Sul potere valutativo della prefettura in merito all'istanza di cambiamento del cognome dopo l’acquisto della cittadinanza italiana

«La valutazione del prefetto circa l’istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l’interesse dell’istante con l’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale».

È quanto stabilito dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato, che, con la pronuncia in esame, torna ad affrontare il tema del procedimento di modifica del cognome regolato dall'articolo 89 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. La vicenda riguardava una cittadina romena che, sposatasi secondo le leggi del proprio Paese, aveva assunto il cognome del marito. Tuttavia, dopo aver ottenuto la cittadinanza italiana per naturalizzazione, le era stato attribuito il cognome da nubile. Per questo motivo, la donna presentava domanda alla Prefettura, chiedendo di poter mantenere il cognome acquisito con il matrimonio, motivando tale richiesta con l'esigenza di conservare la propria identità personale consolidata nel tempo e di uniformare i propri dati anagrafici in Italia con quelli presenti in Romania, dove, per legge, continua a mantenere il cognome del coniuge. La Prefettura respingeva l'istanza, ritenendo che la modifica del cognome rappresenti un'eccezione e che possa essere concessa solo in presenza di «situazioni oggettivamente rilevanti», supportate da adeguata documentazione e da significative giustificazioni e che, nella fattispecie, la neo-cittadina avrebbe dovuto utilizzare il rimedio del ricorso giurisdizionale avverso il decreto di concessione della cittadinanza. Anche il TAR Emilia Romagna respingeva il ricorso, sottolineando l'ampia discrezionalità in materia riconosciuta al Prefetto. Il Consiglio di Stato, invece, ha accolto l'appello, precisando che l'acquisizione della cittadinanza italiana non preclude automaticamente la possibilità di chiedere la modifica del cognome, soprattutto quando vi siano motivate esigenze di tutela dell'identità personale e familiare. Inoltre, tale possibilità è stata riconosciuta dal Ministero dell'Interno con la circolare n. 14424 del 23 dicembre 2013, cui sono seguite le indicazioni operative della più recente circolare n. 462 del 18 gennaio 2019. La pronuncia si colloca nel solco di una consolidata giurisprudenza che interpreta l'articolo 89 del d.P.R. 396/2000 alla luce dei principi costituzionali (articolo 2 e 3 Cost.), della Corte EDU (articolo 8 CEDU) e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (articolo 7), valorizzando l'interesse individuale alla continuità dell'identità anche in seguito all'ottenimento della cittadinanza italiana. Pertanto, «sebbene  la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome abbia natura di interesse legittimo e la p.a. disponga del potere discrezionale in merito all'accoglimento o meno dell'istanza, a fronte di deduzioni precise dell'istante che rivendichi la tutela della propria identità personale, anche mediante l'attribuzione del nome che lo contraddistingue e identifica nella comunità, l'amministrazione deve opporre specifiche ragioni di interesse pubblico, ostative all'accoglimento dell'istanza; il diritto al nome è infatti tutelato dall'articolo 2  Cost., in quanto afferente al diritto all'identità personale,  oltre che dall'articolo 7 della  Carta di Nizza, entrata a pieno titolo nel diritto primario dell'Unione Europea, in forza della nuova formulazione dell'articolo 6 del Trattato UE».

