«Nei giudizi di responsabilità sanitaria, l’articolo 15 della legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli Bianco) si applica, per il principio tempus regit actum, a tutti i giudizi di merito instaurati successivamente alla sua entrata in vigore, anche se preceduti da una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex articolo 696-bis c.p.c. espletata secondo le norme previgenti […]».
«[…] In tali casi, il giudice del merito, se rileva che non è stato osservato il requisito della collegialità dell'incarico, è tenuto a disporre la rinnovazione della consulenza e l'affidamento del relativo incarico ad un collegio di consulenti in possesso dei requisiti indicati dalla norma medesima. L'inosservanza del requisito di necessaria collegialità nei termini di cui all'articolo 15 comporta la nullità della sentenza resa sulla base di tale consulenza, per violazione di norma processuale inderogabile». La sentenza in commento affronta un nodo interpretativo centrale nel contenzioso in materia di responsabilità sanitaria: l'applicabilità dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli Bianco), nei giudizi aventi ad oggetto la malpractice medica, quando questi siano preceduti da una consulenza tecnica preventiva svolta anteriormente alla sua entrata in vigore. La Corte si inserisce in un dibattito giurisprudenziale e dottrinale complesso, prendendo posizione sulla necessità non solo formale, ma sostanziale, di rispettare il requisito della collegialità peritale a garanzia del corretto accertamento dei fatti. La vicenda sottoposta all'esame della Corte di Cassazione trae origine da un'azione di risarcimento del danno per responsabilità sanitaria promossa dai congiunti di una paziente, deceduta nel dicembre 2013 a seguito delle complicanze settiche di un empiema pleurico. Gli attori, agendo congiuntamente sia iure proprio che iure hereditario, contestavano la condotta negligente dei sanitari dell'Azienda ospedaliera presso cui la paziente era stata ricoverata in due distinte occasioni (settembre e novembre 2013), imputando loro, in particolare, la mancata esecuzione tempestiva di un drenaggio toracico, che a loro dire, avrebbe potuto evitare l'esito letale. Prima dell'instaurazione del giudizio ordinario, gli attori avevano però esperito un procedimento di consulenza tecnica preventiva ex articolo 696-bis c.p.c., conclusosi con una relazione peritale che escludeva profili di responsabilità medica. Nonostante l'esito sfavorevole, la consulenza veniva acquisita nel giudizio di merito, ove gli attori ne contestavano l'attendibilità sotto vari profili: i) l'assenza di una competenza specialistica adeguata del medico legale incaricato; ii) i pregressi rapporti del consulente incaricato con l'Azienda sanitaria convenuta (tali da poter condurre a ricusazione); iii) la mancata nomina di un collegio peritale, del quale avrebbe dovuto fare parte uno specialista nella disciplina pertinente (chirurgia toracica o pneumologia), in violazione dall'articolo 15 della Legge Gelli Bianco. Il Tribunale di Padova, con sentenza n. 1630/2019, rigettava la domanda risarcitoria, ritenendo non dimostrata la sussistenza di un nesso eziologico tra le omissioni dei medici e il decesso del paziente e, in ogni caso, coerente e logicamente motivata la consulenza espletata. Respingeva, altresì, tutte le doglianze attoree in merito alla pretesa inammissibilità della CTU, rigettando la richiesta di rinnovazione. Secondo il Tribunale, benché il giudizio di merito fosse stato instaurato dopo l'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, la consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi era stata promossa in epoca anteriore; di conseguenza, non sarebbe stato possibile – a suo avviso – scomporre in fasi autonome quella che veniva considerata una procedura strutturalmente unitaria (e dunque applicare l'articolo 15). Gli attori impugnavano la sentenza avanti alla Corte d'appello di Venezia che, con sentenza n. 1261/2022, rigettava l'appello interposto da tutti gli attori, confermando integralmente la ricostruzione del giudice di primo grado. Il ricorso in Cassazione, promosso da tre degli attori originari, veniva affidato a tre motivi: con il primo motivo, i ricorrenti lamentavano la violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 della legge Gelli-Bianco e dell'articolo 191 c.p.c., per non essere stata disposta la rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio (originariamente espletata nel procedimento ex articolo 696-bis c.p.c.) attraverso la nomina di un collegio peritale composto anche da specialisti della disciplina medica rilevante; con il secondo motivo, i ricorrenti lamentavano nuovamente la violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 della legge Gelli Bianco, censurando in questo caso l'omesso accertamento, da parte del giudice d'appello, del possibile conflitto d'interessi del consulente. In