Il proprietario che si assume spogliato del possesso del bene ha l’onere di fornire la prova dell’esercizio di un potere di fatto corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà: il mero acquisto della proprietà dell’immobile non accompagnato dal conseguimento del possesso né da un impossessamento successivo è insufficiente a integrare la legittimazione per l’azione di reintegrazione.
Il caso Un soggetto acquistava un box e successivamente scopriva che era occupato da cose appartenenti a terzi. Agiva quindi nei loro confronti sia in sede penale che civile. Nel procedimento sommario si chiedeva al Tribunale di Pavia di ordinare l'immediata reintegrazione nel pieno ed esclusivo possesso del box, asseritamente occupato clandestinamente, sul presupposto che vi era un atto di acquisto dello stesso e che, sostituendo la serratura, gli occupanti avessero posto in essere uno spoglio violento e clandestino. Confusione tra giudizio petitorio e possessorio Secondo il giudice, il proprietario del box è incorso in una “chiara confusione” tra giudizio petitorio e giudizio possessorio, là dove chiedeva anche di accertare la legittima proprietà del bene quale presupposto del legittimo possesso che assumeva violato. Possesso attuale e concreto Presupposto dell'azione di reintegrazione è solo la prova dell'esistenza del possesso al momento dello spoglio in capo a chi agisce con l'azione di reintegrazione. Nel caso in esame, a seguito dell'acquisto, il proprietario si era recato presso il box con le chiavi consegnate dall'alienante e lo aveva trovato occupato da cose di terzi; si era dapprima lamentato con l'amministratore, poi aveva proceduto contro gli occupanti. Sotto il profilo del potere di fatto, il giudice evidenzia che alcuna deduzione e prova è stata fornita circa il conseguito potere di fatto sul bene nell'intervallo tra l'atto di compravendita e la sostituzione della serratura effettuata dagli occupanti. Legittimazione attiva Per la legittimazione attiva occorre dunque una prova dalla quale risulti l'esistenza, al momento dello spoglio, di un potere di fatto di cui si chiede la tutela (id est, il ripristino). Nel caso esaminato, il possesso non è mai stato acquisito dal nuovo proprietario: manca infatti la prova che successivamente all'acquisto del box sia seguita l'immissione in fatto nel possesso (cfr. Cass. 29659/2024). L'atto di compravendita non trasferisce il possesso Il Tribunale chiarisce che oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento del diritto di proprietà o di altro diritto (come lo ius possidendi, che è il diritto di esercitare la signoria sulla cosa), mentre i negozi traslativi non possono trasferire il possesso, che è una situazione di fatto e non un diritto. La compravendita è un contratto traslativo che si perfeziona con il consenso, non essendo necessaria la consegna, che è l'obbligazione principale del venditore (contratto consensuale a effetti reali): per acquisire il concreto esercizio dello ius possessionis occorre una immissione materiale. Il possesso è legittimo? Il giudice rimarca che, nel giudizio possessorio, è irrilevante ogni questione riguardante la legittimità del possesso e la sua eventuale corrispondenza a un titolo valido: i titoli di proprietà vengono in rilievo solo “ad colorandum possessionis”.
Giudice Balduzzi Concisa esposizione del fatto e dello svolgimento del processo Con ricorso ex articolo 703 c.p.c. e 1168 c.c., depositato in data 10.01.2025, E.R., premessa la qualità di proprietario del box/autorimessa sito in Copiano (PV), Via Pietra snc, catastalmente identificato al Foglio 4, mappale (omissis), sub. 46, piano S1, cat. C/6, mq 34, facente parte del Condominio “(omissis)” in Via (omissis), chiedeva all'intestato Tribunale di ordinare, inaudita altera parte ovvero previa integrazione del contraddittorio con i coniugi A.V. e A.C.P., l'immediata reintegrazione in suo favore nel pieno ed esclusivo possesso dell'autorimessa, occupata “clandestinamente” dai convenuti, lamentando di essere stato “privato dal proprio legittimo esercizio del diritto di proprietà”. Deduceva, in particolare, che: - in data 10.01.2024 si avvedeva del fatto che ignoti avevano cambiato la chiave di accesso al suddetto immobile di proprietà (doc. 1 e 2), forando la porta di metallo e sostituendone il relativo cilindro; - successivamente, assunte informazioni in loco da parte di una condomina del