Accettazione dell’eredità: l’attività del rappresentante può produrre effetti giuridici pienamente validi e vincolanti nella sfera del rappresentato

L’accettazione dell’eredità non costituisce atto personalissimo e può essere validamente posta in essere dal rappresentante, con effetti direttamente riconducibili al rappresentato ai sensi dell’articolo 1388 c.c., purché il potere sia espressamente conferito. Di conseguenza, qualora l’accettazione tacita sia intervenuta per il tramite del rappresentante, ogni successiva rinuncia deve ritenersi inefficace, operando il principio “semel heres, semper heres”.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in esame. Inquadramento della vicenda e percorso processuale La pronuncia in esame si inserisce in un contenzioso tra due fratelli, relativo alla gestione di una procura generale rilasciata dal fratello alla sorella, per la cura delle vicende ereditarie comuni. La causa trae origine dalla domanda di restituzione di una somma che il fratello sosteneva essere stata indebitamente trattenuta dalla sorella, con contestuale invocazione di responsabilità ex articolo 1710,1712 e 1713 c.c. per inadempimento degli obblighi di mandatario. Il Tribunale di Palermo, in sede sommaria, respingeva la domanda, rilevando l'intervenuta rinuncia all'eredità da parte del fratello e l'inidoneità della procura a costituire accettazione della medesima. L'appello veniva in un primo momento dichiarato inammissibile per violazione dell'articolo 342 c.p.c., ma la Cassazione cassava tale decisione e rinviava alla Corte d'appello di Palermo. La Corte d'appello di Palermo, in sede di rinvio, rigettava il gravame nel merito, confermando la tesi del giudice di primo grado. Il fratello, allora, proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi. L'accettazione tacita dell'eredità e il ruolo del rappresentante volontario Il cuore della vicenda si concentra sul profilo dell'accettazione tacita dell'eredità da parte del fratello, avvenuta - secondo il ricorrente - per il tramite della sorella, quale sua procuratrice generale. L'atto chiave era una vendita immobiliare del 15 novembre 1978, compiuta dalla sorella in nome e per conto del fratello, con riferimento a un bene rientrante nell'asse ereditario paterno. Il giorno successivo, il fratello rendeva una formale dichiarazione di rinuncia all'eredità. La Corte d'Appello aveva ritenuto che l'atto di disposizione compiuto dal rappresentante non fosse sufficiente a integrare una volontà di accettazione, né potesse costituire revoca della successiva rinuncia, anche per la mancanza di un esplicito riferimento all'eredità paterna nella procura. La decisione della Cassazione La Suprema Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, censurando la sentenza per due vizi principali: motivazione apparente e falsa applicazione delle norme sulla rappresentanza e sull'accettazione dell'eredità. a) Motivazione apparente (secondo motivo) La Corte censura la motivazione della sentenza impugnata per non avere affrontato in modo logicamente coerente l'efficacia dell'atto di vendita del 15 novembre 1978. La Corte territoriale aveva escluso che tale atto potesse costituire revoca della rinuncia all'eredità, ma ciò è giudicato logicamente errato dalla Cassazione, poiché una revoca presuppone l'esistenza di un atto da revocare, e la rinuncia era avvenuta il giorno successivo. Dunque, il tema non era se vi fosse stata una revoca, ma se l'atto di vendita configurasse già un'accettazione tacita, rendendo priva di effetti la successiva rinuncia. La motivazione della sentenza impugnata, non avendo colto tale distinzione, viene qualificata come meramente “apparente” e quindi nulla ai sensi dell'articolo 132, co. 2, n. 4 c.p.c. e dell'articolo 111 Cost. b) Falsa applicazione delle norme sulla rappresentanza (terzo motivo) Secondo la Corte di Cassazione, la sentenza d'appello ha errato nel ritenere che l'accettazione dell'eredità non potesse avvenire per il tramite di un rappresentante volontario.  La procura conferita alla sorella includeva espressamente il potere di accettare l'eredità; pertanto, il compimento da parte della rappresentante di un atto di disposizione su un bene ereditario (la vendita) prima della rinuncia da parte del rappresentato costituisce una forma di accettazione tacita ai sensi dell'articolo 477 c.c., i cui effetti si riflettono direttamente nella sfera giuridica del fratello, in virtù dell'articolo 1388 c.c. La Corte richiama il principio consolidato secondo cui l'accettazione dell'eredità non è un atto personalissimo e può essere validamente compiuta dal rappresentante volontario, anche in forza di procura generale, purché questa includa esplicitamente tale potere. Inoltre, l'accettazione può avvenire tacitamente, anche tramite atti come la vendita di beni ereditari, i quali — in quanto implicano esercizio di diritti derivanti dalla qualità di erede — manifestano in modo univoco la volontà di accettare. Effetti giuridici dell'accettazione e inammissibilità della rinuncia successiva Riconosciuta la validità dell'accettazione tacita, la Corte ribadisce un principio cardine del diritto successorio: l'accettazione, una volta avvenuta, è irrevocabile. In applicazione del principio “semel heres semper heres”, il soggetto che ha accettato l'eredità — anche tacitamente — non può validamente rinunciarvi successivamente, come statuito, tra l'altro, da Cass. n. 15663/2020. Pertanto, la rinuncia del 16 novembre 1978 da parte del fratello risulta inefficace, in quanto preceduta da un atto che integra accettazione. Conclusioni Alla luce delle suddette motivazioni, la Suprema Corte ha accolto il secondo e terzo motivo di ricorso e, pertanto la sentenza è stata cassata e rinviata alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.

Presidente Di Virgilio – Relatore Cavallino Il testo integrale della pronuncia sarà disponibile a breve.