particolare, pur in presenza di istanza per l'audizione del CTU e del CTP, il giudice d'appello si sarebbe limitato a respingere la richiesta senza fornire una motivazione adeguata, invertendo peraltro l'onere del controllo di terzietà, che — secondo i ricorrenti — sarebbe gravato sul giudice stesso proprio in forza dell'articolo 15; con terzo motivo, infine, i ricorrenti deducevano la nullità della CTU e, di conseguenza, delle sentenze di merito rese in primo e secondo grado, per violazione delle norme processuali che disciplinano la composizione del collegio peritale e i poteri istruttori del giudice (articolo 191,196 c.p.c. e articolo 15 l. n. 24/2017). La nullità si riverbererebbe su tutta la sequenza processuale, avendo la decisione fatto perno su un accertamento viziato sin dalla sua origine. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, soffermandosi ampiamente su due questioni: l'applicabilità retroattiva, o meno, dell'articolo 15 della Legge Gelli Bianco al giudizio di merito instaurato successivamente all'entrata in vigore della legge, nonostante sia stato preceduto da un procedimento di consulenza tecnica preventiva instaurato in via preliminare; in subordine, le conseguenze dell'inosservanza della previsione dell'articolo 15 della Legge Gelli Bianco che richiede, nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'affidamento dell'incarico a un collegio di consulenti. Rispetto alla prima questione, la Corte chiarisce che il discrimine temporale per l'applicazione della disciplina contenuta nell'articolo 15 deve individuarsi nel momento di introduzione del giudizio di merito, e non in quello del procedimento anticipatorio. La norma è, infatti, soggetta al principio generale del tempus regit actum, e, dunque, deve applicarsi a tutti i giudizi di merito iniziati successivamente alla sua entrata in vigore (1° aprile 2017). Più precisamente, pur riconoscendo l'esistenza di un collegamento funzionale tra il procedimento ex articolo 696-bis e il successivo giudizio di merito, la Corte ribadisce che tale raccordo non determina un'unificazione strutturale dei due procedimenti. L'ATP conserva, infatti, una propria autonomia rispetto al giudizio a cognizione piena, sia sotto il profilo funzionale — essendo finalizzato anche alla conciliazione — sia sul piano strutturale e procedurale (viene, quindi, confermato l'orientamento già espresso da Cass. 5 maggio 2025, n. 11804, che aveva già avuto modo di escludere la natura bifasica del giudizio regolato dall'articolo 8 della Legge Gelli Bianco). Sulla base di tali premesse, la Suprema Corte giunge alla conclusione che il Tribunale, una volta avviato il giudizio di merito, avrebbe senz'altro dovuto applicare l'articolo 15 della legge Gelli Bianco (a quel punto entrata in vigore), disponendo la rinnovazione della consulenza tecnica acquisita ante causam, in quanto priva dei requisiti previsti dalla nuova disciplina (i.e. nomina congiunta di un medico legale e di uno o più specialisti della branca clinica interessata). Né rileva, in senso contrario, la ritualità della CTU svolta in sede preventiva secondo la normativa anteriormente vigente: una volta introdotto il giudizio di merito, la valutazione dell'idoneità della consulenza a costituire valido supporto istruttorio avrebbe dovuto essere compiuta alla luce delle nuove disposizioni. Si giunge così alla seconda questione affrontata dalla sentenza, concernente le conseguenze derivanti dall'inosservanza dell'obbligo previsto dall'articolo 15. La Corte di Cassazione afferma che la formulazione della norma è netta e non sembra lasciare margine a interpretazioni diverse: il giudice deve obbligatoriamente conformarsi a tale previsione, nominando un collegio i cui componenti devono essere scelti dagli albi ufficiali. Questa prescrizione, infatti, mira a garantire una ricostruzione il più possibile accurata e completa delle cause degli eventi lesivi in ambito sanitario, riconoscendo la complessità delle questioni tecniche coinvolte. Tale esigenza di rigore era già stata sottolineata, in passato, dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 10 dicembre 2019, n. 32143 e Cass. 12 maggio 2021, n. 12593) e, successivamente, dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 102 del 20 maggio 2021. In tale occasione la Consulta aveva avuto modo di ribadire il fondamento razionale dell'articolo 15: la collegialità dell'incarico peritale discende dalla necessità di svolgere indagini delicate e complesse, finalizzate a una valutazione esaustiva e conforme alle regole tecniche (leges artis). Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte è ferma nell'affermare che l'interpretazione della norma come prescrizione cogente è coerente con la finalità di migliorare la qualità e l'affidabilità della prova tecnica nei giudizi di responsabilità sanitaria. Motivo per cui non ritiene condivisibile l'orientamento, piuttosto diffuso in dottrina e in alcune decisioni di merito, secondo il quale la valutazione del giudice di merito (quale peritus peritorum) sull'esaustività della consulenza non sarebbe sindacabile, anche se effettuata da un solo medico legale. La mancata osservanza del requisito di collegialità deve dunque essere considerata una violazione di norma processuale inderogabile, con conseguente nullità della sentenza fondata su una consulenza che non rispetti tale requisito. La decisione della Suprema Corte si inserisce nel solco di un orientamento volto a garantire che, nei giudizi di responsabilità sanitaria, l'accertamento tecnico rispetti standard elevati di affidabilità e completezza. L'obbligo di nomina collegiale, lungi dall'essere una formalità procedurale, si configura come una garanzia sostanziale per assicurare la qualità del processo e la tutela effettiva delle parti.
Presidente Scrima - Relatore Iannello Fatti di causa 1. Con atto di citazione dell'11 - 14 giugno 2018 Mu.Lo., e Qu.Ma., Qu.Pi., Qu.Ag., Qu.An., Qu.Da., Qu.Sa. e Qu.Fi. convennero in giudizio, davanti al Tribunale di Padova, l'Azienda ospedaliera di quella città chiedendone la condanna al risarcimento dei danni iure proprio e iure hereditario subiti per la morte della propria congiunta Fa.Gi., avvenuta il 23 dicembre 2013, per gli sviluppi sistemici di un empiema pleurico asseritamente ascrivibile al negligente operato dei sanitari che l'avevano in cura durante il primo ricovero - dal 1 al 26 settembre 2013 - presso il reparto di Clinica Medica 2 di detta struttura, dove poi era stata nuovamente ricoverata a fine novembre. Precisarono in premessa di avere esperito procedimento di consulenza tecnica preventiva a fini conciliativi all'esito del quale era stato depositato elaborato peritale che negava l'esistenza di elementi di critica rispetto all'attività prestata dai sanitari; dedussero, però, l'erroneità di tale valutazione, sia perché resa da un medico legale privo di specifiche cognizioni in materia, sia perché non aveva tenuto conto della necessità di procedere da subito al posizionamento di un drenaggio così da liberare il cavo pleurico del liquido che lo occupava per i due terzi: omissione, questa, che, secondo gli istanti, aveva contribuito a rafforzare la quota settica sistemica, a sua volta determinante nello scatenare gli eventi che avevano poi condotto all'esito infausto. 2. Con sentenza n. 1630 del 2019, il Tribunale, acquisita la relazione di consulenza depositata nel pregresso procedimento di a.t.p., rigettò le domande degli attori, ritenendo non dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra le azioni o omissioni dei medici e il decesso della paziente. Ritenne in particolare, sulla scorta delle valutazioni espresse nella predetta relazione, non praticabile il drenaggio toracico, considerato troppo rischioso e inefficace e non provata la perdita di chance di sopravvivenza, escludendo che il drenaggio avrebbe avuto efficacia salvavita. Rilevò, inoltre, che non sussistevano i presupposti per la chiesta rinnovazione della consulenza tecnica d'ufficio per la dedotte incapacità professionali del consulente o per suoi pregressi rapporti con l'Azienda convenuta, atteso che: - gli attori avrebbero dovuto presentare istanza di ricusazione del consulente, ex articolo 192 c.p.c., almeno tre giorni prima del giuramento del consulente; - la contestazione della competenza del consulente era avvenuta solo dopo l'esito sfavorevole della consulenza, configurandosi come uno stratagemma per invalidare conclusioni non gradite; - non vi erano ragioni per una sostituzione del consulente ex articolo 196 c.p.c., poiché la consulenza era sostenuta da ragionamenti logici e coerenti; - non vi era necessità di nominare un collegio peritale, poiché l'a.t.p. era stato introdotto prima dell'entrata in vigore dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2017, n. 24, e non era possibile scomporre in singole fasi una procedura concepita unitariamente. 3. La Corte d'Appello di Venezia, con sentenza n. 1261 depositata il 1 giugno 2022, ha rigettato l'appello interposto da tutti gli attori, confermando la sentenza del Tribunale, le cui valutazioni ha condiviso sotto ogni profilo. In particolare, per quanto in questa sede interessa, ha respinto il primo e il secondo motivo di gravame (con i quali si censurava la decisione di primo grado, rispettivamente, per il mancato rinnovo della c.t.u. con riferimento alla asserita incompatibilità dell'ausiliario e, comunque, alla incompletezza dell'accertamento in relazione alla necessità della nomina anche di uno specialista) rilevando che: - gli appellanti, avendo avuto comunicazione della nomina del c.t.u., avrebbero potuto e dovuto svolgere accertamenti sul nominativo del consulente al momento della sua nomina e presentare eventuali istanze di ricusazione prima dello svolgimento dell'incarico, senza attendere il processo di merito; essi, invece, avevano