Sequestro di persona e violenza sessuale: i limiti dell’assorbimento tra reati concorrenti

Quanto al rapporto tra i reati di sequestro di persona e di violenza sessuale, è stato ribadito che, quando la privazione della libertà personale della vittima si consuma solo per il tempo strettamente necessario a compiere l’abuso, il primo delitto deve ritenersi assorbito nella più grave ipotesi di violenza sessuale.

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, torna ad affrontare il delicato rapporto tra i reati di violenza sessuale, sequestro di persona e rapina nei confronti di minori, delineando i confini del concorso e dell’assorbimento tra fattispecie. Il caso riguarda un giovane condannato dalla Corte d’Appello di Lecce – Sezione Minorenni, confermando la sentenza di primo grado, per i reati di rapina, sequestro di persona e violenza sessuale, in concorso con altri, ai danni di un coetaneo. La difesa ricorreva in Cassazione sostenendo, tra l'altro, l’assorbimento del sequestro di persona nella più grave ipotesi di violenza sessuale, poiché la privazione della libertà sarebbe stata funzionale e contestuale all’abuso. La Suprema Corte, quanto al rapporto tra rapina e violenza sessuale, ha rigettato la tesi difensiva, ribadendo che i due reati mantengono autonomia in presenza di condotte distinte e finalità differenziate, secondo il consolidato principio per cui il reato complesso richiede una fusione normativa che, in questo caso, non sussiste: la rapina – caratterizzata dall’impossessamento di beni mediante violenza o minaccia – si distingue dalla violenza sessuale, anche se le condotte si susseguono nello stesso contesto. Diverso il discorso per il sequestro di persona. Accogliendo il motivo di ricorso, la Cassazione ha riconosciuto che, quando la privazione della libertà personale della vittima si consuma solo per il tempo strettamente necessario a compiere l’abuso sessuale, il sequestro di persona deve ritenersi assorbito nella più grave violenza sessuale. Nel caso concreto, infatti, la costrizione della vittima a chiudersi nel bagno pubblico e la successiva violenza sessuale sono state ritenute condotte contestuali, cessate simultaneamente con l’allontanamento degli aggressori, senza ulteriori protrazioni della privazione della libertà. La Corte ha, dunque, annullato la sentenza impugnata limitatamente alla configurabilità del reato di sequestro di persona, con rinvio per nuovo giudizio, dichiarando inammissibile il ricorso per il resto.