Presidente De Nictolis - Relatore Cerroni Fatto e diritto 1. – La signora Mihaela Popa, cittadina romena, a seguito del matrimonio contratto il 12 agosto 1994, ha acquisito il cognome del marito, Demeter, secondo la legislazione del proprio Paese di origine. Successivamente, con decreto del Presidente della Repubblica del 19 dicembre 2019, trascritto nel registro degli atti di cittadinanza del Comune di Santarcangelo di Romagna il 22 ottobre 2020, ha ottenuto il riconoscimento della cittadinanza italiana, vedendosi attribuire il proprio cognome da nubile. Sicché, ha domandato alla Prefettura, a norma dell'articolo 89 d.P.R. n. 396/2000, il cambio di cognome con attribuzione del cognome del marito, fondando tale richiesta sulla necessità di mantenere la propria identità consolidata nel tempo in omaggio a profonde e radicate convinzioni culturali, oltre che di uniformare le generalità in Italia con quelle in Romania, dove, per legge, la ricorrente mantiene il cognome del coniuge. 2. – La Prefettura di Bologna ha respinto l'istanza sul duplice rilievo che il cambiamento del nome o del cognome riveste carattere eccezionale e, pertanto, la relativa richiesta può essere ammessa solo in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, supportate da adeguata documentazione e da significative giustificazioni, non ravvisabili però nel caso di specie e che, nella presente fattispecie, la neo-cittadina avrebbe dovuto utilizzare il rimedio del ricorso giurisdizionale avverso il decreto di concessione della cittadinanza. 3. – Con il ricorso di primo grado, la ricorrente ha stigmatizzato l'argomento prefettizio per cui l'interessata avrebbe dovuto impugnare il provvedimento del Presidente della Repubblica di concessione della cittadinanza e non già proporre successivamente l'istanza di modifica, osservando, al riguardo, di avere, al pari degli altri cittadini italiani, il diritto di attivare il procedimento di modifica del cognome ex articolo 89 d.P.R. n. 396/2000. Ha dedotto, altresì, la carenza motivazionale del diniego poiché l'Amministrazione avrebbe dovuto analizzare il merito della richiesta anziché ribadire, da un lato, che la normativa nazionale prevede la conservazione del nome da nubile a seguito del matrimonio e, dall'altro, che la Prefettura, comunque, non avrebbe potuto modificare un atto proveniente da una autorità gerarchicamente superiore. 4. – Il Tar per l'Emilia Romagna, precisata la natura ampiamente discrezionale del potere competente al Prefetto in subiecta materia – in quanto deputato ad effettuare un bilanciamento tra le esigenze pubblicistiche di certezza giuridica, legate alla sicura identificazione dei cittadini, e l'interesse della persona alla propria identità anche anagrafica – ha respinto il ricorso sul rilievo che la motivazione addotta a sostegno della richiesta di autorizzazione a riassumere il cognome del marito - ossia esclusivamente l'onerosità derivante dal fatto che, nella lunga permanenza in Italia, la ricorrente ha sempre speso il cognome del coniuge, con la conseguenza che ogni documento ufficiale riporta quest'ultimo anziché quello paterno – non integrerebbe “quella lesione dell'identità personale e familiare che la giurisprudenza (a partire da quella costituzionale) pone alla base della possibilità di modificare il cognome attribuito nel rispetto della vigente normativa”, né sarebbero comprovate fondate ragioni per cui l'attribuzione del cognome paterno possa comportare un danno psicologico o una limitazione della libertà di circolazione. 5. – Con il ricorso in appello la signora Popa deduce un unico motivo di censura col quale denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 89 d.P.R. n. 396/2000 nonché degli articolo 2 e 3 della Costituzione, dell'articolo 8CEDU e dell'articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. L'appellante allega che il cognome “Demeter” abbia un essenziale valore identitario della sua persona, consolidatosi nel corso dei decenni, e trattandosi di riacquisire il cognome che l'ha caratterizzata per la maggior parte della propria esistenza, le esigenze pubblicistiche di certezza giuridica, legate alla sicura identificazione dei cittadini appaiono recessive rispetto al diritto del cittadino a preservare la propria identità. Adduce a sostegno delle proprie ragioni due circolari del Ministero dell'interno (21 maggio 2012 e 23 dicembre 2013) per cui “in tali casi, spesso l'esigenza é quella di uniformare il cognome del soggetto in entrambi i paesi di cui e cittadino, esigenza di cui va tenuto conto soprattutto quando l'interesse prevalente e quello di tutelare l'identità acquisita e consolidata nel tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale”. 