Vive con i genitori dopo essersi separata dal marito: niente “reversibilità” alla morte del padre

Non sufficiente il richiamo alla convivenza con madre e padre, a seguito della rottura col marito. Necessaria, invece, la prova, non offerta del sostentamento garantito dal genitore.

Scontro tra una signora e l’INPS: lei chiede, a seguito della morte del padre, pensionato da anni, la pensione di reversibilità, in quanto invalida e convivente a carico del genitore, ma l’istituto previdenziale la nega. Inevitabile lo strascico giudiziario, che però vede la donna sconfitta sia in primo che in secondo grado: per i giudici di merito, difatti, sulla base dei documenti a disposizione, è mancata la prova della vivenza della donna a carico del padre. E, in questo quadro, non è ritenuto decisivo il fatto che, a fronte della certificata separazione coniugale della donna, nelle dichiarazioni fiscali dell’ex marito non sia risultata a suo carico la consorte, permanendo, invece, il rapporto di coniugio ed i relativi obblighi di assistenza. Per quanto concerne, poi, il requisito sanitario, la donna si è limitata a produrre un’attestazione di invalidità all’80%, da cui non è risultata la impossibilità per lei di svolgere qualsiasi attività lavorativa. E, peraltro, neppure la consulenza di parte prodotta in giudizio si è espressa nel senso della totale o assoluta inabilità al lavoro della signora. Sulla stessa lunghezza d’onda dei giudici d’Appello, poi, anche la Cassazione, la quale respinge le obiezioni sollevate dalla donna e perciò le nega in via definitiva la possibilità di ottenere la pensione di reversibilità a seguito del decesso del padre pensionato da anni. Nel contesto del giudizio di legittimità, il legale della signora sostiene sia provato «il requisito della vivenza» della sua cliente «a carico del padre, a fronte degli elementi probatori offerti, quali il ritorno alla coabitazione con i propri genitori (a seguito della separazione di fatto dal marito e della vendita della residenza familiare), la cointestazione di un conto corrente con il padre, le spese quotidiane (per utenze ed autovettura) tratte dalle risorse del padre» ed inoltre «l’assenza di detrazioni a suo nome per carichi di famiglia nella dichiarazione reddituale del marito». Illogico, quindi, ritenere non provata la assenza di autosufficienza economica della donna solo a causa della permanenza dello stato di coniugio, e illogico anche l’aver ritenuto irrilevante «l’ininterrotta separazione di fatto, da oltre venti anni, dal marito». Per concludere, inoltre, l'avvocato lamenta «l’omesso esame della documenta invalidità e della consulenza medico-legale di parte, illustrativa della ricorrenza del requisito sanitario». Queste considerazioni non convincono affatto i Giudici, i quali si richiamano alle disposizioni normative in tema di presupposti del trattamento pensionistico di reversibilità e di connesso riparto dell’onere probatorio. Chiarissima la normativa applicabile, che prevede che, nel caso di morte del pensionato o dell’assicurato, spetti (oltre che al coniuge ed ai figli minorenni) una pensione ai figli superstiti ultradiciottenni riconosciuti inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di quest’ultimo. E in quest'ottica «il requisito della “vivenza a carico” del genitore, se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile». Invece, nella vicenda in esame, non è stata raggiunta «la prova del concreto sostentamento, in maniera continuativa e prevalente, della donna ad opera del genitore». Esclusa, quindi, l’esistenza di elementi che avrebbero consentito di riscontrare la vivenza della donna a carico del padre. Infine, per quanto concerne il requisito sanitario, si è fatto richiamo al criterio legale della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, requisito escluso, con conseguenze sfavorevoli per la donna.