medesimo stabile, riusciva ad identificare in A.V. ed A.C.P., entrambi residenti in Albairate (MI), Via (omissis), i possibili responsabili di quanto sopra; - in data 10.04.2024 sporgeva denuncia-querela contro ignoti, attesa l'incertezza circa l'esatta identità degli autori materiali del sofferto spoglio violento e clandestino; - con relazione del 19.09.2024 i Carabinieri della Stazione di Villanterio concludevano come segue: “Sulla base degli accertamenti esperiti, vi sarebbero una serie di indizi che porterebbero ai coniugi A.V./A.C.P., quali materiali autori del reato per cui si sta procedendo. Questo in considerazione di quanto in sit dichiarato dalle parti escusse ossia da: - E.R. che dichiarava di aver contattato telefonicamente il A.V. al fine di chiedere delucidazioni riguardo l'utilizzo del box auto, ricevendo nella circostanza la risposta che il box fosse di proprietà appunto del A.V. e che non sarebbe stato disposto a cederlo; - A.P.M. che dichiarava di essere venuto a conoscenza dell'impossessamento del bene immobile da parte del A.V. senza che questi ne avesse alcun diritto; - G.M.C. che dichiarava di aver visto in primavera i coniugi A.V./A.C.P. accedere all'interno del box. La stessa escussa che dichiarava di aver notato vettura modello Smart nel mese di luglio c.a. posteggiata dinanzi al box auto in esame; stesso modello di vettura di cui sarebbe proprietaria la A.C.P.” (doc. 5); - in seguito alle indagini eseguite dalla p.g., la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pavia iscriveva i convenuti nel registro degli indagati (doc. 6). Ritualmente instaurato il contraddittorio, i convenuti comparivano in prima udienza personalmente, senza l'assistenza di un difensore; invitati dal giudice a lasciare l'aula in quanto non costituiti in giudizio, si procedeva all'interrogatorio libero del ricorrente e all'escussione degli informatori presenti - sig.ri G.M.C. ed A.P.M. - sentiti come testi. Disposto inizialmente rinvio all'udienza cartolare del 26.02.2025 per la decisione, si costituivano nelle more i resistenti - con memoria di risposta del 21.02.2025 - avanzando istanze istruttorie, depositando documenti e chiedendo il rigetto della domanda di reintegrazione. In sintesi, contestando l'avversa ricostruzione dei fatti, eccepivano: - la decadenza dall'azione di reintegrazione per decorrenza del termine annuale, in quanto il ricorrente almeno dal mese di novembre 2023 era a conoscenza del fatto che il box era da loro occupato (doc. 5-9); - l'insussistenza del lamentato spoglio, non essendo stato il ricorrente immesso ab origine nel possesso dell'autorimessa del dante causa, palesandosi insufficiente la mera circostanza dell'avvenuta consegna e disponibilità delle chiavi di accesso da parte del venditore; - l'insussistenza dei caratteri dello spoglio “violento o clandestino”, avendo i resistenti agito nell'ambito della relazione di fatto col bene; - la buona fede del possesso (articolo 1147 c.c.), in quanto i coniugi possedevano l'autorimessa, unitamente all'appartamento nello stabile condominiale, sin dall'acquisto nel luglio 2005, avendo sempre pagato le spese condominiali ed ignorando di ledere l'altrui diritto (doc. 1-4). Revocata la contumacia e convertita l'udienza in presenza, al fine di garantire l'immediato contraddittorio, veniva disposta anche l'escussione dell'amministratore del condominio, sig. U.F., sentito come testimone all'udienza del 02.04.2025. Le parti depositavano, infine, memorie conclusive autorizzate per l'udienza cartolare del 24.04.2025, precisando le conclusioni come trascritte in epigrafe; la causa veniva all'esito riservata per la decisione. Ragioni giuridiche della decisione §1. La domanda, così come proposta, avente ad oggetto la reintegra nel possesso dell'immobile per cui è causa, muove dal paventato spoglio perpetrato ai danni del ricorrente attraverso l'avvenuta sostituzione del cilindro della serratura della porta basculante da parte dei resistenti e l'illegittima occupazione del box/autorimessa nel seminterrato dell'edificio condominiale con beni mobili ed effetti personali di questi ultimi. 