6. – In occasione della discussione dell'istanza cautelare alla camera di consiglio del 9 gennaio 2025, le parti hanno convenuto per l'abbinamento della causa al merito. 7. – L'appello è fondato e deve essere accolto. Ai fini di un inquadramento generale della fattispecie concreta, preme richiamare il paradigma normativo di riferimento, ossia l'articolo 89 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, giusta il quale “1. Salvo quanto disposto per le rettificazioni, chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l'origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto della provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l'ufficio dello stato civile dove si trova l'atto di nascita al quale la richiesta si riferisce. Nella domanda l'istante deve esporre le ragioni a fondamento della richiesta. 2. Nella domanda si deve indicare la modificazione che si vuole apportare al nome o al cognome oppure il nome o il cognome che si intende assumere. 3. In nessun caso può essere richiesta l'attribuzione di cognomi di importanza storica o comunque tali da indurre in errore circa l'appartenenza del richiedente a famiglie illustri o particolarmente note nel luogo in cui si trova l'atto di nascita del richiedente o nel luogo di sua residenza”. 7.1. – L'esegesi della disposizione conferma che la valutazione del Prefetto circa l'istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l'interesse dell'istante (da circostanziare esprimendo le “ragioni a fondamento della richiesta”), con l'interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale. 7.2. – Va, dunque, sgombrato un primo dubbio su cui la Prefettura impernia il diniego ossia che l'appellante avrebbe dovuto coltivare la propria istanza unicamente in sede di concessione della cittadinanza, mentre l'aver dato seguito alla procedura senza opporre obiezioni di sorta varrebbe quale piena acquiescenza ad ogni successiva doglianza circa il cognome assegnato. In verità, la norma testé richiamata trova applicazione generale e non si ravvisano ragioni per frapporre improprie cause di inammissibilità al neo-cittadino che intenda coltivare in un secondo momento l'istanza di cambiamento di cognome, magari per il sol fatto di aver maturato tale intendimento successivamente. Peraltro, la facoltà di esercitare la corretta attribuzione del cognome nel rispetto dell'identità personale acquisita nel Paese di origine è stata riconosciuta dal Ministero in sede applicativa con l'articolata circolare n. 14424 del 23 dicembre 2013 - emanata anche a seguito di parere del Consiglio di Stato in sede consultiva - cui sono seguite le indicazioni operative della più recente circolare n. 462 del 18 gennaio 2019. 8. – Ritenuta, dunque, ammissibile l'istanza presentata dal neo-cittadino, specie alla luce delle circolari chiarificatrici sui nuovi indirizzi operativi, mette conto di soffermarsi sulla meritevolezza della stessa con specifico riguardo alla posizione dell'odierna appellante. Invero, il Ministero ha ascritto precipua rilevanza alla situazione delle donne provenienti da Paesi dell'Est Europa alle quali, una volta acquisita la cittadinanza italiana, sia stata imposto il cognome paterno da tempo abbandonato per quello coniugale secondo l'ordinamento del Paese di provenienza. Segnatamente, la circolare n. 14 del 21 maggio 2012 registra ampie aperture ad una attenta valutazione dell'esigenza di uniformità dell'identità del soggetto in entrambi i Paesi in cui è cittadino, “esigenza di cui va tenuto conto soprattutto quando l'interesse prevalente è quello di tutelare l'identità acquisita e consolidata nel tempo in campo lavorativo, finanziario, sociale. Ovviamente queste considerazioni di attenzione valgono anche per le istanze volte al ripristino del cognome originario sempre modificato con l'assegnazione del cognome paterno in sede di concessione della cittadinanza italiana, secondo l'ordinamento nazionale”. 