, la disponibilità materiale del minore è rimessa al genitore legale, il quale è in grado, anche unilateralmente, di incidere sull'effettività della relazione tra il minore e il genitore sociale, limitandone o impedendone la frequentazione. Con il secondo motivo di ricorso, si censura la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex articolo 360, comma 1 n. 3 c.p.c. con riferimento agli articolo 44 e 46 della l. 184/1983 e all'articolo 2909 c.c. In particolare, ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale avrebbe dovuto effettuare, insieme alla valutazione del miglior interesse del minore anche un giudizio relativo alla idoneità genitoriale della genitrice intenzionale richiedente l'adozione. Con il quarto motivo di ricorso, si censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art 360 comma 1, n. 5 c.p.c., con riferimento all'articolo 44 e 46 della l. 184/1983 in relazione al compromesso stato psicologico del minore. I motivi possono essere trattati congiuntamente e ciò in quanto la parte ricorrente, omettendo di confrontarsi con le ragioni giuridiche poste a fondamento della decisione impugnata, sollecita questa Corte ad una complessiva rivalutazione nel merito della vicenda sotto i profili dei rapporti intercorrenti fra le parti e sull'idoneità della genitrice richiedente. La ricorrente, infatti, dolendosi della violazione o falsa applicazione delle norme richiamate, censura da un lato l'omesso scrutinio del giudizio di idoneità genitoriale della richiedente l'adozione in qualità di genitore intenzionale; dall'altro, la carenza di una attuale e concreta valutazione del superiore interesse del minore, anche alla luce delle ricadute psicologiche che il medesimo avrebbe subito a causa della perdurante conflittualità tra le due madri nell'ambito del protratto procedimento giudiziale. Dall'analisi del provvedimento oggetto di impugnazione emerge, tuttavia, con chiarezza che il giudice di merito ha compiutamente esaminato entrambi i profili dedotti, richiamando integralmente le consulenze tecniche d'ufficio esperite nell'anno 2024 ed aderendo alle conclusioni rassegnate dal consulente tecnico secondo le quali, pur necessitando il bambino di percorso psicoterapeutico al fine di essere supportato nell'affrancarsi dal conflitto di lealtà e dalla tendenza all'inversione di ruolo a cui la situazione familiare lo sta esponendo, è assolutamente rispondente all'interesse del minore la decisione di disporre l'adozione, anche in considerazione della capacità della genitrice d'intenzione di rispondere con empatia alle esigenze del minore, di comprenderne i disagi derivanti dalla complessità della situazione, di sapere offrire immutato affetto anche a seguito del periodo di lontananza trascorso (p. 8-10 del provvedimento impugnato). I motivi non possono quindi superare il vaglio di ammissibilità. Con il terzo motivo di ricorso, si censura l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360, co. 1 n. 5 c.p.c., con riferimento agli articolo 44 e 46 l. 184/1993 nonché con riferimento all'articolo 8 CEDU per avere il giudice omesso di considerare l'elevata conflittualità fra le parti. La ricorrente, richiamando una precedente decisione di questa Corte, afferma che, considerato che l'istituto di cui all'articolo 44 l. 184/1983 è finalisticamente orientato alla salvaguardia del sano ed equilibrato sviluppo psicofisico del minore, deve ritenersi condizione ostativa alla adozione da parte del genitore d'intenzione l'assenza di una convivenza comune, di armonia, affetto tra i coniugi e deve tendenzialmente escludersi quando la comunione di vita tra essi sia venuta meno (Cass. Sent. n. 21651/2011). Il motivo non è fondato. Il principio di diritto che la Corte ha pronunciato nella decisione richiamata contrasta radicalmente con l'interpretazione offerta dal ricorrente nella censura mossa al provvedimento impugnato. Questa corte ha infatti affermato: “Non può escludersi sempre e comunque l'adozione del figlio del coniuge, in casi particolari, ai sensi dell'articolo 44, primo comma, lett. b), della legge 4 maggio 1983, n. 184, motivando sull'intervenuta separazione di fatto dei coniugi nelle more della procedura, qualora si sia instaurata una positiva relazione tra il minore ed il coniuge richiedente e sempre che non risultino aspetti critici della personalità di quest'ultimo; infatti, sebbene la dichiarazione di adozione presupponga, tendenzialmente, convivenza, armonia e comunione di vita tra i coniugi, è necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto l'interesse del minore”. Quanto già sostenuto da questa Corte nel precedente arresto risulta pienamente applicabile anche alla fattispecie in esame: l'accertamento in concreto del superiore interesse del minore, cui è chiamato il giudice nel valutare la sussistenza dei presupposti per disporre l'adozione in casi particolari ex articolo 44 della legge n. 184/1983, richiede una verifica particolarmente rigorosa allorché, per le specifiche circostanze del caso, il nucleo familiare risulti disgregato ovvero caratterizzato da una significativa conflittualità tra i suoi componenti; tuttavia, tale accertamento non può tradursi in una automatica presunzione di inidoneità genitoriale della parte richiedente che si trovi in contrasto con l'altro genitore, dovendo invece il giudice valorizzare, secondo un criterio orientato alla ricerca del bene maggiore per il minore, la qualità del legame affettivo instaurato dal minore con ciascun genitore e la capacità di quest'ultimo di corrispondere in modo effettivo ai suoi bisogni evolutivi e relazionali. In tale prospettiva, l'interesse del minore non si identifica necessariamente con la permanenza all'interno di un nucleo familiare unito, ma nella possibilità di mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambe le figure genitoriali, da lui riconosciute come tali, anche in presenza di una situazione di conflitto tra le stesse. La controricorrente, con il quinto motivo di controricorso chiede la condanna della controparte al pagamento di una somma in suo favore equitativamente determinata ai sensi dell'articolo 96, co. 3, c.p.c. oltre al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende ex articolo 96, ult. co., c.p.c. Ritiene la Corte che il ricorso principale non sia connotato da evidente pretestuosità, né che la parte soccombente abbia agito con dolo o colpa grave e non siano integrati, pertanto, i presupposti per l'applicazione dell'articolo 96, commi 3 e 4, c.p.c. Le spese legali seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a rifondere le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4000 per compensi; e 200 per esborsi oltre accessori di legge in favore della controricorrente.