1.1 Si sostiene che i resistenti non abbiano alcun titolo - opponibile all'attuale proprietario del bene - che legittimi l'occupazione e l'uso esclusivo del box; che, anzi, come comunicato dal legale rappresentante della società venditrice “A.C. Immobili S.r.l.” all'amministratore p.t. del Condomino U.F., i coniugi A. A.V. – A. C. A.C.P. avevano sempre detenuto il box a titolo di “comodato d'uso gratuito” e mai in quanto proprietari del medesimo; che a nulla rileva, ai fini dell'esercizio del “legittimo possesso” del bene, che alcuni condomini abbiano riferito di averli visti in loco o che i resistenti stessi abbiano sostenuto il pagamento degli oneri condominiali anche per l'unità in questione. 1.2 Il ricorso è infondato e va respinto. 1.3 Come si evince dall'impostazione difensiva e dal tenore delle stesse rassegnate conclusioni, l'odierno ricorrente incorre in una chiara confusione tra giudizio petitorio e giudizio possessorio, lì dove chiede addirittura di accertare la “legittima proprietà” del bene, quale presupposto per la reintegrazione del “legittimo possesso” che assume violato, desumendolo esistente in forza, appunto, dell'acquisto della proprietà esclusiva del box da parte del precedente proprietario. In tema di tutela possessoria, invece, come è noto, non assumono rilevanza la legittimità dell'esercizio del vantato possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo, quanto piuttosto la mera situazione di fatto esistente al momento dello spoglio (cfr. Cass. n. 1087/1989; Cass. n. 1040/1998; Cass. n. 8909/2016). Va qui ricordato che il giudizio possessorio, instaurato a seguito di esercizio dell'azione di reintegrazione, richiede soltanto la prova dell'esistenza del possesso al momento dello spoglio, essendo l'esame dei titoli estraneo ad esso e consentito solo “ad colorandam possessionem”, cioè al fine di individuare il diritto al cui esercizio corrisponde il possesso. 1.4 Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. n. 4908/1998), in tema di reintegrazione del possesso il giudice deve accertare l'esistenza di un possesso tutelabile e un'azione integrante gli estremi di uno spoglio, mentre ogni questione riguardante la legittimità del possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo è estranea al giudizio possessorio, nel quale i titoli di proprietà possono venire in rilievo solo “ad colorandam possessionem”, così come sono irrilevanti la frequenza e le modalità di esercizio del potere sulla cosa. Quindi per la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione possessoria di reintegrazione occorre una prova dalla quale risulti l'esistenza, al momento dello spoglio (Cass. n. 12790/1993, Cass. n. 3726/1985, Cass. n. 734/1980), di un potere di fatto tutelabile, ossia degli atti materiali integranti la situazione di fatto di cui si chiede il ripristino. 1.5 È altresì pacifico che oggetto di un contratto di compravendita può essere solo il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di un altro diritto; non può invece essere oggetto di negozi traslativi ciò che, pur avendo rilevanza giuridica, non costituisce tuttavia un diritto, come appunto il possesso che è il potere sulla cosa che si manifesta come un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale (articolo 1140 c.c.) e che, quindi, non è diritto (cfr. Cass. n. 6489/1998). 1.6 D'altra parte, stante la tipicità dei negozi traslativi reali, l'oggetto del trasferimento non può essere costituito dal mero potere di fatto sulla cosa (cfr. Cass. n. 8502/2005; Cass. n. 6353/2010). Infatti, nei contratti con effetti reali l'incontro delle volontà dei contraenti comporta il trasferimento automatico del diritto di proprietà e dello ius possidendi (ossia del potere di esercitare la signoria sulla cosa), ma non anche quello del concreto esercizio del potere stesso (ius possessionis) per cui occorre una immissione materiale o una ficta traditio. Ne consegue che l'acquirente di un immobile - il quale può sempre agire in via petitoria a tutela del suo diritto che assume violato - qualora voglia avvalersi delle azioni possessorie, è tenuto a fornire la prova di un concreto esercizio del possesso, posto che la sola esibizione del titolo di acquisto è idonea soltanto a rafforzare detta prova “ad colorandam possessionem”, ma non è a tal fine sufficiente ove non accompagnata dalla prova che al detto acquisto sia seguita l'immissione di fatto nel possesso del bene (cfr. Cass. n. 6489/1998; conf. Cass. 5760/2004; così, da ultimo, anche Cass. n. 29659/2024). 1.7 Ciò posto, nel caso di specie le circostanze esposte e gli elementi forniti non consentono di ritenere assolto l'onere probatorio alla tutela possessoria invocata dal ricorrente, ravvisandosi l'insufficienza della prova del possesso del bene immobile al momento del lamentato spoglio. 