9. – Nella medesima direzione aperturista si è orientata la giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale - fermo l'indirizzo consolidato per cui la posizione giuridica del soggetto richiedente il cambio di cognome ha natura di interesse legittimo, e la P.A. dispone del potere discrezionale in merito all'accoglimento o meno dell'istanza (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2019, n. 6462), tenuto conto che - a fronte dell'interesse soggettivo della persona, spesso di carattere morale - esiste anche un rilevante interesse pubblico alla sua stabile identificazione nel corso del tempo (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 ottobre 2013, n. 5021; Id., sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2320; Id., sez. IV, 27 aprile 2004, n. 2752) – a fronte di deduzioni precise dell'istante che rivendichi la tutela della propria identità personale anche mediante l'attribuzione del nome che lo contraddistingue e identifica nella comunità, l'Amministrazione deve opporre specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento dell'istanza (cfr. Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2023, n. 8422). Militano a sostegno di una ermeneutica più attenta alle istanze identitarie anche gli indici evolutivi della giurisprudenza costituzionale e unionale, tenuti ben presenti da questo Consesso. 9.1. – Da un lato, il giudice delle leggi ha cambiato progressivamente orizzonte prospettico passando da un iniziale approccio teso ad assumere il cognome come segno distintivo della famiglia e, quindi, come strumento per individuare l'appartenenza della persona a un determinato gruppo familiare (Corte cost., ordinanze n. 176/1988 e n. 586/1988), ad un processo di valorizzazione del diritto all'identità personale, valore assoluto avente copertura costituzionale ex articolo 2 Cost., in virtù del quale il cognome assurge ad espressione dell'identità del singolo (Corte cost. n. 286/2016). Invero, la originaria procedura di attribuzione del cognome era basata, come rilevato dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 61/2006, su un sistema costituente retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affondava le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico e di una tramontata potestà maritale, non più ritenuta coerente con i principi dell'ordinamento. Tale sistema è stato abbandonato dalla Corte costituzionale, anche a seguito della condanna dello Stato italiano da parte della Corte EDU (Cusan-Fazzo c. Italia, del 7 gennaio 2014), dapprima, con la citata pronuncia n. 286/2016 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che non consentono ai coniugi di trasmettere, di comune accordo, il cognome materno e, più di recente, con la sentenza n. 131/2022 con cui è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l'automatica attribuzione del cognome del padre con riferimento ai figli nati “dentro e fuori dal matrimonio” e a quelli adottivi. Il fil rouge di questo indirizzo evolutivo è stato riassunto nella più recente pronuncia n. 135 del 10 maggio - 4 luglio 2023 che, nel dichiarare l'incostituzionalità della previsione codicistica dell'obbligatoria anteposizione del cognome dell'adottante a quello dell'adottato, ha ribadito l'illegittimità dell'irragionevole compressione del diritto inviolabile all'identità personale, richiamando, in particolare, la sentenza n. 286 del 2016, secondo cui “il diritto al nome [sarebbe] indissolubilmente collegato al diritto all'identità personale e che la protezione di esso sostanzi e determini realizzazione di quest'ultima” (v. Cons. Stato, sez. III, 19 settembre 2023, n. 8422). 9.2. – Dall'altro lato, la giurisprudenza unionale – già ricostruita nel parere n. 850/2013 reso da questo Consiglio al Ministero dell'interno in vista dell'adozione della circolare n. 14442/2013 - ha chiarito che il diritto al nome consentirebbe di conservare il proprio prenome e cognome di origine a prescindere dalle leggi dello Stato dell'Unione europea ove la persona decidesse di stabilirsi acquisendone la relativa cittadinanza. Con la pronuncia C-148/02 si è affermato che «gli artt 12 CE e 17 CE devono essere interpretati nel senso che ostano al fatto che, in circostanze come quella della causa principale, l'autorità amministrativa di uno Stato membro respinga una domanda di cambiamento del cognome per figli minorenni residenti in questo Stato e in possesso della doppia cittadinanza, dello stesso Stato o di un altro Stato membro, allorché la domanda è volta a far sì che i detti figli possano portare il cognome di cui sarebbero titolari in forza del diritto e della tradizione del secondo Stato membro». Ancor più significativa la sentenza C-353/06 del 14 ottobre 2006, secondo cui «il fatto di essere obbligati a portare, nello Stato membro di cui si è cittadini, un cognome differente da quello già attribuito e registrato nello Stato membro di nascita