sollevato la questione solo dopo l'esito sfavorevole della consulenza, rendendo la contestazione intempestiva; - essi facevano riferimento a pregressi rapporti lavorativi del consulente con l'Azienda Ospedaliera senza fornire dettagli specifici o prove concrete: non era stato chiarito quale fosse la natura di tali rapporti, né quando la parte ne fosse venuta a conoscenza; - la condizione di procedibilità di cui all'articolo 8 L. n. 24 del 2017, per esercitare un'azione davanti al giudice civile, era stata assolta perché era stata svolta una consulenza preventiva; - per il principio tempus regit actum, la correttezza della nomina del consulente va valutata con riferimento al momento della scelta dell'ausiliario nel procedimento di consulenza preventiva, non al momento dell'inizio del giudizio di merito. 4. Avverso tale sentenza i soli Qu.Ma., Qu.Da. e Qu.Sa. propongono ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste, depositando controricorso, l'Azienda Ospedale - Università Padova, già Azienda Ospedaliera di Padova. 5. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso. Sia i ricorrenti che la controricorrente hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri appellanti nei cui confronti il ricorso non è stato notificato. Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l'articolo 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all'ordine di notificazione dell'impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l'impugnazione per essi preclusa. 2. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'articolo 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 della L. n. 24 del 2017 (nella parte in cui prescrive che nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento ) e dell'articolo 191 c.p.c. (nella parte in cui prescrive che possono essere nominati più consulenti soltanto in caso di grave necessità o quando la legge espressamente lo dispone ) , in relazione al rigetto della iterata richiesta di nomina di uno specialista da affiancare al c.t.u., onde rinnovare e/o integrare la consulenza espletata (dal solo medico legale) in sede di procedimento ex articolo 696-bis c.p.c. Rilevano che: - il caso riguardava pacificamente una fattispecie di chirurgia toracica, ma il c.t.u. nominato, dott. Fiorenzo Carta, era un neurochirurgo e non aveva competenze specifiche nella detta disciplina; - la legge n. 24 del 2017 (c.d. Gelli-Bianco ) prescrive che nei procedimenti civili e penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, la consulenza tecnica deve essere affidata a un medico legale e a uno o più specialisti con specifica conoscenza della materia; tale obbligo non è stato rispettato; - quando venne promosso il procedimento ex articolo 696-bis c.p.c. (ante legge Gelli Bianco ) non vi era alcuna procedura concepita unitariamente da rispettare: non foss'altro perché tale unitaria disciplina, che prevede l'obbligo di incardinare (per le vertenze in ambito di malpractice medica) prima un procedimento ex articolo 696-bis c.p.c. e, successivamente, un giudizio di merito ex articolo 702-bis c.p.c., non era ancora stata introdotta; quando, invece, venne azionata la causa di merito, la legge Gelli-Bianco era già in vigore; pertanto, il giudice di primo grado (nel momento in cui si è trovato a decidere sulle surrichiamate istanze attoree) avrebbe dovuto o rinnovare la consulenza nel rispetto di quelle disposizioni o quanto meno invitare il consulente già officiato ad integrare i propri accertamenti con l'ausilio di uno specialista. 3. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all'articolo 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 della L. n. 24 del 2017 (nella parte in cui prescrive che Nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, l'autorità giudiziaria affida l'espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento ) e dell'articolo 196 c.p.c. (laddove prescrive che il giudice ha sempre la facoltà di disporre la rinnovazione delle indagini e, per gravi motivi, la sostituzione del consulente tecnico ) . Lamentano che erroneamente la Corte d'Appello abbia confermato il rigetto dell'istanza di rinnovazione della consulenza in relazione alla dedotta incompatibilità dell'ausiliario, attribuendo agli attori la responsabilità di non aver svolto verifiche preventive sul nominativo del c.t.u.. Affermano, di contro, che il giudice aveva l'obbligo di verificare l'assenza di conflitti di interesse, come previsto dall'articolo 15 della legge n. 24 del 2017. Soggiungono che, peraltro, essi avevano richiesto di audire il c.t.u. e il consulente tecnico di parte per accertare tale conflitto, ma il giudice aveva rigettato l'istanza senza motivare adeguatamente. 4. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono nullità della sentenza e del procedimento, ex articolo 360 n. 4 c.p.c. ed ex articolo 156 e 157 c.p.c. per nullità della c.t.u. stante la violazione dell'articolo 15 della L. n. 24 del 2017 e dell'articolo 196 c.p.c. e 191 c.p.c. . Sostengono che la radicale nullità della c.t.u., per le violazioni di legge denunciate con i primi due motivi, rende radicalmente nullo il procedimento di primo e di secondo grado nonché le relative sentenze. 5. Il primo e il terzo motivo di ricorso, congiuntamente esaminabili per la loro stretta connessione, sono fondati e meritano accoglimento nei termini appresso precisati. Due sono le questioni che entrambi pongono in relazione al peculiare dipanarsi nel tempo del procedimento de quo: - la prima riguarda l'applicabilità, ratione temporis, della norma di cui all'articolo 15 L. n. 24 del 2017 allorquando - come nella specie - il giudizio risarcitorio per malpractice sanitaria sia introdotto in data successiva alla sua entrata in vigore (1 aprile 2017) ma sia stato preceduto da un procedimento di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex articolo 696-bis c.p.c. espletato anteriormente; in altre parole, si tratta di stabilire se, posta la natura processuale della norma evocata (articolo 15 L. n. 24 del 2017) e l'applicabilità ad essa del principio tempus regit actum, il tempus cui aver riguardo sia quello della introduzione del procedimento cautelare prodromico di cui all'articolo 696-bis c.p.c. o quello della introduzione del giudizio di merito; - la seconda, subordinata, attiene alle conseguenze della inosservanza della previsione che richiede, nei procedimenti civili e nei procedimenti penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria , l'affidamento dell'incarico ad un collegio di consulenti ( un medico specializzato in medicina legale e... uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento ). 6. Reputa il Collegio che alla prima questione debba darsi risposta nel senso della applicabilità della norma al giudizio di merito de quo. 6.1. La ratio ispiratrice della norma di cui all'articolo 8 legge n. 24 del 2017 e diversi indici testuali rendono indubbia l'esistenza di uno stretto raccordo tra la consulenza tecnica preventiva con funzione conciliativa ex articolo 696-bis c.p.c. e il giudizio risarcitorio di merito. Chiaramente indicative in tal senso sono le previsioni in forza delle quali: - l'attivazione della prima è condizione di procedibilità del secondo; - il giudice chiamato ad occuparsi del merito della causa è quello stesso che ha trattato il procedimento preventivo; - ove la conciliazione non riesca o il procedimento non si concluda entro il termine perentorio di sei mesi dal deposito del ricorso, la domanda diviene procedibile e gli effetti della domanda sono salvi se, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio, è depositato, presso il predetto giudice, il ricorso di cui all'articolo 702-bis del codice di procedura civile (ora articolo 281-undecies c.p.c.); - quest'ultima previsione, in particolare, si giustifica evidentemente proprio in ragione del raccordo con il procedimento ex articolo 696-bis c.p.c.: il rito sommario, infatti, anche se a cognizione piena secondo l'opinione prevalente, è comunque semplificato ed è destinato alle controversie che non presentino particolare complessità o che non richiedano una istruttoria molto approfondita; lo svolgimento dell'accertamento tecnico in una fase anteriore al giudizio e la sua possibile acquisizione agli atti del processo a seguito del mancato raggiungimento dell'accordo di conciliazione, consentono di snellire di molto i tempi della trattazione e della decisione; - qualora rilevi che il procedimento di c.t.p. ex articolo 696-bis c.p.c. non sia stato introdotto o non sia ancora terminato, il giudice deve assegnare alle parti termine di quindici giorni per la presentazione, dinanzi a sé medesimo, di istanza per l'apertura o per il completamento della procedura. 6.2. Detto raccordo però, per quanto stretto, non può condurre a obliterare la netta distinzione, strutturale e funzionale, dei due procedimenti, al punto da considerarli quali momenti di un unico procedimento bi-fasico, dal momento che, al contrario, sia l'uno che l'altro possono aver luogo senza l'altro o prescindendo da esso. Si consideri in tal senso che: - la consulenza preventiva, oltre ad avere una evidente finalità di istruzione preventiva persegue anche uno scopo conciliativo-deflattivo, quello cioè di risolvere la controversia senza una decisione giudiziale; - ciò trova conferma, peraltro, in talune peculiarità procedimentali, quali la necessaria partecipazione di tutti i soggetti coinvolti, nonché la previsione dell'obbligo per l'impresa di assicurazione convocata di formulare un'offerta transattiva (articolo 8, comma 4): previsione questa che vale evidentemente a integrare la disciplina del procedimento in parola per le controversie in tema di responsabilità sanitaria, distinguendolo, quale modello speciale, da quello generale regolato dall'articolo 696-bis c.p.c.; - l'improcedibilità della