1.8 In primo luogo, la stessa produzione documentale richiamata nel ricorso (cfr. doc. 5 fasc. ric. - relazione dei Carabinieri di Villanterio del 19.09.2024) smentisce l'assunto secondo cui, dopo la stipula dell'atto di compravendita in data 29.09.2023 (cfr. doc. 1 fasc. ric.), il ricorrente avesse assunto la piena disponibilità materiale dell'autorimessa in questione. Come si legge nella relazione dei militi dell'arma (cfr. doc. 5 cit.) - e contrariamente da quanto riferito dallo stesso ricorrente al giudice in sede di interrogatorio libero [v. ud. 12.02.2025: “Interroga liberamente il sig. E.R., chiedendogli se ha ricevuto le chiavi di accesso al box dalla società venditrice all'atto di compravendita. Risponde: certo. Dopo quanto tempo è andato? Risposta: una settimana/dieci giorni. E si apriva il box con le chiavi? Risposta: sì. Era già occupato il box? Risposta: assolutamente no, era libero.”] - fu proprio E.R. che, escusso a “sit” in qualità di persona offesa nel procedimento penale n. 3199/2024, precisò agli agenti che “…dopo l'acquisto del box, sul posto, ebbe a constatare la presenza all'interno di oggetti in uso e di proprietà di altro condomino” e che “Al fine di far rimuovere quanto contenuto all'interno del box contattò personalmente il diretto responsabile, ovvero tale A.V. Alessandro, il quale però, nella circostanza, ebbe a ribadire la non estraneità ai fatti precisando la non volontà di abbandonare l'immobile (…)”. 1.9 La circostanza che il box sia stato trovato già occupato da cose di vario genere dei resistenti e sia così rimasto anche dopo l'acquisto del ricorrente emerge, poi, in modo inequivoco, dal tenore della conversazione telefonica intercorsa tra E.R. e A.V. risalente al 27.11.2023 (cfr. doc. 8 fasc. res.) – registrazione prodotta in atti dalla difesa dei resistenti e non specificamente contestata o disconosciuta, quindi utilizzabile come fonte di prova ex articolo 2712 c.c. (cfr. Cass. n. 30977/2024; Cass. n. 5259/2017) – lì dove lo stesso ricorrente, contattando per la prima volta il resistente, affermava “…allora io purtroppo sono (incomprensibile) in una disavventura che comprende questo box…ho avuto la sorpresa che c'era qualcuno dentro…da A.P.M.…dunque io…dichiamo così il suo numero me l'ha dato l'amministratore…si infatti mi ha detto “guardi il sig. A.V. mi ha dato il numero mi ha detto di sentirlo”…mi faccia capire un attimo come…cosa devo fare insomma ecco…io guardi se a lei il box interessa ci possiamo anche mettere d'accordo, nel senso che io quello che l'ho pagato mi ridà indietro e siamo a posto così insomma…a me non è che mi interessa più di tanto, ecco, quindi veda un po' lei, altrimenti mi dica lei insomma ecco…” (min. 0:13-1:07), mentre il resistente - tra le altre problematiche con il precedente proprietario - chiariva di aver usufruito del medesimo box, pur non abitando più a Copiano, “…come da accordi con A.P.M. quasi vent'anni fa eravamo rimasti infatti così…ora infatti è increscioso il fatto che di punto in bianco abbia preso il box e l'abbia venduto, quindi questa qua è una cosa che a me praticamente mi ha dato tantissimo fastidio…perché bastava anche lasciare un bigliettino sotto la basculante, tanto io periodicamente ci vado, non è che non vado lì da tanti anni, io almeno una volta al mese, due, ci vado in box sia per mettere che prendere diciamo materiale con cui ci lavoro ecc. ecc. quindi questa è stata una bella sorpresa…” (min. 1:57-2:33). 1.10 Tale versione dei fatti trova altresì riscontro e conferma sia dalle fotografie prodotte dai resistenti (cfr. doc. 5 fasc. res.), sia dalle deposizioni dell'amministratore del Condomino sig. U.F., chiamato in qualità di informatore (pur se escusso come testimone) a riferire sui fatti ritenuti rilevanti e di cui ha avuto diretta conoscenza [v. ud. 02.04.2025: “Fino a quando l'ha visto occupato il garage sub. 46 di Via Pietra snc? Risposta: da quando sono amministratore io, l'ho sempre visto occupato ed utilizzato dai sig.ri A.V.