Presidente Spena - Relatore Orio Rilevato che 1. La Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva respinto la domanda proposta da S.A., volta a conseguire la pensione di reversibilità del defunto genitore, quale invalida e convivente a carico. La Corte territoriale non ha ritenuto raggiunta la prova della vivenza a carico dell'ascendente sulla base dei documenti prodotti né ha ritenuto decisivo il fatto che nelle dichiarazioni fiscali dell'ex coniuge la parte non risultasse a carico del marito, permanendo il rapporto di coniugio ed i relativi obblighi di assistenza. Quanto al requisito sanitario, poi, l'appellante si era limitata a produrre un'attestazione di invalidità all'80%, dalla quale non risultava la impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa; neppure la consulenza di parte prodotta in giudizio si era espressa nel senso della totale o assoluta inabilità al lavoro. Infine, la Corte ha reputato ininfluente la documentata separazione giudiziale dal coniuge, del gennaio 2021. Al rigetto del gravame è seguita la condanna alle spese, in assenza di formale dichiarazione sostitutiva ex articolo 152 disp. att. c.p.c. 2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S.A., affidandosi a quattro motivi, cui l'INPS resiste con controricorso. 3. All'adunanza camerale del 13 marzo 2025 la causa è stata trattata e decisa. Considerato che 1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 13 R.D.L. n.636/39, dell'articolo 22 L.n. 903/1965 e dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 co.1 n.3 e n.5 c.p.c., per non essere stato ritenuto il requisito della vivenza a carico dell'ascendente a fronte degli elementi probatori offerti, quali: il ritorno alla coabitazione con i propri genitori dal maggio 1995, a seguito della separazione di fatto dal marito e della vendita, nell'anno 1994, della residenza familiare; la cointestazione di un conto corrente con il padre; l'assenza di detrazioni a suo nome per carichi di famiglia nella dichiarazione reddituale del coniuge; le spese quotidiane, per utenze ed autovettura, tratte dalle risorse del padre. 2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione ed errata applicazione dell'articolo 13 R.D.L. n.636/1939 e dell'articolo 22 L. 903/1965 nonché dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 co.1 n.3 e n.5 c.p.c., per avere la Corte d'appello ritenuto non provata la assenza di autosufficienza economica in ragione dalla permanenza dello stato di coniugio e per aver ritenuto irrilevante l'ininterrotta separazione di fatto dal marito da oltre venti anni. 3. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell'articolo 13 R.D.L. 636/1939 ed articolo 22 L.903/1965, nonché dell'articolo 2697 c.c., in relazione all'articolo 360 co.1 n.3 e n.5 c.p.c., per omesso esame della documenta invalidità e della consulenza medico-legale di parte, illustrativa della ricorrenza del requisito sanitario. 4. Con l'ultimo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione degli articolo 91 c.p.c., 152 disp. att. c.p.c., 4 e 5 D.M. n. 55/2014, in relazione all'articolo 360 co.1 n.3 e n.5 c.p.c., per essere stata erroneamente ritenuta la inapplicabilità della esenzione dal pagamento delle spese di lite nonostante l'autodichiarazione in atti. 5. Nel controricorso l'INPS eccepisce l'inammissibilità dei motivi di ricorso, in quanto diretti ad un mero riesame delle questioni di fatto. 6. Il ricorso è infondato per le seguenti ragioni. 7. I primi tre motivi di ricorso, inerenti alla denunciata violazione delle disposizioni normative in tema di presupposti del trattamento pensionistico di reversibilità e di riparto dell'onere probatorio, possono essere unitariamente trattati. La ricorrente, nella sostanza, pur denunciando la violazione di norme di diritto, tende ad una diversa valutazione dei fatti esaminati nel giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità. La normativa applicabile in causa prevede che nel caso di morte del pensionato o dell'assicurato spetti (oltre che al coniuge ed ai figli minorenni) una pensione ai figli superstiti ultradiciottenni riconosciuti inabili al lavoro ed a carico del genitore al momento del decesso di questi. Questa Corte (ord. n. n.9237/2018 e, negli stessi termini, n.15041/2024) ha ritenuto che il requisito della vivenza a carico , se non si identifica indissolubilmente con lo stato di convivenza né con una situazione di totale soggezione finanziaria del soggetto inabile, va considerato con particolare rigore, essendo necessario dimostrare che il genitore provvedeva, in via continuativa e in misura quanto meno prevalente, al mantenimento del figlio inabile (Cass. nr. 15440 del 2004; Cass. nr. 14346 del 2016). L'impugnata sentenza non ha ritenuto raggiunta la prova del concreto sostentamento della parte ad opera dell'ascendente in maniera continuativa e prevalente. Trattasi di accertamento di fatto rimesso al giudice di merito e, pertanto, censurabile in sede di legittimità nei limiti della deducibilità del vizio di motivazione ex articolo 360 n. 5 c.p.c. 8. La doglianza espressa alla luce del parametro del n.5 dell'articolo 360 c.p.c., relativa alla esistenza di elementi che avrebbero consentito di riscontrare la vivenza a carico, con tutta evidenza vorrebbe orientare il giudizio di legittimità verso una rivalutazione del merito. Come ripetutamente affermato da questa Corte (per tutte: Cass n.32505/2023) “Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l'apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall'analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l'apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell'ambito di quest'ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione”. 9. Egualmente è a dirsi quanto alla doglianza relativa al requisito sanitario, avendo il giudice di appello fatto richiamo al criterio legale della assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa, requisito escluso dal giudice del merito con un accertamento di fatto conformemente reso nei due gradi di merito. 10. Quanto alla lamentata violazione dell'articolo 2697 c.c., questa Corte ha precisato che essa si configura soltanto nell'ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l'onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare (ex multis, ord. n.26739/2024); la doglianza si risolve, anch'essa, nel tentativo di un nuovo esame degli elementi di prova, non consentito in questa fase di legittimità. 11. Infondato è, infine, il quarto motivo di ricorso: agli atti non risulta prodotta l'autocertificazione reddituale ai fini della esenzione dal pagamento delle spese, alla cui mancanza non può sopperire la dichiarazione del difensore. (Cass. n. 22952/2016). Vi era invece la dichiarazione autocertificata del mancato superamento del triplo del limite di reddito per l'ammissione al gratuito patrocinio, valevole ai diversi fini dell'esonero dal pagamento del contributo unificato. Peraltro, nel motivo di ricorso non è riportato il contenuto dell'autocertificazione reddituale né indicata la sua collocazione tra gli atti prodotti. 12. Al rigetto del ricorso, mancando anche per questa fase la dichiarazione esentativa di cui all'articolo 152 disp. att. c.p.c., fa seguito la condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo. Seguono le statuizioni sul contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali della presente fase, liquidate in € 2.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge ed € 200,00 per esborsi. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1-bis dell'articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.