domanda deve essere eccepita dal convenuto o rilevata d'ufficio non oltre la prima udienza, a pena di decadenza; - nel caso in cui la conciliazione non abbia successo, la mancata introduzione del giudizio di merito entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio per il completamento della procedura non costituirà ostacolo alla introduzione del giudizio medesimo, ma avrà come solo effetto la perdita degli effetti sostanziali e processuali della domanda introdotta con il ricorso ex articolo 696-bis c.p.c. 6.3. La natura bifasica del procedimento è stata di recente esclusa - con ampia motivazione, alla quale si rimanda - da Cass. n. 11804 del 5/05/2025 che, nel dirimere profili problematici che il tema presenta quanto al momento determinativo della competenza, ha per quanto qui interessa affermato, ex articolo 363 c.p.c., il principio, che va qui ribadito, secondo cui il giudizio regolato dall'articolo 8 della legge n. 24/2017 non ha natura di giudizio bifasico strutturalmente unitario ma è composto da due procedimenti distinti (il primo a cognizione sommaria, il secondo a cognizione piena) funzionalmente collegati dalla finalità di anticipazione istruttoria propria dell'istanza di consulenza tecnica preventiva ex articolo 696-bis cod. proc. civ. . 6.4. Per le suesposte ragioni non può condividersi la conclusione del P.G. secondo cui, dal fatto che la consulenza tecnica preventiva ex articolo 696-bis c.p.c. è stata, nella specie, chiesta prima dell'entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, deve farsi discendere l'inapplicabilità dell'articolo 15 della stessa legge circa la nomina dei consulenti ai fini del giudizio di merito sulla domanda risarcitoria da responsabilità sanitaria, sebbene tale giudizio sia iniziato successivamente. È ben vero che, essendo stata chiesta la consulenza preventiva conciliativa anteriormente all'entrata in vigore della legge, ad essa la disposizione dell'articolo 15 non era applicabile ratione temporis (si rileva incidentalmente al riguardo che, a regime, i dubbi espressi in dottrina circa la riferibilità di tale disposizione anche alla c.t.p. ex articolo 696-bis c.p.c. non hanno ragione di esistere alla luce degli indici testuali in tal senso traibili sia dall'articolo 8, comma 4 (là dove si prevede che il procedimento di consulenza tecnica preventiva debba essere effettuato secondo il disposto dell'articolo 15 della presente legge ), sia dallo stesso articolo 15, là dove, al comma 1, si fa espresso riferimento anche a i consulenti tecnici d'ufficio (al plurale) da nominare nell'ambito del procedimento di cui all'articolo 8, comma 1 ). Ciò non toglie, però, che: a) è al giudizio risarcitorio di merito che si riferisce l'articolo 8 nel prevederne una condizione di procedibilità; b) è al giudizio di merito (o quanto meno anche al giudizio di merito) che si riferisce l'articolo 15 L. n. 24 del 2017; c) l'articolo 15, nel dettare le regole relative alla nomina dei consulenti tecnici, si riferisce ad un preciso incombente istruttorio e lo fa per finalità, come si dirà, propriamente legate alla sua natura di atto istruttorio, in sé e per sé considerata, come tale indifferente al fatto che si inserisca in una piuttosto che in un'altra sequenza procedimentale. 6.5. In tale prospettiva, nella specie, una volta avviato, peraltro con rito ordinario, il giudizio risarcitorio, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere ad esso applicabile le nuove disposizioni ormai entrate in vigore. In particolare - indipendentemente dai profili relativi alla procedibilità, in ipotesi del genere, del giudizio di merito (questione che rimane estranea al presente giudizio, se non altro perché l'improcedibilità non è stata eccepita, né rilevata dal giudice entro la prima udienza) - il Tribunale avrebbe dovuto comunque porsi il problema dell'idoneità della consulenza espletata ante causam a costituire valido supporto istruttorio ai fini del giudizio di merito, posto che quella consulenza, benché ritualmente espletata secondo le norme anteriormente vigenti e ammissibilmente acquisita al giudizio di merito, non soddisfaceva il disposto dell'articolo 15. A tal fine il primo giudice avrebbe pertanto dovuto comunque ordinarne la rinnovazione affidando l'incarico ad un collegio di consulenti nell'osservanza dei requisiti indicati dalla norma. 7. Si viene così alla seconda questione che si è posta in apertura, relativa alle conseguenze della inosservanza della previsione di cui all'articolo 15. 7.1. Al riguardo, giova muovere dalla considerazione che la formulazione della norma è tale che non sembra lasciare spazio a interpretazioni diverse per quanto riguarda l'obbligo per il giudice di adeguarsi a tale previsione e nominare sempre un collegio scegliendo i componenti negli albi ufficiali. La prescrizione normativa risulta assai chiara nel porre l'accento sulla necessità di prestare grande attenzione ai requisiti che possano maggiormente garantire l'obiettivo, tanto delicato e importante per gli interessi in gioco quanto spesso assai difficile da raggiungere, di ricostruzione delle cause degli eventi lesivi legati ai trattamenti sanitari. 