-A.C.P., i quali erano condomini del Condominio (…)”; “Fino al 29.09.2023 era sempre occupato dai sig.ri A.V.? Risposta: so che se n'erano andati un paio d'anni, per il box era ancora occupato da cose, lo so perché il sig. E.R. mi ha contatto telefonicamente dopo aver acquistato il garage e mi ha detto che era pieno di materiale e basta. Preciso che dal dicembre 2019 che i sig.ri A.V. non abitano più nell'appartamento condominiale. - Mi colloca temporalmente la telefonata con il sig. E.R.? Risposta: dopo il suo acquisto, ci saremmo sentiti due o tre volte, tra settembre e dicembre 2023. Sono tutte state telefonate che chiedeva di liberare il box e io ho detto “non ho nessun titolo sulla proprietà privata dei box come amministratore di condominio”. (…) Lei ha visto il sig. E.R. all'interno del condominio? Risposta: no mai conosciuto, ci vado ogni tanto i condomini ma non l'ho mai visto”]. 1.11 Deve allora prendersi atto che, sin dalla proposizione del ricorso introduttivo, alcuna deduzione, prima ancora che prova, è stata svolta circa il conseguito potere di fatto sul bene da parte del ricorrente, in specie nell'intervallo tra l'atto di compravendita e la sostituzione della serratura (fatto in sé pacifico) da parte dei resistenti: difatti, la mera disponibilità delle chiavi di accesso del box compravenduto e l'apertura della porta basculante dell'autorimessa (da qui la scoperta che era già utilizzato dai resistenti) non sono in grado di integrare gli estremi del possesso, dato che un soggetto può essere considerato “possessore” di un bene solo quando abbia in concreto la facoltà di disporre materialmente della res senza che altri soggetti abbiano il potere di fatto di escluderlo. Ed in seguito alla costituzione in giudizio degli odierni resistenti, a fronte della precisa contestazione in fatto circa l'originario possesso del bene, la difesa del ricorrente è rimasta fissa sul profilo petitorio e non possessorio. 1.12 Alla luce dei principi sopra esposti (v. anche Cass. n. 1219/2012) va ribadito che il proprietario che si assume spogliato del possesso ha l'onere - incombente a qualunque possessore - di fornire la prova dello “ius possessionis” ossia dell'esercizio di un potere di fatto corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà. Non è sufficiente, pertanto, l'esibizione del titolo di acquisto idoneo soltanto a rafforzare detta prova “ad colorandam possessionem”, e non già a dimostrare il diritto di esercitare siffatto potere. Rimane, in effetti, di per sé privo di rilievo, trattandosi di questione petitoria, il mero acquisto della proprietà dell'immobile in capo all'odierno ricorrente, non essendo stato accompagnato, in sede di ricognizione della fattispecie finora svolta, né dal materiale conseguimento del relativo possesso (a fronte della previa disponibilità materiale del vano autorimessa da parte dei resistenti), né da un reale impossessamento successivo, attraverso il compimento di un atto o di un fatto che, escludendo dal godimento i coniugi resistenti, sia stato manifestazione di un dominio esclusivo sulla res da parte dello stesso. 1.13 Pertanto, in mancanza di prova (della quale il ricorrente era onerato) di un potere di fatto sulla cosa qualificabile come possesso, l'istante non può, evidentemente, vantare, alla luce degli accertamenti in fatto allo stato svolti, alcuna legittimazione all'esercizio dell'azione per la reintegrazione ex articolo 1168 c.c. 1.14 L'eccepito decorso del termine annuale di decadenza di cui all'articolo 1168 c.c. resta logicamente assorbito. 1.15 Le spese del giudizio seguono la soccombenza del ricorrente ex articolo 91 c.p.c. e si liquidano nel dispositivo, secondo i parametri dettati dal D.M. n. 55/2014 e succ.mod. dal D.M. n. 147/2022 (proc. caut.; scaglione di valore effettivo compreso tra € 5.200,00 ed € 26.000,00; fasi di studio, introduttiva e decisionale, valori medi; fase istruttoria, valori minimi, in proporzione all'attività istruttoria effettivamente prestata dopo la costituzione in giudizio), distraendole ex articolo 93 c.p.c. in favore dell'Avv. Annalisa Gasparre dichiaratasi antistataria. P.Q.M. Il Tribunale in composizione monocratica, ogni altra domanda ed eccezione assorbita o disattesa, così dispone: • rigetta la domanda di reintegrazione; • condanna la parte ricorrente soccombente al rimborso delle spese di giudizio in favore dei resistenti vittoriosi, distraendo il pagamento al difensore antistatario Avv. Annalisa Gasparre, che si liquidano in € 2.901,00 per compensi (di cui: € 992,00 fase studio, € 672,00 fase intr., € 602,00 fase istr., € 635,00 fase dec.), oltre 15% rimb. forf. per spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.