Presidente Di Nicola - Relatore Noviello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 24.04.2024, la Corte di Appello di Lecce - Sezione Minorenni confermava la sentenza, emessa dal Tribunale per i Minori di Lecce in data 10.05.2021, di condanna dell'odierno ricorrente - S.J. - alla pena ritenuta di giustizia (condizionalmente sospesa) di anni 3 di reclusione per i reati di cui ai capi a), b) e c) della sentenza, di cui agli articolo 81,110,628 cod. pen., 81, 110, 605, 609 bis, 600 ter cod. pen. e 81, 110, 56 e 629 cod. pen. 2. Avverso la predetta sentenza, per tramite del proprio difensore di fiducia, il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due motivi. 3. Deduce, con il primo motivo, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione, per violazione ed erronea applicazione di norme di legge, oltreché travisamento della prova, quanto all'affermazione della di lui penale responsabilità in relazione alle fattispecie di cui agli articolo 605,628 e 609 bis cod. pen. Si rappresenta l'assorbimento del delitto di sequestro di persona in quello di violenza sessuale. Nella prospettazione difensiva, infatti, la limitazione di movimento nel tempo e nello spazio così come la violenza fisica (percosse) perpetrata in danno della persona offesa, G.G., altro non rappresenterebbero se non le modalità esecutive necessarie al compimento del delitto di cui all'articolo 609 bis. Nel caso di specie, comunque, la privazione della libertà personale inflitta alla persona offesa si sarebbe esaurita nel tempo occorrente a commettere il delitto contro la libertà sessuale (dunque, non si sarebbe protratta prima o dopo la costrizione necessaria a compiere gli atti sessuali), com'anche s'evincerebbe dalla narrazione diacronica degli eventi, offerta dalla vittima in sede di denuncia-querela: la violenza sessuale e la privazione della libertà personale sarebbero iniziate e cessate contemporaneamente con la contestuale entrata/uscita dai bagni della persona offesa e dell'imputato (oltre che del coimputato, F.S.). Più in generale, tutte le condotte contestate al ricorrente sub specie dei reati ex articolo 605 e 628 c.p. quali condotte violente integrerebbero elementi costitutivi del reato ex articolo 609 bis c.p. 4. Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente censura l'asserto - rinvenibile nel testo della gravata sentenza - secondo cui, invece, sarebbe trascorso del tempo apprezzabile (anteriore e successivo) tra la perpetrazione della violenza sessuale e la privazione della libertà personale inflitta alla persona offesa e ribadisce l'assorbimento della condotta ritenuta di sequestro di persona nel reato di violenza sessuale contestato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato. Preliminarmente si osserva che il ricorrente non si confronta appieno, quanto al rapporto tra il reato di rapina e quello di violenza sessuale, con gli argomenti sul punto sviluppati in sentenza, sebbene sia noto che i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili «non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato» (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568) e le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l'atto di impugnazione risiedono nel fatto che il ricorrente non può trascurare le ragioni del provvedimento censurato (Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425). Al riguardo, i giudici hanno congruamente evidenziato la distinta e autonoma condotta predatoria, connotata da una momento differenziato rispetto all'originaria intimazione, rivolta alla vittima, a seguire gli aggressori (cfr. inizio di pagina 5) come anche rispetto agli eventi successivi all'impossessamento dei beni della persona offesa, nonché peculiare e speciale rispetto agli altri reati (605 e 609 bis c.p.) siccome caratterizzato dalla appropriazione, conseguente a violenza e intimidazioni, di indumenti della vittima, quale evento che la corte di appello ha sottolineato correttamente che caratterizza la rapina stessa rispetto agli altri reati commessi e si accompagna al dato, pure al riguardo perspicuamente sottolineato, per cui la privazione di libertà si venne a protrarre anche dopo l'impossessamento delle res e senza necessità ai fini della consumazione della rapina . Si tratta di una ricostruzione rispetto alla quale, da una parte, emerge come la stessa sia stata trascurata dal ricorrente e non contestata specificamente, dall'altra, si aggiunge in ricorso, anche un mero rinvio a talune notazioni di gravame non meglio specificate, sebbene sia noto che in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell'appello dei motivi articolati con l'atto di gravame onera il ricorrente della necessità di specificare il contenuto dell'impugnazione e la decisività del motivo negletto al fine di consentire l'autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato di legittimità, dovendo l'atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3 - , n. 8065 del 21/09/2018 (dep. 25/02/2019) Rv. 275853 - 02). La ricostruzione operata dai giudici, dunque, in punto di autonoma configurabilità del reato di rapina appare coerente e corretta, peraltro in linea con il principio per il quale per la ipotizzabilità del reato complesso è necessario che la legge abbia operato la fusione in un'unica figura criminosa di fatti costituenti autonomi reati. Non integra invece la figura del reato complesso l'esistenza di elementi comuni fra due reati ne' la circostanza che un reato sia il presupposto di un successivo reato o che il primo sia stato consumato allo scopo di realizzare un secondo reato; in tale ultimo caso può configurarsi semplicemente un rapporto teleologico fra i due illeciti che non solo non esclude il concorso, ma integra la circostanza aggravante di cui all'articolo 61 n. 2 cod. pen. (Sez. 6, n. 16616 del 06/04/1990, Bonfiglioli, Rv. 186021 - 01). Dunque, come anticipato, il ricorso è inammissibile rispetto al tema del rapporto tra rapina e violenza sessuale, reati sussistenti e tra loro autonomi. Nel contempo, invece, il ricorso è fondato rispetto al rapporto tra sequestro di persona e violenza sessuale, stante la contemporaneità delle condotte ascritte all'imputato a titolo di sequestro di persona e violenza sessuale, per cui, lo si anticipa, deve concludersi che il reato p. e p. dall'articolo 605 sia da ritenersi assorbito nella successiva condotta p. e p. dall'articolo 609 bis. Invero, dalla puntuale ricostruzione fattuale operata nella sentenza impugnata, risulta che l'imputato, prima (ed al fine) di rendersi responsabile della violenza sessuale in danno della persona offesa, dapprima invitava e poi intimava con violenza alla medesima di entrare nei bagni pubblici, obbligandola a chiudere la porta a chiave dall'interno. Orbene, il comportamento dell'imputato - per quanto astrattamente idoneo ad integrare la fattispecie di cui all'articolo 605 cod. pen., stante l'avvenuta privazione della libertà personale subita dalla persona offesa - è assorbito nella successiva e più grave condotta di violenza sessuale (così, ex multis, Sez. III, sentenze nn. 38014 del 17 maggio 2019 e 15068 del 12 marzo 2009). Infatti, per giurisprudenza costante di questa Corte, il sequestro di persona concorre con quello di violenza sessuale quando la privazione della libertà personale prevista dall'articolo 605 cod. pen. non si esaurisce nella costrizione - attuata per compiere gli atti sessuali - prevista dall'articolo 609 bis cod. pen., ma si prolunga prima o dopo la suddetta costrizione. In altri termini, quindi, il delitto di sequestro di persona è assorbito in quello di violenza sessuale, quando la privazione della libertà persona della vittima si protrae per il tempo strettamente necessario a commettere l'abuso sessuale, come avvenuto nel caso di specie, stante la sostanziale concomitanza tra sequestro ed abuso sessuale posti in essere dall'imputato ovvero la contestuale cessazione delle suddette condotte. La Corte di Appello, com'anche il Tribunale, sostanzialmente riconosce che l'imputato (con il suo pugno al volto parato a stento dalla persona offesa e con le esplicite minacce di ulteriori percosse) abbia costretto con quei medesimi comportamenti, G.G., a chiudersi a chiave nel bagno pubblico e a masturbarsi: non solo, esplicitamente evidenzia che il G.G. è stato in condizione di uscire dal bagno soltanto dopo che i coimputati hanno desistito dalle pretese di atti sessuali ulteriori, andando via. Non argomenta, quindi, in ordine al ritenuto trascorso tempo apprezzabile (anteriore e successivo) tra la perpetrazione della violenza sessuale e la privazione della libertà personale inflitta alla persona offesa: la Corte di Appello si limita ad affermare apoditticamente che altro tempo è certamente trascorso tra l'intimazione alla masturbazione e l'inizio della stessa . 2. Dalle ragioni sin qui esposte deriva l'accoglimento del ricorso nei termini sopra precisati, e dunque, l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al capo concernente la configurabilità del reato di sequestro di persona con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione per i minorenni della Corte di appello di Lecce. Si dichiara inammissibile il ricorso nel resto. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente al capo concernente la configurabilità del reato di sequestro di persona con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione per i minorenni della Corte di appello di Lecce. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.