7.2. Di tanto emerge consapevolezza già in alcune pronunce di questa Corte. Nella motivazione di Cass. 10/12/2019, n. 32143, si esclude che dall'articolo 3, comma 5, D.L. 13 settembre 2012, n. 158, nel testo modificato dalla legge di conversione 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi), possa ricavarsi norma procedimentale vincolante ai fini della nomina di c.t.u. nei giudizi pendenti di responsabilità medica, ma si osserva incidentalmente che diversamente invece occorre dire dall'articolo 15, comma 4, legge 8 marzo 2017, n. 24, non applicabile però alla fattispecie poiché entrata in vigore solo nella pendenza del giudizio di appello . Analogamente, Cass. 12/05/2021, n. 12593, nel rilevare in motivazione l'inapplicabilità nel caso ivi considerato, ratione temporis, dell'articolo 15 L. n. 24 del 2017, afferma incidentalmente che da tale disposizione si ricava l'obbligatorietà della perizia o consulenza collegiale nei giudizi di responsabilità sanitaria, alla quale il giudice non può derogare , subito dopo altrettanto incidentalmente rimarcando che l'articolo 191 c.p.c., in quella sede evocato dalla ricorrente, non prevede un obbligo dalla cui violazione possa farsi discendere la nullità della consulenza , diversamente da quanto stabilito, per la materia della responsabilità sanitaria, dal sopravvenuto articolo 15 L. n. 24/2017 . 7.3. Il fondamento razionale di tale disposizione è stato significativamente messo in luce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 20 maggio 2021, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'articolo 3 Cost., l'articolo 15, comma 4, della legge n. 24 del 2017, limitatamente alle parole: e, nella determinazione del compenso globale, non si applica l'aumento del 40 per cento per ciascuno degli altri componenti del collegio previsto dall'articolo 53 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 . A fondamento di tale pronuncia è posto il rilievo che la finalità di alleviare l'aggravio economico che, in forza della collegialità necessaria, verrebbe a ricadere sugli interessati, già onerati dei costi della eventuale consulenza di parte, non può valere a legittimare la introduzione di una irragionevole soglia di contenimento del quantum dell'onorario, non potendo il soddisfacimento di un'esigenza siffatta tradursi in un ingiustificato sacrificio per i consulenti incaricati ; e ciò in quanto una tale preventiva e inderogabile limitazione genera effetti contrastanti con lo scopo che la disposizione si prefigge di raggiungere in astratto, favorendo altresì torsioni interpretative e forzature applicative . Si osserva infatti - ed è qui che si legge l'affermazione che assume particolare interesse per il tema qui trattato - che nel settore della responsabilità medica il principio di necessaria collegialità dell'incarico peritale scaturisce da una valutazione del legislatore circa la delicatezza delle indagini e l'esigenza di perseguire una verifica dell'an e del quantum della responsabilità che sia il più possibile esaustiva e conforme alle leges artis . Ciò, peraltro, dopo che il giudice delle leggi aveva anche rimarcato, in premessa, che la norma introduce... il principio della necessaria collegialità nell'espletamento del mandato, di cui si ha conferma attraverso i lavori parlamentari, giacché il testo approvato in prima lettura dalla Camera prevedeva la nomina di un collegio peritale nei casi che avessero implicato la valutazione di problemi tecnici complessi , mentre tale inciso è stato successivamente espunto in Senato. Il fine della corretta esplicazione dell'indagine e della valutazione peritale è perseguito dal legislatore tanto attraverso la necessaria collegialità, quanto mediante la previsione della preparazione specialistica e delle conoscenze pratiche dei soggetti incaricati . 7.4. Convergenti indicazioni si traggono anche dalla Risoluzione del C.S.M. del 25 ottobre 2017, relativa ai criteri per la selezione dei consulenti nei procedimenti concernenti la responsabilità sanitaria , là dove si legge, a pag. 3, alla fine del penultimo capoverso del par. 2, che l'affiancamento nelle perizie del medico legale allo specialista sostanzia la garanzia di un collegamento tra sapere giuridico e sapere scientifico, necessario per consentire al giudice di espletare in modo ottimale la funzione di controllo logico razionale dell'accertamento peritale ) 7.5. Ne emerge una lettura della norma come volta a introdurre una cogente indicazione del requisito di collegialità, in certo senso indicativa di una valutazione predeterminata dal legislatore di incompiutezza degli accertamenti istruttori - che, in materia, richiedono di regola la mediazione di una