e di residenza è idoneo ad ostacolare l'esercizio del diritto a circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, sancito dall'articolo 18 CE». Il diritto al nome è, peraltro, tutelato anche in via diretta dalla Carta di Nizza, oramai entrata a pieno titolo nel diritto primario dell'Unione Europea, in forza della nuova formulazione dell'articolo 6 del Trattato UE. Segnatamente l'articolo 7 stabilisce che “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni”. Tale disposizione, analoga a quella contenuta nell'articolo 8 CEDU, deve essere interpretata in conformità alla stessa, ai sensi dell'articolo 52, comma 3 della Carta, secondo cui “[l]addove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta Convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell'Unione conceda una protezione più estesa”. Ne discende che, come chiarito dalla giurisprudenza della Corte EDU in ordine al citato articolo 8, la tutela della vita privata e familiare comprende il diritto al nome, in quanto coessenziale all'identificazione della dimensione personale del singolo. Compiuto questo excursus nel predetto parere n. 850/2013, questo Consiglio concluse che una normativa che subordini, al momento dell'acquisto della cittadinanza in uno Stato membro dell'Unione Europea, il riconoscimento del proprio nome ad una procedura che eccede quella strettamente necessaria per codesto acquisto, caratterizzata altresì da valutazioni discrezionali dell'Autorità pubblica, costituisca una restrizione sproporzionata della libertà di circolazione e una violazione del principio di non discriminazione, nonché una restrizione indebita e non giustificata da motivi di interesse generale di un diritto fondamentale della persona. Alla luce della solida posizione assunta dalla Corte di giustizia UE, appare possibile estrarre dai principi euro-unitari la regula iuris del pieno riconoscimento del nome d'origine dello straniero che acquista la cittadinanza, sia in sede di riconoscimento della cittadinanza – come da ultimo tratteggiato nel citato parere -, sia a fortiori in sede di istanza di cambiamento del cognome. 10. – Nel caso di specie, l'odierna appellante aveva motivato la sua richiesta di attribuzione del cognome Demeter - in luogo di Popa che le era stato assegnato alla nascita - in quanto la stessa rappresentava di essere identificata, sia in Patria che in tutti gli ambiti della propria vita in Italia, con il cognome del marito. Difatti, la ricorrente – dal 1994 – si è sempre identificata e presentata sia in Italia che in Romania, innanzi alle autorità e nei rapporti tra privati, con il cognome Demeter, che è sempre apparso altresì in ogni documento ufficiale. E, inoltre, tale richiesta corrisponde a profonde e radicate convinzioni culturali, giacché l'uso del cognome del marito rappresenta il distacco dal nucleo familiare d'origine e l'inizio di un nuovo percorso di vita. 10.1. – Trasponendo le tratteggiate coordinate ermeneutiche, costituzionali e eurounitarie, al caso concreto si può osservare che l'imposizione all'appellante del cognome paterno, a fronte della ventennale spendita del cognome del coniuge e della sua identificazione personale con lo stesso, arreca un vulnus al suo diritto all'identità personale quale diritto della personalità intimamente inerente all'individuo, senza rinvenire invece, quale contrappeso, un preponderante interesse pubblicistico al mantenimento (rectius: riesumazione) del cognome paterno. Il provvedimento prefettizio appare, dunque, illegittimo proprio per difetto motivazionale dacché omette di enucleare chiaramente le specifiche ragioni di interesse pubblico ostative all'accoglimento dell'istanza a riprova dell'espletato bilanciamento postulato dall'articolo 89 d.P.R. n. 396/2000, discostandosi altresì dalle chiare indicazioni operative impartite con la circolare n. 14 del 21 maggio 2012. 11. – L'appello va conclusivamente accolto per le ragioni appena evidenziate e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso introduttivo e annullato il diniego prefettizio, fatto salvo il riesercizio del potere nel rispetto degli effetti conformativi scaturenti dalla presente pronuncia. 12. – Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla il provvedimento impugnato. Condanna il Ministero dell'interno alla rifusione in favore dell'appellante delle spese di lite del doppio grado di giudizio, che si liquidano nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00) oltre accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.