consulente tecnica c.d. percipiente - ove espletati in difformità ai requisiti che essa pone. Valutazione, questa, destinata dunque ad anteporsi a quella che, in punto di fatto, in ordine, cioè, alla sufficienza e rilevanza degli elementi e dei mezzi istruttori da acquisire, è di regola affidata al giudice del merito, sindacabile in cassazione solo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex articolo 360 n. 5 c.p.c. (ove il vizio sia dedotto nel rispetto del paradigma, come noto, fissato da Cass. Sez. U. 7/04/2014, nn. 8053 - 8054). Da qui la non condivisibilità dell'orientamento, pure assai diffuso in dottrina e presente anche nella giurisprudenza di merito, secondo il quale, anche a fronte del chiaro dettato normativo, rimane legittima e non sindacabile la valutazione del giudice di merito il quale ritenga, quale peritus peritorum, sufficiente ed esaustiva la consulenza espletata dal solo medico legale. 7.6. Le esposte considerazioni conducono piuttosto a ritenere che la mancata osservanza del requisito di necessaria collegialità della consulenza tecnica disposta nei procedimenti civili aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria costituisca causa di nullità della sentenza che sia resa sulla base di essa, per violazione di norma processuale inderogabile, tale dovendosi considerare quella disposta dall'articolo 15, comma 1, L. n. 24 del 2017. Nella specie, tale vizio processuale deve ritenersi dedotto dagli attori già nel primo atto difensivo utile successivo alla espletata consulenza preventiva conciliativa, con il rilievo, chiaramente esplicitato sin dall'atto di citazione introduttivo del giudizio di merito (pag. 7), della inattendibilità delle valutazioni del consulente, poiché non affiancato da un collegio di specialisti del settore, in particolare di uno specialista pneumologo e/o di un chirurgo toracico ; rilievo poi tradottosi, nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 183, sesto comma, num 2, c.p.c., nella richiesta di rinnovazione della c.t.u. motivata anche con espresso riferimento alla esplicita previsione in proposito... della Legge Gelli-Bianco . Il vizio che, a motivo del mancato accoglimento di tale richiesta, ne è conseguentemente derivato sulla sentenza di primo grado è stato poi specificamente dedotto ad oggetto di uno dei primi motivi di gravame, erroneamente disatteso dalla Corte d'Appello. 8. Devono dunque essere affermati i seguenti principi di diritto: - L'articolo 15 della legge n. 24 dell'8 marzo 2017, relativo ai requisiti da osservare per la Nomina dei consulenti tecnici d'ufficio e dei periti nei giudizi di responsabilità sanitaria , è applicabile, in base al principio tempus regit actum, a tutti i giudizi di merito iniziati successivamente alla sua entrata in vigore; ne consegue che, anche nel caso in cui anteriormente a tale entrata in vigore sia stata espletata, in relazione alla medesima controversia, consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite ex articolo 696-bis c.p.c. secondo le norme anteriormente vigenti e senza osservare il requisito della collegialità dell'incarico - ferma la ritualità di tale ultima consulenza e l'ammissibilità della sua acquisizione da parte del giudice del merito - rimane l'obbligo per quest'ultimo di dare attuazione al principio di collegialità dettato dall'articolo 15 L. cit., attraverso la rinnovazione della consulenza e l'affidamento del relativo incarico ad un collegio di consulenti in possesso dei requisiti indicati dalla norma medesima ; - Nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, l'inosservanza del requisito di necessaria collegialità della consulenza tecnica nei termini di cui all'articolo 15 legge n. 24 dell'8 marzo 2017 è causa di nullità della sentenza che sia resa sulla base della consulenza, per inosservanza di norma processuale inderogabile . 9. In accoglimento, dunque, del primo e del terzo motivo di ricorso la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo. 10. Rimane assorbito l'esame del secondo motivo di ricorso, dal momento che il giudice di rinvio, nel disporre nuova consulenza, dovrà nuovamente valutare, nel momento in cui emette la relativa ordinanza e con riferimento alle conoscenze acquisite a quel momento, i requisiti soggettivi dei soggetti da nominare, secondo quanto prescritto dall'articolo 15 L. cit. 11. Al giudice di rinvio va demandato il regolamento delle spese del presente giudizio. 12. Va disposto che, ai sensi dell'articolo 52, D.Lgs. n. 196 del 2003, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l'indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi dei ricorrenti, della loro dante causa Fa.Gi., e dei litisconsorti facoltativi che avevano introdotto la causa in primo grado e poi proposto appello insieme agli odierni ricorrenti. P.Q.M. accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia la causa alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.